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https://www.rmix.it/ - Come e Perché Utilizzare i Rifiuti Plastici per la Produzione di Combustibili
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come e Perché Utilizzare i Rifiuti Plastici per la Produzione di Combustibili
Economia circolare

La densificazione dei rifiuti plastici destinati alla produzione di combustibilidi Marco ArezioQuando parliamo di economia circolare, parola molto di moda al giorno d’oggi, intendiamo la produzione di un bene, il suo uso, il suo riciclo a fine vita e la nuova produzione fatta con la materia prima del prodotto riciclato. In questo processo non sempre si riesce a rendere circolare, attraverso i comuni sistemi di riciclo meccanici, il 100% dei rifiuti che raccogliamo. Una parte di essi finiva e finisce in discarica, con tempi di decomposizione talmente lunghi da definirli eterni, con problemi di possibile inquinamento delle aree circostanti. Nel campo delle materie plastiche, quello che possiamo definire il rifiuto del rifiuto, può ancora essere recuperato attraverso la creazione di un prodotto adatto alla produzione di combustibile industriale destinato ad impianti come le cementerie, le acciaierie e altre produzioni energivore. L’argomento dell’utilizzo dei rifiuti urbani non riciclabili come combustibile non può essere più attuale di così, vista la situazione degli alti prezzi del petrolio e del gas, che stanno fortemente incidendo sui costi di produzione, sia delle attività industriali che nella produzione di energia elettrica. Impiegare i rifiuti urbani non riciclabili significa: • Ridurre l’uso delle fonti fossili • Ridurre i rifiuti che sarebbero destinati alle discariche • Ridurre i costi di produzione • Utilizzare carburanti a Km. 0 • Ridurre l’impronta carbonica del traffico delle materie prime industriali • Ridurre la dipendenza energetica dall’estero Il nord Europa, dove l’utilizzo di CSS e CDR per la produzione di energia elettrica e per l’alimentazione dei forni industriali è circa il 60-80% dei carburanti utilizzati, ci dimostra come le nuove tecnologie di filtrazione dell’aria rende il processo sicuro e conveniente. Ma come deve essere preparato il rifiuto per essere utilizzato come combustibile? Lo scarto dei rifiuti urbani è un mix eterogeneo, composto prevalentemente da plastiche miste, che sono, per forma, natura, densità e composizione, bisognose di un trattamento che le amalgami in modo regolare per poterle utilizzare come combustibile. Questa operazione può essere fatta attraverso l’uso di specifici densificatori, che trasformano quello che è un ammasso scomposto e variegato di rifiuti plastici in un prodotto dalla forma di un macinato grossolano. Lo scopo del densificatore non è solo quello di regolarizzare il rifiuto plastico misto, in pezzature che vanno da 25 a 60 mm., quindi facilmente utilizzabili in tutti i forni, ma anche quello di ridurne drasticamente la percentuale di umidità creando un comburente asciutto e prestante. Il desnsificatore è un impianto che viene utilizzato anche per amalgamare le plastiche flessibili e leggere durante le fasi di riciclo. Infatti per poter estrudere il rifiuto plastico con peso specifico basso, si tende ad agglomerare le parti tra loro creando delle pezzature che possano, attraverso il loro peso maggiore, essere gestite facilmente in un impianto di estrusione o di stampaggio. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti - combustibili

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https://www.rmix.it/ - Slow Life: Amico
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Slow Life: Amico
Slow Life

Slow Life: Amico di Marco ArezioLo senti, amico, il suono metallico della chitarra che ripercorre le note della nostra vita? Ti ricordi, amico mio, cosa ci stava intorno al ritmo sensuale di questa canzone quando eravamo insieme? Ogni colpo sulla corda è come riaprire un cassetto pieno di emozioni mai sopite, che coloravano di toni intensi le nostre giornate cariche di vitalità. Senti, amico mio, questo colpo di batteria che segnava ritmicamente il battito del nostro cuore, quando avevamo la speranza ostinata di elevare noi stessi ad altre dimensioni, fuori dalle esperienze comuni, per godere di una felicità che era solo nostra? Ti ricordi questo flauto che ci accompagnava sulle pareti delle montagne, il sibilo del vento che per noi era tutt’uno con il nostro respiro, quasi ci attraversasse il corpo e ci facesse parte dell’ambiente meraviglioso, di cui volevamo godere fino in fondo? Ogni passaggio della pianola mi riaccendeva la segreta convinzione che eravamo felici lassù, dove tutto sembrava più chiaro, dove non si poteva barare, dove i nostri personali valori si esprimevano come una fioritura primaverile, dove non avevamo bisogno di tanto e dove quel poco che avevamo non era altro che un modesto mezzo per raggiungere il nostro cuore. Amico mio, eravamo in parete a misurarci con la nostra vita, le nostre aspettative, le nostre soddisfazioni, forti di noi stessi, forti della convinzione che il mondo finiva li tra quelle rocce verticali, quelle fessure lisce, quegli strapiombi che ai più avrebbero fatto ribrezzo e che a noi davano la sensazione di appartenere a loro, ad ogni passo, ad ogni presa, ad ogni colpo di martello, ad ogni tintinnio di moschettone, ad ogni fruscio della corda. Noi non eravamo più noi stessi, eravamo la parte mobile di quel meraviglioso grido di pietra, che era a guardia di ogni afflato di vita che si avvicinava al cielo. Amico mio, la musica corre come dolce medicina per la nostra mente, ti ricordo assorto e rapito dalla durezza della via che salivi, emanando una sorte di endorfina che ci metteva al centro di un mondo tutto nostro, fatto di niente ma ricco di una felicità piena di emozioni, di adrenalina, di semplicità e di innocenza mentale. Il violino culla la mia testa riportandomi sulla vetta, in una serata di un silenzio irreale, dove solo qualche debole soffio di vento ci accarezzava i capelli e i nostri occhi potevano godere profondamente della fine della nostra lotta, estrema, con la nostra mente, consumata in parete. Il tramonto ci paralizzava per il caldo spettro di colori che avvolgeva dolcemente la montagna di fronte a noi, imprimendosi nei nostri occhi come fossimo specchi dell’immensa bellezza di cui avevamo il privilegio di godere. La pianola ora si sta allontanando e con essa scema la musica della nostra vita, nella mia testa in una frazione di secondo realizzo un istante di bilancio, le immagini di allora e quelle di oggi che si sovrappongono velocemente senza riuscire a trovare una collocazione voluta, si girano, si spostano, vicine poi lontane, davanti ed indietro, non riuscendo mai a fermarsi ed a riposizionarsi nitidamente. La musica è finita, amico mio, sbatto le palpebre e noi non ci siamo più. Categoria: Slow life - vita lenta - felicità

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https://www.rmix.it/ - Come nasce nel 990 d.C. lo Slow Trekking Moderno ad Opera di Sigerico
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come nasce nel 990 d.C. lo Slow Trekking Moderno ad Opera di Sigerico
Slow Life

Come nasce nel 990 d.C. lo Slow Trekking Moderno ad Opera di Sigericodi Marco ArezioA cavallo dell’anno mille lo spostamento della popolazione era limitato alle aree in cui viveva e lavorava, non c’era l’abitudine, né probabilmente le possibilità economiche, per visitare città o luoghi distanti dalla propria residenza. Inoltre le strade erano insicure per via del brigantaggio e delle lunghe distanze tra un paese e l’altro, lasciando i viaggatori a lungo senza la possibilità di chiedere aiuto. La vita scorreva imperniata sulle lunghe ore di lavoro nei campi o presso qualche bottega artigianale o mercato rionale e, alla fine della giornata, il popolo non aveva altri svaghi che visitare qualche taverna per bere del vino e la domenica partecipare alla messa. Quando una persona doveva mettersi in viaggio era per estrema necessità, sapendo i pericoli a cui andava incontro e il lungo periodo di assenza che ne conseguiva. La componente religiosa era uno dei motivi per cui le persone che potevano si decidevano a muoversi dai propri paesi, con lo scopo di fare un pellegrinaggio verso i luoghi sacri che erano identificati in Roma, la terra Santa e Santiago di Compostela. Il viaggio era vissuto, dal punto di vista spirituale, come una purificazione dei peccati commessi precedentemente, al quale si partecipava dopo aver effettuato un percorso di pentimento, come riappacificarsi con il nemico, pagare i debiti contratti e fare delle offerte alla chiesa. Il pellegrinaggio era sentito come un viaggio non solo fisico e geografico, ma soprattutto interiore, in cui la fatica era parte del percorso di redenzione e dove il tempo non aveva alcun valore. In base alle disponibilità economiche il pellegrino decideva la propria meta e le strade per raggiungere le tre destinazioni culto della fede cristiana. A partire da X° secolo d.C. l’Italia fu percorsa, per centinaia di anni, da pellegrini di tutta Europa che si spostavano verso Roma a visitare la tomba si S. Pietro, inoltre maggiore importanza la città l’acquisì quando Papa Bonifacio VIII dichiarò il primo giubileo, con la Bolla Antiquorum habet fida relatio, emanata il 22 febbraio del 1300. In quell’occasione il Papa istituì l’Indulgenza Plenaria a tutti i pellegrini che avrebbero visitato, un certo numero di volte nell’anno, le Basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura. Altri pellegrini proseguivano, sempre a piedi, verso i porti Pugliesi per imbarcarsi in direzione della Terra Santa, con lo scopo di visitare i luoghi legati alla vita di Gesù, ovvero Betlemme, Nazareth e Gerusalemme. In quel periodo gli Arabi detenevano il controllo delle aree di interesse per il Cristianesimo, ma essendo tolleranti i pellegrini non ebbero grandi problemi. Quando si insediarono i Turchi, considerati rozzi e battaglieri, si decisero scorte armate per proteggere i pellegrini. Infatti, nel 1095 il Papa Urbano II organizzò la prima crociata per liberare Gerusalemme dagli invasori Turchi. Questa prima crociata fu semplicemente un pellegrinaggio armato e, coloro che partivano, non chiamavano se stessi crociati, ma pellegrini. Il precursore di quello che oggi chiamiamo “slow trekking”, di cui si condividono ancora oggi molte delle ragioni per cui i pellegrini si mettevano in cammino, fu l’arcivescovo di Canterbury Sigerico, che nel 990 d.C. partì a piedi da Canterbury, in Inghilterra, attraversando la Francia e l’Italia, arrivando a Roma per ricevere dalle mani del Papa il Pallium, il paramento liturgico simbolo del compito pastorale riservato ad alcuni delle alte figure ecclesiastiche. L’arcivescovo, durante il percorso di ritorno verso Canterbury, scrisse un diario minuzioso, tappa per tappa, in cui annotava le sue impressioni, le locande in cui riposava e il percorso che faceva. Nacque un documento storico di eccezionale importanza che ancora ora oggi è una pietra miliare per i pellegrini odierni. Oggi la componente religiosa dello slow trekking non è più la sola ragione, ma l’essenza, laica o spirituale per cui ci si mette in cammino, ha una valenza comune. Partire vuol dire soprattutto essere in viaggio, non arrivare velocemente e a tutti i costi, ma godere del tempo che si investe in questa esperienza per stare con se stessi. L’importanza di un viaggio introspettivo, nella natura, senza distrazioni della vita moderna, riporta ad una dimensione che non si vive normalmente, in cerca di pace e senza nessuna necessità. Le motivazioni che spingono a vivere questo viaggio sono le più disparte, ma hanno un comune denominatore che è la ricerca della parte migliore di se stessi, che non può essere cercata con l’assillo del tempo, perché nessuno è in competizione e tutti sono alla ricerca del proprio equilibrio, come i pellegrini del medioevo.

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https://www.rmix.it/ - Accordo negli USA tra TotalEnergies e Clearway sull’Energia Rinnovabile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Accordo negli USA tra TotalEnergies e Clearway sull’Energia Rinnovabile
Notizie Brevi

Accordo negli USA tra TotalEnergies e Clearway sull’Energia RinnovabileIl mercato dell’energia rinnovabile negli Stati Uniti sta vivendo un momento di intensa produttività, non solo a livello di produzione di energia, ma anche di accordi tra società attive nel campo delle energie rinnovabili, come l’eolico e il solare, per migliorare i propri assets e condividere i finanziamenti per nuove strutture e una migliore logistica. E’ il caso di TotalEnergies che annuncia la firma di accordi con Global Infrastructure Partners (GIP) per acquisire il 50% di Clearway Energy Group (CEG), il 5 ° player statunitense nel settore delle energie rinnovabili. Ciò costituisce la sua più grande acquisizione nel settore delle energie rinnovabili negli Stati Uniti, uno dei primi 3 mercati rinnovabili al mondo. Con tale transazione, TotalEnergies sta accelerando ulteriormente la sua crescita nel settore delle energie rinnovabili collaborando con GIP, uno dei principali fondi infrastrutturali globali. CEG è uno sviluppatore di progetti e controlli sulle energie rinnovabili e possiede il 42% degli interessi economici della sua controllata quotata, Clearway Energy Inc. (CWEN), in cui i progetti vengono abbandonati quando raggiungono l'operatività commerciale. Con questa acquisizione, TotalEnergies sta stabilendo una posizione di primo piano nel mercato delle energie rinnovabili e dello storage negli Stati Uniti. Clearway ha 7,7 GW 1 di attività eoliche e solari in funzione attraverso la sua controllata quotata CWEN e ha una pipeline di 25 GW di progetti rinnovabili e di stoccaggio, di cui 15 GW sono in una fase avanzata di sviluppo. Con sede a San Francisco, Clearway ha circa 760 dipendenti. Nell'ambito di questa transazione, GIP riceverà 1,6 miliardi di dollari in contanti e una quota del 50% meno un'azione nella controllata TotalEnergies che detiene il 50,6% di SunPower Corporation (NASDAQ:SPWR), leader nel solare residenziale negli Stati Uniti. La transazione tiene conto delle valutazioni di $ 35,1 per azione per CWEN e $ 18 per azione per SunPower. Nell'ambito di questa partnership, TotalEnergies contribuirà a migliorare le prospettive di crescita di Clearway fornendo a CWEN negli Stati Uniti l'accesso alle sue capacità di scambio di energia e le darà la priorità nella riduzione dei propri progetti sviluppati. L'acquisizione porta il portafoglio rinnovabile di TotalEnergies negli Stati Uniti a oltre 25 GW e contribuisce all'obiettivo che gli Stati Uniti rappresentino almeno il 25% dell'obiettivo globale della Società di 100 GW entro quel momento. Questa transazione integra il portafoglio che TotalEnergies ha costruito negli Stati Uniti dall'inizio del 2021. Nel solare su larga scala, TotalEnergies sta già sviluppando 8 GW di progetti in seguito all'acquisizione di un portafoglio di progetti da SunChase, alla sua partnership con Hanwha Energy e alla recente acquisizione di Core Solar. Nell'eolico offshore, TotalEnergies svilupperà 4 GW di progetti al largo delle coste di New York e della Carolina del Nord, dopo aver vinto le gare d'appalto. Infine, TotalEnergies dà il benvenuto a GIP come partner azionario in SunPower. SunPower è la seconda più grande azienda solare residenziale negli Stati Uniti, fornendo ai clienti soluzioni completamente integrate di energia solare, storage, energia domestica e finanziamento. TotalEnergies e GIP sono ben posizionati per supportare insieme la strategia di crescita del management di SunPower. “Siamo lieti di questa partnership con Global Infrastructure Partners, che è uno dei principali attori nelle energie rinnovabili, in particolare negli Stati Uniti. Consente a TotalEnergies di espandersi nel mercato statunitense, uno dei più dinamici al mondo, beneficiando di asset operativi e di una pipeline di alta qualità da 25 GW, nel settore eolico, solare e storage, con un'ampia copertura geografica con una presenza in 34 stati. Questa transazione si adatta perfettamente alla nostra strategia di fare dell'elettricità rinnovabile uno dei nostri principali motori di crescita insieme al gas naturale liquefatto che abbiamo recentemente rafforzato con il lancio dell'estensione Cameron. Tutto questo dimostra la nostra priorità nell'accelerare la trasformazione dell'azienda per diventare un'azienda multi-energia sostenibile e redditizia", ha affermato Patrick Pouyanné, Presidente e CEO di TotalEnergies. “Siamo estremamente lieti di collaborare con TotalEnergies per continuare a guidare la transizione energetica negli Stati Uniti. Siamo orgogliosi della crescita e dei risultati raggiunti dal team di Clearway dal nostro investimento iniziale nel 2018 e siamo fiduciosi che con TotalEnergies come partner, Clearway lo farà essere in grado di La crescita, le capacità e l'ambizione che GIP e TotalEnergies apportano a questa partnership sosterranno la nostra visione condivisa di costruire piattaforme di energia rinnovabile negli Stati Uniti", ha affermato Adebayo Ogunlesi, Presidente e CEO di Global Infrastructure Partners. Fonte: Total

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https://www.rmix.it/ - Come Gestire in Modo Efficace una Contestazione sul Prodotto
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come Gestire in Modo Efficace una Contestazione sul Prodotto
Management

Come Gestire in Modo Efficace una Contestazione sul Prodottodi Marco ArezioNel mondo del commercio e della produzione non si vorrebbe mai ricevere una contestazione in quanto sono situazioni sempre spinose da gestire. Da una parte c’è il rapporto con il cliente, che normalmente si cerca di coltivare in modo costruttivo sul lungo periodo e dall’altra c’è l’azienda che potrebbe aver commesso un errore. In base a come è strutturata la società produttrice o distributrice, la contestazione sollevata dal cliente viene recepita così da mettere in moto una serie di verifiche inerenti all’insoddisfazione palesata. Non è qui la sede per descrivere l’iter di controlli interni, anche perché ogni azienda segue i propri canali in base a come è strutturata, ma mi vorrei soffermare sulla gestione dell’attività di risposta verso il cliente. Fatto salvo che la persona addetta a gestire la contestazione può essere un addetto al customer service, al post vendita o una figura più tecnica, se la contestazione dovesse riguardare aspetti prettamente tecnici o ad un commerciale che ha venduto il prodotto. La delega alla gestione della contestazione dipende anche dalla dimensione aziendali e dalla possibile ripetitività e periodicità della stessa, dalle dimensioni del mercato e dal tipo di prodotti. Tra tutti, faremo un’ipotesi esemplificativa in cui rappresenteremo un’azienda media, che produce polimeri, su una fornitura gestita da un agente di vendita in un’area nazionale. In questo caso il primo a raccogliere la contestazione potrebbe essere l’agente di zona che avrà il compito di parlare con il cliente per capire i termini del problema. Nel campo dei polimeri riciclati si rende necessaria una campionatura del granulo venduto, dei parametri macchina usati ed eventualmente un pezzo del prodotto realizzato. L’agente si interfaccerà con il responsabile commerciale il quale, raccolte le indicazioni dell’agente, attiverà i controlli interni per verificare, analiticamente, quanto affermato dal cliente. In questi casi entrano in gioco alcune variabili importanti: • Tipologia della contestazione • Dimensione economica della contestazione • Importanza del cliente Tipologia della contestazione Ci sono aziende produttive che, utilizzando determinati input, possono andare incontro a possibili contestazioni sulla materia prima attraverso una casistica che già conoscono. Questo non significa che il polimero prodotto sia in ogni caso non conforme, ma che, per esempio, se utilizzato con determinate temperature macchina, determinati impianti, in determinate condizioni ambientali, qualche cliente potrebbe avere dei problemi. C’è anche il caso che effettivamente l’azienda abbia commesso degli errori o delle leggerezze, che hanno portato alla spedizione di un lotto di materiale non conforme. In questa sede non ci soffermeremo sulle tipologie di problematiche che un polimero può avere, né sul motivo per cui dalla produzione sia transitato nell’area di controllo e poi in quella logistica, senza che nessuno fosse intervenuto per segnalare un problema. Questo fa parte di un problema organizzativo che non sarà approfondito in questo momento, in quanto a noi interessa analizzare la gestione di una contestazione che in realtà già c’è. Il responsabile commerciale, che in questo caso sarà deputato alla gestione della contestazione, dopo aver verificato i risultati delle verifiche che sono venuti dalla produzione e dal controllo di qualità, dovrà incrociare le informazioni ricevute dal cliente tramite l’agente. Sulla scorta dell’analisi di quanto in suo possesso, l’addetto ha un quadro abbastanza preciso del problema tecnico e dovrà capire la sua entità economica. Dimensione economica della contestazione Prima di prendere qualsiasi decisione su come gestire con il cliente il problema dovrà, come detto, stabilire l’impatto economico dei passi che dovrà compiere con il cliente. Se l’ordine consegnato fa parte di un contratto continuativo, se è un ordine spot, se un inasprimento delle relazioni con il cliente potrebbe portare a dei risvolti negativi sulle vendite nell’area e, infine, valutare il rapporto che l’agente ha con il cliente e l’importanza che questo ha con l’azienda. A fronte del rischio di perdite commerciali o finanziarie importanti si dovrà studiare un approccio pragmatico, che metta nelle migliori condizioni le parti per dialogare. Nel caso in cui si è presenti a minori rischi, le valutazioni della strategia da seguire possono essere meno complicate. Importanza del cliente Se il cliente è importante per l’azienda che produce il prodotto, lo sa sia il responsabile commerciale ma anche il cliente stesso e, se non è uno sprovveduto, questa situazione è una delle maggiori difficoltà nelle trattative in caso l’azienda abbia una contestazione importante. Il problema non riguarda quindi solo la situazione oggettiva del momento, ma ci sono da considerare le implicazioni sul possibile fatturato, o di impegno della produzione, che potrebbero mutare se il cliente venisse perso. Viceversa, minore è l’importanza del cliente per l’azienda, minore sono i possibili rischi correlati alla contestazione. Anche qui prendiamo un esempio e inquadriamo il problema, attribuendo alla contestazione un valore economico e produttivo medio, una responsabilità media dell’azienda e un’importanza del cliente alta. Queste combinazioni si possono architettare diversamente, spostando i componenti e trovare soluzioni diverse. Gestione della contestazione Fatto salvi i tre punti riferiti al valore della contestazione, la responsabilità e all’importanza del cliente ci si deve muovere per minimizzare i costi e conservare una continuità cliente-azienda. In primo luogo bisogna valutare il grado di tensione che esprime il cliente che si sente danneggiato, questa è possibile rilevarla tramite le sensazioni che possono venire da una telefonata ricevuta o da un’email inviata o dalle indicazioni dell’agente. Se la tensione è palpabile è consigliabile astenersi nel formulare risposte scritte, che possono essere mal interpretate o che possono far salire ulteriormente la tensione. E’ auspicabile trovare un filo diretto telefonico, meglio in videoconferenza con il cliente in cui è possibile avere la possibilità di guardarsi in faccia e parlare. Se fosse possibile la visita dal cliente, questa potrebbe essere la migliore soluzione, in quanto è maggiormente empatica e sottolinea la volontà dell’azienda a considerare il cliente importante. Sono queste piccole sfumature di grande importanza che possono aiutare ad affrontare più serenamente il problema. L’incontro dovrà rimanere sempre, da parte del responsabile commerciale, su binari di educazione, rispetto e cortesia, anche in situazioni tese, senza pensare che possa diventare un duello personale. Questo non vuol dire una posizione di subalternità, anche in presenza di una responsabilità conclamata, ma un atteggiamento pragmatico che evita i rischi di una eccessiva emotività. L’esposizione delle cause della contestazione e della possibile risoluzione devono essere esposte dal responsabile dell’azienda in maniera competente, sia tecnicamente che economicamente, senza escludere una via di compromesso. Non sono consigliabili interventi in cui si cerchi di rovesciare tutta o in parte la colpa sul cliente per partire la negoziazione da un livello più sicuro, perché per fare questo si deve conoscere le capacità di gestione delle trattative da parte del cliente e la sua intelligenza. Se non si conosce a fondo l’interlocutore è meglio avere un approccio più sincero, meno da giocatori di poker, in quanto ci si può trovare di fronte ad un baro più bravo e, solo voi, conoscete il rischio che c’è sul piatto. La linea da sostenere deve avere una ragionevolezza che può valere per entrambi le parti, cercando di perseguire un equilibrio come asse portante delle relazioni tra le due aziende. Uscire dal problema spicciolo e far percepire al cliente il legame importante che nel tempo le aziende possono aver instaurato, può disinnescare prese di posizioni intransigenti, analizzando il valore della contestazione in relazione al fatturato consolidato. Lo scopo principale dell’incontro è disinnescare il risentimento e far crescere l’empatia tra i contendenti, così da partire da un piano non più in salita ma perlomeno orizzontale. Al cliente piace sentirsi apprezzato e una delle soluzioni è fargli capire che il problema sarà risolto, in quanto la relazione commerciale non potrà essere messa in discussione per una contestazione. Alla fine la proposta risolutiva dovrà tener presente il reale valore dell’errore commesso, il valore attribuito dal cliente al problema, considerando anche l’amplificazione dello stesso come gioco tra le parti, il valore della relazione azienda-cliente e la qualità dei rapporti personali che possono aiutare od interferire in problematiche future.

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https://www.rmix.it/ - Crisi Alimentare: i Biocarburanti e i Mangimi per gli Animali sono Sotto Accusa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Crisi Alimentare: i Biocarburanti e i Mangimi per gli Animali sono Sotto Accusa
Ambiente

Crisi Alimentare: i Biocarburanti e i Mangimi per gli Animali sono Sotto Accusadi Marco ArezioLa produzione agricola destinata alla realizzazione di biocarburanti e dei mangimi per gli animali da macello, finiscono, ancora, sul banco degli imputati in concomitanza con la crisi Russo-Ucraina. La situazione che stiamo vivendo in questo momento, con milioni di tonnellate di cereali fermi nei porti Ucraini a causa del blocco navale imposto da Mosca, non fa altro che acuire il problema alimentare del mondo intero e, specialmente, di quei paesi che dipendevano fortemente da queste importazioni. La Russia non sta solo facendo una guerra contro il popolo Ucraino, ma sta affamando i paesi più poveri, specialmente alcuni di quelli Africani e mediorientali, impedendo la libera circolazione delle navi che trasportano questi generi alimentari. Se consideriamo che l’Ucraina, prima dell’invasione sovietica esportava circa 5 milioni di tonnellate di cereali al mese, durante le ostilità sta esportando non più di 1 milione di tonnellate. Il PAM (Programma Alimentare Mondiale) ha stimato che la popolazione sulla soglia della fame è raddoppiata nel corso degli ultimi 5 anni (da 108 a 193 milioni di persone) a causa della pandemia, dell’incremento dell’energia, delle ripetute siccità che hanno colpito l’India che è il secondo produttore mondiale di grano dopo la Russia, delle inondazioni in Cina e della diminuzione dei raccolti negli USA e in Europa, a causa della pioggia ridotta. La guerra non si fa solo con le bombe ma anche con le armi come quelle alimentari, infatti Mosca sta vietando le coltivazioni in Ucraina per far perdere la possibilità di autofinanziarsi con i prodotti agricoli, riducendo alla fame anche il popolo Ucraino e potendo conquistare quei mercati che erano di competenza dei Kiev. Inoltre sembra che stia razziando i raccolti contenuti all’interno dei Silos Ucraini per far fiorire il mercato nero dei cereali, visti i prezzi esorbitanti sul mercato. In linea generale, nonostante questa politica di controllo del mercato agricolo da parte dei Russi, la sola produzione di Mosca non basterà a sostituire quella persa dall’Ucraina, inoltre la Russia dipende fortemente dall’Europa per le sementi e i pesticidi, con una spesa complessiva che supera il miliardo di Euro, prodotti che mancheranno, probabilmente, nella prossima stagione. Se da una parte, la coalizione occidentale sta valutando come ripristinare la circolazione di queste preziose navi per scongiurare nuove carestie e disordini sociali, dall’altra sta valutando come incrementare la produzione agricola in Europa. Ci sono alcuni fattori da prendere in considerazione che riguardano:• L’attivazione agricola su terreni ancora incolti • La valutazione sulla necessità di sostituire le coltivazioni di biocarburanti con quelle alimentari • La possibilità di ridurre la produzione di mangimi destinati agli animali da macello • La lotta allo spreco alimentare I terreni agricoli incolti sono numerosi e diffusi in molti paesi Europei, in quanto non c’è stata fino ad oggi la necessità e la convenienza di coltivarli, questo a causa della concorrenza sui prezzi dei prodotti finiti che erano largamente importati dalle zone in conflitto e dal sud est asiatico. Oggi, in mancanza di una quota soddisfacente di cereali, ogni nazione deve preoccuparsi di ricavare il più possibile dalle proprie terre agricole, incentivando le aziende ad occuparsi di terreni fino ad ora lasciati incolti. Non c’è dubbio che la coltivazione di prodotti destinati ai biocarburanti fosse un argomento molto spinoso ben prima di questa crisi alimentare innescata dalla guerra e dalla pandemia. I motivi erano legati al consumo delle foreste e dell’acqua che queste attività implicano, a fronte di un mercato che è sempre più alla ricerca di carburanti alternativi per la mobilità mondiale e per la produzione di energia elettrica. La guerra, nel frattempo, ha creato due problemi di grande impatto sociale: • L’esplosione del prezzo del gas e del petrolio • La mancanza di cereali e suoi derivati Quindi, alle perplessità pregresse circa l’opportunità di destinare risorse agricole a coltivazioni propedeutiche alla produzione di biocarburanti, si infiamma oggi la discussione tra chi chiede un’estensione o, almeno, un mantenimento delle superfici coltivate per far fronte al caro energia e chi le vuole ridurle a favore della produzione agricola a scopo alimentare. Chi spinge per ridurre le coltivazioni di biocarburanti sostiene che le terre occupate per le coltivazioni alimentari, siano già di per sé scarse per soddisfare la richiesta di cibo mondiale, con una popolazione in costante crescita e una produzione agricola per alimenti in diminuzione, a causa dei cambiamenti climatici, delle migrazioni e delle situazioni belliche diffuse. Inoltre, sostengono che l’aumento della richiesta di biocarburanti, comporta una maggiore deforestazione in cerca di terre nuove da coltivare e un incremento dell’uso di acqua, già carente a livello globale. Questa situazione, secondo chi è contrario alla produzione di biocarburanti, comporterebbe un aumento delle emissioni in atmosfera a causa della diminuzione dei polmoni verdi. Attualmente, circa l'80% del mercato dei biocarburanti dell'UE è costituito da biodiesel, prodotto principalmente da oli vegetali, e il 20% da bioetanolo. Le importazioni dell’olio di palma sono principalmente destinate all’autotrazione in Europa, ma proprio questo prodotto è stato identificato dall’UE come coltivazione che favorisce la deforestazione. Alla fine del 2018 l'UE ha adottato una Direttiva sulle Energie Rinnovabili ("REDII") aggiornata, questa impone delle limitazioni per quei prodotti che derivano da coltivazioni che incidono sulla deforestazione. Nel contesto della REDII, l'UE ha preso la decisione storica di eliminare gradualmente il sostegno ai biocarburanti ad alto rischio di deforestazione entro il 2030. Chi invece sostiene la validità della produzione dei biocombustibili, si appella all’ultimo rapporto datato 2022 del programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, in cui si identificano le cause delle carenze alimentari in fattori diversi dal quello della coltivazione dei biocarburanti. I sostenitori di questa attività credono che la maggior richiesta di prodotti alimentari si può risolvere solo con l’incremento delle produzioni agricole sui terreni attualmente incolti. Per quanto riguarda le produzioni di mangimi destinati alle carni da macello, abbiamo ampiamente dibattuto le problematiche legate al danno costante che un’alimentazione di carne, ai livelli attuali, reca all’ambiente, in termini di emissioni di metano, consumo di acqua, deforestazione, problemi di salute dell’uomo. Ovviamente, in questo momento in cui mancano cereali fondamentali sul mercato, risuona un po' anacronistica la difesa a spada tratta del settore della produzione di carne da parte delle lobbies degli allevatori di bestiame e della filiera della macellazione. Ultimo tasto dolente sicuramente riguarda lo spreco alimentare, non solo nel settore dei cereali, ma in tutta la filiera agricola-alimentare in cui vanno quotidianamente perse tonnellate e tonnellate di prodotto finito, a causa di inefficienze legate alla logistica, al confezionamento e alla distribuzione. Oggi, dove tutto è necessario per sfamare la gente, ogni piccolo aggiustamento della catena può portare, a cascata, una sommatoria di risparmi che possono fare la differenza.

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https://www.rmix.it/ - Cosa Succede all’Interno di un Estrusore per le Materie Plastiche?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cosa Succede all’Interno di un Estrusore per le Materie Plastiche?
Informazioni Tecniche

Estrusori per materie plastiche: vediamo cosa succede all'interno durante il funzionamentodi Marco ArezioPer chiunque impieghi o faccia utilizzare gli estrusori per le materie plastiche, specialmente se usano polimeri riciclati, dovrebbe avere la conoscenza del comportamento del fuso all’interno del cilindro, delle fasi di trasformazione dallo stato solido a viscoso e delle implicazioni negative che possono nascere durante la lavorazione.Queste implicazioni possono generare difetti sul polimero che si sta producendo o sui manufatti che sono direttamente collegati all’estrusore. L’articolo non si dovrebbe rivolge agli addetti della produzione, che probabilmente conoscono bene i comportamenti del polimero in transito nell’estrusore, ma principalmente agli addetti alle vendite dei prodotti finiti in plastica o dei polimeri riciclati. Conoscere le fasi di produzione e la criticità che possono rappresentare, è un bagaglio culturale tecnico che permette di risolvere, più velocemente e più professionalmente possibile, i problemi con i clienti in merito alla qualità. Per fare un discorso generale possiamo prendere in considerazione gli elementi che entrano in gioco per portare a termine una fase di estrusione delle materie plastiche: • La materia prima • L’estrusore • Il filtro Materia Prima La materia prima, in base all’utilizzo che si vuole fare dell’estrusore, può essere sotto forma di macinato o di granulo. In entrambi i casi il materiale riciclato deve avere subito i corretti trattamenti di selezione, macinazione, deferrizazzione, lavaggio in vasca, lavaggio in centrifuga, asciugatura (eventuale densificazione per materiali leggeri). Più le fasi preliminari che portano il semilavorato all’estrusore sono fatte bene, migliore sarà la qualità del prodotto in uscita da esso, evitando che aumentino i problemi sui prodotti finiti da realizzare. Ogni fase preliminare non eseguita in modo corretto avrà dei risvolti negativi durante la fusione della plastica all’interno dell’estrusore, che possono essere impurità rappresentate da plastiche rigide non fondibili all’interno della massa, degradazione del materiale causata da una non corretta selezione, presenza di parti metalliche causate da un lavaggio non accurato o residui di materiali elastici non filtrabili. Maggiore sarà la qualità attesa per la fabbricazione del prodotto, maggiore saranno le attenzioni da impiegare nelle fasi di riciclo del semilavorato, minori saranno gli spessori da realizzare sul prodotto finito, per esempio un flacone, maggiore dovrà essere la pulizia e l’omogeneità della plastica. Estrusore Una linea di estrusione, per non entrare troppo nella tecnicità dell’argomento, è formata da una tramoggia di ingresso della materia prima, un cilindro di contenimento del polimero, una o più viti di movimento, un filtro (nella maggior parte dei casi) e una testa finale. Fin qui, ogni parte è visibile ed intuibile nel suo lavoro, ma cosa succede all’interno di queste parti? Partiamo dalla tramoggia di carico dei polimeri che alimenteranno l’estrusore, una sorte di grande imbuto di canalizzazione con il quale alimentare l’impianto, sia utilizzando i polimeri sotto forma di palline che di macinato o densificato. La discesa della materia prima all’interno del cilindro avviene normalmente per gravità, quindi il granulo viene attirato verso la parte bassa dell’imbuto in virtù del proprio peso, offrendo scarsa resistenza allo scivolamento. Non sempre succede la stessa cosa per il macinato e il densificato, in quando hanno forme più spigolose e per la loro natura tendono ad aggregarsi, specialmente se non sono ben asciutti, creando qualche difficoltà nella discesa. Una volta che la materia prima arriva all’imbocco del cilindro, entra in contatto con una o più viti, composte da elementi elicoidali che hanno lo scopo di trascinare la materia prima ancora solida lungo il cilindro e restituire alla testa, alla fine del percorso, la massa fusa di plastica per realizzare il prodotto o per creare i granuli plastici. La zona d’ingresso dell’estrusore è sempre raffreddata con acqua, per evitare che il calore generato dalle resistenze che riscaldano il cilindro possano portare a fusione il polimero che staziona nella zona, quando l’estrusore è fermo. Il polimero, sceso dalla tramoggia, aderisce alle pareti tra le quali si trova, quelle del filetto, del nocciolo della vite e del cilindro. A questo punto, i granuli che aderiscono alla vite ruotano con essa e quindi non possono avanzare, mentre quelli che aderiscono al cilindro vengono spinti verso l’uscita dalla cresta del filetto che sfiora e raschia la superficie del cilindro stesso. La conclusione è che tanto più i granuli tendono ad aderire al cilindro, e quindi a non ruotare con la vite, tanto maggiore è la spinta in avanti esercitata dai filetti, che trasferiscono la forza motrice del motore al polimero per spingerlo fuori dal cilindro. La velocità massima di avanzamento del polimero si avrà a contatto con il cilindro sia per i granuli, in alimentazione, sia per le molecole di polimero dopo la fusione, mentre negli strati sottostanti la velocità sarà via via minore fino a essere zero a contatto con il nocciolo della vite. Una convinzione comune rispetto al lavoro dell’estrusore è che le resistenze termiche hanno lo scopo di sciogliere la materia prima, solida, lungo il percorso di attraversamento del cilindro fino alla sua uscita in testa. Questo non è del tutto vero, in quanto le resistenze intervengono principalmente nella fase iniziale del contatto tra la materia prima in ingresso dalla tramoggia con la vite. Nella fase successiva la forza che il motore imprime alla vite, la quale ruotando crea attrito tra la materia prima e il cilindro, realizzano il calore necessario alla fusione del materiale. Il comportamento del volume della massa plastica all’interno del cilindro, in corrispondenza della vite, cambia man mano che percorre l’estrusore. Infatti da quando inizia la fusione, la quantità di solido che si trova tra i due filetti è sempre inferiore a quella che c’è tra i due filetti precedenti. L’avanzamento del fuso è quindi determinato, sia dalla spinta meccanica dei filetti della vite, ma anche per differenza di pressione che si crea all’interno del cilindro, facilitando la spinta verso l’esterno del polimero fuso in virtù di una minore pressione. La zona di trasporto del fuso può assumere ulteriore importanza quando si richiedono all’estrusore anche delle diverse prestazioni, oltre a quella di fondere, come ad esempio la miscelazione del polimero. A tal fine il tratto finale della vite può essere modificato per migliorare la miscelazione dell’estruso. Filtro Lavorando con i polimeri riciclati non sempre si conosce la qualità di preparazione dei granuli che dovrebbero entrare nell’estrusore o dei macinati o dei densificati, quindi, inserire in un estrusore un polimero riciclato senza premunirsi di effettuare un’operazione di filtraggio può essere pericoloso. Un tempo i filtri erano costituiti da un disco forato sul quale si montavano delle reti in metallo, che avevano lo scopo di filtrare ed eliminare eventuali impurità presenti nel fuso. Le reti, in numero e con diametri delle maglie variabili, erano montate alla fine del cilindro su flange e costituivano un modo per migliorare la qualità del polimero. La presenza del filtro causa però un aumento della pressione alla fine della vite, pari alla perdita di carico che serve per far passare il fuso attraverso il filtro. La variazione di pressione è dovuta al fatto che man mano che le reti si intasano aumenta la pressione in testa e, quindi, sale il riflusso nella vite. L’aumento di pressione fa sì che la vite chieda più lavoro al motore per spingere la stessa quantità di materiale fuori dalla filiera e, poiché il maggiore lavoro della vite si trasforma in calore trasferito al polimero, la temperatura del fuso in uscita sarà maggiore e la viscosità minore di quando non c’è il filtro. L’aumento della temperatura per periodi prolungati può causare la degradazione del polimero, con conseguenze negative sulla produzione di prodotto. Ed è per questo motivo che oggi esistono nuovi cambia filtri automatici che regolano questa delicata fase. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - estrusione

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https://www.rmix.it/ - Moplen, Bramieri e il Carosello: Negli anni ’50 Nasce il Marketing Industriale
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Moplen, Bramieri e il Carosello: Negli anni ’50 Nasce il Marketing Industriale
Management

Moplen, Bramieri e il Carosello: Negli anni ’50 Nasce il Marketing Industrialedi Marco ArezioAlla fine della seconda guerra mondiale il tessuto industriale italiano era praticamente distrutto, a causa degli intensi bombardamenti e della guerra civile che si era combattuta fino alla liberazione. La necessità impellente, negli anni successivi per il governo Italiano, era far ripartire la ricostruzione delle città che avevano subito ingenti danni e rimettere in sesto l’industria, in modo da poter assolvere ai bisogni dei cittadini. Vi era una povertà diffusa, una forte disoccupazione e una grande dipendenza da parte degli alleati, con in testa gli Stati Uniti, i quali varando il piano Marshall, convogliarono in Italia un’ingente quantità di denaro e di beni di prima necessità. Gli anni ’50 del secolo scorso videro faticosamente l’impegno di tutti per alleviare le sofferenze della popolazione che usciva da una guerra tremenda, si ricostruirono scuole, strade, fabbriche, si cercò di migliorare la resa dell’agricoltura, finalizzata ad una maggiore autosufficienza alimentare. Con il passare degli anni si riuscì a mettere in moto il mondo del lavoro con la conseguenza che, verso la fine del decennio, il tenore di vita delle famiglie iniziò piano piano ad aumentare. Le fabbriche del nord attiravano molti lavoratori che emigravano dal sud e, questo, costituì un volano per l’edilizia che creò nuovi alloggi, ampliando le città ed imprimendo un beneficio a tutto l’indotto. I tempi erano maturi per dotare le case degli italiani di nuovi prodotti necessari per una vita più modera, infatti, da pochi anni era nata la televisione, erano disponibili i frigoriferi, le lavatrici e molti altri prodotti per la casa. Un mercato immenso, che aveva bisogno di tutto, dove le aziende avevano la preoccupazione di produrre, far conoscere i nuovi prodotti e vendere. Qui nasceva una grande opportunità da parte delle aziende, che era rappresentata dagli spots televisivi della nuova televisione di Stato, che pubblicizzavano i prodotti all’interno del programma Carosello, sempre più visto dalla popolazione, in virtù dell’aumento delle vendite dei televisori. Quale mezzo più idoneo per convincere la gente a comprare i prodotti innovativi recitati da personaggi famosi e apprezzati dal pubblico. Un connubio poderoso fu il lancio dei prodotti in plastica fatti con il polipropilene, chiamato Moplen, che attraverso gli sketch di Gino Bramieri, famosissimo attore e comico, convinse la gente ad adottare i prodotti per la casa realizzati con il Moplen. Scolapasta, secchi, barattoli, ciotole, mastelli, giocattoli, attrezzature per lavare e molti altri prodotti erano non più realizzati in metallo o legno, pesanti e poco piacevoli alla vista, ma attraverso una materia prima che aveva molti colori, era duratura ed indistruttibile. Il genio italiano, Giulio Natta, ricevette nel 1963, per la creazione del polipropilene, come tutti sanno, il premio Nobel per la chimica e, l’Italia, era il paese ideale per la conferma di questo sviluppo. Forse, per la prima volta, le attività di marketing che hanno permesso una così ampia diffusione dei prodotti fatti in plastica, sono state da volano per altre aziende produttrici che utilizzarono i nuovi strumenti divulgativi, in maniera sempre più studiati ed efficaci. I messaggi pubblicitari, all’inizio, erano una via di mezzo tra un’attività teatrale e una di promozione, in modo soft, che coinvolgevano la gente che li guardava in modo divertente e spensierato. Bramieri fu un colosso in questo senso, in quanto realizzava duetti spiritosi, a volte vestito da donna, come se fosse una commedia comica, per poi mostrare i vantaggi dei prodotti in plastica all’interno della casa. Categoria: notizie - tecnica - plastica - moplen - marketing industriale - PP

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https://www.rmix.it/ - Come la Cura del Giardino ha un’influenza sull’Ansia e sullo Stress
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come la Cura del Giardino ha un’influenza sull’Ansia e sullo Stress
Slow Life

Che la vita all’aria aperta, che sia nel tuo giardino o in un conteso come un bosco o in campagna o in montagna, possa avere un affetto benefico sulla salute, è una cosa risaputa da tempo.Ma il meccanismo con cui questo miglioramento dell’umore e dell’autostima si manifesta, non è mai stato chiaro, finché un team di scienziati ha provato a studiare il fenomeno. L’approccio è stato gestito prendendo in esame due aspetti, quello più prettamente fisco e quello mentale. Il beneficio dal punto di vista fisico è stato misurato attraverso il monitoraggio dell’attività con basso sforzo, come invasare, cambiare i fiori nelle aiuole, tagliare l’erba, areare la terra o concimare. Gli sforzi a bassa intensità eseguiti durante le operazioni di giardinaggio interessano un numero elevato di muscoli e per un tempo prolungato, questo permette di bruciare molte calorie senza sovraccaricare il sistema cardiocircolatorio. Quindi si può dire che il movimento distribuito su molte leve muscolari permette di mantenere in forma tutto il corpo, in modo armonioso e senza incorrere, generalmente, a fenomeni di sovraccarico lavorativo. Dal punto di vista mentale, la ricerca si è concentrata sul capire come il cervello possa innescare sensazioni positive e piacevoli durante questa attività. Per capire quale fossero i meccanismi che generano benessere durante le attività di giardinaggio, hanno esaminato molti degli stereotipi in circolazione, come la presenza di batteri nel terreno che avrebbero un’influenza positiva sul cervello, condizione valutata anche sui topi in laboratorio che ha dato scarsa attendibilità. E’ stata presa in considerazione anche la presenza di una maggiore ossigenazione, in presenza di molte piante nella zona di lavoro e di una condizione di maggiore pulizia dell’aria, sempre per l’effetto filtro che le piante possono svolgere. Ma anche qui non sembrerebbe confermare che questi fenomeni possano migliorare le condizioni di ansia e di stress accumulate dall’uomo. Una ipotesi che ha interessato gli studiosi, riguarda le colorazioni che l’occhio percepisce durante la permanenza nella natura, in particolare hanno scoperto che le tonalità verdi possono avere un’influenza benefica sull’umore. Per confutare questa tesi hanno proiettato delle immagini di aree naturali, la cui prevalenza cromatica era composta dal verde, successivamente hanno mischiato i colori dando preferenza al nero, al rosso, al grigio e così via. Il risultato è stato che durante le proiezioni su base verde, il cervello ha reagito in modo da esprimere tranquillità e soddisfazione, mentre utilizzando altri colori, questo benessere è sceso notevolmente. Inoltre, lo studio a preso in considerazione, il livello si ansia e di stress dei partecipanti durante le occupazioni che svolgevano in giardino. Occuparsi del terreno, dei fiori, del prato e delle piante, attivamente, sembra liberi la mente da molti pensieri che la affollano, evitando quel senso di avvitamento umorale che è tipico delle persone che continuano a pensare e ripensare a qualsiasi piccolo o grande problema. Diciamo una sorta di swich-off del cervello che dona maggiore tranquillità e una sensazione di benessere.

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https://www.rmix.it/ - Senza la Riduzione della Carne sulle Tavole la Lotta Climatica Perderà
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Senza la Riduzione della Carne sulle Tavole la Lotta Climatica Perderà
Ambiente

L'impari lotta tra la carne animale e quella vegetaledi Marco ArezioL’industria della carne è una lobby forte al pari di quella del petrolio, di internet, del fumo, dell’alcol, del gioco d’azzardo e di molte altre attività economiche che vivono sull’empatia con il consumatore.E’ da considerarsi una sorta di dipendenza dal gusto, un richiamo irresistibile a soddisfare l’impulso del cibo corroborato dalla sensazione di appagamento del palato. Un richiamo irresistibile, unito al fatto che normalmente non ci poniamo il problema se un così prelibato alimento possa arrecare danno all’ambiente.Il bisogno primario di mangiare, supportato dal piacere di farlo per vivere un’esperienza culinaria gradevole, quasi mai accende un processo di ragionamento imparziale e distaccato sul problema del mondo della carne. Purtroppo è risaputo che l’industria dell’allevamento degli animali da macello incide in modo enorme sul cambiamento climatico, sia direttamente causato dagli animali in vita, che dalla necessità di spazi sempre più grandi di territori deforestati da assegnare al pascolo, sia dall’enorme quantità di terra ed acqua necessarie a produrre alimenti per gli animali. Se consideriamo che i nutrimenti che la carne può dare al nostro corpo sono facilmente sostituibili con altri, forse meno gustosi, ma con un basso impatto climatico, la partita si gioca solo sulle sensazioni espresse dal sapore del prodotto. La catena di soggetti che protegge questo scrigno del sapore, con cui tiene legato il consumatore al proprio business, parte da lontano, a cominciare dalla politica che dovrebbe legiferare per proteggere l’ambiente ma anche la salute dei cittadini (la carne ha molte controindicazioni importanti per il nostro corpo). Il marketing delle aziende della carne che fa leva proprio sulle sensazioni del gusto per promuovere il prodotto da vendere, incidendo sulle debolezze dei cittadini. Le aziende del settore che combattono contro qualsiasi forma di concorrenza vegetale di prodotti alternativi, interdicendo i nomi dei prodotti finiti che sono nel linguaggio comune, come hamburger, bistecca, ecc.. cercando di ostacolare la diffusione di prodotti non a base di carne ma dall’aspetto simile. In un mondo democratico è giusto che le scelte alimentari dipendano da noi stessi, ma abbiamo, nello stesso modo, il diritto ad una corretta informazione sugli impatti che l’industria della carne ha, non solo sul nostro pianeta, ma anche sulla nostra salute. Ma nello stesso tempo, abbiamo il diritto che i prodotti a base vegetale, che possono sostituire i prodotti a base di carne, abbiano la libertà di diffondersi sul mercato in modo da lasciare ampio spazio di scelta al consumatore che vuole acquistarli. Il consumatore consapevole dell’impatto sulla terra che ha la produzione di carne, fa nutrire una certa speranza che, in ogni modo, prima o poi, la scelta si sposterà su una carne vegetale che non creare squilibri ambientali così macroscopici. Invece, per i consumatori che non hanno questa consapevolezza ambientale e si fanno dirigere da scelte dettate dal gusto del prodotto, dobbiamo aspettare che la carne a base vegetale possa raggiungere standard olfattivi e di gusto piacevoli come la carne da animale. Solo a quel punto sarà possibile aumentare la platea di soggetti che potranno spostarsi verso un alimento a minore impatto ecologico. Certamente gli stati potrebbero disincentivare il consumo della carne, visto che la problematica della sua permanenza sulle tavole comporta un peggioramento del clima e della salute, valori che gli stati devono perseguire e tutelare. I sistemi per disincentivare, per esempio, il fumo e l’alcol, sono normalmente applicati in molti stati, con il risultato che anno dopo anno, i cittadini si stanno adeguando a queste limitazioni. Questo non vuol dire non fumare o non bere, ma cercare di limitare le occasioni e renderle più onerose per il portafoglio di chi vuole consumare questi prodotti. Anche per la carne dovrebbe essere fatta una politica di disincentivazione, creando un contro marketing, senza eccedere nelle provocazioni o nelle paure, ma illustrare in modo esatto gli impatti ambientali dell’industria della carne e l’impatto sulla nostra salute nel lungo periodo.

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https://www.rmix.it/ - Slow Life: Riflettere, Decidere e Proseguire Serenamente
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Slow Life

Il tarlo del dubbio di sbagliare si potrebbe insinuare in ogni decisione assuntaRiflettere ponderatamente su ogni cosa prima di metterla in opera, ma quando si è fatto e si attendono gli esiti, non angustiarsi rimuginando sui possibili pericoli, ma sbarazzarsi completamente della cosa, tenendo chiuso il cassetto dei pensieri che la riguardano e tranquillizzarsi con la convinzione che a suo tempo, tutto è stato soppesato a dovere. Se nondimeno sopraggiunge un esito negativo, ciò accade perché tutte le cose sono soggette al caso e all’errore. Arthur Schopenhauer Categoria: Slow life - vita lenta - felicità

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https://www.rmix.it/ - Workaholism: La Dipendenza da Lavoro che Minaccia le Aziende
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Workaholism: La Dipendenza da Lavoro che Minaccia le Aziende
Management

Workaholism: La Dipendenza da Lavoro che Minaccia le Aziendedi Marco ArezioLa sindrome da ubriacatura da lavoro o dipendenza da lavoro è una malattia neuro-psichiatrica scoperta in America agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso. In questo articolo non tratteremo l’aspetto medico, cioè le mutazioni che questa malattia infligge sul soggetto malato, ma illustreremo le ricadute che può avere nell’ambito aziendale. Nel corso degli anni si è spesso confuso, forse per convenienza, la differenza tra uno stacanovista e un lavoratore affetto da dipendenza cronica da lavoro. Quale è la differenza vista dal punto delle attività aziendali? Lo stacanovista, che ha ruoli dirigenziali, lo possiamo vedere come un soggetto responsabile, affidabile, ambizioso e fidato che trascina il proprio team a raggiungere gli obbiettivi aziendali o i budget affidati, attraverso la costruzione di un clima competitivo e appagante i cui ogni partecipante al progetto si sente inserito in una catena motrice, con lo scopo comune di far girare il motore al giusto livello per raggiungere il traguardo comune. Collegialità degli obbiettivi, degli sforzi e delle gratificazioni sono la chiave per ottenere i migliori risultati lasciando, nel leader, ma anche i tutti i soggetti della squadra, la piacevolezza dell’impegno e la riconoscenza delle qualità dei singoli, ognuno nella giusta misura. La valorizzazione degli sforzi dei singoli e del team, a tutti i livelli, dona una sorta di protezione del branco e una carica autorigenerante per le sfide di tutti i giorni. Il leader che guida il gruppo, per stimolare le energie di tutti, deve essere inclusivo, rassicurante, sincero nell’illustrare rischi e obbiettivi, ma soprattutto deve sporcarsi le mani in prima linea, nella stessa trincea e condividere sul campo le strategie. In caso di raggiungimento degli obbiettivi il gruppo sarà compatto e più forte, soddisfatto, gratificato, sicuro del fatto che l’unione fa la forza e che, egoismi o prevaricazioni interne, siano deleteri per ognuno dei partecipanti. Se guardiamo invece il leder di un gruppo affetto da dipendenza da lavoro, ci troviamo di fronte ad un soggetto che vive per raccogliere adrenalina con la quale alimentare la propria giornata. Gli obbiettivi aziendali sono una scusa per applicare questa dipendenza alla propria vita, trascinando tutta la squadra in un ciclone di stress costante. Chi vive questa dipendenza mobilita una competizione sterile, volta ad accrescere il volume di lavoro in modo negativo, mettendo sotto pressione i collaboratori senza capire i limiti e le esigenze delle persone. Non è capace di fare squadra perché vive in modo egocentrico l’attività, quindi si rapporta con i colleghi come se fossero un tassello al proprio progetto finalizzato al risultato. Gli obbiettivi aziendali sono un propellente che alimenta la spirale di impegno, la benzina che accende un motore che deve girare al massimo e la componente umana non è considerata come parte della partita. Chi soffre di dipendenza da lavoro non riesce a staccare, perde il contatto con la vita reale e pretende che i collaboratori lavorino secondo il suo schema e i suoi interessi. Facilmente mette in cattiva luce chi non lo segue, crea zizania per incrementare la competitività reciproca, e non dialoga con la squadra. Non concepisce chi dissente o chi ha un atteggiamento verso il lavoro più equilibrato, dove ogni componente della propria vita deve avere un peso ponderato. Farsi dirigere da un soggetto che soffre di dipendenza da lavoro ha l’effetto negativo di lavorare in un ambiente in costante tensione, dove la paura di sbagliare riduce i risultati, dove il rischio di sfuriate dal leader del team sono all’ordine del giorno, con possibili conseguenze sulla posizione lavorativa. La paura di sbagliare o di essere traditi dai compagni di lavoro crea correnti interne, fazioni più o meno vicine al leader, il cui scopo non è più il raggiungimento del traguardo aziendale ma quello della sopravvivenza del rapporto di lavoro. I componenti del team tendono a ritirarsi in gusci protettivi, fanno quello che gli viene detto di fare, anche se lo reputano improduttivo od addirittura sbagliato. Non si espongono con idee o proposte per non esporsi a reazioni non calcolabili, sapendo quanto un soggetto affetto da questa malattia possa essere irascibile, scostante nell’umore e rischiando di mettersi in cattiva luce. Un ambiente come quello descritto focalizzato su un soggetto che crede di correre una gara da solo, umilia il lavoro di tutti, a volte anche le persone, trasformando la spinta propositiva di un team in passività lavorativa, lasciando al leader ogni decisione e ogni conseguenza. La spirale porta la figura apicale a doversi occupare di tutto, non avendo più una squadra su cui contare, con l’avvitamento del carico di lavoro e la riduzione della lucidità nelle decisioni e la trascuratezza della qualità generale dei risultati. Si crea uno scollamento che alimenta risentimento tra il leader e la squadra, un generale disinteresse all’azienda e al suo futuro, creando la costruzione di prove che possano difendere le singole posizioni in attesa della catastrofe imminente. Infatti, le giornate lavorative passano non finalizzate al miglioramento delle perfomances societarie, ma nell’attesa del giorno del fallimento della loro team, con la speranza che il loro comportamento minimale ed ossequioso possa salvargli il posto di lavoro. Se partiamo da un paradigma molte volte usato, ma reale, che dice che i successi delle aziende sono fatti di persone guidate da leader capaci, dobbiamo quindi monitorare comportamenti eccessivi sia di lassismo che di iper lavoro.

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https://www.rmix.it/ - Quali sono gli Inquinanti Durante le Fasi di Riciclo della Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Quali sono gli Inquinanti Durante le Fasi di Riciclo della Plastica
Informazioni Tecniche

Una moltitudine di inquinanti possono inficiare la qualità del riciclo della plasticadi Marco ArezioIl riciclo meccanico è un’attività complessa in quanto si occupa di una varietà elevata di tipologie di plastiche differenti, e con esse, sono da gestire prodotti che possono inquinare i processi di riciclo riducendone la qualità. I fattori e i prodotti che possono degenerare e compromettere le operazioni di riciclo sono molti, diversificati tra loro ai quali bisogna prestare molta attenzione per non produrre materiali mediocri. Il processo del riciclo meccanico deve essere gestito in modo tale da poter produrre una materia prima riciclata che sia la migliore possibile per poter essere, quando possibile, una valida alternativa ai polimeri vergini. Più alta è la qualità del riciclato maggiore sarà la sostituzione della materia prima che deriva dalla raffinazione petrolifera. Pertanto, per competere con la resina vergine, i requisiti tecnici di processabilità dei vari materiali plastici riciclati richiedono un elevato grado di purezza, esente da problemi di contaminazione, cosa ancora più critica nelle applicazioni di contenitori che saranno a contatto con gli alimenti. I fenomeni e i materiali che possono inquinare i processi sono molti e di diversa tipologia, quindi cerchiamo di andare passo per passo per illustrare i principali. Contaminazione da altre plasticheOggi è comune trovare diversi tipi di resine nella stessa applicazione. Ad esempio, nel mercato dei prodotti per la pulizia e l'igiene personale, i contenitori in plastica hanno componenti realizzati in vari materiali, come polipropilene (PP), polietilene ad alta densità (HDPE), PVC e PET, che generano grandi problemi durante le fasi di riciclo. Tra i principali problemi riscontrati vi è la diversa struttura chimica tra i materiali, nonché il comportamento di scorrimento della plastica fusa, molto diversi tra loro, che portano ad evidenziare l'eterogeneità e l'incompatibilità tra i diversi materiali. PET E PVC Una delle loro applicazioni è la produzione di contenitori per shampoo, con la caratteristica comune che entrambi sono trasparenti, quindi spesso si contaminano a vicenda. Questo può presentare la difficoltà ad essere separati con i metodi di flottazione convenzionali, a causa della densità molto simile tra i due (1,30-1,35 gr/cm3). Ma se il PET è contaminato dal PVC, anche a basse concentrazioni, il PVC si degrada alla temperatura di lavorazione del PET (intorno a 260-280°C), formando acidi che disgregano la struttura chimico-fisica del PET e generano un cambiamento chimico progressivo, con un comportamento friabile di PET. Quantità minime di 100 ppm di PVC provocano lo scolorimento del PET durante la fase di essiccazione e la generazione di punti neri durante l'estrusione. PET e HDPE A causa degli elevati volumi di consumo di entrambi nella loro applicazione per il confezionamento, la probabilità di miscelazione aumenta. Queste due plastiche sono incompatibili allo stato fuso, rimanendo indipendenti una volta solidificate. Le porzioni di HDPE contaminante sono visivamente imperfette e possono causare fragilità meccanica ed inquinamento del PE. Inoltre, esistono problematiche legate alle temperature di fusione, in quanto il PET non si scioglie alle temperature dell'HDPE, rischiando di ostruire i canali e l’ugello di iniezione. PP e HDPE Il polipropilene è spesso utilizzato nella produzione di tappi e chiusure per contenitori in HDPE, con applicazioni in detersivi, candeggine e shampoo. PP e HDPE sono inseparabili con metodi fisici, a causa del loro peso specifico molto simile. Durante la fusione di entrambe le materie plastiche esiste un problema di incompatibilità, che si riflette sia nei prodotti estrusi in HDPE, sia nei contenitori ottenuti per soffiaggio, che presentano deformazioni. Inoltre una presenta accentuata di PP in una miscela con prevalenza di HDPE deputata alla creazione di flaconi, crea una fragilità sulla linea di saldatura del flacone stesso. Questo, nella maggior parte dei casi, quando verrà riempito il flacone e posto sui bancali, magari con altri bancali di materiali sovrapposti, una crepa sul punto di saldatura con la fuoriuscita del contenuto. Contaminazioni durante la lavorazioneContaminazione da metalliDurante la lavorazione delle materie plastiche, la contaminazione da metalli può essere causata dalla presenza di frammenti o bave metalliche, che potrebbero essere generate dal mal funzionamento di apparecchiature, quali estrusori, mulini o adattatori di alluminio. Il loro logoramento causato da un utilizzo continuativo può portare alla perdita di piccoli frammenti che si mischiano con i materiali plastici da utilizzare per il soffiaggio, stampaggio od estrusione. Questi piccoli frammenti possono graffiare il cilindro dell'estrusore o bloccare gli ugelli nelle macchine ad iniezione, oltre a produrre elementi estrusi o stampati ad iniezione con difetti. Inquinamento da polimeri degradatiFrequentemente, durante la lavorazione sia della resina vergine che dell'HDPE riciclato, sulla superficie possono essere presenti punti neri o striature, come manifestazione di un materiale parzialmente ossidato o degradato che è stato carbonizzato, rimanendo intrappolato in superfici ruvide o cavità. Queste impurità possono essere presenti nel cilindro e sulla superficie della vite o nelle teste degli impianti di estrusione-soffiaggio, per un tempo prolungato, con conseguente generazione di difetti nel prodotto finito. Allo stesso modo, anche i contaminanti presenti nella plastica come macinati sporchi, materiali estranei e colori diversi, nonché quei materiali con una temperatura di fusione inferiore, sono cause di punti neri. Frequentemente, tale contaminazione può anche apparire di colore giallo, marrone o ambrato, a seconda dell'entità del degrado. Contaminazione da gelI gel (comunemente chiamati fisheyes), a forma di ellisse allungata, sono la prova di problemi di qualità sia nella pellicola trasparente che in quelle colorate, visibili con uno spessore inferiore a 130 micron. I gel sono principalmente difetti visivi, che riflettono e trasmettono la luce in modo diverso dal resto del materiale, causati da diversi motivi: piccole tracce di materiali ad alto peso molecolare materiali reticolati causati dal surriscaldamento particelle fini di materiale rimacinato residui di catalizzatore sostanze organiche o contaminanti inorganici Contaminazione da umidità. Acqua o umiditàL'acqua o l'umidità sono contaminanti che inducono la rottura della catena idrolitica, quindi i materiali devono essere rigorosamente asciutti prima di essere lavorati. Nel caso di una resina igroscopica, come il PET, le scaglie riciclate devono essere essiccate a temperature di 160-180°C per abbassare il contenuto di umidità a 50 ppm, necessario per la lavorazione di stampaggio iniezione-soffiaggio adatto per preforme in PET e contenitori, al fine di evitare una riduzione del peso molecolare. In ogni caso, anche per materiali od applicazioni meno nobili come la detergenza o la cosmetica o il prodotti per il food, è buona regola essiccare preventivamente ogni materiale plastico riciclato che deve essere utilizzato come materia prima, evitando in ogni caso riduzioni qualitative dei prodotti finiti. A causa della grande diversità delle fonti inquinanti, la gamma di effetti attribuiti al problema dell'inquinamento può essere: variazione di colore bassa qualità estetica del prodotto odori indesiderati e formazione di fumi intasamento degli ugelli di iniezione plastificazione e bassa resistenza agli urti Pertanto, i trasformatori che lavorano con materiali riciclati devono stabilire limiti sempre più severi sulla contaminazione dei loro materiali in ingresso e per i loro prodotti, monitorando con attenzione tutto l’input da lavorare. Da quanto sopra descritto si può concludere che i due principali fattori che amplificano l'effetto degli inquinanti sono, l'eterogeneità e l'incompatibilità della natura chimica delle materie plastiche riciclate, che conferiscono perfomances qualitative negative, determinando un basso valore aggiunto del prodotto rielaborato. Tre elementi importanti da considerare nel monitoraggio della qualità dei materiali riciclati rispetto alla presenza di contaminazione: controllo della fonte di approvvigionamento e determinazione del grado di contaminazione delle stesse l'efficienza della pulizia nel sistema di riciclaggio controlli di qualità analitici dei prodotti realizzati per tracciare il risultato di ciò che si produce.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - inquinanti - post consumo

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rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cosa è il Nuovo Enzima che Mangia i Rifiuti di PET in Tempi Rapidi
Informazioni Tecniche

La depolimerizzazione della plastica attraverso i nuovi enzimi sarà l'alternativa al riciclo meccanico e chimico?di Marco ArezioOggi la produzione di rifiuti plastici continua ad essere superiore alla capacità del loro riciclo meccanico, tanto è vero che si stanno studiando soluzioni integrative per ridurre questo gap. Oltre alle innumerevoli strade che potrebbe aprire il riciclo chimico,  l’ingegneria biologica sta facendo passi enormi sull’individuazione di corretti enzimi che possano degradare la plastica. Attraverso uno studio da parte di un team di scienziati Americani, volto ad individuare un enzima modificato, sono state studiate combinazioni di aminoacidi che potessero degradare il PET in tempi più veloci rispetto al passato. L'organismo ha due enzimi che idrolizzano il polimero prima in mono-(2-idrossietil) tereftalato e poi in glicole etilenico e acido tereftalico da utilizzare come fonte di energia. Un enzima in particolare, la PETasi, è diventato l'obiettivo degli sforzi di ingegneria proteica per renderlo stabile a temperature più elevate e aumentare la sua attività catalitica. Un team attorno ad Hal Alper dell'Università del Texas ad Austin negli Stati Uniti, ha creato una PETasi in grado di degradare 51 diversi prodotti in PET, inclusi contenitori e bottiglie di plastica interi. Nella costruzione dello studio si sono avvalsi di un algoritmo che ha utilizzato 19.000 proteine di dimensioni simili e, per ogni aminoacido di PETase, il programma ha studiato il loro adattamento all’ambiente in cui vivevano rispetto ad altre proteine. Un amminoacido che non si adatta bene può essere fonte di instabilità e l'algoritmo suggerisce un amminoacido diverso al suo posto. Si sono poi verificate milioni di combinazioni e, alla fine del lavoro di analisi, i ricercatori hanno puntato su tre soluzioni che sembravano quelle più promettenti. Intervenendo ulteriormente con modifiche dirette, gli scienziati hanno creato un enzima molto attivo sul PET che lavorava con rapidità e a temperature più basse rispetto al passato. A 50°C, l'enzima è quasi due volte più attivo nell'idrolizzare un piccolo campione di un contenitore per alimenti in PET rispetto a un'altra PETasi ingegnerizzata a 70°C. L'enzima ha persino depolimerizzato un intero vassoio di plastica per torte in 48 ore e il team ha dimostrato che può creare un nuovo oggetto di plastica dai rifiuti degradati. E’ importante sottolineare che i tests sono stati fatti non su campioni di PET amorfo appositamente realizzati in laboratorio, ma su imballi in PET acquistati direttamente ai supermercati. Questo avvicina ancora di più le prove eseguite al contesto in cui si dovrebbe operare, cioè nell’ambito del riciclo o della depolimerizzazione delle plastiche. Resta da vedere se la depolimerizzazione enzimatica verrà infine utilizzata per il riciclaggio su larga scala. Infatti, la maggior parte del PET nel mondo viene riciclato non per depolimerizzazione, ma per fusione e rimodellamento, ma le sue proprietà si deteriorano ad ogni ciclo. Come abbiamo detto esistono alcuni metodi di depolimerizzazione chimica, ma comportano un consumo di energia molto alto e, nell’ottica della circolarità dei prodotti, l’aspetto dell’impatto ambientale che il riciclo comporta è da tenere in considerazione, specialmente quando non si dispone di energie rinnovabili. Il grande vantaggio degli enzimi è che possono essere molto più specifici dei catalizzatori chimici e, quindi, potrebbe essere più semplice, in teoria, degradare un flusso di rifiuti. Gli scienziati non nascondono però che lo studio degli enzimi che depolimerizzano il PET, per quanto complicato e lungo, potrebbe essere addirittura più semplice rispetto alla loro applicazioni su poliolefine o su plastiche miste. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PET - depolimerizzazione 

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https://www.rmix.it/ - Come si Ricicla l’Alluminio e Perché Farlo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come si Ricicla l’Alluminio e Perché Farlo
Economia circolare

Il riciclo dell’alluminio è un’attività che rispecchia l’economia circolaredi Marco ArezioQuando si parla di economia circolare e, nello specifico, di riciclo dei materiali che utilizziamo, c’è da tenere in considerazione il gradiente di circolarità di ogni singola famiglia di materia prima. Il vetro, la plastica, la carta, i metalli, il legno, la gomma, i materiali edili di scarto, e molti altri prodotti hanno un ciclo di riutilizzo che dipende dalle caratteristiche fisico-chimiche che lo costituiscono. C’è chi può essere riutilizzato in modo continuativo e infinito, come per esempio l’alluminio e c’è invece chi, invece, ha dei cicli di riciclo più o meno prestabiliti, trascorsi i quali, la materia prima si degrada e non permette più la sua trasformazione in nuovi prodotti. L’alluminio rientra pienamente in quei materiali nobili a cui è permesso una rigenerazione continua senza perdere le qualità intrinseche, garantendo un impatto ambientale basso, in quanto non crea nel tempo rifiuti e ha dei costi di trasformazione limitati. A livello mondiale, il riciclo dell’alluminio, in termini di tonnellate annue, vede gli Stati Uniti e il Giappone in testa, seguiti dalla Germania e dall’Italia, sia per quanto riguarda il riciclo degli scarti pre consumo che post consumo. Come abbiamo detto l’alluminio è riciclabile al 100% e riutilizzabile, teoricamente, all’infinito evitando di attingere alle risorse naturali della terra e contribuendo alla riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti in atmosfera. L’alluminio è uno dei pochi materiali che, una volta riciclato, non perde le sue caratteristiche chimico-fisiche, risultando del tutto simile al materiale prodotto con la materia prima naturale. Ma vediamo come si ricicla l’alluminio Il materiale di scarto può provenire dalla raccolta differenziata, quindi da oggetti a fine vita che il cittadino scarta, per esempio le lattine di bibite, le scatolette di tonno, le lattine dell’olio, ecc.., oppure dagli sfridi di produzioni industriali che possono essere recuperate e reimmesse nel ciclo produttivo dopo il loro riciclo. Tutti questi scarti, dopo la loro selezione, vengono pressati in balle ed inviati in fonderia per l’attività di riciclo, che consiste in un trattamento termico a circa 500°, con lo scopo di staccare eventuali vernici o sostanze presenti e sodalizzate con l’alluminio. Terminata questa fase di pre-trattamento, il materiale viene poi fuso ad una temperatura di circa 800°, ottenendo il fuso liquido di alluminio con il quale si realizzano lingotti o placche, destinate a rappresentare la materia prima per nuovi manufatti. L’impiego dell’alluminio riciclato trova applicazione in tutti quei settori produttivi che un tempo utilizzavano solo materia prima vergine, grazie alle sue caratteristiche qualitative viene impiegato nel settore automobilistico, in quello dell’edilizia, nella produzione di oggetti per la casa, per i nuovi imballaggi, per la carpenteria, nel settore nautico e in molti altri settori. Quali sono i vantaggi del riciclo dell’alluminio Vantaggi di carattere economico e strategico, in quanto un paese può disporre di alluminio anche se è carente di materie prime naturali per realizzarlo • Vantaggi di carattere energetico, in quanto produrre alluminio riciclato fa risparmiare circa il 95% rispetto al ciclo produttivo partendo dalla materia prima naturale • Vantaggi di carattere ambientale, in quanto la raccolta e il riciclo degli scarti di alluminio contribuisce alla riduzione dei rifiuti nell’ambiente e riduce il consumo di risorse della terra Quindi, il riciclo dell’alluminio si sposa perfettamente con i dettami dell’economia circolare, che tende a contrastare l’economia lineare, rappresentata dal processo di consumo “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”. In Europa la percentuale di riciclo dell’alluminio rappresenta ormai il 50% della produzione, con punte che sfiorano il 100% per esempio in Italia, spinti dal fatto che produrre 1 Kg. di alluminio riciclato comporta un fabbisogno energetico del 5% rispetto ad una produzione tradizionale. Il riciclo non si basa solo su principi etici o ambientali, ma diventa anche un fattore economico interessante su cui costruire dei vantaggi competitivi aziendali. Categoria: notizie - alluminio - economia circolare - riciclo - rifiuti - metalli - rottame

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https://www.rmix.it/ - Slow Life: Il Dono
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Slow Life: Il Dono
Slow Life

Slow Life: Il DonoVoglio darti qualcosa, bambino mio, perché stiamo andando alla deriva nella corrente del mondo. Le nostre vite verranno separate, il nostro amore, dimenticato. Ma non sono così sciocco da sperare di comprare il tuo cuore con i miei doni. Giovane è la tua vita, il tuo sentiero, lungo, e tu bevi d’un sorso l’amore che ti portiamo, e ti volgi, e corri via da noi. Tu hai i tuoi giochi, e i tuoi compagni di gioco. Che male c’è se non hai il tempo di pensare a noi. Abbiamo abbastanza tempo nella vecchiaia per contare i giorni passati, per nutrire in cuore ciò che le nostre mani hanno perduto per sempre. Veloce corre il fiume con un canto, travolgendo tutte le barriere. Ma la montagna rimane e ricorda e lo segue con il suo amore. Tagore Categoria: Slow life - vita lenta - felicità

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https://www.rmix.it/ - Assemblaggio dei Componenti Plastici dopo la Produzione
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Assemblaggio dei Componenti Plastici dopo la Produzione
Informazioni Tecniche

Quali sistemi utilizzare per l’assemblaggio dei componenti plastici prodottidi Marco ArezioEsistono prodotti plastici che vengono stampati od estrusi singolarmente ed assemblati tra loro in fasi successive, con lo scopo di creare un prodotto finito composto da più parti. L’attività di assemblaggio dei vari pezzi, e il loro serraggio, comporta un’analisi approfondita di quali strumenti di chiusura utilizzare, per essere compatibili con le materie plastiche usate e anche funzionale con l’utilizzo del prodotto finito. I sistemi di fissaggio principali dei componenti plastici li possiamo raggruppare in:• Fissaggio attraverso viti in plastica • Fissaggio attraverso viti in metallo • Fissaggio attraverso chiodatura • Fissaggio attraverso saldatura • Fissaggio attraverso compressione Viti in Plastica Il fissaggio degli elementi da assemblare attraverso l’utilizzo di viti in plastica ha un limitato utilizzo, in quanto esprimono una bassa resistenza meccanica e una bassa rigidità. A dispetto delle basse performance strutturali, le viti in plastica trovano grande utilizzo in quei prodotti ove sia richiesto un isolamento elettrico continuo, una resistenza molto elevata alla corrosione e una continuità delle tonalità di colore scelto, per rendere il manufatto cromaticamente più continuo. Viti in Metallo Il fissaggio con viti in metallo è di gran lunga il metodo più usato per assemblare gli elementi plastici, per via dell’ottima resistenza meccanica e della buona presa tra plastica e elemento metallico. Le viti possono essere metriche o autofilettanti. Quelle metriche, in alcune situazioni meccaniche, possono presentare dei cedimenti dei fianchi che si sono filettati nel materiale plastico, questo può essere causato in presenza di un basso modulo elastico del polimero che compone l’elemento in plastica. Infatti, la resistenza meccanica di un filetto metrico nel materiale plastico è generalmente limitata, quindi è consigliabile usare viti metriche con degli inserti in ottone a filettatura interna. Questi inserti vengono inseriti, prima dello stampaggio nello stampo stesso o successivamente attraverso l’uso degli ultrasuoni. Dal punto di vista economico non è quasi mai conveniente utilizzare questo tipo di inserti, a causa della perdita di tempo nel loro posizionamento, tuttavia l’utilizzo di una vite metrica rende più veloce l’assemblaggio successivo del prodotto. Quelle autofilettanti sono costituite da forme e filetti differenti in base al lavoro meccanico che devono compiere e al tipo di plastica in cui andranno inserite. I filetti possono essere più o meno ravvicinati, quindi con un numero di spirali differenti, avere angoli di inclinazione delle spirali da 30 a 60° e un diametro dell’anima della vite e della sua spirale variabile. Nel caso, per esempio, dei manufatti realizzati con resine termoindurenti, è assolutamente necessario utilizzare viti autofilettanti, infatti questo tipo di polimero non si conforma, come altre materie plastiche, alla vite, ma viene forato con l’asportazione del truciolo risultante. In questo caso si consiglia un profilo di vite asimmetrico con un’angolazione della spirale a 30°. Chiodatura Un’altra tipologia di assemblaggio dei componenti plastici può avvenire con il metodo della chiodatura degli elementi. I chiodi plasmabili utilizzati sono generalmente composti da ottone, rame, alluminio o con chiodi cavi da rivoltare. Se utilizziamo i chiodi da rivoltare, l’impulso della battitura deve sempre tenere in considerazione la resistenza alla rottura e alla fessurazione del polimero plastico su cui stiamo lavorando, avendo l’accortezza di calcolare bene il rapporto tra massa e velocità di battitura. Nel caso gli elementi da assemblare siano in materiale termoplastico, l’estremità del nocciolo del manufatto può essere finito a caldo o a freddo sulla testa del chiodo. Saldatura I materiali termoplastici posso essere assemblati anche attraverso il processo di saldatura con i metodi per attrito, con gli ultrasuoni o con strumenti a caldo. E’ sempre da tenere in considerazione che il punto di saldatura o le estremità saldate, se in continuo, non avranno mai una resistenza meccanica paragonabile all’elemento base. Inoltre le fasi di saldatura possono creare delle tensioni interne rispetto alle molecole di cui il polimero è costituito e, quando presenti, interagire negativamente sulle fibre di rinforzo. In linea generale, in base alle materie plastiche e al tipo di saldatura, l’esperienza sul campo ci dice che la resistenza meccanica di una saldatura può essere inferiore tra il 40 all’80% rispetto al materiale plastico originario. Questo indebolimento viene inoltre accentuato se il manufatto deve sopportare carichi elevati nel tempo o sopportare particolari sollecitazioni dinamiche o attacchi chimici al materiale plastico. Assemblaggio per compressione Il sistema dell’assemblaggio per compressione degli elementi risulta il più economico e il più veloce, tuttavia bisogna fare alcune considerazioni importanti. Se si verificassero situazioni di assemblaggio ad incastro tra elementi plastici e metallici, è buona regola progettare il calcolo degli sforzi a compressione tarati sui materiali plastici e non su quelli metallici. Inoltre quando gli elementi saranno in funzione, per esempio le parti di un ventilatore, è da tenere presente la maggiore dilatazione termica della plastica rispetto agli elementi metallici e, nel caso di polimeri igroscopici, anche i possibili rigonfiamenti. Categoria: notizie - tecnica - plastica - assemblaggio - prodotti plastici

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https://www.rmix.it/ - Una Pista Ciclo-Pedonale Sospesa tra gli Alberi
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Una Pista Ciclo-Pedonale Sospesa tra gli Alberi
Ambiente

Una pista ciclo-pedonale sopraelevata che corre tra gli alberi, poggiata su due file parallele di piante che fungono da pilastri, sarà probabilmente un’esperienza fantastica.Abbiamo passato la seconda metà del secolo scorso nella più sfrenata cementificazione del suolo, creando città dormitorio, periferie squallide, consumato spazi verdi e costruendo senza anima. Un’edilizia anche senza cuore, fatta per il denaro e non per l’uomo, dove si consumavano le vite tra lavoro, impegni, sacrifici e poche speranze, vivendo in edifici spersonalizzati lontani dalla natura. La natura, questo è il punto. Abbiamo tentato di cancellare il rapporto primario tra l’uomo e l’ambiente, riempendolo di cemento, asfalto, macchine in una sequenza continua. Durante gli ultimi 10 anni le esigenze della popolazione sono cambiate, l’attenzione all’ambiente è diventata una spinta propulsiva e il controesodo dalle città, in cerca di abitazioni a misura d’uomo, ha fatto riflettere i progettisti e i costruttori. Una nuova esigenza abitativa ma anche sociale, con la necessità di ripensare un’urbanizzazione meno cemento-centrica, a favore di spazi verdi in cui ripristinare un equilibrio con se stessi e con il mondo. In questa filosofia si inserisce il progetto dello studio CRA-Carlo Ratti Associati e l'organizzazione no-profit GAL “The Tree Path”, che ha pensato a un percorso sopraelevato per pedoni e ciclisti supportato da più di mille alberi, come ci racconta Cuoghi Dalila. Il percorso sensoriale conduce a Sabbioneta, patrimonio mondiale dell'UNESCO nel nord Italia, ed è stato sviluppato in stretta collaborazione con OLA, il massimo esperto di una tecnica di costruzione che utilizza gli alberi come elementi architettonici. Arrivare a Sabbioneta, uno dei più famosi siti Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, in bicicletta, lungo una pista ciclo-pedonale sopraelevata che corre tra gli alberi, poggiata su due file parallele di piante che fungono da pilastri, sarà probabilmente un’esperienza fantastica. Una soluzione sostenibile e smart al tempo stesso: le persone possono camminare o andare in bicicletta su una piattaforma rialzata tra le cime degli alberi, mentre i sensori integrati nel verde tracciano le condizioni ambientali in tempo reale. Indissolubile rapporto tra architettura e natura Il sentiero degli alberi si snoda verticalmente su tre diversi livelli, salendo fino a sei metri dal suolo, aggirando il traffico stradale e i corsi d'acqua. Il percorso incorpora sensori digitali per misurare molteplici fattori nell'atmosfera, dall'inquinamento atmosferico allo stato di salute e crescita dei singoli alberi. I sensori aiuteranno anche a garantire che tutti gli organismi viventi lungo il percorso possano rispondere alle mutevoli condizioni ambientali o ai carichi strutturali, realizzando una visione di "Internet degli alberi". In questo progetto lo studio CRA segue OLA - Office for Living Architecture, l’ufficio specializzato nella tecnica del Baubotanik con il quale CRA ha collaborato per questo progetto. In passato loro hanno usato con funzione strutturale specie diverse come salice, platano, pioppo, betulla e carpino. Tutti alberi sufficientemente flessibili e vigorosi con cortecce sottili che possono essere facilmente innestate. Una volta piantumati gli alberi, quanto tempo bisognerà attendere per il loro accrescimento affinché possa essere realizzata la passerella? Questa è una caratteristica molto interessante del progetto. Non si seguiranno i ritmi della costruzione umana, ma quelli della natura. Ovviamente la tecnica del Baubotanik prevede un accompagnamento della crescita degli alberi, in modo che quest’ultimo processo possa dispiegarsi in parallelo a un sostegno sempre più solido della struttura. Si tratta di un modo di pensare l’architettura su tempi lunghi: un antidoto a certe costruzioni frettolose… Con quali materiali sarà realizzata la passerella sospesa? In questa fase di concept abbiamo ipotizzato una leggera struttura metallica, sulla quale si innestino materiali organici – legno, micelio e altro. La passerella sarà completamente sostenuta dagli alberi o sono comunque previste opere puntuali di sostegno realizzate con altri materiali? Soprattutto all’inizio ci saranno anche strutture temporanee di sostegno – il mondo del naturale e dell’artificiale che si danno la mano! Foto: studio CRA-Carlo Ratti Associati

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