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https://www.rmix.it/ - Le pale eoliche: un rifiuto difficile che può essere riciclato
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le pale eoliche: un rifiuto difficile che può essere riciclato
Economia circolare

Pale eoliche, una composizione di molti materiali solidamente ancorati tra loro ne rendeva impossibile il riciclodi Marco ArezioIl vento è un pilastro della produzione delle energie rinnovabili e, da anni, si sta sfruttando con sempre maggiore interesse costruendo ed installando turbine che possano intercettare il vento e creare energia elettrica. Nonostante la prima informazione che ci è giunta dal passato circa l’utilizzo del vento per scopi meccanici risale al I secolo D.C. ad opera dell’Ingegnere greco Erone di Alessandria, la forza del vento all’epoca veniva soprattutto sfruttata nel campo navale, per riempire le vele e creare il moto delle barche sull’acqua. Intorno al IX secolo D.C. si iniziò in India, Iran e in Cina, ad usare il vento per far girare delle pale telate che potevano imprimere una forza ad un sistema di trasmissione, attraverso il quale si potevano eseguire nuovi lavori meccanizzati, come macinare i cereali, pompare l’acqua o eseguire alcune attività nel campo edile. In Europa i mulini a vento si diffusero in maniera capillare, soprattutto in Olanda, utilizzandoli per pompare l’acqua dai terreni sotto il livello del mare. Questa operazione fu così importante nelle operazioni di bonifica, che il mulino a vento assunse una figura rappresentativa del paese. Per vedere l’uso del vento nella produzione di energia elettrica, abbiamo dovuto aspettare fino al 1887 quando il professor James Blyth costruì, nel suo guardino, la prima turbina eolica per dare la corrente al suo cottage. Il risultato fu così incoraggiante che nel 1891 depositò il brevetto. Negli anni successivi molti altri inventori e scienziati studiarono, testarono e brevettarono, migliorie sul numero di pale ideale per fruttare al meglio la forza del vento, il loro profilo, i sistemi meccanici dei rotori e le altezze corrette di installazione delle turbine. Le pale eoliche, non metalliche, sono formate da un agglomerato di prodotti la cui prevalenza è costituita da legno di balsa, plastica, fibra di vetro, ed in misura minore da fibre di carbonio e metalli vari. Il ciclo di vita di un parco eolico può essere considerato intorno ai 25 anni e, recentemente, si è presentata la prima ondata di turbine dismesse. Teniamo in considerazione che, nella sola Germania, si prevedono nel 2024 circa 15.000 pale da riciclare. La difficoltà di separare gli elementi che costituiscono il manufatto ha fatto mettere in moto l’istituto tedesco WKI, che hanno studiato come separare il legno di balsa dalle parti plastiche e dalla vetroresina, al fine di recuperare le parti in legno per costruire nuovi pannelli isolanti per edifici. In una lama del rotore può contenere fino a 15 metri cubi di balsa, un legno leggerissimo e molto resistente, ma essendo solidarizzato con la vetroresina e la plastica, era considerato un rifiuto non riciclabile e finiva negli impianti di incenerimento o nelle cementerie come combustibile. L’istituto WKI dopo vari tentativi, ha capito che i componenti si potevano separate sfruttando la loro tenacità, infatti inserendo il prodotto in un mulino a rotazione e scagliando il pezzo contro delle parti metalliche, la balsa si scomponeva dai pezzi in vetroresina e da quelli in plastica. La balsa recuperata veniva ceduta agli impianti di produzione di pannelli fonoisolanti ultraleggeri, infatti, questi, raggiungono una densità di circa 20 Kg. per metro cubo e le loro prestazioni sono paragonabili ai pannelli in polistirolo.Categoria: notizie - pale eoliche - economia circolare - riciclo - rifiutiGeneratore di corrente con pale eoliche da casaVedi maggiori informazioni sull'energia eolica

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https://www.rmix.it/ - Donne Africane: Tutelano l'Ambiente e Sostengono la Famiglia.
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Donne Africane: Tutelano l'Ambiente e Sostengono la Famiglia.
Ambiente

Africa: mai come nei paesi poveri il ruolo delle donne è fondamentale e centrale nella societàdi Marco ArezioLa maggior parte dei paesi Africani sono costantemente sotto pressione a causa dei fenomeni che riguardano, le siccità, le migrazioni, l'iper urbanizzazione, la povertà, le malattie e la sicurezza sociale. Una parte di questi fenomeni, a volte concatenati tra loro, sono la conseguenza dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento causati dall'evolversi, negativamente, dei fenomeni di industrializzazione mondiale e da un tenore di consumi che erode il pianeta, con tutte le conseguenze del caso. I cambiamenti climatici, in alcune aree Africane, comportano prolungate siccità, con conseguenti deficit alimentari per la popolazione, che si vede costretta a spostarsi nelle aree urbane o sub-urbane alla ricerca di ipotetiche migliori condizioni di vita. Secondo una stima delle Nazioni Unite vivrebbero, nelle aree urbane del mondo, circa 3 miliardi di persone e di loro, circa 1 miliardo, in quartieri periferici degradati, in assenza di servizi minimali per la persona. L'iper urbanizzazione comporta delle conseguenze di tipo sanitario, di sicurezza, di inquinamento e di problematiche di sostentamento per le famiglie emigrate. Tra i tanti problemi che questi agglomerati umani sono costretti ad affrontare, quello dei rifiuti autoprodotti è annoverato tra quelli di urgente soluzione. Le città metropolitane Africane non sono tutte dotate di servizi di raccolta dei rifiuti, che possano far fronte alla crescita costante dell'espansione delle città e non sono nemmeno pronte ad arginare e risolvere il fenomeno dell'aumento dei rifiuti plastici causati dal cambio di abitudine dei cittadini in sull'uso degli imballi. Infatti, quello che era, un tempo, di Juta, di metallo o di legno si è presto trasformato in contenitori di plastica usa e getta. Il mix esplosivo di problemi esistenti, si contorna di un'altra piaga sociale che è la disoccupazione dilagante con conseguenza legata alla sicurezza dei cittadini e al loro sostentamento. In questa situazione, in alcune città, le donne, che hanno l'effettiva responsabilità famigliare, aiutate da alcune organizzazioni di volontariato Europeo, hanno imparato a fare, dei rifiuti plastici, un mezzo di sostentamento della propria famiglia, dando un contributo sostanziale al decoro del loro quartiere e contenendo quei fenomeni di pericolo sanitario che l'inquinamento implica. Le associazioni di volontariato le hanno sostenute attraverso l'istruzione sulle tematiche lavorative e nella costituzione di cooperative di lavoro che si occupano della raccolta selettiva e della vendita dei rifiuti plastici. Una lezione per tutti. Hanno creato piccoli, ma diffusi centri di raccolta e dispongono di risorse per poter gestire il lavoro dando uno stipendio alle loro famiglie e creando la possibilità, non solo di sostegno alimentare, ma anche di scolarizzazione dei propri figli. Le donne coinvolte in questa attività erano considerate la parte fragile, emarginata, analfabeta della comunità, ma ora, hanno preso coscienza della loro forza, della loro importanza e della loro autodeterminazione, che vogliono trasferire ai propri figli, soprattutto alle figlie, in modo da costruire una vita migliore.

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https://www.rmix.it/ - La sindrome nimby non fa bene all’economia circolare
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La sindrome nimby non fa bene all’economia circolare
Ambiente

Come aiutare la popolazione a prendere decisioni per il bene comune di Marco ArezioLa sindrome di NIMBY, dall’acronimo inglese “non nel mio cortile” rappresenta la protesta da parte di una comunità verso quei progetti, di interesse nazionale, che prevedono l’istallazione nel loro territorio di cave, autostrade, raffinerie, termovalorizzatori, discariche insediamenti industriali o depositi di sostanze pericolose. E’ un fenomeno trasversale in tutta Europa, che nasce spontaneo come azione di difesa verso un territorio o verso la popolazione stessa, che vede, attraverso le informazioni in suo possesso, un potenziale pericolo nell’accettare il progetto. L’economia circolare è spesso vittima della sindrome di Nimby, specialmente quando si tratta di costruire un termovalorizzatore od accettare una discarica o uno stoccaggio di rifiuti, ed è un problema evidente in territori in cui per concludere la circolarità dei prodotti e delle produzioni servono strutture come quelle citate. Con i sistemi impiantistici a disposizione, il fenomeno dei rifiuti zero è un’utopia e la gente deve sapere che la circolarità si può raggiungere, integrando varie forme di riciclo che non finiscono con la raccolta differenziata. In alcuni territori, specialmente nel Sud Europa la mancanza di termovalorizzatori di ultima generazione, perché osteggiati dalla gente, porta ad una movimentazione dei rifiuti verso aree dove possono essere lavorarli (da sud al nord Italia per esempio), con costi sugli stessi cittadini contrari e un impatto ambientale elevato. C’è da tenere in considerazione che la sindrome nasce anche a causa di un’insufficiente coinvolgimento della popolazione da parte delle istituzioni politiche che decidono il progetto, dalla scarsa fiducia che la base ha nei confronti dei propri eletti che amministrano i territori su cui l’opera dovrebbe essere installata. Anche il possibile fenomeno corruttivo, che incide sulla verifica tecnica del progetto in chiave ambientale e di sostenibilità sociale, fanno parte della possibile sfiducia nelle istituzioni locali o nazionali. Bisogna investire soprattutto nella cultura della circolarità dei rifiuti, per aiutare i cittadini a capire meglio le proposte che potrebbero incidere sui propri territori e, da parte di chi gestisce politicamente le aree interessate, è necessario mettere a diposizione ogni informazione che permetta alla gente di capire che l’interesse nazionale non si scontri con possibili minori tutele alla salute o con lo stravolgimento delle abitudini di vita locali. Secondo i dati forniti dal Nimby Forum, al 2016 esistevano progetti contestati che riguardavano le energie rinnovabili, come impianti per biomasse, compostaggio e parchi eolici, per un totale di 359 posizioni aperte. E’ facile immaginare come queste opposizioni siano oggi amplificate anche dalla rete, attraverso la quale non sempre i partecipanti a queste discussioni hanno una preparazione tecnica qualificata per sostenere i pro e i contro delle opere, con il rischio di una strumentalizzazione sempre possibile. La storia recente comunque ci dice che grandi progetti sull’economia circolare, di utilità nazionale, si devono poter eseguire nell’interesse di tutti, ma che la popolazione ha diritto ad essere coinvolta, ha diritto a capire e ha diritto ad esprimersi per eventuali modifiche ritenute necessarie. La democrazia è anche questo.Vedi maggiori informazioni sul fenomeno Nimby

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https://www.rmix.it/ - 1980: Nasce lo Stile Alpino Himalayano e l’Ecologia in Alta Quota
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare 1980: Nasce lo Stile Alpino Himalayano e l’Ecologia in Alta Quota
Ambiente

1980: Nasce lo Stile Alpino Himalayano e l’Ecologia in Alta Quotadi Marco ArezioLa storia dei movimenti ecologisti la possiamo posizionare temporalmente all’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso quando, sia in Australia che in Gran Bretagna a cavallo tra il 1972 e il 1973, si fecero avanti i primi collettivi organizzati che rivendicavano una politica di tutela dell’ambiente.Benchè già nel 1962, attraverso la pubblicazione del libro Silence Spring di Rachael Carson, che metteva in evidenza il pericolo dell’uso indiscriminato dei pesticidi nell’agricoltura iniziando a considerare che esisteva di fatto un problema di inquinamento, si dovette però arrivare fino agli anni ’80 per vedere la nascita di movimenti politici specifici in Europa. I verdi, così erano chiamati gli ambientalisti, non godevano di grande considerazione e rispetto da parte delle autorità in quanto erano visti come un freno all’industria, ai consumi e al benessere. Non era facile sensibilizzare l’opinione pubblica ai problemi ambientali crescenti, in quanto erano temi di cui si parlava poco , non potendo disporre di informazioni certe su cui discutere e valutarne i rischi. Il movimento ecologista sembrava un remake del movimento Hippy della fine degli anni ’60 ma, in realtà, i verdi o ambientalisti erano focalizzati sulla tutela ecologica del mondo quanto gli Hippy lo erano su loro stessi e sul loro diritto rivendicato alea libertà personali. Si era quindi passati ad un impegno socio-politico di tutela della terra e non ad una forma di rivolta, fine a se stessa, verso i costumi dell’epoca e al modo di vivere conformista. Come il movimento Hippy aveva avuto i propri paladini, specialmente nell’ambito musicale e cinematografico, anche il movimento ambientalista inizia ad affermarsi sulla spinta di icone che facevano della natura la loro area di interesse. Nel campo dell’alpinismo abbiamo visto una certa similitudine all’evoluzione dei comportamenti sociali, con i primi anni ’60 del secolo scorso in cui le grandi montagne erano viste come terra di conquiste nazionali, con spedizioni dal carattere militare, organizzate, ben sovvenzionate e con l’intento di raggiungere le più altre vette del pianeta a qualsiasi costo e con ogni mezzo. L’impatto di queste spedizioni sul territorio era del tutto secondario per gli organizzatori e, i mezzi usati per facilitare la scalata non erano valutati invadenti dall’opinione pubblica, che aspettava solo il trofeo della conquista come fosse una medaglia olimpica. In questa ottica alpinistica però, iniziarono a distinguersi alcuni scalatori che misero in discussione questo metodo di approccio invasivo all’ambiente alpino, ponendo le basi per un alpinismo più rispettoso delle regole naturali e più leale, tra le capacità dell’uomo di scalare la montagna senza incidere su di essa e la montagna stessa. Il portavoce indiscusso negli anni ’80 fu Reinhold Messner, che raggiunse la vetta dell’Everest in stile alpino e senza ossigeno, dimostrando al mondo che la sfida non era verso la montagna, ma verso le proprie fragilità e i propri limiti e che l’ambiente doveva essere tutelato, cancellando il modello inquinante delle spedizioni di tipo “industriale”. Il concetto dello stile alpino per salire gli 8000 prevede un gruppo molto ristretto di alpinisti, senza portatori in quota, con l’utilizzo minimale dell’attrezzatura alpinistica e con l’impegno di non lasciare stracce del proprio passaggio sulle montagne. Con questo rivoluzionario sistema di scalata Reinhold Messner riuscirà a scalare per primo tutti gli 8000 della terra lanciando una sfida alla società sulla tutela dell’ambiente alpino in tutte le forme possibili, come sancito dal manifesto programmatico di Biella nel 1987. Purtroppo, se da una parte gli alpinisti professionistici negli anni successivi seguirono l’esempio di Messner, dall’altra parte, a cavallo tra la dine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 cominciò a fiorire un alpinismo commerciale, fatto di spedizioni organizzate e vendute, come pacchetti turistici, ad alpinisti che erano spesso privi di etica e di esperienza sul campo. Questo impulso commerciale portò ad un’invasione sulle pareti degli 8000 con grave pericolo per le persone, un aumento dell’inquinamento e dei rifiuti e la distruzione delle fatiche di molti alpinisti venuti dopo Messner, che vedevano le altre montagne come l’ultimo luogo incontaminato sulla terra. Vedi i libri di Reinhold Messner Foto copertina: LaPresse

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https://www.rmix.it/ - Far Bene le Cose ma Comunicarle Male: + 1 – 1 = 0
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Far Bene le Cose ma Comunicarle Male: + 1 – 1 = 0
Notizie Brevi

Far Bene le Cose ma Comunicarle Male: + 1 – 1 = 0. Comunicazione e MarketingImprenditori non ci si improvvisa, non ti alzi una mattina e decidi che entro il pomeriggio puoi fare un prodotto o un servizio che non conosci. Non acquisisci le nozioni tecniche, produttive e distributive in un lasso di tempo limitato, ma vengono da un chiaro e ponderato ragionamento in cui si bilanciano pro e contro, tecnica e dedizione, fatica e capacità, tempo e risultato. Emergere nel mercato interconnesso di oggi è veramente difficile, il tuo prodotto o servizio deve essere ben ponderato e devi dedicargli la massima cura e il massimo sforzo per dare ai tuoi clienti un risultato che sia, non solo utile alla loro vita, ma probabilmente migliore della media della concorrenza. La globalizzazione ha cambiato i sistemi distributivi e, se da una parte offrono molte opportunità, hanno l’inconveniente di essere estremamente affollati di proposte più o meno valide, in cui le imprese lottano per avere una corretta vetrina di sé stesse. Fare buoni prodotti o buoni servizi oggi non è più sufficiente se non sai come comunicare al mercato le tue qualità e le tue prerogative. Anni fa bastava avere un sito internet, fare delle fiere, avere collaboratori commerciali che proponevano la tua azienda. Oggi le cose sono cambiate, in modo radicale, in quanto internet è sempre più affollato e le proposte si moltiplicano riducendo l’attenzione dei tuoi potenziali clienti. Le fiere attraversano periodi di difficoltà e la rete vendita, complice anche i costi aziendali per la sua gestione, sono in diretta concorrenza con le vendite on line. Farsi notare sulla rete, avere la possibilità di trovare la giusta attenzione per la tua azienda in modo da catturare nuovi clienti, comporta impegno e dedizione. La comunicazione aziendale è un pilastro portante di ogni grande o piccola azienda, perché in internet siamo tutti uguali, ma ci possiamo differenziare in base ai contenuti che creiamo e la fidelizzazione che costruiamo con i nostri potenziali clienti. Blog, Newsletter, pagine social e articoli aziendali sono un valido aiuto all’imprenditore che vuole far crescere la sua azienda sul proprio territorio o all’estero. Pensare di risparmiare sulla comunicazione significa chiudere il cancello della propria azienda e staccare i telefoni e la corrente elettrica aspettando la fine. Una comunicazione corretta, qualitativa, puntuale e professionale crea una reputazione importante che ti darà la giusta spinta nel tuo business, senza portare via tempo a te e al tuo staff per concentrarti su quello che sai fare bene.

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https://www.rmix.it/ - Certificazioni sui Masselli in PVC Riciclati per Pavimentazioni
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Certificazioni sui Masselli in PVC Riciclati per Pavimentazioni
Informazioni Tecniche

Certificazioni sui Masselli in PVC Riciclati per Pavimentazionidi Marco ArezioIl massello in PVC riciclato è un prodotto che sposa pienamente il concetto di economia circolare in quanto la materia prima che lo costituisce viene dal recupero delle guaine dei cavi elettrici. Questo materiale viene selezionato, macinato e avviato all’impianto di produzione dei masselli.Un elemento costruttivo dalla forma ad incastro che permette di creare pavimentazioni portanti per il traffico veicolare senza pesare sulla bilancia della sostenibilità ambientale attraverso l’uso di risorse naturali come gli inerti o i materiali estrattivi che costituiscono il cemento. Inoltre contribuisce alla riduzione dei rifiuti plastici nell’ambiente in quanto il PVC morbido recuperato viene utilizzato al 100% nel prodotto finito. Quando si parla di prodotto riciclato bisogna ricordare che oltre ad assicurare la circolarità delle materie prime di scarto, il massello autobloccante a fine vita, rimane una materia prima importante e quindi sarà nuovamente riciclato senza creare rifiuti. Inoltre le caratteristiche tecniche del prodotto realizzato sono di notevole valenza in quanto hanno delle caratteristiche costruttive estremamente importanti nell’ottica di una pavimentazione carrabile o pedonale che altri materiali tradizionali non hanno. Per le caratteristiche tecniche e i sistemi di impiego e posa vi rimando all’articolo specifico. In questa sede trattiamo le certificazioni che il prodotto ha raggiunto attraverso tests ufficiali presso il Politecnico di Torino, l’Istituto Galileo Ferraris di Torino e il Ministero dell’Interno: Resistenza all’abrasione (norma UNI 8298/9) mediante abrasimetro Taber: • Valore medio di perdita di massa 370 mg. Mola abrasiva tipo CS10 caricata con 10N • Valore medio di perdita di massa 442 mg. Mola abrasiva tipo CS17 caricata con 10N • Valore medio di perdita di massa 472 mg. Mola abrasiva tipo H.22 caricata con 10N • Valore medio di perdita di massa 576 mg. Mola abrasiva tipo H.18 caricata con 10N Resistenza alla flessione (punti 3.1 e 3.2 del DM 3/6/68) • Valore medio di resistenza a flessione 2,17 N/mm2 Resistenza a compressione, rilevando il carico applicato in corrispondenza delle deformazioni verticali del 10% e del 20% dello spessore iniziale dei provini, nonché al verificarsi delle prime fessurazioni e del collasso: • Riduzione di spessore del 10% = (104,58KN -9 6,6KN – 80,10 KN) • Riduzione di spessore del 20% = (173,40 KN – 170,10 KN – 155,37 KN) • Carico di fessurazione = (236,40 KN – 228,12 KN – 228,12 KN) • Carico di Collasso = (303,54 KN – 295, 80 KN – 256,26 KN) Penetrazione dopo 1 minuto a 25 °C (UNI 5574/3.5) • Valore medio della penetrazione 1,08 mm.Penetrazione dopo 10 minuti a 25 °C (UNI 5574/3.5) • Valore medio della penetrazione 1,355 mm.Penetrazione dopo 30 secondi a 45 °C (UNI 5574/3.5) • Valore medio della penetrazione 1,075 mm. Scivolosità con metodo BCRA, riferimento legge n°13 D:M: 14/6/89 n° 236 per la misurazione del coefficiente di attrito dinamico, valore prescritto > 0,4: • Elemento scivolante di cuoio asciutto: 0,585 • Elemento scivolante in gomma su pavimento bagnato: 0,78 Stabilità dimensionale UNI 5574 (variazioni dimensionali %) misurate su due direzioni ortogonali dopo 6 ore a 80 °C: • Prima direzione +0,178 / -0,666 / -0,079 • Seconda Direzione -0,477 / -1,113 / -0,154 • Prima direzione +0,596 / -1,067 / 0,436 • Seconda direzione +584 / -0,499 / -0,651 Impronta residua UNI 5574- 3.7 alla temperatura di 25 °C: • Valore medio impronta residua 0,52 mm. Conduttività termica apparente UNI 7745: • Lamda 0,141 W (mK) Resistenza elettrica – Isolamento superficiale CEI 64,4 (1973) Temperatura 21 °C e umidità 30%: • Misura 1 < 2x10 (12°) Ohm • Misura 2 > 2x10 (12°) Ohm • Misura 3 < 3x10(12°) OhmResistenza elettrica – Isolamento attraverso lo spessore del materiale CEI 64.4 (1973) Temperatura 21 °C e umidità 30%: • Misura 1 < 5x11 (11°) Ohm • Misura 2 > 3x10 (11°) Ohm • Misura 3 < 3x10 (11°) Ohm Resistenza alla bruciatura di sigaretta UNI 8298/7 con effetti indotti: • Sigaretta 1: carbonizzazione e rigonfiamento 0,30 mm. medio = Tempo T0 autospegnimento / 671 / autospegnimento • Sigaretta 2: carbonizzazione e rigonfiamento 0,35 mm. medio = Tempo T0 675 / 665 / 660 • Sigaretta 3: carbonizzazione e rigonfiamento 0,37 mm. medio = Tempo T0 690 / 748 / 705 Reazione al fuoco e omologazione per la prevenzione agli incendi rilasciata dal Ministero dell’Interno: • Metodo CSE RF 2/75/A: Categoria 1 (uno) • Metodo CSE RF 2/77: Categoria 1 (uno) Sulla base dei risultati delle prove il prodotto è assegnabile alla classe di reazione al fuoco 1 (uno) Analisi sull’Eluato Allegato 3 del D.M. 22/1/1998: • Rame Cu mg/l: media prove 0,05 • Zinco Zn mg/l: media prove 3 • Piombo Pb mg/l: media prove 50Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PVC - masselli autobloccanti - certificazioni

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https://www.rmix.it/ - L’impiego dei polimeri nel campo dell’ecologia
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’impiego dei polimeri nel campo dell’ecologia
Economia circolare

Polimeri nel campo dell’ecologiadi Marco ArezioCi sono i campi di applicazione tradizionali dei polimeri plastici che tutti conosciamo, permettendoci di usare i prodotti plastici quotidiani, poi ci sono campi di utilizzo davvero impensabili. Secondo le informazioni dell’Universitàdi Iztapalapa in Messico, un team di ricercatori universitari, capeggiato dalla Dott.ssa Judith Cardoso, sta studiando gli impieghi di vari polimeri e biopolimeri, per migliorare le performance di alcune operazioni di carattere ecologico. Due di questi progetti riguardano la pulizia dei pozzi profondi e il trattamento dell’acqua di scarto proveniente dai lavaggi delle auto che sono notoriamente contaminate. Nel caso dell’autolavaggio si trattava di poter gestire i materiali di scarto, di origine biologica e trasportati dall’acqua, attraverso il legame con un polimero, creando dall’unione, un elemento pesante che scendesse sul fondo delle vasche di raccolta, consentendo così di pulire l’acqua. Questo nuovo composto può essere definito un fango che ha caratteristiche tali da poter essere utilizzato per il compostaggio. Nel caso della purificazione dei pozzi di acqua dai metalli pesanti, quali il Cromo 6 e l’arsenico, il gruppo di ricerca, in collaborazione con il National Polytechnic Istitute (IPN), sta sperimentando l’impiego di resine a base di polimeri. Questo studio vuole trovare una soluzione per l’estrazione dell’acqua in assenza dei due inquinanti, che sono facilmente presenti nei pozzi in aree semi-aride. Il processo prevede inoltre l’impiego della tecnologia di elettrodeionizzazione in una cella elettrochimica. Un altro studio su cui si stanno concentrando i ricercatori è quello di riuscire ad immagazzinare, nelle resine riciclate, una certa quantità di CO2 con lo scopo di produrre un abbattimento di quella circolante e, inoltre, creare resine con un maggior valore aggiunto. Infatti, se si riuscisse a trovare un metodo industriale di immagazzinamento della CO2 nelle resine riciclate, si creerebbero delle basi polimeriche che si potrebbero trasformare, secondo i ricercatori, in etanolo metanolo e biocarburanti od altri composti da utilizzare come materie prime.Categoria: notizie - polimeri - economia circolare - riciclo - rifiuti - ecologia

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https://www.rmix.it/ - Sai quanta plastica bevi?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Sai quanta plastica bevi?
Ambiente

Pensi che l'acqua e le bibite in generale siano immuni alle microplastiche? Sembra incredibile ma ingeriamo mediamente 50.000 particelle di plastica ogni anno. Dalle bottiglie alle stoviglie, dai contenitori multiuso ai giocattoli per bambini, dalle borse alle scarpe e non solo, viviamo in un mondo di plastica. Abituati come siamo alla cultura dell'usa e getta sembra difficile raccogliere i messaggi che ci arrivano per riuscire a cambiare le nostre abitudini e la cultura dello spreco che si è radicata in questo lasso temporale. La regola delle 3 R riduci, riusa, ricicla a quanto sembra non è abbastanza applicata, ma un po' alla volta qualcosa si muove e iniziano ad arrivare risposte fattive. Sono diversi i comuni, le spiagge, le scuole e le mense che stanno diventando plastic free, convertendosi cosi all'utilizzo di materiali riciclati. Non è mai troppo tardi per iniziare a dare il buon esempio, purché si inizi e si riesca a invertire la rotta. Siamo arrivati a un punto di non ritorno ed è necessario intervenire per dare risposte certe in tempi altrettanto certi. Dal 1950 a oggi infatti la produzione di plastica nel mondo è aumentata di 200 volte e nei prossimi dieci anni ci potrebbe essere un incremento produttivo ancora più significativo, fino a 40 volte più grande. Quanto emerge da uno studio pubblicato dall'Università di Newcastle secondo il quale le politiche adottate finora per il recupero, riuso e riciclo della plastica non sarebbero sufficienti per contenere l'impatto ambientale di questo prodotto e i suoi effetti sulla nostra salute. L'invasione della microplastica La plastica si trova ormai ovunque, perfino nell'acqua potabile che beviamo, dal rubinetto o dalla bottiglia, come anche nella birra e nelle bevande più diffuse. Dall'acqua però, le fibre di microplastiche filtrano fino ai derivati, arrivando così nella birra o in altre le bevande più diffuse (analcoliche, succhi di frutta, probabilmente anche nel vino), nel pesce (soprattutto crostacei) e nel sale. Stando ai dati della ricerca dell'Università del Newcastle fibre di microplastiche sarebbero presenti nel 72,2% dell'acqua potabile che beviamo e con cui cuciniamo di tutta Europa, a differenza degli Stati Uniti dove la presenza di plastica sale fino al 95%. L'università inglese oltre a evidenziare come dal 2000 la produzione di plastica sia in costante aumento con una percentuale par al 4% l'anno, ci comunica come ogni settimana, tramite cibo e bevande, ciascuno di noi ingerisce circa 1.769 micro-particelle di plastica (circa 50.000 particelle di plastica in un anno). Insomma, siamo sommersi dalla plastica! La plastica sarebbe presente nelle acque sotterranee, come in quelle superficiali, e nell'acqua imbottigliata. Per ogni 500 ml di acqua potabile, la ricerca in questione rileva fibre plastiche nel 72,2% in Europa, riscontrando in altri paesi internazionali anche maggiori quantità in termini percentuali (nel Medio Oriente -nello specifico il Libano- risultano una contaminazione pari al 98% dei casi, negli Stati Uniti pari al 95%, in India pari all'82,4%, in Uganda all'81%, in Ecuador al 79%, in Indonesia al 76%). E' imprescindibile come l'acqua sia il principale costituente del corpo umano e rappresenti una percentuale consistente del peso corporeo di ogni essere umano, che deve necessariamente bere acqua per evitare una disidratazione. Alla luce dei dati emersi dallo studio e dei pericoli che ne derivano per la salute di ciascuno è fondamentale attivarsi per creare quel circolo virtuoso del riduci, riusa, ricicla con l'obiettivo e la speranza di riuscire a contribuire a salvare il nostro pianeta. La plastica non è biodegradabile, ma è riciclabile pertanto l'invito è quello di attivarci tutti quanto prima anche in via preventiva sprecando di meno.Approfondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - Granulo riciclato in pp/pe da post consumo: un matrimonio quasi perfetto
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Granulo riciclato in pp/pe da post consumo: un matrimonio quasi perfetto
Informazioni Tecniche

Polipropilene e polietilene da post consumo sembra non possano convivere, ma non è sempre cosìdi Marco ArezioA volte anche le copie più diverse, con attitudini e caratteristiche lontane, con temperature caratteriali agli opposti, con tenacità e debolezze differenti, nella loro unione trovano un equilibrio. Anche il PP/PE questo equilibrio sembra averlo trovato. Nel campo dei polimeri che derivano dalla raccolta differenziata esistono delle famiglie che sono composte da due o più polimeri differenti, come per esempio l’unione tra il polietilene e il polipropilene. Apparentemente sembrano due mondi molto lontani tra loro che, per necessità di consumo dei rifiuti plastici, si è arrivati ad attribuire al nuovo compound una posizione nel mercato dei polimeri. La materia prima che costituisce questa unione, derivando dall’input della raccolta differenziata, si presenta normalmente già miscelata, ed è costituita da parti rigide e da parti flessibili dello scarto plastico domestico. Nel corso degli anni questo mix “naturale” si è molto modificato, in quanto è stato necessario estrarre dalle balle dei rifiuti, una quota sempre più lata di plastiche nono componenti, come il polipropilene, il polietilene di alta e bassa densità. Infatti si è puntato molto sull’estrazione della frazione di polipropilene per destinarlo ad un mercato autonomo. Quello che oggi è definito PO o PP/PE è la parte risultante dei processi di selezione degli scarti plastici derivanti dalla raccolta differenziata, ed è costituito da circa il 30-40% di polipropilene e la restante parte è prevalentemente LDPE. Rispetto ad una decina di anni fa, la base odierna del PO, o PP/PE, è sicuramente meno performante, in quanto il comportamento del polipropilene sulla componente di polietilene di bassa densità, è di difficile gestione, sia in fase di stampaggio che nel risultato estetico dei prodotti finali. Se partiamo dalla considerazione che ci suggerisce l’economia circolare, secondo la quale ai rifiuti plastici dobbiamo trovare, in ogni caso, una collocazione di riutilizzo, anche questo mix povero di PP/PE, con un po’ di buona volontà, può essere utilizzato in molti settori. Il polipropilene contenuto nel mix porta con sé essenzialmente le caratteristiche di rigidità e fluidità, mentre l’LDPE porta con sé la flessibilità e la fusione alle basse temperature. L’antagonismo delle loro caratteristiche avranno conseguenze in fase di stampaggio e di qualità del manufatto se non si interviene durante la produzione del granulo. Per creare una corretta famiglia di PP/PE adatta a molte applicazioni, che tenga conto di differenti fluidità richieste dal mercato, di corrette temperature sia in fase di estrusione del granulo che in fase di stampaggio, di buone resistenze in termini di modulo e IZOD, compatibilmente con il prodotto di qualità bassa di cui stiamo parlando, diventa necessario, a volte, modificare le ricette dei granuli: Il primo intervento che si dovrebbe fare è operare sul bilanciamento tra PP e LDPE, attraverso una quota di HDPE che mitiga la problematica della differenza di temperatura di fusione dei due materiali originari. Questo migliora la stampabilità ma anche la riduzione di possibili striature sulle superfici dei prodotti.Se si desidera aumentare la fluidità del compound che si vuole ottenere, la componente di PP può essere incrementata, in quanto il contributo delle frazioni di LDPE e HDPE da post consumo, in termini di MFI, rimarranno limitate. L’incremento della percentuale di PP all’interno della ricetta è comunque da monitorare, in quanto porta ad un aumento della vetrosità del prodotto finale e riduce la sua resistenza al freddo.Se si desidera aumentare la flessibilità a freddo si può giocare sulla componente LDPE/HDPE, considerando le giuste percentuali in funzione delle richieste estetiche, sul grado di flessibilità e sugli spessori dei prodotti da realizzare.Se si vogliono realizzare colorazioni del manufatto, di solito con tonalità scure, è sempre consigliabile aggiungere del masterbach, per i polimeri rigenerati, in fase di estrusione del granulo. Questo perché la dispersione del colorante in un estrusore con una vite lunga porta delle efficienze estetiche migliori. In questo caso dobbiamo considerare che la quota di LDPE, che è quella più a rischio per un’eventuale fenomeno di degradazione sotto l’effetto delle temperature di lavorazione, dovrebbe rimanere la più bassa possibile per evitare danni estetici alle colorazioni del prodotto. Per quanto riguarda l’uso dei masterbach, visto che anche questi prodotti possono essere a rischio di degradazione in fase di estrusione del granulo o durante lo stampaggio, è buona cura assicurarsi a quali temperature massime possono resistere senza alterarsi.Se si vuole aumentare la rigidità dei manufatti si può ricorrere alle cariche minerali, siano esse carbonato di calcio o talco, che possono dare una maggiore robustezza ai prodotti dal punto di vista della resistenza a compressione. Bisogna stare attenti però al comportamento a flessione, in quanto, già di per sé il PP/PE ha un basso valore di resistenza a flessione e l’aggiunta di percentuali eccessive ci cariche minerali ne peggiora la flessibilità. L’utilizzo di questa famiglia di compound in PP/PE ha trovato un largo consenso sul mercato per la produzione di manufatti non estetici e dal costo contenuto. I principali settori di utilizzo sono: Edilizia con la realizzazione di distanziatori per ferri di armatura, canaline non carrabili per l’acqua, protezione copri ferro, secchi, vespai in plastica, grigliati erbosi carrabili, cisterne componibili drenanti da interro e altri prodotti.La logistica con la produzione di bancali, casse da trasporto, armature per bancali, tappi per bidoni e altri prodotti.L’agricoltura con i ganci per l’orticultura, i vasi, le cassette monouso per la frutta e la verdura, pali per le culture e altri prodotti.L’arredo da giardino con la produzione di divani e poltrone in rattan plastico, piccoli mobili, sedie da esterno economiche e altri prodotti.Il settore della pulizia con il supporto per le setole delle scope, i secchielli di piccole dimensioni, le palette e altri prodotti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - post consumo - granuli - PP/PE

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https://www.rmix.it/ - Negazionismo e Razzismo Ambientale: I Modelli Americani
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Negazionismo e Razzismo Ambientale: I Modelli Americani
Ambiente

La storia ci ha insegnato come le comunità nere sono state usate per riparare alcuni disastri ambientali di Marco ArezioLe guerre, come si sa, fanno sempre molti morti, ma gli strumenti per combatterle non sempre contemplano le armi. La finanza e l’industria usano strumenti meno eclatanti e rumorosi per ottenere, a volte, le stesse perdite di vite umane. Tutto iniziò nel 1982, quando un produttore di trasformatori elettrici decise di disfarsi dei propri rifiuti composti da PCB, che causarono varie forme di cancro nella popolazione in un’area di 300 km. intorno all’azienda. Quando lo scandalo emerse, lo stato della Carolina del Nord dovette ripulire l’area e scegliere un luogo dove collocare i rifiuti pericolosi. L’area scelta fu Warren, una piccola comunità Afro-americana, proprio per il colore della pelle dei suoi abitanti e per il basso tenore di vita, contadini probabilmente dalla bassa scolarizzazione, che faceva presumere l’accettazione incondizionata delle scorie pericolose. Ma cos’è il PCB? I PCB sono una miscela di diversi isomeri, insolubili in acqua, che vengono utilizzati negli oli e impiegati nei grandi condensatori e trasformatori elettrici, in virtù della loro elevata resistenza alle alte temperature e come isolanti elettrici. La loro tossicità venne studiata, a causa dell’aumento dei casi di eruzioni cutanee, malattie del sangue e di cancro al fegato, in alcune aree industriali dove veniva fatto uso del PBC. Nonostante dagli anni 70 dello scorso secolo, questo tipo di fluido chimico sia andato progressivamente fuori produzione a causa dell’alta tossicità, l’episodio accaduto a Warren, al di là dei problemi sanitari riscontrati, fece emergere un movimento di protesta che sottolineava l’uso del razzismo ambientale per la risoluzione dei problemi legati all’ecologia. Nonostante le proteste da parte dei cittadini e la causa intentata, il sito fu decontaminato solamente nel 2000 e l’azione legale finì in un nulla di fatto. Nella contea di Warren, vicino alla discarica, abitavano fino al 78% di afro-americani e la violazione del diritto alla loro salute fece nascere in quegli anni il movimento per la giustizia ambientale, che si proponeva non solo di combattere le fonti di inquinamento industriale e le discariche, ma si poneva anche l’obbiettivo di difendere la popolazione afro-americana dalle pressioni per delocalizzare le produzioni inquinanti e i rifiuti pericolosi nelle aree in cui abitavano, senza coinvolgerli nelle scelte. Il movimento assunse un valore politico e cercò di analizzare I motivi e le implicazioni che le decisioni di installare delle discariche e delle produzioni pericolose, arrecassero alla popolazione nera. Nel 1987, lo studio ToxicWaste and Race in the United States, realizzato dalla Chiesa progressista nera United Church of Christ, aveva evidenziato che la razza era il principale fattore di scelta per la localizzazione di una discarica pericolosa, come successe per Warren, parlando così di razzismo ecologico. La questione razziale non era probabilmente sentita all’interno dei movimenti ambientalisti tradizionali, come il Sierra Club, la Audubon Society, la Wilderness Society, il WWF e l’Environmental Defense Fund che, in quegli anni, poco tolleravano la vicinanza ai movimenti ambientalisti neri, tanto che, spesso, disertavano le loro marce di protesta. Non dobbiamo però pensare che il problema del razzismo ambientale sia da confinare solo negli Stati Uniti, ma viene espresso anche in Gran Bretagna e in Francia, in cui non solo il colore della pelle costituiva il fatto denigratorio, ma le classi sociali e le condizioni economiche dei residenti. Vedi maggiori informazioniFoto: Greg Gibson / AP

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https://www.rmix.it/ - Il Riciclo dei Materiali Edili: dalla Polvere all’Arte
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Riciclo dei Materiali Edili: dalla Polvere all’Arte
Economia circolare

Il Riciclo dei Materiali Edili: dalla Polvere all’Artedi Marco ArezioPensando ai materiali edili esausti, frutto di demolizioni o ristrutturazioni, vengono sovente in mente immagini di mattoni e cemento a blocchi irregolari, piastrelle rotte, resti di infissi, vetri rotti, pavimenti demoliti per la sostituzione.Mi verrebbe da dire, polvere e sudore, dove la demolizione o il cambio di destinazioni dei locali è la creazione di quello che viene definita macerie. Le macerie sono una massa non definita di materiali di scarto provenienti dai cantieri, che fino a poco tempo fa avevano come unico sbocco la discarica, in cui si riversavano in modo irrecuperabile, come un ammasso di elementi senza più curarsene. L’avvento dell’economia circolare ha portato più consapevolezza anche nel mondo dell’edilizia, iniziando a ripensare ad un’azione di selezione dei materiali di risulta del cantiere e, soprattutto, a una nuova vita che si può attribuire ai materiali che prima erano abbandonati nelle discariche. Oggi, si comincia a parlare di calcestruzzo riciclato, espresso in granulometrie differenti che possono originare a nuovi inerti per le nuove mescole cementizie. Si parla di recuperare gli infissi, selezionandoli per materiale, dividendo quindi la plastica dal metallo e dal legno ed avviando i materiali alla creazione di nuovi prodotti. I manti impermeabili, espressi sotto forma di guaine bituminose o di PVC o lastre bitumate, trovano nella selezione e riciclo una nuova vita in differenti mercati. Potrei continuare ad elencare le nuove strade che siamo riusciti a far percorrere a tutti quei materiali di scarto dei cantieri edili che affogavano nelle discariche, con conseguenze ambientali ed economiche elevate. Un passo avanti è poi stato fatto attraverso la richiesta dei progettisti e dei clienti di avere una casa più sostenibile, fatta di prodotti che abbiano una componente riciclata, con un impatto ambientale minore rispetto al passato. Ci sono però da segnalare delle eccellenze, aziende che hanno sposato l’economia circolare dei prodotti edilizi con un concetto di alta qualità, forse con un’impronta di qualità artistica. Un esempio potrebbero essere le mattonelle in cotto, frutto di un recupero certosino in edifici storici in cui si stanno facendo ristrutturazioni o demolizioni, il cui obbiettivo è il recupero funzionale delle vecchie mattonelle in cotto, cercando di salvare l’integrità dell’elemento. Una volta recuperate e pulite possono essere vendute come nuovi pavimenti in cotto riciclato, ma possono essere anche lavorate in modo da dare un valore estetico elevato e artistico al pavimento che si dovrà fare. Queste lavorazioni possono prevedere inserti in marmo di carrara, con fregi o forme a richiesta, che esaltano la storicità del pezzo ed impreziosiscono l’ambiente con decorazioni di alta fattura artigianale. Le piastrelle in cotto recuperato sono trattate una a una, secondo le indicazioni e i gusti dei clienti, per creare pavimenti unici che possano rispecchiare il gusto e la calda atmosfera che ogni committente vuole trovare nella propria casa. Categoria: notizie - materiali edili - economia circolare - riciclo - rifiutiVedi i prodotti edili riciclati

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https://www.rmix.it/ - Masselli in PVC Riciclato: Come Progettare Piste Ciclabili Sostenibili
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Masselli in PVC Riciclato: Come Progettare Piste Ciclabili Sostenibili
Informazioni Tecniche

Masselli in PVC Riciclato: Come Progettare Piste Ciclabili Sostenibilidi Marco ArezioIl problema della tutela dell’ambiente è un argomento ormai del tutto trasversale nella nostra vita e, ad ogni livello di responsabilità e competenze, la riduzione dell’impatto dell’uomo sull’ecosistema è da tenere in evidenza.Le città e le aree di collegamento tra di esse stanno vivendo una trasformazione nel campo della mobilità sostenibile, spingendo in modo deciso verso l’utilizzo della bicicletta. Proprio in epoca di pandemia si è verificato una riscoperta del mezzo a pedali, attività che assume in sé fattori che non sono solo di carattere sociale, urbanistico o ambientale, ma sposa quei principi della “slow life”, cioè un approccio più naturale e rilassato alla vita, dove al tempo è dato il giusto valore, non consumato ma vissuto. L’utilizzo della bicicletta ha fatto riscoprire un sistema di mobilità più salutare, più partecipativa verso l’ambiente attraversato e una forma di ritrovata familiarità e convivialità tra le persone. Per seguire questa nuovo approccio alla mobilità sostenibile si devono creare e migliorare percorsi che siano espressamente dedicati al traffico per le biciclette, attraverso progetti che tengano in considerazione i principi della sostenibilità e dell’economia circolare. Per questo, in fase di progettazione tecnica, si dovrebbe tenere presente l’impiego di materiali che possano dare un contributo all’ambiente, alla riduzione dei rifiuti e alla riciclabilità degli elementi a fine vita. Per quanto riguarda il pavimentato stradale delle piste ciclabili in aree urbane o di collegamento tra una città e l’altra, la tendenza è di non utilizzare materiali che abbiano creato un impatto ambientale già nella loro costituzione prima del loro utilizzo, come asfalti o masselli in cemento, le cui materie prime derivano dalle risorse naturali, ma di utilizzare elementi che derivano dal riciclo dei materiali plastici. Uno di questi è il massello autobloccante realizzato in PVC riciclato, la cui materia prima è costituita dallo scarto delle lavorazioni dei cavi elettrici, dai quali si separa il rame e le guaine in plastica. Queste guaine vengono recuperate, selezionate, riciclate e trasformate in materia prima per realizzare manufatti carrabili ad incastro monolitico adatti alle pavimentazioni stradali e ciclo-pedonabili. Una pavimentazione fatta con i masselli autobloccanti riciclati in PVC sposa pienamente i principi dell’economia circolare, cioè l’utilizzo dei rifiuti lavorati in sostituzione di materie prime naturali per evitare l’impoverimento del pianeta. La pavimentazione in masselli autobloccanti in PVC riciclato ha una lunga durata, rimane flessibile nell’esercizio, non crea buche, non subisce degradazione a causa dei sali stradali, è leggera e con una economica posa fai da te, non si macchia in quanto non assorbe oli o sostanze inquinanti, è lavabile, non scivolante e verniciabile. Inoltre la sostituzione di singoli pezzi della pavimentazione e semplicissima ed economica, in quanto si sostituisce velocemente il massello autobloccante senza creare un’interruzione della viabilità per la manutenzione. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PVC - masselli autobloccanti - edilizia - piste ciclabili

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https://www.rmix.it/ - Se il cibo è consumabile te lo dice la nuova bio pellicola
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Se il cibo è consumabile te lo dice la nuova bio pellicola
Informazioni Tecniche

Il nuovo packaging cambia colore in base alla qualità del cibo che contiene di Marco ArezioLa ricerca universitaria e scientifica nel campo del packaging si sta concentrando sul problema della effettiva scadenza dei cibi, studiando bio pellicole che possano aiutarci a classificare, oltre all’etichetta apposta, la reale qualità del cibo contenuto. Le nuove bio pellicole sono formate da bio plastiche, realizzate dalla trasformazione dello zucchero contenuto nelle barbabietole e nel mais, alle quali vengono aggiunti additivi provenienti dagli scarti del settore agroalimentare. Questi additivi sono, a loro volta, scarti della filiera agroalimentare come la canapa, il lino, gli scarti del caffè, vari scarti di vegetazione, e altri prodotti naturali. Hanno diverse proprietà che possiamo riassumere: Buone proprietà meccaniche Resistenza al fuoco Proprietà antiossidanti Proprietà antifungine Proprietà antimicrobiche Tra gli additivi di cui abbiamo parlato prima, l’aggiunta di ossido di zinco e alluminio, nella produzione delle bio pellicole, sviluppa delle proprietà antimicrobiche che possono allungare la scadenza dei prodotti freschi, riducendo così gli sprechi dato dalla scadenza dei prodotti. Mentre l’aggiunga di un additivo come l’olio di cardarolo e una particolare molecola chiamata porfirina, attribuiscono alla pellicola proprietà antiossidanti e antifungine, che nel campo del packaging alimentare aiutano a segnalare il deterioramento del prodotto. Ma come avviene questo meccanismo? Quando la bio pellicola entra in contatto con alcuni analiti, come l’acqua, l’etanolo, l’ammoniaca o altri prodotti che derivano dalla degradazione alimentare, in combinazione con la luce, questi elementi tossici penetrano nel polimero della pellicola creando reazioni di colore. Le pellicole realizzate in laboratorio sono completamente biodegradabili e bio compostabili, questo significa che alla fine del loro ciclo di vita possono diventare concime e rientrare nel pieno rispetto della circolarità dei prodotti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - etichetta - packaging - imballoVedi maggiori informazioni sul packaging alimentare

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https://www.rmix.it/ - Studio sulle conseguenze dell'inquinamento sui bambini
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Studio sulle conseguenze dell'inquinamento sui bambini
Ambiente

Bambini e inquinamento: Facciamo qualche cosa prima che sia troppo tardi Uno studio sull'inquinamento ne ha sondato l'impatto sullo sviluppo cognitivo dei bambini. Le prime ripercussioni sono su attenzione e memoria. Come affermato dal biologo Eugene F. Stoermer, viviamo ormai da più di un secolo nell'epoca dell'Antropocene, termine che indica l'era geologica attuale, nella quale all'essere umano e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche. Viviamo anche in un momento storico dove le coscienze sembrano essersi svegliate nella lotta all' inquinamento e nella difesa della natura (come dimostrano le recenti manifestazioni per il clima Fridays for future e i risultati dei Verdi alle elezioni europee). Inquinamento: l'influenza sulla salute dei bambini Purtroppo, per vedere i cambiamenti concreti bisognerà aspettare ancora e ahimè, molti danni sono già stati fatti. Molti studi hanno già suggerito quanto l'esposizione all'inquinamento atmosferico nella prima infanzia possa essere collegato a disfunzioni cognitive. A questi si aggiunge una recente ricerca realizzata dal Barcelona Istitute for Global Health (ISGlobal). E' stato scoperto che bambini esposti a PM 2.5 (particelle con un diametro inferiore a 2,5 μm) nell'utero e durante i primi anni di vita hanno un maggior rischio sviluppare deficit per quanto riguarda la memoria di lavoro (nei ragazzi) e l'attenzione esecutiva (sia nei ragazzi che nelle ragazze). Inquinamento: lo studio che ne indaga l'influenza sullo sviluppo cognitivo La ricerca, pubblicata sulla rivista Environmental Health Perspectives, ha coinvolto 2.221 bambini (dai 7 ai 10 anni) che frequentano le scuole nella città di Barcellona. Le abilità cognitive dei bambini sono state valutate attraverso vari test computerizzati. L'esposizione all' inquinamento atmosferico, a casa durante la gravidanza e nel corso dell'infanzia, è stata stimata con un modello matematico utilizzando misurazioni reali. I ricercatori hanno scoperto che una maggiore esposizione ai PM 2.5 dalla gravidanza fino all'età di 7 anni era associata a punteggi di memoria di lavoro inferiori nei test cognitivi, in bambini tra i 7 e i 10 anni (riscontrato solo nei maschi). La memoria di lavoro è responsabile della memorizzazione temporanea delle informazioni per un ulteriore utilizzo e svolge un ruolo fondamentale nell'apprendimento, nel ragionamento, nella risoluzione dei problemi e nella comprensione del linguaggio. Inquinamento e sviluppo cognitivo dei bambini: i risultati dello studio Lo studio ha anche scoperto che ad una maggiore esposizione al particolato era associata a una riduzione dell'attenzione esecutiva sia nei ragazzi che nelle ragazze. L'attenzione esecutiva è una delle tre reti che costituiscono la capacità di attenzione di una persona coinvolta in forme di attenzione di alto livello, nel rilevamento di errori, nell'inibizione della risposta e nella regolazione di pensieri e sentimenti. Questa pubblicazione rafforza le precedenti scoperte e conferma che l'esposizione all'inquinamento atmosferico all'inizio della vita e durante l'infanzia, può essere considerata una minaccia per lo sviluppo cognitivo ed un ostacolo che impedisce ai bambini di raggiungere il loro pieno potenziale. by Adriano Mauro Ellena Approfondisci l'argomento 

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https://www.rmix.it/ - Ricerche microbiologiche per studiare un batterio che decompone il poliuretano
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Ricerche microbiologiche per studiare un batterio che decompone il poliuretano
Economia circolare

Lo Pseudomonas è un batterio, che potrebbe decomporre i legami della resina termoindurente come il poliuretanodi Marco ArezioTra le varie attività di studio, sulle strade alternative nella gestione dei rifiuti, la microbiologia si sta sforzando di trovare e testare batteri per scomporre quei legami chimici definiti irreversibili, come quelli del poliuretano. Le resine termoindurenti, di cui fa parte il poliuretano, è un materiale molto rigido costituito da polimeri reticolati nei quali il moto delle catene polimeriche è fortemente limitato dall’elevato numero di reticolazioni esistenti. Durante il riscaldamento subiscono una modificazione chimica irreversibile. Le resine di questo tipo, sotto l’azione del calore nella fase iniziale, rammolliscono (diventano plastiche) e, successivamente, solidificano. Contrariamente alle resine termoplastiche, non presentano la possibilità di subire numerosi processi di formatura durante il loro utilizzo. Le resine termoindurenti, sono materiali nei quali il moto delle catene polimeriche è fortemente vincolato da un numero elevato di reticolazioni esistenti. Infatti, durante il processo di produzione, subiscono modifiche chimiche irreversibili associate alla creazione di legami covalenti trasversali tra le catene dei pre-polimeri di partenza. La densità delle interconnessioni e la natura dipendono dalle condizioni di polimerizzazione e dalla natura dei precursori: generalmente essi sono sistemi liquidi, o facilmente liquefacibili a caldo, costituiti da composti organici a basso peso molecolare, spesso multifunzionali, chimicamente reattivi, a volte in presenza di iniziatori o catalizzatori. Il poliuretano è un composto largamente usato come isolante termico, nel settore dell’edilizia, dell’industria dell’auto, negli elettrodomestici, nelle celle frigorifere, nel settore navale e ferroviario, nei mobili, nel settore calzaturiero e in molti altri settori industriali. Ogni anno, nella sola Europa, si producono circa 3,5 milioni di tonnellate di poliuretano che, alla fine del ciclo di vita, non trova una corretta destinazione nel settore del riciclo e vanno a finire normalmente in discarica. La difficoltà che oggi incontra questa tipologia di rifiuto plastico nel processo di riconversione, finchè il riciclo chimico non avrà preso piede, hanno spinto le ricerche biologiche a tracciare nuove strade. Un gruppo di ricerca Europeo chiamato P4SB sta studiando materiali provenienti dalla biologia sintetica che siano in grado, tramite dei catalizzatori batterici, di creare bio enzimi che possano depolimerizzare il poliuretano, ma anche il PET. Lo studio ha identificato un batterio, chiamato Psneudomonas, che opportunamente ingegnerizzato, sia in grado di metabolizzare i componenti del poliuretano, che verranno poi resi, all’interno della massa batterica, sotto forma di bio plastica. Questo batterio ha la capacità di sopravvivere in condizioni estreme ed è molto resistente alle sostanze tossiche, infatti è un nemico per eccellenza nel campo medico in quanto resiste facilmente agli antibiotici. Fa parte della famiglia dei batteri gram-negativi che colpisce normalmente le persone con barriere immunitarie basse o con problemi alla pelle e alle mucose. Il batterio nell’uomo scatena malattie associate alle infezioni, come i problemi respiratori, la polmonite, l’endocardite, meningiti, problemi agli occhi, alle articolazioni, gastrointestinali, dermatologici e altre forme di reazione del corpo. Questo dimostra che è un batterio da prendere sul serio e il suo utilizzo nel campo microbiologico, applicato al riciclo delle plastiche come il poliuretano, fa capire il grado di colonizzazione e decomposizione che potrebbe mettere in campo se trattato con le dovute attenzioni.Categoria: notizie - plastica - batteri - riciclo - rifiuti - poliuretano

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https://www.rmix.it/ - Microplastiche negli scrub negli esfoglianti e nei trucchi. il piatto è servito
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Microplastiche negli scrub negli esfoglianti e nei trucchi. il piatto è servito
Ambiente

Cosa c’è nel tuo Bagno? Il programma delle Nazioni Unite per sensibilizzare il problema sanitari. Seguendo le indicazioni delle Nazioni Unite che hanno istituito nel mese di Novembre una settimana di sensibilizzazione internazionale sulle microplastiche nei cosmetici, esortando i vari stati a prendere seri provvedimenti per questi prodotti, a partire dal 2020 saranno banditi in Italia alcuni cosmetici come gli scarb o le creme esfoglianti che contengono microplastiche. Ma quali sono i meccanismi che creano inquinamento? Le creme esfoglianti e gli scrub, ma si trovano anche negli shampoo e persino nei dentifrici, utilizzano micro parti di plastiche come il PET o il PP o il PE o il PMMA che hanno un’aziona leggermente abrasiva sulla pelle, innescando il processo di micro esfogliazione della pelle morta. Una volta spalmate sul corpo, attraverso l’acqua di risciacquo, queste micro parti di plastica vengono scaricate nella rete fognaria che comunque non ha la capacità di filtrare questi piccoli residui plastici, dalla dimensione di pochi micron, in quanto passano dai filtri. Purtroppo pochi paesi hanno messo al bando questi prodotti, ed ancor più importante sapere che nell’ambito della cosmesi, le micro plastiche continuano a vivere per esempio nei trucchi per il corpo. Una nota positiva è il fatto che, in linea generale, le aziende produttrici di scrub ed esfoglianti non hanno aspettato imposizioni governative circa l’abolizione delle micro plastiche nelle ricette ma si sono mosse per la sostituzione di queste parti plastiche con altri prodotti biodegradabili, venendo incontro ad una esigenza generale del consumatore in fatto di tutela ambientale. Quali sono gli additivi abrasivi nelle creme in sostituzione delle microplastiche? Ci sono molte alternative, sia sotto forma di prodotto finito come i micro granuli di pomice o di zucchero o di sale marino oppure di scarto come i gusci di noci, semi di albicocca o di altri frutti, come per esempio il lampone rosso. Come posso sapere se una crema contiene micro plastiche? Bisogna controllare l’etichetta apposta sulla confezione del prodotto nella quale non deve essere scritto, tra gli ingredienti, prodotti come il PE, Il PP, il PET o il PMMA.Vedi maggiori informazioni sull'argomento

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https://www.rmix.it/ - Test di Trazione sulle Materie Plastiche Riciclate: Perchè Farlo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Test di Trazione sulle Materie Plastiche Riciclate: Perchè Farlo
Informazioni Tecniche

Nel controllo qualitativo delle materie plastiche riciclate, riveste grande importanza il test di laboratorio sulla trazionedi Marco ArezioQuando ci approcciamo alla produzione di un manufatto plastico, abbiamo bisogno di raccogliere una serie di informazioni per quanto riguarda la qualità e le caratteristiche della materia prima riciclata che dobbiamo utilizzare.E’ necessario acquisire dati certi sulla composizione della materia prima, attraverso tests di laboratorio come il DSC, la densità, la fluidità, la presenza di cariche, l’umidità e altre ancora, ma ci sono anche delle informazioni che riguardano la meccanica della materia prima. Queste ci aiutano a sapere come si comporterà il prodotto finito quando sarà sottoposto a sollecitazioni di tipo meccanico, come la trazione, la flessione, il taglio o la compressione. Ogni volta che applichiamo una forza ad un corpo questo tende a deformarsi, a volte anche in modo impercettibile all’occhio umano, come risposta alla sollecitazione ricevuta. Se il corpo, al termine della sollecitazione ritorna nella condizione primaria, questa deformazione viene definita elastica. In questo tipo di deformazione tutto il lavoro fatto per deformare il pezzo viene immagazzinato sotto forma di energia elastica che viene poi restituita una volta eliminata la sollecitazione. I tests di laboratorio servono per capire in anticipo, cioè prima che il prodotto venga realizzato, quale sarà in comportamento elastico del corpo e quali saranno i suoi limiti meccanici. Tuttavia bisogna tenere presente che comportamento di un materiale reale può essere diverso da quello idealmente elastico: la presenza di grandi deformazioni porta infatti a una risposta di tipo plastico del materiale. Ma come avviene in laboratorio una prova di trazione su un provino di materiale plastico riciclato? Innanzitutto è necessario creare dei provini secondo le normative vigenti, che avranno una forma tipica ad osso di cane, ed avranno dei parametri geometrici e dimensionali precisi. I campioni preparati, ottenuti dallo stampaggio a iniezione, secondo la norma UNI EN ISO 527, devono essere esenti da torsione e devono avere coppie di superfici parallele, bordi privi di incisioni, difetti, infossature superficiali o bave, con una lunghezza totale di 149 mm. e uno spessore di 4 mm. La macchina di laboratorio, rappresentata da un estensimetro, misurerà graficamente e analiticamente la deformazione del campione sottoposto ad esame e ci darà le indicazioni del futuro comportamento del prodotto che vorremmo realizzare. Questo dato, insieme agli altri indispensabili indicatori, ci fotografano in modo approfondito la tipologia di materia prima che utilizzeremo e ci aiuteranno a compiere eventuali correzioni sia sulla miscela che, eventualmente, sul processo di produzione. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - test di trazione - qualità

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https://www.rmix.it/ - Colorazione e Verniciatura dei Prodotti in Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Colorazione e Verniciatura dei Prodotti in Plastica
Informazioni Tecniche

Colorazione e Verniciatura dei Prodotti in Plastica di Marco ArezioI prodotti realizzati in plastica, oltre alle innumerevoli doti economiche-strutturali e di circolarità ambientale, hanno anche il pregio di poter accogliere, non solo colori nella massa fusa durante la produzione dell’elemento, ma possono anche essere verniciati superficialmente per attribuire all’oggetto effetti estetici elevati.La colorazione della massa fusa plastica durante la produzione dell’oggetto, attraverso l’utilizzo dei coloranti, avviene miscelando il granulo o le polveri colorate al polimero del prodotto, usufruendo dell’azione di fusione e di miscelazione che imprime l’estrusore dentro il quale passano i componenti. Al termine della produzione da parte della macchina il pezzo sarà uniformemente colorato in massa, risultato per cui il prodotto potrebbe essere idoneo all’impiego finale oppure potrebbe essere avviato all’impianto di verniciatura per finiture particolari. E’ possibile inoltre che i pezzi che devono essere avviati alla verniciatura vengano prodotti senza alcuna colorazione nella massa. Detto questo, gli strati di verniciatura sulle materie plastiche, devono tenere in considerazione la struttura su cui aderiscono e la caratteristica del polimero con cui l’oggetto viene fatto. Infatti, la durezza, il comportamento all’allungamento e la temperatura degli strati di vernice da stendere sul prodotto, devono tenere in considerazione una possibile reazione fisico-chimica della plastica di cui è composto. Un comportamento dinamico troppo rigido di uno strato di vernice applicato ad un oggetto di plastica potrebbe influenzare negativamente la durabilità dell’elemento, come il contatto con temperature e solventi che necessitano per il lavoro di stesura del colore. Alcune tonalità applicate alle materie plastiche hanno un effetto positivo sul rischio di decomposizione fotochimica, come per esempio il colore nero, che influisce positivamente sulla protezione dai raggi UV agendo come un filtro. Le vernici possono inglobare dei composti chimici che operano in modo mirato nella produzione di alcuni elementi, come per esempio le vernici conduttive resistenti all’abrasione, impiegate nei serbatoi della benzina, oppure caricate con Ag, Ni o Cu per realizzare la schermatura ad alta frequenza di apparecchiature elettroniche. Esistono inoltre vernici trasparenti che aumentano la resistenza alla graffiatura per il Policarbonato e per il PMMA, come le acriliche, silossaniche o poliuretaniche, applicate a spruzzo o ad immersione. Nelle colorazioni delle materie plastiche si possono impiegare anche le polveri, specialmente per i polimeri PA6 e PA66, che ricevono la colorazione attraverso un processo che permette di rendere il polimero conduttore, attraverso il metallo o delle microsfere di ceramica, specialmente nel settore sanitario.Categoria: notizie - tecnica - plastica - verniciatura - colorazione - produzione

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