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https://www.rmix.it/ - Nuove Sfide nel Campo del Biogas: Patrizia Rileva Biomet
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Nuove Sfide nel Campo del Biogas: Patrizia Rileva Biomet
Ambiente

Il gruppo tedesco con sede ad Augsburg ha investito 75 milioni di euro in Biometdi Marco ArezioAlla luce delle crisi energetiche che si sono manifestate attraverso l’innalzamento esponenziale del prezzo del gas e nella riduzione delle forniture da parte della Russia, in Europa si segnalano movimenti industriali finalizzati ad una maggiore autonomia energetica. Per questo, il biogas è al centro dell’interesse delle società Europee, che stanno lavorando per creare le giuste aggregazioni così da incrementare la produzione e l’autonomia dalle forniture dalle aree critiche. Nonostante la materia prima da rifiuto è, ed è stata sempre presente in tutti i paesi Europei, forse per comodità, per abitudine o per questioni economiche, la produzione di biogas è sempre restata abbastanza marginale. Oggi, a seguito delle crisi ambientali conclamate e non solo annunciate, per la mancanza di gas e per i costi proibitivi, si cerca di valorizzare il rifiuto per la produzione di energia. Come ci racconta Elena dal Maso, attraverso l’articolo pubblicato su Milano Finanza, il gruppo tedesco Patrizia, quotato sul Dax, ha rilevato l'80% di Biomet Spa. L'Italia è il secondo mercato di biogas nell'Ue dopo la Germania con 2 miliardi di metri cubi prodotti fino ad oggi. Intanto che il gas ad Amsterdam sta volando anche oggi a 124,5 euro a causa dei blocchi della Russia (+5,7% a 124,5 euro il megawatt ora), Patrizia Infrastructure, società tedesca di investimenti quotata al Dax di Francoforte, ha rilevato la quota di maggioranza di Biomet Spa per creare il primo polo europeo nella produzione di biometano di tipo Gnl. Il gruppo tedesco con sede ad Augsburg ha investito 75 milioni di euro in Biomet acquisendo il controllo dall'imprenditore Walter Lagorio e da Ankorgaz, il veicolo dell'amministratore delegato e fondatore di Biomet, Antonio Barani. Quest'ultimo rimane azionista di minoranza con il 20%. Il titolo intanto sale dell'1,13% a 10,76 euro a Francoforte per oltre 1 miliardo di capitalizzazione. L'acquisizione ha come scopo creare il maggiore impianto d'Europa per la produzione di biometano Gnl. Patrizia gestisce circa 55 miliardi di euro di asset e impiega oltre 1.000 professionisti in 27 sedi in tutto il mondo. L'operazione in Italia è stata pensata per dar vita al maggiore impianto d'Europa per la produzione di biometano Gnl da rifiuti naturali e sarà il primo impianto italiano direttamente collegato alla rete nazionale del gas di trasporto di Snam, con una stazione di rifornimento in loco. Patrizia Infrastructure ha investito in Biomet in una fase avanzata di costruzione, con l'impianto di liquefazione del gas che dovrebbe essere operativo entro l'estate 2022, l'impianto di biogas entro dicembre e i quattro impianti di upgrading del biometano entro il 2024. La produzione di biometano può essere triplicata a 26.400 tonnellate l'anno L'impianto di biometano di Biomet ha attualmente una capacità di 40.000 tonnellate di rifiuti organici ogni anno. L'impianto di liquefazione ha una capacità di 8.800 tonnellate di bio-Gnl all'anno, con il potenziale per aumentare la produzione a 26.400 tonnellate, quasi tre volte tanto. Matteo Andreoletti, Head of Infrastructure Equity, Europe and North America di Patrizia, ha ha spiegato che "Biomet svolgerà un ruolo cruciale nel contribuire alla decarbonizzazione dei trasporti in Italia". Il biogas gioca una partita importante "nella transizione energetica e nel sostenere le comunità agricole locali". Patrizia continua a vedere in Italia "eccellenti opportunità di investimento nei settori associati alla transizione verso un sistema energetico più pulito, all'interno di infrastrutture di fascia media", aggiunge Andreoletti.Il biogas e il bio-Gnl contribuiscono "in modo significativo agli obiettivi politici dell'Ue per ridurre i consumi di energia primaria e le emissioni di anidride carbonica", ricorda il manager.I costi fissi di produzione del biogas rendono il bio-GNnl da rifiuti "un'alternativa competitiva e a emissioni zero rispetto al Gnl convenzionale, soprattutto per il settore dei trasporti", riprende Andreoletti. Il governo italiano ha riconosciuto l'importanza della produzione di bio-Gnl "con un solido schema di incentivi con un impegno a lungo termine per sostenere lo sviluppo duraturo di questa tecnologia", sottolinea il manager.

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https://www.rmix.it/ - Come Capire il Carattere di un Manager Attraverso l’Osservazione dei suoi Collaboratori
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come Capire il Carattere di un Manager Attraverso l’Osservazione dei suoi Collaboratori
Management

I lavoratori che sono selezionati dal manager danno interessanti spunti per fare un quadro della sua personalitàdi Marco ArezioCi sono aziende in cui la selezione dei collaboratori non è affidata ad un ufficio del personale, o scelti direttamente dal proprietario, ma spesso sono selezionati e scelti direttamente dai managers di area. Un direttore commerciale può selezionare i venditori, i collaboratori del back office, del settore post vendita e a volte dei responsabili marketing. Un direttore amministrativo potrebbe scegliere i componenti dell’ufficio contabilità, di quello delle paghe, del settore di controllo ecc.. Dove troviamo delle figure apicali, che potrebbero coinvolgere anche il direttore generale che hanno la responsabilità dell’azienda per conto del proprietario o dei proprietari, è interessante analizzare i collaboratori per capire come sono, caratterialmente il propri superiori. I managers possono essere competenti e determinati, ma possono avere due tipologie di carattere: • sicuro di sé stesso • insicuro di sé stesso Vi chiederete come possa essere importante il carattere personale di un manager se sono riscontrate e avvalorate la loro capacità e determinazione nell’affrontare il lavoro. Il carattere conta molto, invece, in quanto i requisiti che un manager sceglie durante le selezioni dei propri collaboratori, a parità di lavoro, sono decisamente diverse e, nello stesso verso, conoscendo i caratteri dei dipendenti scelti dal manager, è abbastanza facile farsi un quadro della sua personalità. Il manager sicuro di sé cerca delle figure capaci di reggere lo stress del lavoro, che abbiano un carattere forte, che accettino lo scontro di opinioni, che siano propositivi nei cambiamenti, leali con gli altri collaboratori, non accettino scorciatoie, che sappiano dire quando sbagliano e riconoscere anche i successi degli altri. Il collaboratore deve sapere fare squadra, non ha bisogno dell’approvazione degli altri e nemmeno del proprio superiore e ha un rapporto aperto ma corretto. Il manager sicuro darà ampie deleghe nelle attività, senza la paura che qualcuno lo possa scavalcare, farà lavorare al meglio la squadra e darà loro le giuste soddisfazioni, mettendosi a volte anche in ombra. Il manager insicuro di sé seleziona i propri collaboratori che abbiano una passione per il lavoro, diretto da altri, capaci ma non intraprendenti, che abbiano idee ma non il carattere di farle valere in un gruppo aperto, che siano psicologicamente un po' manipolabili in modo da creare un rapporto di sudditanza e di necessità verso il capo. Il manager insicuro non selezionerà figure che possono metterlo in ombra con i suoi superiori, che possano avere delle idee vincenti prima di lui, che possano fare squadra con gli altri lavoratori, ma tenderà a verticalizzare la piramide del suo potere per gestire e controllare ogni posizione a sé. Non delegherà molto e cercherà di ridurre le autonomie lavorative per paura di essere un giorno scavalcato, tenderà a mettere in competizione personale i collaboratori, gestirà divisioni e litigi, dissapori e vendette. Considererà ogni sforzo che le fazioni del gruppo spenderanno per contendersi la visibilità verso il manager come una forma di controllo indiretto e non si preoccuperà delle tante energie perse. Le aziende che selezioneranno, a loro volta questi managers, devono, per il bene dell'impresa, cercare di capire il loro carattere perché, la sicurezza o l’insicurezza di sé, crea dei reparti aziendali con performaces nel tempo molto diverse.

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https://www.rmix.it/ - Elettricità Statica dei Polimeri: Dove si Forma e Come Prevenirla
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Elettricità Statica dei Polimeri: Dove si Forma e Come Prevenirla
Informazioni Tecniche

Nella lavorazione dei polimeri riciclati ci siamo spesso imbattuti nel problema della formazione dell’elettricità staticadi Marco ArezioLa formazione di questa carica, durante le fasi di riciclo dei polimeri plastici, può causare un cattivo funzionamento della miscelazione tra la materia prima e gli additivi o coloranti, oppure un pericolo per i lavoratori che si avvicinano ai miscelatori, tramogge, nastri trasportatori ed essiccatori. Il movimento del polimero, in condizioni ambientali in cui vi sia una bassa percentuale di umidità, uno scorrimento e contatto dei granuli tra loro e lungo le pareti delle macchine che li contengono, possono generare elettricità statica, di intensità diversa in base al percorso che il polimero ha condotto e alle ambientali condizioni esterne. La presenza di cariche statiche può portare ad una miscelazione dei componenti anomala, infatti può succedere che si verifichino delle separazioni tra i granuli di polimero e quelli colorati, questo a causa della diversa carica elettrostatica che assorbono. Questa separazione indotta potrebbe aumentare la presenza dei granuli, che assorbono la stessa carica, verso le pareti delle tramogge o dei tubi di alimentazione o delle bocche di scarico. Il fenomeno si accentua quando abbiamo un granulo correttamente essiccato o la presenza di un’umidità dell’aria contenuta, infatti, con una maggiore umidità, l'acqua, che è polare, dissipa la carica. Un classico esempio nella nostra vista lo puoi vedere in casa, quando generi elettricità statica camminando su un tappeto in presenza di una bassa umidità dell’aria. Gli umidificatori aggiungono acqua all'aria e riducono al minimo l'accumulo di elettricità statica. La soluzione del problema vede due fattori concomitanti: • Assicurarsi che le macchine che trasportano, lavorano ed essiccano il polimero abbiano un corretto impianto di dispersione delle cariche elettriche.• Per quanto riguarda il polimero in produzione è consigliabile utilizzare un additivo antistatico, che ha la funzione di interrompere l’accumulo di elettro-staticità tra i diversi granuli, permettendo un trasporto e una miscelazione senza problemi. Sul mercato sono presenti numerosi additivi che risolvono il problema in modo facile, economico ed efficiente, senza influenzare le proprietà dei polimeri. Ad per esempio il Polietilenglicole 400 da miscelare in quantità molto ridotta (0,010%), ha un costo economico e una resa soddisfacente. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - elettricità statica - produzione - polimeri

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https://www.rmix.it/ - Slow Life: Avevamo Tutto e non lo Sapevamo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Slow Life: Avevamo Tutto e non lo Sapevamo
Slow Life

di Marco ArezioCi sono termini molto attuali come slow food, slow trekking, slow life, slow job, brunch, time life, che vogliono far rivivere ad un movimento di persone, una vita più lenta, un atterraggio più morbido alle giornate, un marginalizzare i rapporti con i social per rivivere quelli veri, tra le persone, i famigliari, gli amici, gli amori e chiunque sia disposto ad ascoltarti.Sembra che le persone stiano riscoprendo i contatti reali, a discapito di quelli immateriali attraverso gli smartphone, di confrontarsi, di ridere, di commuoversi, di raccontare le proprie esperienze guardando l’interlocutore negli occhi per cogliere le sue emozioni, darsi nuovi appuntamenti e coltivare nuove amicizie e relazioni. In sostanza si cerca un’empatia perduta, uno scambio di sensi, ammiccamenti, sorrisi, commozione e voglia di costruire una rete di relazioni vera, presente e conosciuta. Ma chi ha qualche anno in più sa che tutto questo c’era già, era il modo di vita comune, dove nessuno si nascondeva dietro un profilo social, non poteva essere molto diverso da quello che era e forse, ci si prendeva un po' meno sul serio. Ricordo che c’era la vacanza estiva che durava dai due ai tre mesi. Aveva un nome obsoleto ed in disuso, "la villeggiatura". Tanti partivano addirittura ad inizio giugno od ai primi di luglio e tornavano a metà settembre. L' autostrada era una fila di Fiat 850, 600, 1100, 127, 500 e 128, Maggiolini e Prinz. Non era guardato affatto chi aveva la Bmw la Mercedes o l'Audi, perché gli status symbol allora non esistevano. Era tutto più semplice e più vero. La vacanza durava talmente tanto che avevi la nostalgia di tornare a scuola e di rivedere gli amici del tuo quartiere, ed al ritorno non ricordavi quasi più dove abitavi. La mattina in spiaggia la 50 lire per sentire le canzoni dell'estate nel juke box o per comprare coca cola e pallone. Il venerdì chiudevano gli uffici e tutti i papà partivano e venivano per stare nel fine settimana con le famiglie. Si mandavano le cartoline che arrivavano ad ottobre ma era un modo per augurare "Buone vacanze da..." ad amici e parenti. Malgrado i 90 giorni ed oltre di ferie, l'Italia era la terza potenza mondiale, le persone erano piene di valori e il mare era pulito. Si era felici, si giocava tutti insieme, eravamo tutti uguali e dove mangiavano in quattro mangiavano anche in cinque, sei o più. Nessuno aveva da studiare per l'estate e l'unico problema di noi ragazzi era non bucare il pallone, non rompere la bicicletta e le ginocchia giocando a pallone altrimenti quando rientravi a casa ti prendevi pure il resto. Il tempo era bello fino al 15 di Agosto, il 16 arrivava il primo temporale e la sera ci voleva il maglioncino perchè era più fresco. Intanto arrivava settembre, tornava la normalità. Si ritornava a scuola, la vita riprendeva, l'Italia cresceva e il primo tema a scuola era sempre. "Parla delle tue vacanze". Oggi è tutto cambiato, diverso. La vacanza dura talmente poco che quando torni non sai manco se sei partito o te lo sei sognato. E se non vai ai Caraibi a Sharm o ad Ibiza sei uno stronzo. O magari hai tante cose da fare che forse è meglio se non parti proprio, ti stressi di meno.Una risposta certa è che allora eravamo tutti più semplici, meno viziati e tutti molto più felici, noi ragazzi e pure gli adulti. La società era migliore, esisteva l’amore, la famiglia, il rispetto e la solidarietà. Fortunati noi che abbiamo vissuto così. La vita era quella vera insomma. Categoria: Slow life - vita lenta - felicità-- Autore sconosciuto

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https://www.rmix.it/ - Dall’Alpinismo di Conquista all’Arrampicata Rispettosa della Montagna
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Dall’Alpinismo di Conquista all’Arrampicata Rispettosa della Montagna
Ambiente

Evoluzione storica dei mezzi di scalata delle pareti e del rapporto con l’impresa tecnicadi Marco ArezioDalla fine del 1800 quando i primi pionieri, non ancora definiti alpinisti, si avventuravano sulle montagne nel tentativo di raggiungere le vette, esisteva più una spinta conoscitiva dell’ambiente montano che sportiva. Ci salivano geologi desiderosi di studiare aree poco conosciute, militari con lo scopo di aggiornare il più possibile le carte geografiche e vi salivano, intrepidi signori, che avevano i soldi per farsi accompagnare da guide locali. Il movimento alpinista possiamo dire sia nato dopo la seconda guerra mondiale, quando iniziarono le scalate degli ottomila himalayani, intesi come terra di conquista nazionale, con una corsa a chi prima raggiungeva la vetta. Gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso trascorsero vivendo un alpinismo “militare”, dove le spedizioni erano rigidamente organizzate come assalti alle vette meticolosamente preparate, con un esercito di alpinisti, portatori, cuochi, giornalisti, dirigenti e uomini di collegamento. Nulla era lasciato al caso in quanto erano li solo per conquistare la vetta, a tutti i costi e con qualunque mezzo a disposizione. La montagna era un oggetto da prendere, mezzo con cui darsi gloria e pillola per accrescere l’autostima di un paese e di un popolo. Si usava l’ossigeno per salire in quota, corde fisse che venivano abbandonate sul posto, si attrezzavano campi avanzati con tende, fornelli, bombole del gas e dell’ossigeno che venivano lasciate sulla montagna, come fosse una pattumiera a cielo aperto. Conquistati tutti gli 8000, gli alpinisti più giovani, già alla fine degli anni ’60 si sono chiesti se non esisteva una nuova forma di rapporto con la montagna, un modo diverso e più rispettoso di approcciarsi all’ambiente alpino. I nuovi alpinisti iniziarono a risalire le pareti smettendo di pensare che l’uomo si doveva muovere con uno spirito di conquista a tutti i costi, ma doveva inserirsi nell’ambiente, creare una simbiosi con la montagna, essere leali nel gesto atletico che permetteva di scalarla. Iniziarono a contestare le salite fatte riempiendo la roccia di chiodi a pressione, inseriti con martelli pneumatici, che davano la possibilità di superare le difficoltà che opponevano le pareti, creando una sorta di scala aerea. Abbandonarono l’uso dei chiodi, mezzi visti come elemento di aiuto per facilitare le scalate, iniziando ad utilizzare dei mezzi di protezione che non sarebbero rimasti in pareti dopo la scalata, ma recuperati dal compagno di cordata, così da non lasciare traccia del passaggio. Infatti, nel 1967, l’alpinista Americano Royal Robbins vede in Inghilterra i primi prototipi di sistemi di sicurezza da inserire nelle fessure della roccia, senza che questa si rovini o si distrugga, come l’inserimento di un chiodo. Porta così in America questa novità e nel giro di qualche anno uno scalatore dello Yosemite, Yvon Chouinard, inizia la produzione di questi sistemi di sicurezza sostenibili. Si tratta di dadi, rondelle mobili, esagoni cavi, cunei, tutti in metallo e di diverse forme e grandezze chiamati nuts e friends, che vengono inserite nelle fessure naturali della riccia e recuperate dal compagno di cordata. Una rivoluzione che ha battezzato l’inizio dell’arrampicata pulita ed ecocompatibile, a cui gli scalatori tradizionali che usavano mezzi di sicurezza invasiva, guardavano con sospetto e autosufficienza. Il nuovo approccio all’arrampicata delle pareti rocciose dilagò a macchia d’olio nel mondo, marginalizzando in un paio di decenni, l’alpinismo tradizionale. Assodato che l’approccio alla montagna dovesse essere sostenibile e non invasivo, le nuove generazioni si misurarono, negli anni a avvenire, con il superamento di pareti sempre più difficili, utilizzando quello che venne definita “arrampicata libera” che si basava solo sulla forza, sull’abilita e sul coraggio dell’alpinista. Le pareti che un tempo erano state salite con chiodi e scalette, vennero percorse solo attraverso gesti atletici perfetti. Nel nuovo millennio, quando si esaurì la spinta di ripetere le pareti tecnicamente più complicate attraverso l’arrampicata libera, nacque una nuova forma di arrampicata, estrema sicuramente, che si caratterizzava nelle ripetizioni di queste vie molto difficili, senza corda e sistemi di sicurezza. Un alpinismo pericoloso, per pochi eletti, dove l’uomo è nudo nei confronti della montagna, senza protezioni di sicurezza, senza possibilità di scendere dalla parete velocemente, senza la possibilità di sbagliare. Questa disciplina è vista, da una parte dall’ambiente, come la consacrazione delle qualità tecniche di un atleta, ma dall’altra parte come un’attività suicida, dove un piccolo errore può mettere in gioco la vita. I leader di questa disciplina è l’americano Alexander Honnold che ha salito in free solo, nel 3 giugno 2017 la via Freerider a El Capitan, di 884 mt. con difficoltà di 5.12d VI in 3 ore e 56 minuti. Foto Nat Geo

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https://www.rmix.it/ - I Crediti di Carbonio Africani Aiutano a Ridurre la CO2
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I Crediti di Carbonio Africani Aiutano a Ridurre la CO2
Ambiente

Il principio di negoziazione dei crediti di carbonio contribuisce al miglioramento del pianetadi Marco ArezioNella stesura del protocollo di Kyoto nel dicembre del 1997, entrato poi in vigore il 16 Febbraio del 2005, relativo alle misure urgenti da prendere e agli strumenti che le aziende potevano utilizzare per ridurre o compensare l’emissione di CO2 in atmosfera, si sono citati i famosi crediti di carbonio. Questi sono dei certificati ambientali negoziabili tra le società che, a fronte di un investimento certificato sulla riduzione delle emissioni di carbonio, possono compensare le emissioni inderogabili e incomprimibili. Una sorta di ricompensa economica all’emissione di CO2 necessaria per una certa produzione industriale, che verrà compensata attraverso progetti che mirano ad immagazzinare il gas serra prodotto. Un certificato corrisponde a 1 tonnellata di CO2 non emessa in atmosfera e può essere negoziato attraverso attività che riguardano: • Forestazione e la silvicoltura • Acqua potabile • Gestione sostenibile dei rifiuti • Agricoltura smart • Riscaldamento ed illuminazione green • Energie rinnovabili Tra queste attività, il Gabon è in prima fila per progetti di gestione e conservazione di circa 600.000 ettari di foreste certificate che, oltre produzione di legname per le attività industriali e del settore edilizio internazionale, investe, con aziende estere nella cura della foresta per cedere i certificati di credito di carbonio. Da una parte lo sfruttamento consapevole ed equilibrato della foresta dà vita ad attività locali nella lavorazione del legno, permettendo alla popolazione di trovare lavoro e stabilità, creando per il paese un benessere indiretto da queste attività. Dall’altro lato, l’investimento economico delle società industriali che producono CO2, permettono al Gabon di riforestare le aree tagliate dall’attività delle segherie, creando un equilibrio tra produzione e natura a beneficio della popolazione e dello stato. Chi investe in progetti di riforestazione e tutela del territorio ha il vantaggio di ricevere i certificati di credito di carbonio, che consentono un ribilanciamento delle emissioni di CO2 per arrivare alla totale compensazione tra tonnellate immesse e compensate. Questo sistema dimostra, in maniera inequivocabile, che il processo di miglioramento, sia dell’ambiente che delle condizioni socio-economiche delle popolazioni dei paesi più poveri, non dipende sempre dalla delocalizzazione delle industrie dei paesi più avanzati, né nello sfruttamento intensivo delle risorse naturali dei paesi in via di sviluppo, che danno poco e mal pagato lavoro. E’ proprio la conservazione e l’investimento sull’ambiente che crea un equilibrio naturale al mondo, la riduzione delle emigrazioni e l’alzamento del tenore di vita dei cittadini.

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https://www.rmix.it/ - Plogging: uno Sport Etico, Socialmente Utile e Rieducante
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Plogging: uno Sport Etico, Socialmente Utile e Rieducante
Ambiente

Come stare in forma e continuare a essere utili all’ambientedi Marco ArezioIl contatto con la natura è una forma di riappacificazione con sé stessi, un calmante per la mente e una medicina per il nostro corpo. Che tu sia amante della corsa nei boschi o in campagna o nei parchi, o che ti piaccia camminare lentamente con gli amici o la tua famiglia in montagna o nei sentieri di pianura, sulle spiagge o in altri ambiti naturali, quello che conta è vivere in simbiosi con la natura. Che faccia freddo, o caldo, che piova o ci sia il sole, che sia giorno o sera, ogni momento delle stagioni e delle giornate possono regalare momenti indimenticabili al tuo tempo. Colori, profumi, luci, ombre, fiori, animali, rocce, panorami, borghi, tutto ti ricorderà, anche a distanza di molto tempo, i momenti piacevoli che hai vissuto da solo, come esperienza intima, o in compagnia di altre persone. Purtroppo da sempre la natura è usata, violentata, disprezzata per ignoranza, soldi, aridità d’animo e menefreghismo da una parte della popolazione, che la usa distruggendo, giorno dopo giorno, l’ambiente. Siamo passati però, da un lungo periodo di apatia verso il problema, a un risveglio progressivo, dove le persone si sono decise a fare qualche cosa per invertire questo pericoloso declino. Abbiamo incominciato a vedere gruppi di giovani che, muniti di sacchi della spazzatura e guanti, camminavano sulle spiagge per raccogliere i rifiuti che il pare portava a riva. Abbiamo visto amici che si ritrovavano nei parchi cittadini, in modo autonomo, per una giornata di pulizia degli spazi verdi, da rifiuti, siringhe e oggetti abbandonati. Abbiamo visto famiglie, singoli o gruppi di persone che percorrono i sentieri di montagna, di campagna, di collina, con un sacchetto attaccato allo zaino, per raccogliere, senza alcun programma prestabilito o obbligo, i rifiuti che altri lasciano in giro. Il senso dell’ambiente, del vivere civile e dell’ecologia traspare da queste iniziative private, individuali o collettive, dove si pulisce un luogo senza che nessuno ce lo chieda, per noi stessi e anche per chi sporca, a danno suo e di tutti. In un periodo di neologismi questa attività fisico-ambientale ha preso il nome di Plogging, definizione con cui si individua uno sport all’aria aperta, correre o camminare, con lo scopo aggiunto di raccogliere i rifiuti abbandonati. Il Plogging può diventare anche una rieducazione sociale, un’espiazione di una pena inflitta per l’abbandono di rifiuti, reato vero e perseguibile, che molti forse non sanno che esista. Dalle cicche di sigaretta buttate per terra, alle bottiglie dell’acqua ai resti del cartone della pizza o alle lattine di bibite lasciate ai piedi delle panchine, sono tutti reati che costituiscono un danno alla comunità. Il Plogging potrebbe essere la pena giusta per queste persone, che potranno per alcuni giorni, camminare per i sentieri, le vie delle citta, i parchi pubblici, le spiagge raccogliendo i rifiuti che, gente come loro, hanno lasciato in giro. Credo possa essere educativo, costruttivo e democratico impegnare delle giornate a riparare gli errori che si commettono, perché l’ambiente non è una cosa tua ma è un bene di tutti e, quindi, ci vuole rispetto.

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https://www.rmix.it/ - La 24 Ore di Le Mans Iscriverà solo Auto con Carburante Rinnovabile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La 24 Ore di Le Mans Iscriverà solo Auto con Carburante Rinnovabile
Ambiente

Vediamo come, nella più iconica delle competizioni d'auto, la 24 Ore di Le Mans, si useranno solo biocarburantidi Marco ArezioLa gara automobilistica che si svolge ogni anno, nel mese di Giugno, presso il circuito di Le Mans in Francia è nata nel 1923 e, non c’è dubbio, ha fatto la storia delle competizioni sportive delle auto. Attraverso le competizioni, l’industria automobilistica si metteva in luce verso i propri clienti, utilizzando le corse come veicolo pubblicitario per i propri modelli di serie. Ricordiamo nomi eccellenti dell’industria dell’auto come la Ferrari, l’Alfa Romeo, la Bugatti, la Ford, la Bentley, la Jaguar, la Mercedes e molte altre marche, e più recenti, che hanno calcato il prestigioso circuito. Alcuni piloti sono diventati oramai leggenda, come Tazio Nuvolari, Luigi Chinetti, Phil Hill, Olivier Gendebien, Ludovico Scarfiotti, Lorenzo Bandini, Bruce McLaren, Chris Amon, Jacky Ickx, Henri Pescarolo, Gérard Larrousse, Jean-Pierre Jaussaud, Didier Pironi, Michele Alboreto, Stefan Johansson, Tom Kristensen e molti altri che si sono sfidati a velocità folli per far vincere il proprio team. La gara ha visto anche delle enormi tragedie, come l’incidente avvenuto nel 1955 quando una Mercedes, volò letteralmente oltre la pista, atterrando tra la folla che seguiva la gara. Ci furono 83 morti e 120 feriti. Ma la competizione di Le Mans è sempre stata vista come la battaglia tecnologica tra le case costruttrici che, attraverso le gare, volevano sottolineare la capacità industriale e la maestria nel produrre modelli vincenti, veloci e carismatici. I clienti di auto si identificavano, come nel calcio, con il proprio marchio preferito, supportandone le gesta e, i fortunati che potevano permettersi macchine così prestigiose, ne facevano uno status symbol. L’intreccio tra industria e sport è durato per molto tempo, nonostante da un po' di anni le case automobilistiche sono viste come produttori di mezzi inquinanti e, quindi, si è allentato quel forte sodalizio passionale che c’era prima con le auto. In realtà oggi si vuole cercare di conservare quella passione per il motore endotermico, che ha sempre affascinato il pubblico, cerando carburanti che siano pienamente rispettosi dell’ambiente e non di derivazione petrolifera. Infatti, secondo le informazioni di Total, si è realizzato un biocarburante composto da residui delle lavorazioni agricole, come le vinacce e le fecce, chiamato Excellium Racing 100, che è stato approvato dalla FIA come carburante adatto alle competizioni. Soddisfa inoltre le direttive delle case automobilistiche per quanto riguarda i motori, dei piloti per la guidabilità e dell’ente europeo sulle energie rinnovabili (RED). Tutte le 60 auto che correranno la gara di Le Mans nel 2022 saranno rifornite questo carburante ecologico, dimostrazione che passione e ambiente sono conciliabili, se si vuole.

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https://www.rmix.it/ - Abraham Gottlob Werner: Classifica la Grafite Aprendo la Strada al Grafene
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Abraham Gottlob Werner: Classifica la Grafite Aprendo la Strada al Grafene
Informazioni Tecniche

La lunga storia che parte dalla grafite ed arriva al moderno grafenedi Marco ArezioAbraham Gottlob Werner nasce a Wehrau, in Prussia, l’attuale Polonia, il 15 Settembre 1749 in una famiglia che era occupata nell’industria mineraria, infatti il padre lavorava in una fonderia dello stesso paese. Werner durante gli studi seguì le orme famigliari e si iscrisse all’Accademia Mineraria di Freiberg, per poi ottenere una specializzazione presso l’università di Lipsia in Paleontologia nel 1771. Il suo interesse verso le rocce si manifestò precocemente tanto che nel 1774 pubblicò un manuale descrittivo di mineralogia, che fu considerato il primo manuale moderno in materia. Nel 1775 fu nominato ispettore e docente di Mineralogia Technische Universität Bergakademie Freiberg, divenendo in seguito membro di alcune istituzioni scientifiche Europee. Il suo interesse verso la grafite fu subito spiccato e ne studiò la formazione, la nascita e la conservazione dei depositi in Europa. Scoprì che la grafite era costituita da resti vegetali e carbonio che, per via della pressione dei sedimenti (minore di quella che dà origine ai diamanti) e della temperatura tra i 1500 e i 3000 gradi centigradi, diventavano, dopo un lungo processo, grafite.Oggi sappiamo che i depositi principali di grafite si trovano nel Madagascar, in Russia, nello Sri Lanka, in Messico e, in forma minore in Slovacchia e USA. Werner, fu nella vita accompagnato sempre da una salute cagionevole e morì a Dresda il 30 Giugno del 1817.La grafite viene utilizzata per produrre matite, come materiale refrattario, come lubrificante, come colorante, nelle spazzole per macchine elettriche rotanti, in molte applicazioni elettriche e nel settore dell’energia atomica. La manipolazione della grafite ha recentemente portato a scoprire l’uso del grafene, che è costituito da fogli bidimensionali di grafite, intuendone le numerose doti racchiuse in questo prodotto. Il grafene non è solo un materiale completamente trasparente alla luce (97,7%), ma anche il materiale più sottile al mondo che conosciamo e, nonostante la sua sottigliezza, può essere stirato fino al 20% della sua lunghezza, mantenendo un carico di rottura teorico di 130 GPa. Secondo i suoi scopritori, vincitori del premio Nobel nel 2010, un singolo foglio di grafene (quindi un foglio alto 1 atomo) largo 1 metro quadro sarebbe capace di sostenere il peso di un gatto di 4 kg, pesare 0,7 mg ed essere virtualmente invisibile. Un altro aspetto interessante è che il grafene è capace di immagazzinare idrogeno: se deformato, forma delle "creste", con l'idrogeno che tende ad accumularsi sulle punte di tali creste. Per rilasciare il gas è necessario eliminare la deformazione del grafene, in modo che l'idrogeno sia espulso dalle creste. Tali risultati sono frutto del lungo lavoro messo in atto dall'Adanascelo team nell'isola di Hokkaido, in Giappone. Ma l’impiego sperimentale del grafene si è diffuso in molti settori, dall’edilizia, allo sport, ai sistemi illuminanti, agli impianti di desalinizzazione, con lo scopo di applicare i vantaggi tecnici del prodotto in sostituzione di altri materiali meno performanti. Categoria: notizie - tecnica - grafene - storia

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https://www.rmix.it/ - Plastica: Come Trattare gli Scarti Industriali
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Plastica: Come Trattare gli Scarti Industriali
Economia circolare

Gli scarti industriali della plastica sono uno dei fattori di inquinamento del nostro pianetadi Marco ArezioTutte le aziende di produzione industriale fanno uso di plastica, sia in ricezione che in uscita. La responsabilità della loro gestione e smaltimento diventa quindi una responsabilità sociale per l’impresa, la quale deve trovare delle modalità per smistare e riciclare la plastica. Gli scarti industriali della plastica Tutta la strategia mondiale, comunque, anche a livello normativo, poggia sull’obbligo di gestione ottimale dei rifiuti plastici industriali al fine di evitare un impatto ambientale rilevante. La sfida quotidiana è diventata quindi il riuso della plastica riciclata, sotto forma di altri oggetti utili per i vari settori di destinazione. In questo processo industriale entrano di diritto tutti quegli impianti per il riciclo della plastica che ne permettano la scomposizione e la riduzione a materia riutilizzabile. Questi macchinari di ultima generazione permettono, fra l’altro, di rimuovere le sostanze pericolose della plastica, lasciando un prodotto finale riutilizzabile in ottica di economia circolare. In particolare i macchinari permettono di coprire tutta la filiera del riciclo della plastica fino ad ottenere un prodotto da poter reimpiegare per il suo riciclo verso una “nuova vita”. Qui sotto indichiamo nel dettaglio di cosa si tratta. Taglio della plastica Si tratta di macchinari per il taglio della plastica che, grazie alla ridotta potenza permettono di avere bassi consumi energetici e nello stesso tempo assolvono alla funzione di taglio di ogni genere volumi e tipologie. Lavaggio della plastica Nel recupero delle materie plastiche diventa importante effettuare un lavaggio completo che “liberi” la plastica trattata dai contaminanti come la sabbia, gli oli, additivi vari, metalli o quanto altro la renda “spuria”. Queste macchine per il lavaggio della plastica permettono quindi di ottenere la massima pulizia anche nei confronti di materiale dannoso di piccolissime dimensioni. Asciugatura della plastica Il materiale lavato viene poi passato in macchine per l’asciugatura della plastica. Si tratta di macchinari che permettono elevate prestazioni sia per plastiche rigide che per plastiche non rigide e riducono al massimo la quantità di acqua presente nel materiale. Densificazione della plastica Questo processo di lavorazione è uno dei plusvalori per dei sistemi di riciclo integrati. Il densificatore per la plastica è un macchinario pensato appositamente per la trasformazione ed il recupero di materiali plastici non rigidi, provenienti da scarti industriali e post industriali. Estrusione della plastica Il macchinario per l’estrusione della plastica viene molto utilizzato nelle industrie per la granulazione del materiale. Tale processo permette di ottenere dei piccoli “granuli” di plastica tali da essere inseriti all’interno di fusti o silos in maniera semplice. Stoccaggio della plastica Dopo l’estrusione si pone il problema dello stoccaggio della plastica. A riguardo è consigliato un sistema che permette di omogenizzare il materiale e ne favorisce il raffreddamento. Questo macchinario permette lo stoccaggio anche di quantità elevate di plastica. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti - scarti industriali

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https://www.rmix.it/ - Come Viene Formato un Flacone in Plastica Riciclata
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come Viene Formato un Flacone in Plastica Riciclata
Informazioni Tecniche

Estrusione del polimero riciclato, formazione del parison, soffiaggio del flacone e distacco delle materozzedi Marco ArezioI flaconi dei prodotti per la pulizia della casa o per i liquidi industriali, realizzati in plastica riciclata, comprati abitualmente nei negozi, hanno avuto una grandissima diffusione negli ultimi anni, andando a sostituire progressivamente quelli in vetro e in metallo. Sono senza dubbio più leggeri, hanno un costo di produzione più basso e sono facilmente riciclabili con un impatto ambientale inferiore ad altri imballi per liquidi. Un flacone prodotto con la platica riciclata può essere prodotto, usato, riciclato e riusato per un numero elevato di volte con un consistente risparmio di materie prime naturali. Ma ci siamo mai chiesti come viene prodotto un flacone di detersivo in plastica? L’industria del riciclo ha fatto enormi passi avanti creando granuli in HDPE, il polimero principe per i flaconi dei prodotti liquidi per la pulizia della casa, sempre più performanti e puliti, che possono essere impiegati al 100% almeno fino ad un volume di 5 litri di prodotto. Questi polimeri provengono principalmente dal riciclo dei flaconi degli stessi detersivi, attraverso un attento lavoro di selezione del rifiuto raccolto e una serie di operazioni di miglioramento della materia prima seconda, che permette la creazione di un altro flacone dagli spessori di pochi micron. Per poter produrre un falcone in HDPE riciclato, oltre al polimero, dobbiamo disporre di un impianto di estrusione e soffiaggio dell’imballo. Questi impianti sono composti, in modo molto schematico, da un alimentatore in cui si metterà il polimero di HDPE in granuli, un estrusore che avrà il compito di sciogliere il granulo plastico creando un fuso modellabile, un filtro che avrà il compito, specialmente se si utilizza un HDPE riciclato da post consumo, di ridurre al massimo eventuali inquinanti presenti nel polimero ed infine uno stampo in cui avviene la formazione del flacone. Sorvolando sulla prima parte del processo di estrusione, argomento già trattato in un articolo precedente, vediamo cosa succede nel processo di produzione a valle dell’estrusione. L’HDPE fuso dall’estrusore sarà incanalato in un impianto atto alla produzione di una lingua di materiale plastico, detto parison, che costituirà la materia prima per il nostro futuro flacone. Una volta regolata la quantità di materiale che costituisce il parison, le due parti dello stampo si chiuderanno fra loro imprigionandolo. A questo punto verrà insufflata dell’aria all’interno del parison, che gonfierà il materiale sulle pareti dello stampo creando e raffreddando il flacone. La forza con cui viene immessa l’aria non è, generalmente, superiore a 10 Bar, permettendo una corretta formazione del prodotto all’interno dello stampo, ma la durata di soffiatura dipende dalla dimensione volumetrica del flacone da realizzare. Essendo questo processo il più lungo rispetto ai precedenti, è possibile ottimizzare le tempistiche utilizzando, per esempio, il ricambio dell’aria di soffiaggio per permettere una più veloce fase di raffreddamento del prodotto all’interno dello stampo. Come in tutte le operazioni di stampaggio, anche nella produzione dei flaconi è possibile che si creino delle materozze intorno al flacone grezzo, che un tempo venivano tolte a mano. Attualmente le soffiatrici dispongono di appostiti taglienti che, in modo automatico, rifilano le eccedenze di plastica presenti sui flaconi, velocizzando notevolmente il lavoro. Una volta formato il flacone, un nastro trasportatore lo indirizzerà ad un altro impianto di soffiatura automatico che avrà il compito, attraverso l’insufflazione di aria al suo interno, di verificare che non vi siano imperfezioni costruttive, come dei fori, che ne comprometterebbe la tenuta una volta riempiti di prodotto. Superata questa fase di controllo il flacone potrà essere idoneo alla successiva fase di riempimento con i detersivi o gli altri liquidi da commercializzare. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - produzione - soffiaggio - flacone - HDPE

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https://www.rmix.it/ - Remanufacturing: una nuova forma di economia circolare
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Remanufacturing: una nuova forma di economia circolare
Economia circolare

Remanufacturing: prodotti e componenti industriali rigenerati da considerare come nuovidi Marco ArezioIl remanufacturing o rigenerazione, è la somma delle attività volte al recupero, smontaggio, riparazione, sanificazione del bene che, per qualità, prestazioni e durata possa essere paragonato ad un elemento nuovo. La rigenerazione dei componenti o parte di essi, in fase di produzione, permette di contribuire all’economia circolare attraverso l’aumento della durata degli elementi, risparmiando materie prime. L’economia mondiale ha passato diverse fasi di approccio alla produzione, dall’economia lineare dove vigeva il concetto “materie prime-produzione-rifiuto”, all’economia circolare in cui si è adottato un sistema di recupero e trattamento del rifiuto per farlo tornare materia prima. L’industria ha potuto aumentare la produttività lavorando sul costo della materia prima e sul costo del lavoro, attraverso i processi di automazione industriale, nuove tecnologie e tecniche di gestione. In un’ottica di globalizzazione dei mercati, le marginalità su determinate fasce di prodotti possono, con il tempo, ridursi in virtù del raggiungimento da parte dei concorrenti di buone performance di produttività dei materiali e del lavoro. Con l’obbiettivo di trovare nuovi spazi di remunerazione sui prodotti finiti, il concetto di economia circolare, che è ampiamente utilizzato in altri settori produttivi non complessi, è stato considerato come una necessità dalle industrie che realizzano prodotti composti per trovare nuove strade. Ma nell’industria automobilistica, spaziale, militare e in altre fasce produttive in cui il bene finale è realizzato da un insieme di migliaia o decine di migliaia di pezzi, l’applicazione del concetto di economia circolare che si utilizza facilmente, per esempio su un flacone di detersivo da riciclare, era un concetto difficile da gestire. L’industria ha così iniziato a considerare il concetto di remanufactoring, che consiste nel recuperare prodotti durevoli usati, smontarli, ripararli, sanificarli e collaudarli, applicando il processo ad un numero più alto possibile di componenti recuperati da un prodotto complesso, in modo che si possano utilizzare nuovamente nella produzione con la stessa qualità, prestazioni e durata di uno nuovo. Se fino adesso il concetto di economia circolare è stato applicato principalmente su prodotti semplici come carta, plastica, vetro, metalli e legno, raggiungendo percentuali di riciclo incoraggianti, i nuclei complessi di prodotti, come una macchina, non godono dello stesso automatismo di riciclo. Il remanufactoring è un’attività che promette grandi espansioni ed è adatto ad industrie che realizzano prodotti durevoli, ad alta intensità di capitale e con un ciclo di vita abbastanza lungo, quali il settore dell’automotive, spaziale, ferroviario, macchinari, elettronica, elettromedicale, periferiche di pc, mobili, per citarne solo alcuni. La Renault, nello stabilimento di Choisy-leRoi, ricostruisce i motori delle auto e molti accessori ad esso collegati, attraverso una rete di società attive nel recupero dei componenti automobilistici. La più importante tra esse e la società Indra che in Francia gestisce circa 400 demolitori che lavorano circa 100.000 auto all’anno con un tasso di riciclo del 95%. La BMW ha costituito una società specializzata, la Encory, che si occupa di consulenza nell’ambito del remanufactoring. La Bosh ha realizzato un programma chiamato Bosh Exchange, che ha lo scopo di diminuire l’approvvigionamento delle materie prime usate e mettere in commercio una gamma di prodotti riciclati e garantiti. La Knorr Bremse tedesca si occupa della vendita di sistemi frenanti rigenerati. Nel campo aerospaziale la società Airbus riesce a recuperare e riciclare circa il 90% della componentistica dei propri aeromobili. Il settore delle macchine fotografiche e da ufficio vede la Canon impegnata nel recupero dei suoi prodotti usati, rigenerandoli in prodotti di alta qualità, impiegandoli nuovamente in una percentuale vicina all’80%. I vantaggi della filiera possono essere qui riassunti: I produttori In un’ottica di economia circolare richiesta dai clienti, i grandi produttori come Genaral Elettric, Boeing, Caterpillar, Deere, Navistrar, Xerox e lati, hanno creato modelli di business in cui la componente della rigenerazione dei beni è parte integrante della strategia d’impresa. In misura attualmente minore anche il settore automobilistico sta intraprendendo questa strada, spinta probabilmente più da un’esigenza di marketing che da vantaggi di bilancio. I consumatori Il costo di vendita di un bene in cui sono stati utilizzati componenti riciclati, normalmente porta ad un prezzo più basso. Specialmente nella ricambistica auto di modelli fuori produzione permette di poter disporre di ricambi efficienti e collaudati. La stessa cosa può capitare con i componenti delle macchine da ufficio, per esempio per le cartucce ricondizionate. Il consumatore è sempre più attento all’aspetto ambientale causato dalla produzione e dallo smaltimento dei prodotti che acquistano o usano, quindi tendono a selezionare le imprese che seguono i concetti dell’economia circolare per contribuire al benessere dell’ambiente. La società Tra i tre soggetti che stiamo analizzando, quello della società è l’ambito in cui si possono vedere i maggiori benefici adottando le pratiche di remanufactoring. I vantaggi non sono solo valutabili direttamente sul prodotto, attraverso l’analisi della riduzione del consumo di energia per produrlo, ma anche sul risparmio delle materie prime di origine naturale. Il minor consumo di energia corrisponde direttamente a minori emissioni in atmosfera con un impatto sulla salute di tutti i cittadini. Per quanto riguarda le materie prime utilizzate per la produzione, la partenza del processo di realizzazione di un bene da un pezzo ricondizionato invece che dalla materia prima, permette un alleggerimento della pressione dei rifiuti prodotti e un miglioramento delle condizioni ambientali generali. Un altro aspetto importante da considerare è che le attività di remanufactoring non posso essere altamente robotizzate e, quindi, è richiesta una mano d’opera specializzata all’interno dei processi. Questo comporta, in un periodo in cui l’avvento dell’intelligenza artificiale sta diminuendo i posti di lavoro, di permettere il rientro in fabbrica o l’assunzione di figure ad alta manualità.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti - remanufacturing - automotive

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https://www.rmix.it/ - I Danni della Pesca a Strascico: Quali sono le Cause e le Conseguenze?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I Danni della Pesca a Strascico: Quali sono le Cause e le Conseguenze?
Ambiente

La pesca a strascico è un killer per la flora e la fauna dei nostri maridi Marco ArezioI problemi del mare e degli oceani non sono solo le isole galleggianti di rifiuti plastici che si decompongono in microplastiche, entrando nella nostra catena alimentare. Ci sono altri sistemi di distruzione sistematica dell’habitat dei pesci e delle piante acquatiche, con la produzione di quantità impressionanti di CO2 che si riversano in atmosfera. E’ la pesca a strascico, che è una delle più catastrofiche invenzioni dell’uomo per distruggere i mari e gli oceani, colpendo i fondali, le tane dei pesci, favorendo la pesca indiscriminata di specie protette o non commestibili e il rilascio in atmosfera di tonnellate di CO2, che in parte viene anche mischiata nell’acqua creando acidità dei mari. E’ noto infatti che i mari e gli oceani assorbono un terzo dei gas serra immessi in atmosfera, facendo depositare il carbonio nei sedimenti marini, che sono degli enormi stoccaggi per la terra. Stiamo parlando di circa un miliardo di tonnellate di CO2 annue, una quantità paragonabile alla somma delle emissioni del traffico aereo mondiale, che la pesca a strascico rimuove dai fondali, facendoli riemergere a danno per la nostra salute. Ma come avviene questo tipo di pesca? La pesca a strascico comporta la stesura di una rete a sacco molto grande, trainata da due pescherecci, con una parte della rete piombata in modo che possa lavorare sul fondo. Lo spostamento di trascinamento simultaneo, comporta un movimento a strascico che causa l’estirpazione di tutto ciò che incontra, distruggendo in modo indiscriminato i fondali e raccogliendo qualsiasi cosa. Nella rete rimangono pesci commestibili e non commestibili, specie protette, coralli, specie in estinzione come lo squalo mako, lo smeriglio, la ventresca e le tartarughe, che vengono tirate a bordo, molte volte già mortalmente ferite nel tentativo di fuggire. Inoltre la tecnica della pesca a strascico comporta spesso la rottura delle reti che sono fatte da fili di nylon, materiale non degradabile, che finiscono trasportate dalle correnti insieme agli altri rifiuti in plastica e con lo stesso destino, cioè finire sulla nostra tavola attraverso i pesci che ci mangiamo. Le reti abbandonate sono i peggiori nemici per i delfini, le tartarughe, i cuccioli dei grandi pesci, che vi finiscono dentro restando impigliati, con la conseguenza di una morte quasi certa. Secondo i dati della Fao, nei mari ci sono circa 640.000 tonnellate di reti in plastica abbandonate, costituendo il 10% dei rifiuti plastici che galleggiano o si spostano a media profondità sospinte dalle correnti. Ci sono alcuni paesi che hanno regolamentato la pesca a strascico in modo da vietare che le reti raschino il fondo, distruggendo tutto, ma permettendo questa tecnica a medie profondità, salvaguardano l’habitat delle specie viventi. Inoltre la dimensioni imposte delle maglie delle reti hanno una larghezza tale da permettere la fuoriuscita di pesci di piccola taglia, assicurando che il pesce di quelle dimensioni possa continuare a vivere e a riprodursi. Purtroppo molti altri paesi non si curano del problema, lasciando libera la pesca o controllando poco o niente le conseguenze di questa attività che, tra l’altro, comporta una quantità di scarto di pescato pari a circa 5 milioni di tonnellate all’anno, pesci morti inutilmente. Arare il fondale con questo sistema è sicuramente più vantaggioso economicamente per chi pesca, in quanto intercetta circa il 20% di pesce in più, ma lascia danni all’ambiente incalcolabili minando, nel tempo, la pesca stessa.

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https://www.rmix.it/ - Misantropia da Smart Working: Come Coinvolgere i Collaboratori?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Misantropia da Smart Working: Come Coinvolgere i Collaboratori?
Management

Lo smart working ha alimentato una socialità lavorativa immateriale come un grande social networkdi Marco ArezioIl periodo del Covid ha profondamente rivoluzionato il mondo del lavoro, non solo fisicamente, con l’adozione dello smart working in modo massiccio, ma anche mentalmente, con i lavoratori che hanno continuato a svolgere le loro mansioni da casa, in una sorta di azienda distribuita sul territorio. Le tecnologie che hanno permesso tutto ciò erano in nostro possesso da molto tempo, ma ben pochi le utilizzavano, come poi è avvenuto durante la pandemia, con gli uffici generalmente chiusi o bassamente presidiati, e il lavoro che continuava dalle singole abitazioni. La rivoluzione tecnologica del lavoro a distanza non sarebbe partita così velocemente e massicciamente se non avessimo dovuto farlo per forza, complice una serie di abitudini consolidate che hanno sempre visto, come essenziale, la socialità aziendale per produrre e controllare le attività da parte della catena aziendale. L’impostazione del lavoro pre-covid era, generalmente, differente in base alla dimensione aziendale, maggiore era la sua grandezza e la sua internazionalizzazione e più facilmente si impiegava lo smart working, viceversa, più piccola e più localizzata era l’attività e minore attitudine vi era al lavoro da remoto. Con l’effetto pandemia c’è stato un rimescolamento delle abitudini aziendali, con l’utilizzo in modo trasversale di un modello di lavoro non concentrato in azienda ma prevalentemente da casa. Le aziende si sono accorte che, salvo casi particolari, le attività potevano continuare a essere svolte senza grossi problemi, che il modello della delocalizzazione del lavoro poteva avere un effetto positivo sui costi di gestione degli immobili e che il volume di ore lavorate non calava, anche senza il controllo fisico del lavoratore, ma, in molti casi, aumentava. I collaboratori aziendali, dopo un primo periodo di assestamento, hanno trovato un equilibrio tra le attività da svolgere e l’ambiente domestico, trovando a loro volta dei vantaggi, anche economici in questo processo, che riguardavano il risparmio economico sui viaggi casa-lavoro, sull’abbigliamento e tal volta sui costi dei pranzi di lavoro. Con il passare dei mesi si è venuto a creare un modello di lavoro dove la socialità era stata messa da parte, abituandosi a considerare le ore lavorate solo come una prestazione oraria in un’azienda che era diventata immateriale. Alla fine della pandemia, molte aziende hanno mantenuto il modello del lavoro a distanza, mentre altre hanno fatto rientrare i lavoratori negli uffici per riprendere le attività in presenza. Il rientro in ufficio non è stato per tutti una cosa semplice, in quanto psicologicamente era come iniziare un lavoro in una nuova azienda, riallacciare rapporti tra i colleghi, conoscerne di altri e misurarsi con i cambiamenti caratteriali e psicologici che il lungo lavoro da casa portava con sé. La socialità dei componenti degli uffici non è più tornata quella di prima, quei meccanismi che esistevano per un certo tempo non torneranno velocemente, complici fattori di sicurezza che tendono ad isolare i lavoratori anche all’interno degli uffici. Mascherine, divisori tra le postazioni e le scrivanie, rotazione di orari, riduzione delle attività delle mense o degli incontri nella pausa pranzo, trasporti da e per il luogo di lavoro regolamentato, sono le nuove barriere. Si è, a volte, sviluppata una certa misantropia professionale attraverso la riduzione dei contatti umani in ufficio, la minimalizzazione delle visite ai clienti o fornitori, preferendo le videoconferenze e una certa diffidenza di fondo verso attività che comportino la presenza di altre persone nella tua area di sicurezza. Questo mix composto da misure di sicurezza fisiche e psicologiche avranno bisogno di un tempo medio lungo per essere risolte, perché i collaboratori che soffrono di forme di misantropia lavorativa, vivono uno stress nel sopportare la vicinanza di altre persone e l’idea di riprendere attività lavorative che comportino assembramenti o viaggi di lavoro, salendo si aerei, treni, andare in alberghi e ristoranti. E’ importante capire chi soffre di queste problematiche per cercare di risolvere gli inutili contatti lavorativi diretti, che si usavano nel passato, attraverso l’uso di nuove tecnologie comunicative. Ma è anche importante ricreare una socialità lavorativa, quando necessaria, aiutando anche psicologicamente chi fa più fatica ad accettare luoghi e momenti comuni di lavoro. Foto:Il MisantropoDipinto di Pietrel Bruegel il vecchioTempera su Tela cm. 86x85Museo di Capodimonte Napoli

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https://www.rmix.it/ - Slow Life: 56 E’ il Mio Numero
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Slow Life: 56 E’ il Mio Numero
Slow Life

Slow Life: 56 E’ il Mio Numerodi Marco ArezioMi affaccio alla finestra in questa plumbea mattina di dicembre, buttando lo sguardo attraverso le colline scoscese, formate da piccoli ulivi che circondano la casa fin laggiù dove lo sguardo si infrange contro le colline di fronte. E’ freddo fuori, sarà pungente e ventoso il periodo che ci poterà a Natale. Mentre il mio sguardo vaga lungo i crinali dei boschi, lo scoppiettio del fuoco, da poco acceso nel camino,mi culla nel dolce ricordo della strada che ho percorso, regalandomi una piacevole sensazione di pace. Oggi, davanti a questa finestra, si stemperano i ricordi legati alla durezza della mia vita, al senso di abbandono per la perdita di mio padre, a quell’incidente che mi ha segnato per sempre, alla crescente responsabilità per la famiglia e alle innumerevoli pecche che in mio corpo in questi anni ha evidenziato. A 56 anni lascio il lavoro e mi riapproprio della mia vita. Non ho sogni particolari, non vorrei essere in un altro posto, non vorrei essere un’altra persona, non vorrei essere con un’altra famiglia. Vorrei continuare a sentire lo scoppiettio del fuoco in inverno, vorrei continuare a camminare lungo le mie colline, vorrei vedere le foglie mutare nei colori durante le mie passeggiate, vorrei vedere crescere le olive fuori casa, vorrei continuare a sentire il calore dei miei figli che stanno iniziando a camminare sulla loro strada. Vorrei continuare a vedere le rughe di mia moglie, come piccoli sorrisi sulla sua pelle, vorrei andare a messa alla domenica incontrando gli amici sentendosi come una famiglia allargata. 56 anni, già, bell’età per essere libero e sereno dopo tante prove e fatiche. Ma ora, seduto sulla mia poltrona preferita, davanti al fuoco, capisco che non mi sarà dato di vedere foglie, colori, sorrisi, sentire profumi e calore, vedere gli amici, i frutti, i sentieri, la rugiada alla mattina e le colline. Non potrò accarezzare il dolce viso dei miei figli e, capire, guardandoli negli occhi, che è ora che li lasci andare. Nulla ci sarà più, perchè nessuno, nemmeno chi sta correndo da me potrà aiutarmi. Non ci sarà fratello, sorella, figli, dottori e medicine che mi verranno incontro. Io vi sto guardando leggero, tranquillo. 56 è ora il mio numero, come una gara podistica, sto percorrendo il mio nuovo sentiero, ma vi ho tutti vicino, in una giornata in cui il sole risplende su ogni cosa, donando anche all’imperfezione dell’esistenza un ambito perfetto. 56 è ora il mio numero. Categoria: Slow life - vita lenta - felicità

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https://www.rmix.it/ - Relazioni Sentimentali in un Team di Lavoro: Quali Effetti sui Risultati
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Relazioni Sentimentali in un Team di Lavoro: Quali Effetti sui Risultati
Management

Come un Flirt in un team aziendale potrebbe influire sui risultati lavoratividi Marco ArezioChe siano aziende grandi, in cui esistano diversi gruppi di lavoro divisi per differenti attività interne, che di piccole aziende, in cui un unico team si occupa delle attività aziendali, la componente umana è il motore di qualsiasi impresa. Le persone lavorano sempre a stretto contatto e dividono, non solo gli obbiettivi di budget che l’azienda ha deciso anno per anno, ma anche gli spazi e il loro tempo, attraverso una socialità che permette loro di portare avanti le attività per cui sono state assunte. Come in ogni ambito sociale all’interno dei teams di lavoro si devono creare degli equilibri tra le persone, linee di confini non visibili, gerarchie a volte non scritte e il confronto con reazioni caratteriali differenti. Come in una squadra di calcio, basket o di un altro sport collettivo, una grande scommessa che fa il coach, nel nostro caso il dirigente o il responsabile della squadra, è lavorare per amalgamare i componenti del team, smussare i caratteri, accrescere la fiducia collettiva, aumentare la competitività, in pratica applicare quello che è chiamato “gioco di squadra”. Sembra semplice scegliere un certo numero di collaboratori, senza conoscerli, metterli a lavorare insieme e pretendere dei risultati dopo un certo periodo, dando per scontato che questi arrivino nelle quantità e nella qualità desiderata. E’ pur vero che qualcuno vince alla lotteria, a fronte di milioni di perdenti, ma in azienda l’azzardo eccessivo ricade sempre sul leader. Questo dovrebbe preoccuparsi di avere un team coeso, collaborativo, fiducioso, con obbiettivi condivisi e con relazioni interpersonali corrette e costruttive. Per realizzare un equilibrio così importante tra le persone è necessario investire tempo tra loro, conoscerne i difetti e i pregi, condividere il senso collaborativo delle loro relazioni professionali, in modo da ridurre gli individualismi innati nell’uomo e il senso di prevalenza, l’uno sull’altro, che distruggerebbe lo spirito di squadra. Per accrescere il senso di appartenenza al team e ridurre la sterile competizione individuale, che porterebbe a lotte intestine, invidie, dispetti ed azioni che si ripercuoterebbero negativamente sui risultati aziendali, è importante anche vivere insieme dei momenti di vita comune fuori dal contesto aziendale. Una gita o un programma di gite, sostenute dall’azienda, in località culturali o di svago hanno la forza di accrescere quello spirito di unione e condivisione, in un ambito in cui le difese personali sono meno rigide, le confidenze e la conoscenza delle persone si mostrano più profonde e con esse il loro legame. Cambia la percezione reciproca, spostando l’asse da un concetto di collega ad uno di persona, con la speranza che il tempo riesca a portare in azienda meno colleghi e più persone. Nei gruppi di lavoro, specialmente quelli giovani, vivono sempre speranze ed aspettative anche non professionali, dove le preferenze di tipo sentimentale sono all’ordine del giorno. Il mondo del lavoro non è differente rispetto a quello che può succedere in momenti di socialità quotidiani, dove le persone si scelgono, o sperano di farlo, perseguendo sempre la ricerca, consapevolmente o meno, di un contatto umano sotto diverse forme. Quando questo approccio dovesse diventare concreto all’interno dello stesso team di lavoro, specialmente se questo è composto da molte persone, è bene rendersi conto della situazione e mettere in conto la possibilità di un mutamento degli equilibri interni. Il flirt tra due componenti del gruppo potrebbe creare invidie e gelosie tra alcune persone che avevano probabilmente speranze reciproche verso una delle due, creando un senso di frustrazione e di rifiuto, non solo verso di loro, ma anche del gruppo stesso. Qui entra in gioco la minaccia all’armonia collettiva, in quanto esisteranno fazioni a cui l’episodio non creerà nessun effetto collaterale e, altre, che genereranno delle conseguenze. Una o più persone frustrate del team non riusciranno più, probabilmente, ad avere rapporti costruttivi e collaborativi, ma potranno, consciamente o inconsciamente, mettere in campo azioni punitive per il rifiuto subito. Questo può creare un attrito crescente tra il gruppo, senza magari capirne le motivazioni e senza poter sapere come recuperare il clima costruttivo di prima. Solo un’attenta osservazione delle singole persone all’interno del team di lavoro e la loro pregressa conoscenza personale, può indurre il responsabile a pensare che esistano motivazioni di carattere extra lavorativo che stanno minacciando il funzionamento del gruppo. Nel rispetto della privacy dei singoli, è importante incrementare l’interlocuzione personale con tutti i componenti, singolarmente, e spingerli ad esternare i loro problemi e a raccontare la loro visione delle difficoltà del gruppo. Incrociando i dati raccolti, amalgamandoli con quelli immagazzinati nel tempo, confrontandoli con un prima e un dopo, si può arrivare ad individuare le aree del problema, ponendo in atto delle azioni che disinneschino le sensazioni negative della o delle persone che stanno vivendo male il momento.

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https://www.rmix.it/ - Slow Life: La Civiltà e l'Affanno della Moltiplicazione
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Slow Life: La Civiltà e l'Affanno della Moltiplicazione
Slow Life

Slow Life: La Civiltà e l'Affanno della MoltiplicazioneLa civiltà, nel senso reale del termine, non consiste nella moltiplicazione,ma nella volontaria e deliberata restrizione di bisogni.Questa soltanto porta la felicità e il vero appagamento e accresce la facoltà di servire.Un certo grado di armonia e benessere fisico è necessario,ma oltre questo livello diventa un impaccio, anziché un aiuto.Perciò, l'ideale di creare un numero illimitato di bisogni e di soddisfarli,mi sembra un'illusione e un'insidia.A un certo punto, la soddisfazione dei bisogni fisici, e anche intellettuali, del proprio io limitato, deve subire un brusco arrestoprima di degenerare in voluttà fisica ed intellettuale.Bisogna ordinare la propria vita fisica ed intellettuale in modo che non impacci il servizio all'umanità,verso il quale si dovrebbero concentrare tutte le proprie energie.GandhiCategoria: Slow life - vita lenta - felicità

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https://www.rmix.it/ - Stampaggio Rotazionale: dalla Terracotta al Cioccolato fino alla Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Stampaggio Rotazionale: dalla Terracotta al Cioccolato fino alla Plastica
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La storia dello stampaggio rotazionale con materiali diversidi Marco ArezioIl processo dello stampaggio tramite il processo rotazionale sembra una conquista recente, nata in concomitanza con l’esplosione dell’uso della plastica dopo la seconda guerra mondiale. In realtà, anche se con altri materiali, la costruzione di oggetti attraverso il processo di rotazione dello stampo, si può far salire al periodo egizio, greco e anche cinese, i cui artigiani realizzavano oggetti in ceramica per l’uso quotidiano ed artistico. Sono avvenuti, infatti, numerosi ritrovamenti di ceramiche sferiche o semisferiche che hanno fatto riflettere di quanto fosse stata diffusa questa tecnica costruttiva in quelle ere storiche. Un altro esempio documentato dell’uso di questo sistema produttivo è da far risalire intorno al 1600 d.C., periodo in cui i cioccolatieri svizzeri utilizzavano la tecnica rotazionale per creare uova di cioccolato cave, ma soprattutto dallo spessore uniforme. Bisogna aspettare però fino al 1855 quando l’inglese R. Peters introdusse lo stampaggio a rotazione biassiale per la produzione industriale di involucri cavi, tra i quali anche gli elementi di protezione dei pezzi di artiglieria. La dimestichezza con cui i produttori si avvicinarono al sistema di iniezione rotazionale, permise numerose esperienze applicative su prodotti come la cera, ad opera di F.A. Voelke nel 1905, come il gesso per mano di R.J. Powell nei primi anni 20 del secolo scorso. A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, con l’avvento delle materie plastiche, lo stampaggio rotazionale fu impiegato, per la prima volta, nella realizzazione delle teste delle bambole utilizzando il PVC in polvere e impiegando stampi di lega di nichel-rame. Fu davvero un colpo di fulmine per l’industria, infatti lo stampaggio rotazionale utilizzando le materie plastiche crebbe in maniera vertiginosa, creando sempre nuovi e più grandi prodotti nei settori commerciali più disparati. Se tra il 1950 e il 1960 l’applicazione di questo sistema riguardò prevalentemente i giocattoli o i piccoli accessori per la casa, ma nei periodi successivi, con la costruzione di nuovi e sempre più grandi stampi, si realizzarono prodotti industriali di grandi dimensioni, come i contenitori di sostanze chimiche, cisterne per fertilizzanti e diserbanti, serbatoi dell’acqua e di carburanti, serbatoi per auto, barriere stradali, barche, canoe, boe e molti altri prodotti. Categoria: notizie - tecnica - plastica - stampaggio rotazionale

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