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https://www.rmix.it/ - L’economia circolare sarà messa in ginocchio dalla caduta del prezzo del petrolio?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’economia circolare sarà messa in ginocchio dalla caduta del prezzo del petrolio?
Economia circolare

Ci sono relazioni tra ambiente, economia circolare ed energie rinnovabili con le quotazioni del bariledi Marco ArezioIl mondo, negli ultimi anni, ha fortemente spinto per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili, che sono tra le cause principali dell’inquinamento, del degrado della salute umana, della distruzione dell’ecosistema, dei cambiamenti climatici, di un potere economico concentrato in poche mani che influenza la vita di miliardi di persone. Ma ora, potrebbero cambiare gli equilibri e il lavoro fatto fino a oggi. Non si era mai visto, da quando si era iniziato il monitoraggio delle quotazioni petrolifere, che il prezzo del WTI, il greggio che viene prodotto negli Stati Uniti, avesse un valore di mercato negativo: – 37,63 dollari. Si, non c’è un errore, è proprio così. Il mercato americano del petrolio, in questo momento, sarebbe disposto a pagare i clienti che potessero ridurre le sue scorte, avendo oggi un oggettivo problema di stoccaggio se la domanda di greggio dovesse rimanere sulle quantità odierne. Non fanno festa, però, nemmeno in Europa dove la quotazione del Brent del mare del nord è intorno a 27 dollari al barile e le prospettive per i prossimi mesi, a sentire gli esperi energetici, non sono delle più rosee. In effetti il blocco delle auto, delle navi, degli aerei e delle fabbriche nel mondo, a causa del coronavirus, ha distrutto la domanda di greggio facendo salire in modo esponenziale le scorte, con la conseguenza di non sapere più dove mettere le nuove produzioni di greggio. Inoltre, il taglio della produzione di 10 milioni di barili al giorno, deciso dai paesi aderenti all’OPEC +, non ha dato i frutti sperati in quanto il calo della domanda è risultata superiore ai tagli. In questo scenario complesso, oltre alla crisi del comparto petrolifero, che vede remunerativo il costo minimo del greggio tra i 30 e i 60 dollari al barile, in base alle tipologie di estrazione che impiegano, il comparto dell’economia circolare, delle energie rinnovabili e dell’ambiente intravede all’orizzonte dei seri problemi. Possiamo citarne alcuni: In molti paesi, a causa della pandemia, sono ritornati in uso i prodotti plastici monouso, che vanno dai sacchetti, ai piatti, ai bicchieri e alle posate. Questi prodotti, se dispersi nell’ambiente, sono imputati quali una tra le principali cause della formazione di micro e nano plastiche che vengono dispersi negli oceani, nei fiumi e nei mari, entrando, attraverso la catena alimentare nei nostri corpi con tutte le conseguenze sanitarie che implicano. L’industria automobilistica è stata duramente colpita dalla pandemia. Il blocco delle produzioni in tutto il mondo, ha causato il crollo delle entrate finanziarie ai produttori di auto, camion e machine industriali. Negli ultimi anni le aziende si stavano dedicando al delicato passaggio della produzione dai motori termici a quelli elettrici, con grandi investimenti programmati. Questi investimenti erano necessari per rientrare nei valori massimi di emissioni decise dai governi, soprattutto quelli Europei, al fine di contenere il riscaldamento globale. Ora, il settore auto si sta chiedendo se non sia il caso di spostare di 5 anni almeno la data per il raggiungimento, dal punto di vista industriale, di questi valori. Il mercato del riciclo delle materie plastiche ha già vissuto un anno difficile nel 2019, con una netta concorrenza sui prezzi da parte del comparto delle materie prime vergini. Nonostante molti stati nel mondo stiano adoperandosi per promuovere il riciclo dei rifiuti plastici che quotidianamente si producono, questo non si traduce in supporti reali all’industria del riciclo. La competizione che esiste tra i prezzi delle materie prime plastiche vergini con quelle rigenerate non è educativa, socialmente utile ed economicamente vantaggiosa per i governi, che hanno la responsabilità di gestire e trovare soluzioni corrette allo smaltimento dei rifiuti. Con il crollo dei prezzi del petrolio che stiamo vedendo in questi giorni, ci si può aspettare che le quotazioni dei polimeri vergini diventino, definitivamente e in ogni settore, più competitivi di quelle dei polimeri rigenerati. Questo bloccherebbe il mercato della lavorazione dei rifiuti plastici con la creazione di un enorme problema ambientale ed economico. Il grande sforzo fatto per incrementare la produzione delle energie rinnovabili, quale il solare, l’eolico, le biomasse, il geotermico e tutte le altre fonti in fase di studio e progettazione (energie dalle maree, dalle onde, dalle differenze di temperature dell’acqua, dall’idrogeno, dalla fusione nucleare e altre fonti) si potrebbero impattare con dei conti economici di produzione non più in linea rispetto al costo attuale del greggio. Pur sapendo che la lungimiranza tecnico-politica direbbe che le energie alternative al petrolio, in quanto rinnovabili, rimarranno nella nostra vita senza mai esaurirsi, le lobbies potrebbero giocare un ruolo determinante in questi periodi, per rallentare la spinta verso le energie rinnovabili. Ci auguriamo che il buon senso possa far capire che l’economia circolare, l’ambiente e le energie rinnovabili sono i pilastri della nostra vita su cui non si dovrebbe discutere per metterli in difficoltà.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - petrolioVedi maggiori informazioni sull'Economia Circolare

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https://www.rmix.it/ - L’arte con lo scarto dei rifiuti
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’arte con lo scarto dei rifiuti
Economia circolare

Zehra Dogan un artista che con il “nulla” ha creato un’arte espressiva, coinvolgente e terapeuticadi Marco ArezioI rifiuti, gli scarti e i prodotti da riciclare diventano mezzi di espressione artistica per Zehra Dogan un artista che con il “nulla” ha creato un’arte espressiva, coinvolgente e terapeuticaPer un artista e per la sua arte, i materiali sotto forma di colori, matite, tele, fogli, materiali da plasmare ed attrezzature per lavorarli, sono il mezzo scontato per esprimersi attraverso il proprio talento. Ma Zehra Dogan, artista Curda di nazionalità Turca, non aveva i mezzi scontati dei pittori, ma aveva l’arte di creare l’arte, con qualsiasi cosa che poteva lasciare un segno sulla carta di giornale, sulla stoffa di magliette rotte, su lenzuola da buttare, su cartoni da imballo e su tante altre cose consumate e senza vita, adatte alla discarica. Se non disponeva dei supporti tradizionali per esprimersi, non disponeva nemmeno dei mezzi tradizionali per disegnare o dipingere, niente matite, pennelli, carboncini, colori, diluenti, spatole e tutto quello che serve ad un artista per creare la propria arte. Ma come ha fatto Zehra Dogan dal nulla a creare la sua arte, che è una medicina per le menti di chi guarda le sue opere? Il desiderio espressivo dirompente, in condizioni di prigionia nelle carceri Turche, ha permesso all’artista di creare opere utilizzando i propri capelli, i resti del te, la curcuma, le bucce della frutta, la cenere delle sigarette, il mestruo, i fondi del caffè, il limone e molte altre cose che trovava tra i rifiuti del carcere. Molte opere di Zehra riguardano le donne, tutte le donne che vivono in condizioni di scarsa libertà, di scarsa indipendenza e di scarsa considerazione, riportando al centro dell’attenzione un femminismo positivo, attraverso il tentativo di valorizzare la figura della donna nella famiglia e nella società, ad un livello paritetico, ma differente, rispetto all’uomo. Il superamento del sessismo nella vita quotidiana, nell’arte, nei media e nel lavoro, lo vive attraverso l’impegno artistico e giornalistico con la prospettiva di dare voce alle donne che non l’hanno. Nata a Diyarbakir, in Turchia, nel 1989, ha frequentato la facoltà di arte e Design di Dicle, ottenendo il diploma, trovandosi ad esprimere i concetti del suo femminismo attraverso l’arte e il giornalismo, con l’intento di contribuire a migliorare le condizioni delle donne in una società maschilista. Dopo la condanna a 2 anni e 9 mesi terminata nel 2019, Zehira, lascia la Turchia e si trasferisce a Londra dove espone alla Tate Modern. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - arte - rifiuti

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https://www.rmix.it/ - Odori nei polimeri riciclati: come affrontare il problema?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Odori nei polimeri riciclati: come affrontare il problema?
Informazioni Tecniche

La valorizzazione dei polimeri riciclati passa anche attraverso la soluzione del problema degli odoridi Marco ArezioIn un’ottica di economia circolare i polimeri riciclati che provengono dal post consumo, quindi dalla raccolta differenziata domestica, devono essere valorizzati riuscendo a risolvere anche il problema degli odori. La necessità di utilizzare maggiormente i polimeri riciclati che provengono dal post consumo è ormai diventata una questione primaria per il riciclo delle materie plastiche. Come riportato nell’articolo apparso sul portale della plastica e dell’economia circolare rMIX è necessario che si verifichino due condizioni fondamentali: Rimodulazione delle aspettative estetiche dei prodotti finiti fatti in plastica riciclata Riduzione o cancellazione degli odori che i prodotti fatti con l’input da post consumo portano con se dopo la produzione.Nel primo caso è importante poter produrre più prodotti con plastiche riciclate, specialmente quelli oggi realizzati con plastiche vergini solo per questioni estetiche che si potrebbero definire trascurabili, aumentando così il consumo di rifiuti plastici. Nel secondo caso, il problema dell’odore, condiziona ancora fortemente gli acquisti di granuli riciclati, specialmente in quei paesi dove è meno sentita la problematica della difesa ambientale. Se vogliamo fare un esempio, un flacone del detersivo prodotto con un HDPE riciclato, mantiene dopo la produzione una quota di odore (profumo?) di detersivo che proviene dalla lavorazione dei flaconi della raccolta differenziata, in cui le fragranze dei liquidi contenuti precedentemente rimangono anche dopo il lavaggio. Come vedete non è un problema invalidante per chi dovrà riempire nuovamente il flacone riciclato con liquidi profumati, ma è, ed è stato sempre un tema discusso dagli acquirenti di polimero. Sebbene le cose da questo punto di vista stiano lentamente cambiando, dove si trovano maggiori complicazioni sono quei prodotti fatti con PP o PP/PE o LDPE la cui materia prima ha contenuto residui alimentari, detergenti, cosmetici o dove il processo di rigenerazione presenza delle criticità. I fattori che contribuiscono maggiormente alla creazione degli odori sono rappresentati da: Residui alimentari, che creano processi microbiologici Residui di cosmetici che presentano difficoltà di pulizia durante il lavaggio Tensioattivi che vengono inglobati nelle plastiche Contaminazioni nelle acque di lavaggio del rifiuto plastico Contaminazioni causate dalla degradazione dei polimeri in fase di produzione dei granuli. Ad oggi una soluzione piena e definitiva del problema, da applicare nella produzione su larga scala dei polimeri riciclati, sembra non esserci ancora, infatti, si stanno percorrendo varie strade per cercare di mitigare e, in un futuro risolvere la presenza di questi odori. Copertura degli odori Esistono sul mercato numerosi prodotti, sotto forma di masterbach, che si utilizzano in fase di estrusione o iniezione dei prodotti, contenenti varie fragranze che aiutano a mitigare un odore pungente come può essere quello di alcune produzioni di polimeri. Le fragranze sono numerose: vaniglia, pino, fragola, arancia, limone, lavanda e tante altre. Processi Meccanici Esistono impianti di produzione dei granuli riciclati che, durante la lavorazione degli scarti plastici e della produzione del granulo stesso, riducono in modo sostanziale le fonti che generano gli odori sgradevoli. Questi impianti si basano su una tripla combinazione tra filtrazione, degasaggio e aspirazione delle parti volatili in modo da migliorare il problema. Ricerca scientifica Nello stesso tempo la ricerca sta facendo passi avanti per cercare di individuare, in modo scientifico ed inequivocabile la fonte degli odori dei composti provenienti dalla raccolta differenziata. L’istituto tedesco Fraunhofer Institute for Process and Engineering and Packaging (IVV) sta studiando come migliorare i processi di riciclo dei rifiuti da post consumo. Il lavoro si concentra, con un approccio olfattometrico e analitico, allo studio e la catalogazione degli odori presenti nelle plastiche post consumo, valutandone l’intensità e la provenienza, identificando i materiali che li producono attraverso un’analisi chimica. I dati raccolti da queste catalogazioni scientifiche aiuteranno i ricercatori a trovare processi adatti alla soluzione dei problemi causati dal decadimento microbiologico, dall’invecchiamento della plastica, dai risultati chimici dei processi termici e dai residui delle lavorazioni meccaniche della plastica che causano odori sgradevoli.Controllo analitico degli odori in laboratorioOggi abbiamo comunque la possibilità, attraverso una strumentazione di laboratorio, che unisce l'attività di un gascromatografo (GC) e uno spettrometro a mobilità ionica (IMS) di avere un quadro preciso sull'intensità e sulla natura degli odori che provengono dal rifiuto da riciclare o dalla scaglia o granulo prodotti dalle plastiche post consumo. Questo strumento ci aiuta ad individuare i componenti molesti dal punto di vista odoroso nei rifiuti in ingresso, ma anche sulla materia prima prodotta o sui prodotti finali realizzati con la plastica riciclata, così da stabilire azioni correttive o, con il cliente, un range analitico e non opinabile, del livello odori nei prodotti ed accettato dalle parti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - odori - post consumo

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https://www.rmix.it/ - Economia circolare: il rifiuto non esiste – viva il rifiuto
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Economia circolare: il rifiuto non esiste – viva il rifiuto
Economia circolare

Togliamo dal vocabolario dell’economia circolare la parola rifiutodi Marco ArezioNon è un esercizio di lessico accademico, quello che vorrebbe che la parola Rifiuto scomparisse dal vocabolario per essere sostituita da –Risorsa– ma una provocazione che serve a farci capire come, in un periodo in cui le parole – Economia Circolare e Rifiuti – assumono un’importanza nella comunicazione generale, facciamo un pò di confusione e difficoltà a capirne i veri termini e le vere implicazioni. Il modello circolare di cui tanto si parla, non è solo quello di cercare di fare del nostro meglio, come cittadini, per avere una vita che sia più rispettosa dell’ambiente, quindi ridurre gli imballi, ridurre l’uso della plastica, razionalizzare gli spostamenti con i mezzi a con motori termici, regolare il riscaldamento o l’aria condizionata per evitare gli sprechi, razionalizzare l’uso dell’acqua, favorire negli acquisti le aziende che producono rispettando l’ambiente e sfavorire chi non lo fà. Potremmo citare molti altri comportamenti virtuosi da tenere, ma non dobbiamo dimenticarci che l’economia circolare si raggiunge attraverso una crescita culturale continua che può aiutare il nostro pianeta. Non ci dobbiamo accontentare dei piccoli gesti quotidiani, peraltro importantissimi, ma dobbiamo guardare, con la mente aperta, a come migliorare la nostra vita da cittadini “circolari“, perchè le idee di molti possono aiutare il sistema produttivo e distributivo. Nella filiera dell’economia circolare ci sono aree ancora trascurate e inespresse, a causa di deficit comunicativi, di una struttura manageriale e di una parte di consumatori che non hanno realmente compreso l’importanza degli argomenti trattati, di una errata scala dei valori in cui il denaro gioca un ruolo importante nelle scelte di tutti. Queste aree le troviamo in molti settori produttivi e distributivi su cui dovremmo lavorare meglio per dare un risultato più concreto al progetto comune di un’economia e di una vita meno impattante sull’ambiente. La prima cosa da fare è declassificare la parola rifiuto e riclassificarla come risorsa. La bottiglia dell’acqua che buttiamo non è un rifiuto, per fare un esempio banale, è la risorsa che permetterà alle aziende di produrre, nuovamente, altre bottiglie, indumenti, imbottiture per divani, articoli per il packaging senza intaccare le risorse naturali. La seconda cosa è la produzione di articoli con materiali che possano essere riciclati al 100%, non può più succedere che l’immissione sul mercato di un prodotto, un imballo per esempio, non tenga conto dei parametri di riciclabilità e possa costituire, per la collettività, un rifiuto che non sia una risorsa. La terza cosa, nell’era di internet super veloce, è la comunicazione circolare trasversale, che significa che lo scarto di produzione di un settore che non può essere riutilizzato nuovamente all’interno di esso, possa diventare una risorsa per atri settori. Le piattaforme web servono per comunicare anche, appunto, trasversalmente, informazioni in tempo reale che possano risolvere problematiche immediate e concrete. Ogni settore industriale è gravato da una parte di rifiuti di lavorazione che, nonostante accurate analisi, non può essere riutilizzato all’interno di esso, ma deve essere messo a disposizione di altri settori, in modo da poter scoprire le potenzialità del prodotto-rifiuto che può essere impiegato in campi differenti, così da creare una economia circolare trasversale. Per fare alcuni esempi, certamente non esaustivi, possiamo citare: Gli scarti del settore della carta potrebbero essere valorizzati nel settore della plastica Gli scarti della combustione del carbone potrebbero essere impiegati nel campo delle ceramiche Gli scarti della lavorazione delle pietre e delle demolizioni nel settore edile Gli scarti del vetro nell’arredamento e nel calcestruzzo I fanghi di alcune lavorazioni industriali possono essere impiegati in vari settori. Gli scarti di plastiche composite possono diventare polvere per compounds Gli scarti di alcuni rifiuti plastici non riciclabili da impiegare nel settore dei bitumi Ci sono molti altri esempi di settori che già si scambiano i rifiuti-risorse, ma il problema che i numeri sono decisamente bassi e molti dei prodotti descritti ed altri non citati, oggi, finiscono ancora in discarica e, a volte, anche per mancanza di comunicazione, che crea nuove opportunità e un nuovo modello circolare.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiutoVedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - Fibra elastica di poliuretano: storia, produzione ed applicazioni
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Fibra elastica di poliuretano: storia, produzione ed applicazioni
Informazioni Tecniche

Fibra elastica in poliuretano: dagli anni 30 del secolo scorso alla chimica dell’abbigliamento elasticizzato modernodi Marco ArezioSe vogliamo dare una definizione di cosa sia la fibra di poliuretano possiamo dire che è una sostanza chimica sintetica caratterizzata da un comportamento simile alla gomma. Questa fibra è formata da una catena molecolare composta da segmenti molli, detti glicoli, intervallati da segmenti rigidi detti isocianati. La fibra di poliuretano nasce intorno al 1937 quando la tensione politica-militare in Europa rese più difficile il commercio delle materie prime, infatti fino ad allora gli elastomeri erano prevalentemente naturali, importati dal sud America e dal Sud Est Asiatico. Come si può leggere nell’articolo presente nelle NEWS sulla storia della gomma naturale, questa era un elemento conosciuto fin dai tempi dei Maya e utilizzato in tutto il mondo in diversi settori. La vera svolta nel campo dei tessuti avvenne nel 1823 quando Charles Macintosh, brevettò un composto fatto di gomma naturale e di oli, adatto all’impermeabilizzazione dei tessuti e, successivamente nel 1830, Thomas Hancock, sottopose il composto gommoso ad azioni meccaniche, mischiando additivi oleosi, cariche e pigmenti, così da rendere industrialmente lavorale in macchina il compound. Fu un tale successo che le esportazioni dal Brasile della gomma naturale aumentarono in modo esponenziale, passando da poche centinaia di tonnellate del 1846 a più di 10.000 nel 1880. Fu così che gli inglesi fiutarono il business e nel 1876 ottennero, da alcuni semi importati dal Brasile, duemila piantine di Hevea Brasilienis, che furono inviate poi nell’attuale Sri Lanka per essere ripiantate. Questo intervento botanico Inglese fece nascere una fiorente produzione, attiva ancora oggi, in Malaysia, Indonesia e Thailandia, area nella quale si produce oggi l’80% della gomma naturale. Negli anni 30 del secolo scorso, periodo nel quale la ricerca chimica stava facendo passi enormi, iniziarono i primi studi per creare una gomma sintetica replicabile in qualunque paese al mondo, senza dipendere dall’importazione della materia prima naturale. Gli studi più interessanti del periodo furono eseguiti dalla tedesca Bayer e fu così che nel 1939, Paul Schlack, sintetizò un polimero con alte proprietà elastiche, ma si dovette attendere la fine della seconda guerra mondiale per vedere la produzione, nel 1951, della prima fibra poliuretanica attraverso il processo di filatura ad umido. Anche negli Stati Uniti la ricerca portò l’azienda DuPont, a seguito di importanti investimenti fatti sulla fibra elastica in poliuretano, nel 1959, a produrre la fibra poliuretanica elastica, attraverso il processo di filatura a secco, che mise sul mercato nel 1962. La vera esplosione della produzione di questi filati avvenne alla fine degli anni 60 del secolo scorso, quando si diffuse la moda della minigonna e il relativo uso delle calze da donna. Come viene prodotta e lavorata la fibra in sintetica in Poliuretano? La fibra elastomerica sintetica è prodotta estrudendo il polimero poliuretano in soluzione o fuso, utilizzando una filiera di un impianto di filatura meccanica. Vi sono normalmente quattro metodologie per la produzione della fibra: Filatura a umido consiste nell’estrusione del polimero in bagno d’acqua calda, formando il filo per coagulazione, ed il successivo lavaggio, essiccazione, lubrificazione e avvolgimento in bobina. Filatura a secco è indubbiamente il sistema più usato al mondo e consiste nell’estrusione del polimero in una cella cilindrica verticale all’interno del quale è presente un gas caldo, che normalmente è azoto. Il filo passa dalla cella e viene successivamente lubrificato, con olio siliconico o stearato di magnesio e poi arrotolato su una bobina posta alla fine di essa. Filatura per fusione consiste nella plastificazione di granuli in un estrusore creando una messa fluida, la quale viene fatta passare attraverso una filiera in verticale che si incontra con un flusso di aria fredda che porta alla solidificazione della materia prima. Il filo in uscita, viene poi lubrificato e avvolto su bobine. La filatura per fusione, tra i quattro processi presentati, è sicuramente quello a più basso impatto ambientale in quanto non richiede solventi e ha una necessità minore di energia. Filatura reattiva consiste nell’estrusione del pre-polimero in un bagno di soluzione contenente ammine polifunzionali. Le parti di isocianato che costituiscono la materia prima reagiscono con le ammine formando un poliuretano a più alto peso molecolare. È una tecnologia oggi poco usata a causa delle basse caratteristiche elastiche del filo rispetti ad altri procedimenti produttivi. Quali sono le applicazioni principali della fibra in poliuretano? Gli utilizzi di questa fibra sono molteplici, quindi raccogliamo solo alcune indicazioni di produzione degli articoli: – Tovaglie – Copri divani – Calze per uso chirurgico – Bende elastiche – Calze a compressione graduata – Pannolini – Tute per attività sportiva – Mute da sub – Pantaloni da sci e pantacollant – Jeans e altri tessuti elasticizzati – Corsetteria – Calzini e collant – Nastri elastici – E molti altri articoliCategoria: notizie - plastica - economia circolare - PU - fibra elastica

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https://www.rmix.it/ - Energia dal carbone: perché la Cina continua a costruire nuove centrali?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Energia dal carbone: perché la Cina continua a costruire nuove centrali?
Ambiente

Energia dal carbone: Una pessima notizia per l’ambiente questo amore per il carbone. Non potevamo aprire nel peggiore dei modi questo 2020 ripensando al disastro, in termini ambientali, di un 2019 dove, nonostante le problematiche dei mutamenti climatici hanno campeggiato su tutti i giornali, media, social e piazze, queste non hanno ottenuto un minimo risultato positivo. Possiamo dire francamente che nella conferenza di Madrid di fine anno non solo non si sono fatti passi avanti, ma ne sono stati fatti molti indietro. Gli Stati Uniti che vogliono uscire dall’accordo sul clima, la Cina, l’India, il Brasile, la Russia e la Polonia che spingono per modificare, a loro modo, i punti dell’accordo di Parigi sul clima. Se prendiamo ad esempio la Cina, per la quale abbiamo speso parole di elogio negli ultimi anni per l’impegno che stava mettendo in campo ambientale, sembrava avviata ad una nuova leadership a seguito di numerose e coraggiose scelte prese dal governo. La sospensione dell’importazione dei rifiuti del mondo, la costruzione dei parchi solari, tra i più grandi mai visti, l’avvio della produzione di mega impianti a biomassa, l’accelerazione dei progetti per la costruzione delle centrali a fusione nucleare e i progetti sull’idrogeno, ci facevano ben sperare. La Cina sembrava diventata un laboratorio impegnato in molti campi, che aveva l’obbiettivo di produrre energia da fonti rinnovabili, potendo diventare un esempio per il mondo, sapendo di essere stato uno dei paesi più inquinati sulla terra. E il carbone? Sembrava anch’esso destinato ad essere travolto da questa nuova visione ecologista del governo di Pechino, confortati dal fatto che buona parte dei problemi ambientali che strozzavano le megalopoli Cinesi erano dati dal traffico e dall’uso del carbone nella produzione industriale, sul quale il governo era intervenuto con mano ferma. Forse ci siamo sbagliati, ma sembra che per il carbone ci sia una nuova vita, quindi non più un uso parcellizzato per la produzione di energia nelle singole unità produttive, ma impianti di grandi dimensioni che producano energia elettrica ad uso civile ed industriale. In parole semplici delocalizzare fuori dalle città l’inquinamento prodotto dal carbone. Ma purtroppo sappiamo che i Cinesi fanno sempre le cose in grande, infatti, secondo le indicazioni dell’organizzazione no-profit Global Energy Monitor, sono in via di costruzione nuove centrali a carbone per una potenza pari a 148 GigaWatt, che corrisponde alla potenza installata su tutto il continente Europeo. Se sommiamo questa nuova capacità inquinante a quella proveniente dalle vecchie centrali Cinesi già in funzione, che secondo le informazioni dell’International Energy Agency (IEA) ammontano a circa 1000 GigaWatt, ci dobbiamo preoccupare? Direi che la produzione di energia dal carbone è davvero una pessima scelta ambientale, in quanto a parità di rendimento energetico, il carbone produce il doppio dei gas serra rispetto ad un’altra fonte fossile come il gas naturale. Siamo portati quindi a pensare che, nonostante sia del tutto lecito per ogni paese decidere di adeguare la propria produzione energetica rispetto alla domanda interna, la scelta “green” della politica energetica cinese non sia troppo “green”, ma dettata da scelte puramente economiche e di trovare immediate soluzioni ai problemi. La costruzione di nuove centrali a carbone, è sicuramente meno impegnativa, dal punto di vista tecnico ed economico, rispetto alla riconversione a biomassa delle vecchie o alla costruzione di nuove centrali totalmente a biomassa, dove l’approvvigionamento ai rifiuti urbani comporta una organizzazione a monte molto importante. Ma quanto costa la riconversione di una vecchia centrale a carbone? Secondo le informazioni disponibili e considerando le tecnologie ora sul mercato, sembrerebbe che il costo si aggirerebbe intorno al miliardo di dollari per ogni GigaWatt trattato. Quindi, avanti con la produzione di energia rinnovabile, ma avanti anche con l’utilizzo del carbone per soddisfare la crescente richiesta di energia, senza preoccuparsi troppo di trovare una nuova soluzione al problema del riscaldamento globale. Non è solo la Cina che non vuole lasciare il carbone, ma anche paesi Europei come la Polonia, la Grecia e la Repubblica Ceca che stanno facendo del problema, una questione di finanziamenti da parte della comunità Europea, giocando in una posizione comoda ed attendista. Ma se il denaro governa sulle scelte ambientali, nonostante le larghe proteste delle piazze, il continuo susseguirsi dei fallimenti nei vertici politici sull’ambiente, potrebbe ingenerare, nell’opinione pubblica una pericolosa rassegnazione. I livelli degli oceani che si alzano facendo intravedere, in un futuro vicino, la scomparsa di larghi territori abitati, la perdita di habitat naturali per molte specie causati dai cambiamenti climatici, le diffuse siccità in altre zone del continente che innescano povertà e migrazioni di massa, l’aumento di malattie legate al clima, l’inquinamento che è entrato a tutti i livelli nella nostra catena alimentare e che velocizza la cronicità di malattie ormai epidemiche, sono questioni all’ordine del giorno ma pare che nessuno voglia risolvere veramente. Tutti argomenti che la popolazione mondiale sembra ormai vedere come l’ineluttabile destino della specie, acquisendo una sfiducia verso la classe politica ed industriale che non vuole vedere l’evidenza delle cose. La gente si è resa conto che le associazioni ambientaliste, il movimento delle masse, come mai era avvenuto prima del 2019, non riescono ad aprire quel collo di bottiglia di burocrati legati agli interessi nazionali, quando la catastrofe ambientale riguarda tutto il mondo. Se subentra davvero la rassegnazione non avremo scampo.Vedi maggiori informazioni

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https://www.rmix.it/ - Vetroresina: il difficile cammino verso un’economia circolare del prodotto.
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Vetroresina: il difficile cammino verso un’economia circolare del prodotto.
Informazioni Tecniche

Vetroresina: storia, produzione, impiego e riciclo. Il difficile cammino verso un’economia circolare del prodottodi Marco ArezioLa vetroresina è sicuramente un prodotto che ha avuto un successo molto importante dato dalla flessibilità d’impiego, dalla relativa facilità di produzione e dalle caratteristiche tecniche dei manufatti prodotti che potevano sostituire o migliorare le prestazioni di altri materiali fino ad allora utilizzati. La vetroresina nasce negli anni 20, periodo in cui si stavano studiando materiali che avessero delle caratteristiche prestazionali simili a quelle dei metalli da costruzione (edilizia, aeronautica, navale) ma che si potesse aggiungere un vantaggio in termini di risparmio di peso. Nel corso degli anni 40 si era optato per il rinforzo del poliestere utilizzando la fibra di amianto, un materiale plastico composito con cui si costruivano, per esempio, i serbatoi supplementari per gli aerei. Durante gli anni 50 dello scorso secolo, l’incremento della produzione di fibra di vetro, ha portato ad una progressiva sostituzione della fibra di amianto, creando prodotti tecnicamente più avanzati ed ampliando il campo di applicazione. MA COS’E’ LA VETRORESINA?E’ una plastica composta rinforzata con vetro, detta anche VTR o GRP, utilizzando tessuti o feltri con fibre orientate casualmente e successivamente impregnate con resine termoindurenti, generalmente liquide, composte da poliestere o vinilestere o epossidiche, che induriscono e collegano le fibre stesse attraverso l’azione di catalizzatori ed acceleranti. Le principali caratteristiche dei prodotti realizzati in vetroresina sono: – Leggerezza – Elevate caratteristiche meccaniche – Durabilità – Resistenza alla corrosione – Resistenza agli agenti atmosferici – Ottimo isolamento elettrico – Comportamento al fuoco gestibile con specifici additivi – Buon isolamento termico – Scarsa manutenzione COME VENGONO PRODOTTI I MANUFATTI IN VETRORESINA?Premettendo che la vetroresina non è un composto plastico tradizionale che ha bisogno di calore e di una forza meccanica importante (estrusione, iniezione, soffiaggio) per realizzare i prodotti, ma si basa sul lavoro che svolge la resina polimerizzata che viene a contatto con le fibre di vetro. I processi principali di produzione sono i seguenti: “Hand Lay-Up” consiste nella spalmatura a pennello o rullo di resine, correttamente additivate con catalizzatori e acceleranti, che ne determinano la polimerizzazione anche a temperatura ambiente, su tessuti di vetro. La solidificazione delle resine permette l’inglobamento delle fibre di vetro presenti nello stampo creando l’articolo in vertroresina. “Filamnet Winding” consiste nell’applicare, su un cilindro rotante, normalmente metallico, un filo impregnato con resina catalizzata. Avvolgendo in continuo questo filo sullo stampo, che verrà poi sfilato una volta che la resina sarà indurita, si possono creare tubi o serbatoi cilindrici. “Resin Transfer Moulding” consiste nello spargere a secco, su un lato di uno stampo, una quantità stabilita di fibre di vetro, successivamente si richiude lo stampo con la sua copia e si inietta, a bassa pressione, la resina all’interno. Con questo sistema è possibile eseguire il procedimento di iniezione all’interno dello stampo anche sottovuoto. “Pultrusion” consiste in una produzione simile alla classica estrusione delle materie plastiche, adatta ai materiali compositi per la realizzazione di particolari profili. A QUALI SETTORI SONO DESTINATI E QUALI MANUFATTI IN VETRORESINA SI POSSONO REALIZZARE?Le ottime doti tecniche ed estetiche dei prodotti in vetroresina permettono di impiegarli in moltissimi campi con applicazioni molto ampie: Settore ferroviario Produzione energia Edilizia Fai da te Settore Nautico Settore delle opere sportive Mercato elettrotecnico I prodotti realizzati con la vetroresina sono veramente tanti e non è possibile citarli tutti, ma indicheremo i prodotti che, sul mercato, realizzano i volumi maggiori: Scafi e articoli per il settore nautico. Profili industriali e civili Serramenti e persiane Lucernari Lastre di copertura Pareti Rivestimenti per il settore della refrigerazione Scale e camminamenti Rivestimenti per il settore ferroviario Rivestimenti per il trasporto civile Impianti eolici IL RICICLO DELLE VETRORESINA La vetroresina, essendo un materiale composto, come abbiamo visto, sfugge dalle logiche del riciclo classico dei materiali plastici creando, quindi, varie e complesse problematiche per il suo riciclo. La prima problematica che possiamo ricordare è la presenza delle resine termoindurenti di cui è composto il manufatto, infatti, come sappiamo, la reazione di polimerizzazione è sempre irreversibile, questo significa che se trattassimo i prodotti macinati in vetroresina con il calore, come si fa in genere con altre materie plastiche, non saremmo in grado di riportare a forma liquida le resine impiegate. Il secondo problema riguarda le fibre in vetro che si utilizzano per armare la ricetta. Secondo studi epidemiologici condotti su animali in laboratorio, l’inalazione prolungata alla polvere proveniente da queste fibre, farebbe insorgere carcinomi e mesoteliomi. Nonostante non risultino riscontri sull’uomo dei tests fatti sugli animali, la Comunità Europea ha emesso una direttiva specifica, inserendo le fibre di vetro tra le sostanze pericolose soggette all’obbligo di etichettatura. Infatti le fibre di vetro utilizzate per la realizzazione di manufatti, sono considerate cancerogene di categoria 3 e devono riportare l’etichetta R40 che identifica la possibilità di effetti irreversibili sulla salute. Quindi, nell’ambito dei sistemi di riciclo dei manufatti a fine vita, possiamo riportare le principali destinazioni di smaltimento: Discarica Macinazione dei manufatti in polveri di varie dimensioni e il loro riutilizzo in settori come quello edile. Riciclo tramite pirolisi con la separazione tra fibre e resine Riciclo mediante digestione acida Tra i sistemi di smaltimento oggi impiegati, in termini di volumi, sicuramente la messa in discarica è ancora la più utilizzata, con tutti gli effetti negativi del caso. Per quanto riguarda la macinazione dei manufatti in polveri, risulta sicuramente la via più semplice, da punto di vista pratico, ma lascia aperti tutti i dubbi dal punto di vista sanitario che abbiamo sopra riportato. Mentre per quanto riguarda il riciclo tramite pirolisi o digestione acida non risulta, oggi, economicamente conveniente. E’ evidente che la strada per smaltire gli scarti dei prodotti in vetroresina, a fine vita potrebbe, essere quella del riutilizzo delle polveri macinate in miscele adatte alla produzione di prodotti finiti, ma l’operazione di riduzione volumetrica dei manufatti in vetroresina deve essere realizzata utilizzando attrezzature idonee, in camere isolate, quindi non semplici mulini di macinazione, che salvaguardino la salute dei lavoratori. Esiste inoltre sul mercato un metodo di riciclo degli scarti di vetroresina prodotti con resine ortoftaltica, isoftaltica o vinilestere definito come “recupero con trattamento termico-chimico”. Attraverso questo processo si arriverebbe a recuperare circa l’85% della resina madre, sotto forma di liquido e circa il 99% delle fibre che compongono l’armatura. Tests fatti dal produttore dimostrerebbero che la resina recuperata, che risulta carica di iodio, potrebbe essere rimessa in miscela, con la resina vergine, per la realizzazione di nuovi manufatti senza che vi siano decadimenti prestazionali. Per quanto riguarda le fibre recuperate con questo sistema, viene consigliato un trattamento di calcinazione su di esse, per eliminare i residui carboniosi presenti prima di essere riutilizzate.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - vetroresina

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https://www.rmix.it/ - Processo All’Operaio Del Settore Plastico: Sono Imputato Come Killer Del Pianeta
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Processo All’Operaio Del Settore Plastico: Sono Imputato Come Killer Del Pianeta
Ambiente

Killer della plastica: La difesa punta sulla prova della riciclabilità della plastica. Sarà assolto? Il giudice del processo all'operaio del settore plastico, in aula, di fronte alla giuria popolare che lo guardava con disprezzo, ipotizzando già la soluzione del caso attraverso un verdetto di condanna esemplare, gli chiese di raccontare come erano andati i fatti. “Signor Giudice”- disse l’operaio – “ho 54 anni e ho iniziato 34 anni fà lavorare in una fabbrica vicino a casa che stampava vaschette alimentari in polipropilene”, alla parola polipropilene si levarono dal banco della giuria popolare voci concitate di disappunto e di orrore. “Continui” lo esortò il giudice. “Dopo la scuola volevo trovare un lavoro, sà, avevo una fidanzata che si chiamava Elisabetta, che già lavorava in questa fabbrica e sapeva che stavano cercano un operaio per la produzione. Mi sono presentato pieno di buone speranze e di voglia di lavorare. Io non sapevo niente della plastica e del polipropilene, delle macchine e della fatica nelle notti di lavoro, ma volevo sposare Elisabetta e prenderci una casetta in affitto, quindi avevo bisogno di lavorare” Il giudice intervenì torvo: “Imputato! venga al dunque”. “Certo Signor Giudice, le stavo dicendo che mi assunsero e iniziai a lavorare in questa fabbrica che produceva le confezioni rigide per i formaggi, i dolci e per altri alimenti per le nostre tavole. Sono stati anni bellissimi, ci siamo sposati, abbiamo avuto una figlia meravigliosa, Paola, e ci siamo comprati anche una piccola macchina, per poter andare a fare qualche gita la domenica, ma quando non ero di turno”. “Mia moglie nel frattempo è stata a casa dal lavoro perché nostra figlia, avendo un problema di salute, doveva essere seguita”. L’avvocato del popolo si alzò dicendo: “Signor Giudice, mi oppongo, non siamo qui a parlare delle mielose situazioni familiari, ma siamo qui per decidere se l’imputato ha operato in questi anni come inquinare seriale”. Il giudice guardando attraverso gli occhiali borbottò: “Obbiezione Accolta”. “Imputato” -disse il giudice- “Si attenga ai fatti”. “Scusi Signor Giudice. Il mio lavoro continuò in questa fabbrica con molti sacrifici perché, sà, con uno stipendio da operaio, negli ultimi anni, non era facile riuscire a fare una vita dignitosa. Ma almeno io, Signor Giudice, avevo un lavoro.” “Due anni fa in fabbrica si cominciò a parlare di crisi, le confezioni in polipropilene degli alimenti erano messe in discussione sul mercato, la plastica è diventata il nemico numero 1 per la gente, i vicini di casa mi vedevano passare, quando finivo il turno di lavoro e bisbigliavano: è lui! E’ lui quello che inquina con la plastica.”“io non ci facevo caso, Signor Giudice, perché il mio posto di lavoro era importante per la mia famiglia e quindi sopportavo di essere additato con uno spacciatore, un assassino o uno stupratore dell’ambiente”. L’avvocato del popolo intervenne solerte: “ma quindi lei, imputato, non ha fatto niente, in tutti questi anni, per correggere il suo comportamento scellerato?” Il povero operaio non capì bene la domanda e si chiedeva come rispondere all'avvocato, che nel frattempo si stava accalorando perché tentennava e prendeva tempo. “Su, imputato, risponda!” sentenziò il Giudice”. “Veda, Signor Giudice, io mi sono preoccupato tutta la vita di fare bene il mio lavoro, così come il proprietario della fabbrica mi chiedeva, di non arrivare in ritardo, e di non uscire dalla fabbrica subito dopo la fine del mio turno, perché, sa, mi fermavo a dare una mano agli altri operai che entravano al lavoro. Ho sempre pensato allo stipendio che guadagnavo, perchè serviva alla nostra famiglia. Solo un giorno, Signor Giudice, ho iniziato a non capire bene cosa stesse succedendo in quanto mia figlia, a tavola, mi chiese: “Papà, a scuola mi dicono che tu sei un inquinatore seriale, un criminale, lavori la plastica. Io ho pianto in classe, non sapevo cosa dire”. “Doveva pensarci prima” gridò un signore di mezza età dal banco della giuria popolare. “Silenzio!” intervenne il Giudice. “Quindi, imputato”- disse il giudice -“lei conferma di aver prodotto milioni, se non miliardi di vaschette in.. ehm.. già eccolo..polipropilene, che sono finite poi nei nostri mari? Conferma che i prodotti che lei ha stampato si sono trasformati con il tempo in microplastiche e che sono stati poi ingerite dai pesci? Conferma che con il suo comportamento irresponsabile e criminale ha compromesso la catena alimentare? Conferma che i casi di malattie e dei decessi, tra la popolazione, avvenute negli ultimi anni a causa dell’ingerimento delle microplastiche presenti nell’acqua e nel cibo, provenienti dalle sue vaschette in polipropilene, sono causa della sua condotta? Conferma che il dolo è proseguito anche negli ultimi anni quando chiare evidenze scientifiche hanno dimostrato il nesso di causa tra la plastica presente nei mari e nei fiumi e il di danno per la salute? Conferma di aver perpetrato un attacco alla salute pubblica? Conferma di aver creato un danno incalcolabile alla fauna ittica?” L’operaio sudava copiosamente e non capiva bene tutto quel lungo discorso del giudice, quindi, si voltò verso il suo avvocato per chiedere cosa dovesse rispondere. L’avvocato si alzò in piedi e con fare insicuro, ma determinato, disse: “Signor Giudice, Signori della Corte, il qui presente imputato, operaio plastico, non può avere le responsabilità che gli attribuite, non può avere commesso delle azioni così delittuose, non può essersi macchiato di reati così gravi, non può essere considerato un inquinatore seriale, un killer dell’umanità, non può aver intrapreso una condotta criminale con la plastica” Dopo una pausa teatrale, in cui controllò che tutta la giuria popolare lo stesse guardando attenta, sentenziò: “tutto questo non costituisce reato in quanto la plastica è riciclabile e quindi non è da considerarsi un pericolo per la popolazione e la fauna”. A quel punto si alzarono grida di protesta dal pubblico e dalla giuria popolare che a stento il Giudice riusciva a controllare.  L’avvocato, a quel punto, puntò il dito verso la giuria popolare, gridando sopra le urla della folla e disse: “siete voi gli imputati che dovreste sedere su questa sedia, siete voi che disperdete la plastica dopo verla usata, nell’ambiente, siete voi che non vi preoccupate di raccoglierla e riciclarla, siete voi che disprezzate il riciclo perché è sinonimo di sporco, siete voi che andate al mare e vi lamentare dei rifiuti sulla spiaggia e poi spegnete i mozziconi di sigaretta nella sabbia e li lasciate li, siete voi che comprate le bottiglie in plastica invece di bere l’acqua del rubinetto…siete…” A questo punto il Giudice intervenne e, battendo in modo frenetico il martello sullo scranno, come fosse un fabbro che stesse piegando un ferro rovente e gridò: “polizia, arrestate l’avvocato per oltraggio alla corte e alla giuria popolare”. Il povero operaio plastico guardava senza capire, le manette ai polsi iniziavano a fargli male e dopo aver cercato più volte, tra la folla, uno sguardo amico o solo compassionevole, si rassegnò al suo destino come killer ambientale. Sarà assolto? Racconto di Orizio Luca

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https://www.rmix.it/ - Piccoli suggerimenti per migliorare lo stampaggio a iniezione
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Piccoli suggerimenti per migliorare lo stampaggio a iniezione
Informazioni Tecniche

Piccoli suggerimenti per migliorare lo stampaggio a iniezionedi Marco ArezioAbbiamo già affrontato negli articoli presenti sul portale, alcuni argomenti riguardanti i difetti che si creano in fase di stampaggio, e le soluzioni che si suggeriscono, sia per quanto riguarda la gestione degli stampi, che per i difetti che si possono riscontrare sul prodotto finito. Come sapete lo stampaggio delle materie plastiche è una scienza imperfetta in quanto il buon esito del lavoro di stampaggio è influenzato da una quantità davvero importante di fattori. Possiamo partire dalla tipologia della macchina, dai suoi componenti e dal loro stato di usura, dalla progettazione dello stampo e dal suo mantenimento in buone condizioni, dalle materie prime utilizzate, con particolare attenzione a quelle rigenerate, alla regolazione dei parametri macchina e stampo. Tutte queste cose messe insieme vanno, alla fine, ad influire sul buon esito del lavoro e, con esso, sul buon esito finanziario del vostro lavoro. Infatti, anche questo aspetto, che forse i tecnici puri trascurano, è da tenere in considerazione tanto quanto la qualità e la tecnica in produzione. Vediamo brevemente alcuni difetti che possono capitare frequentemente: Striature sulle pareti dei prodotti Sono dette anche linee di flusso che comprendono strisciate, macchie e colorazioni differenti che possono essere causate dal profilo di raffreddamento e del percorso che compie la plastica per raggiungere le parti dello stampo. Ci sono alcuni modi per ovviare a questo inconveniente che riguardano l'aumento della velocità di iniezione per migliorare il riempimento delle cavità, oppure lo smorzamento di alcune angolature dello stampo in cui passa il flusso. Piccole cavità sulle superfici dei prodotti Si formano normalmente sulle pareti dei prodotti delle piccole depressioni o avvallamenti specialmente nelle aree dove lo spessore è maggiore o dove il flusso subisce dei restringimenti. In questi casi si consiglia di ridurre la temperatura dello stampo, aumentare la pressione di iniezione e il tempo di stampaggio per migliorare la polimerizzazione e il raffreddamento. Se fosse possibile, al fine di migliorare il raffreddamento, si consiglia di ridurre lo spessore delle pareti ove il manufatto lo consenta. Vuoti Se precedentemente abbiamo parlato di piccole cavità o piccoli avvallamenti che si possono riscontrare sulle superfici qui possiamo parlare di veri e propri vuoti caratterizzati da un'incompleta finitura della parete. Il motivo per cui si creano questi vuoti possono essere molteplici. Normalmente sono originati da sacche d'aria che si oppongono al buon deflusso dell'impasto nello stampo, le cui cause si possono riscontrare in un'eccessiva presenza di gas all'interno, formato per esempio dalla degradazione del polimero nella vite della macchina, che non viene correttamente sfogato. Cosa che può capitare facilmente se si utilizzano polimeri composti, come il PP/PE e non si tiene in giusta considerazione il rapporto tra temperatura di estrusione e composizione del materiale. Un'altra causa potrebbe essere l'eccessiva viscosità della materia prima utilizzata su cui si può intervenire con una idonea scelta della fluidità del prodotto. Anche il mantenimento del corretto allineamento dello stampo in fase di iniezione può aiutare a ridurre queste problematiche. Delaminazione delle superfici Può capitare che le pareti del prodotto stampato presentino piccoli strati che si possono sfogliare. Le cause sono da attribuire, tra gli altri, ad alcuni fattori quali l'eccessiva presenza di umidità o l'utilizzo di polimeri rigenerati nei quali sono presenti polimeri con gradi di fusione diversi dal principale. E' sempre consigliabile, specialmente se si usano granuli rigenerati, asciugarli in silos prima di metterli in macchina. Inoltre la corretta scelta dei granuli riciclati passa dalla conoscenza del DSC dei polimeri che si usano, in quanto, maggiore è la percentuale di polimeri con gradi di fusione diversa, maggiore è la possibilità di creare stress termici nei polimeri. Un altro consiglio è quello di aumentare la temperatura dello stampo. Linee di saldatura In prossimità delle linee di saldatura si possono creare imperfezioni estetiche a causa delle diverse direzioni di movimento della plastica liquida. In primo luogo la corretta chiusura di uno stampo permette una buona performace non solo del polimero all'interno ma anche una migliore finitura dei prodotti. Inoltre la corretta scelta della fluidità del prodotto e del tonnellaggio della macchina, in funzione del prodotto finale che si deve produrre, permette una produzione corretta senza sforzare ne lo stampaggio che il polimero, a tutto vantaggio della qualità dell'elemento stampato. Infine il design dello stampo che tiene conto dei corretti flussi del polimero in presenza della saldatura del prodotto sono da tener presente quando si dovessero verificare problemi estetici sulla saldatura e, in questo caso, valutare un intervento sullo stampo che possa essere risolutivo al problema.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - stampi - difetti di produzione

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https://www.rmix.it/ - La Proprietà dei Rifiuti Domestici e il Diritto di Cessione Onerosa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Proprietà dei Rifiuti Domestici e il Diritto di Cessione Onerosa
Economia circolare

I rifiuti che produciamo ogni giorno hanno un valore e in virtù di questo che dovrebbero essere cedutidi Marco ArezioSembra che il ritiro del rifiuto plastico, del vetro, della carta, dei metalli e della frazione umida dalle nostre case sia un servizio gentile che i comuni organizzano per farci un favore, quello di liberare quotidianamente le nostre case dai rifiuti. Ma è proprio così? Incominciamo a dire che gratis oggi, probabilmente, non si fanno più nemmeno i favori, ma quello che i cittadini hanno in testa, in relazione al servizio di raccolta dei rifiuti, è un concetto non del tutto corretto. Non si vede spesso, nel mercato reale, una cessione di un bene senza un corrispettivo economico pagato da parte dell'acquirente e, probabilmente, ancora meno si vedono operazioni in cui il venditore debba pagare l'acquirente per cedere il suo prodotto. Nel mondo dei rifiuti capita invece con una certa frequenza e i motivi nascono da una visione distorta da parte della gente del concetto di rifiuto di nostra proprietà. Già la parola rifiuto è assimilato a tutti questi prodotti che, nelle nostre case o aziende, finiscono il ciclo di vita che gli abbiamo attribuito, diventando un impellente problema di spazio e di decoro. Con questo concetto, non riuscendo a intravedere nessun valore al prodotto a fine vita, siamo disposti a pagare purché venga portato via dal nostro ambito di vita. Le attività imprenditoriali che si occupano di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti ringraziano per la golosa opportunità offerta dai cittadini (sebbene le logiche delle aste delle materie prime a volte raffreddano questi entusiasmi) e i comuni, che hanno il compito di raccogliere i rifiuti, coprono i costi del servizio, lontani dalle logiche di mercato, attraverso i nostri soldi. In realtà, con questo sistema, il cittadino rimane beffato 3 volte: - cede il rifiuto di sua proprietà senza ricavarne alcun vantaggio economico - paga per la cessione e il ritiro del rifiuto presso la propria abitazione - ricompra un bene che probabilmente è fatto con una quota dei rifiuti che ha ceduto in modo oneroso Molti anni fa quando i rifiuti domestici venivano prevalentemente sotterrati in discariche o bruciati passivamente, il contributo economico al ritiro e smaltimento poteva avere un senso logico in quanto, il comune, attraverso società specializzate, offriva un servizio al cittadino non remunerativo. Oggi, i rifiuti hanno un valore intrinseco in quanto producono, attraverso la loro lavorazione, sottoprodotti con cui si crea un nuovo valore. Il vetro, la carta, la plastica la frazione umida delle nostre cucine creano un circolo virtuoso espresso in materie prime seconde o in energia che vengono offerte nuovamente al mercato in una normale attività commerciale. Quindi può facilmente capitare che il rifiuto che noi abbiamo, forse ingenuamente pagato per liberarcene, lo ripagheremo una seconda volta quando andremo a comprare un flacone di detersivo fatto in plastica riciclata o accenderemo la luce a casa nostra, utilizzando l'energia realizzata con la frazione umida delle nostre cucine. In alcune parti del mondo si comincia a pensare che questo approccio alla cessione onerosa, da parte dei cittadini dei propri rifiuti, sia una cosa che ha poco senso e che la sua inversione potrebbe creare un'economia sociale importante e un concreto aiuto alla salvaguardia dell'ambiente. Ma come è possibile cambiare questa mentalità e quali vantaggi porterebbe? Vediamo alcuni punti: Si deve accompagnare il cittadino ad un cambiamento culturale radicale, spostando il concetto di rifiuto da un onere ad una risorsa per sé e per la propria famiglia. Acquistando un valore, il rifiuto domestico permette di creare un ulteriore introito al bilancio famigliare riducendo le tasse a suo carico, come già succede già in alcuni paesi, attenzionando il cittadino al corretto approccio alla raccolta differenziata. Si creerebbe una sostanziale riduzione dei rifiuti dispersi nell'ambiente in quanto si potrebbe generare una nuova economia che valorizza la raccolta e il riciclo. I maggiori oneri che le industrie del riciclo e i comuni saranno costretti a sostenere potrebbero essere compensati, da un aumento della quota di rifiuti lavorabili immessi sul mercato, da una riduzione degli oneri derivanti dalle bonifiche ambientali o dalle conseguenze economiche in relazione all'aumento del tasso di inquinamento circolare e dalla dipendenza dalle materie prime vergini. Pensateci, potrebbe fare bene a tutti.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti urbaniVedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - Emergenza Pfas nelle Materie Plastiche e negli Imballaggi: C'è una soluzione?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Emergenza Pfas nelle Materie Plastiche e negli Imballaggi: C'è una soluzione?
Informazioni Tecniche

Pfas nelle materie plastiche e negli imballaggi: sono composti chimici non presenti in natura, non biodegradabili e nocivi alla salute di Marco ArezioCome tutte le medaglie che si rispettano, anche i Pfas, acronimo delle sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, hanno il loro lato luccicante e il loro lato oscuro. I composti chimici di queste famiglie, che se ne contano circa 4700, sono stati creati in laboratorio e largamente utilizzati dagli anni 50 nell'industria del packaging alimentare, nei pesticidi, nelle padelle antiaderenti, nei contenitori di cartone, nelle schiume antincendio, negli shampoo, nelle vernici, nei prodotti antimacchia e in molte altre applicazioni. Nelle materie plastiche li troviamo sotto forma di elastomeri (Fluoruro di vinilidene, Fluorurati in generale, Tetrafluoroetilene) o nei materiali polimerici (Sale di magnesio-sodio-fluoruro dell'acido silicico). I vantaggi di queste sostanze, applicate ai prodotti finiti, sta nella loro idrorepellenza, oleo-repellenza e termo-resistenza, che ci permettono di rendere, per esempio, una giacca impermeabile, di non far attaccare un uovo alla padella, di non sporcarci si maionese o sostanze oleose quando mangiamo un panino imbottito contenuto in un involucro di carta e di non farci sporcare le mani al cinema quando mangiamo i popcorn. Il loro legame chimico composto dal fluoro e dal carbonio rende, la molecola risultante, un elemento oggi insostituibile nelle applicazioni industriali, ma lo rende anche non biodegradabile ed estremamente pericoloso, in quanto è inodore, insapore e incolore. Queste caratteristiche gli permettono di disperdersi facilmente nelle acque, nel suolo e nell'aria, rimanendo a danneggiare l'ambiente e la salute dell'uomo per molto tempo. Le piante assorbono i Pfas attraverso l'acqua di irrigazione, li cedono ai frutti e agli animali, di cui si cibano e così, magicamente finiscono sulle nostre tavole e nel nostro corpo. Dal punto di vista della salute molti studi hanno dimostrato che l'accumulo di queste sostanze nel corpo umano possono favorire aborti spontanei, alterare la fertilità, provocare cancro al testicolo, alla tiroide e ai reni. Quali sono i mezzi oggi a disposizione per difenderci dall'inquinamento subdolo degli Pfas? Allo stato attuale non sono molti: possiamo contare sui filtri a carboni attivi in cui la porosità del carbone filtrante ha dimostrato una certa efficacia nell'intercettare i Pfas, ma non è un sistema efficace su tutte le molecole. Ma ancora una volta, la biochimica, ci potrebbe dare una risposta al problema in quanto un team di ricercatori Americani ha scoperto un batterio, chiamato Acidimicrobium A6, che avrebbe la caratteristica di spezzare il legame tra il fluoro e il carbonio nei Pfas. Il batterio è stato scoperto in una palude Americana e studiato a lungo a seguito della sua capacità di scindere l'ammonio, sfruttando il ferro presente nel terreno, senza l'impiego di ossigeno. Questa reazione denominata, Feammox, è stata riprodotta in laboratorio, dopo aver coltivato nuovi ceppi di batteri e sottoponendo le nuove famiglie ad altri tests relativi alle sostanze presenti nelle acque reflue. Dopo 100 giorni di coltura in acque contenenti, tra gli altri, anche i Pfas, si è notato che il batterio aveva la capacità di scomporre i due leganti principali, il fluoro e il carbonio, riducendoli per il 60%. La scoperta potrebbe essere interessante, non solo nei liquidi reflui contaminati da Pfas, ma anche nei terreni in quanto il batterio agisce in condizioni ipossiche, cioè di scarso ossigeno. Categoria: notizie - tecnica - pfas - packaging - imballaggi

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https://www.rmix.it/ - I Rifiuti Urbani Migliorano la Crescita dei Pomodori
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I Rifiuti Urbani Migliorano la Crescita dei Pomodori
Economia circolare

Con la CO2 recuperata dall'incenerimento dei rifiuti si favorisce il processo di fotosintesidi Marco ArezioA Madrid è andato in scena l'ennesimo raduno oceanico di giovani e meno giovani, capeggiati da Greta, in concomitanza con la riunione Cop25, dal quale è emersa una sonora bocciatura delle aspirazioni ambientaliste, promosse dalla piazza, da parte di un gruppo dei paesi che hanno partecipato alla riunione. Con una serie di rinvii delle decisioni da prendere, in merito al taglio e ai crediti della CO2, al Fondo per i danni causati dai cambiamenti climatici e la ratificazione degli impegni presi in merito all'accordo di Parigi, si sono delineati alcuni blocchi composti da stati con visioni ambientali completamente diverse: Chi non vuole cambiare le cose, anzi, come gli Stati Uniti, vogliono uscire dall'accordo di Parigi per avere mano libera nella gestione del processo di inquinamento. In questo blocco possiamo includere anche l'Arabia Saudita, l'Australia, Brasile e la Russia che non vogliono ulteriori tagli sulle emissioni di CO2. Chi sta lavorando per il rispetto dei limiti imposti a Parigi, in primis l'Unione Europea, che sembra l'unica che si stia impegnando a prendere sul serio il problema del cambiamento climatico. All'interno del suo gruppo però, ci sono dei paesi del blocco dell'Est, capeggiati dalla Polonia, le cui economie sono ancora profondamente legate all'uso del carbone e che, quindi, sono ostili ad ulteriori revisioni al ribasso dei limiti sulle emissioni. Chi sta alla finestra senza prendere sostanziali decisioni, come la Cina e l'india, il cui mercato economico è fortemente legato alla gestione lassista delle normative ambientali (emissioni, rifiuti, riciclo, riuso, scarichi industriali e urbani). Nel frattempo l'Europa, chiaccherando forse meno, sotto la spinta delle direttive del parlamento in fatto ambientale, ha liberato una serie di energie propositive, sia imprenditoriali che accademiche, che vogliono studiate e sfruttare nuove idee nel campo della gestione dei rifiuti e del risparmio energetico. Una di queste prevede il recupero della CO2 che viene generata dall'incenerimento di quei rifiuti non riciclabili, per usi civili. Questa operazione ha degli indubbi vantaggi diretti ed indiretti: - L'operazione di incenerimento di rifiuti, che andrebbero in discarica, non crea emissioni di CO2 in ambiente in quanto viene completamente recuperata e riutilizzata. - Con l'attività di incenerimento si può fornire energia elettrica e riscaldamento alle città limitrofe all'impianto, risolvendo il problema dei rifiuti locali. - La CO2 recuperata viene utilizzata, tra l'altro, per attività agricole, in certi periodi, dell'anno e per ridurre i costi della gestione dell'impianto. Ma come avviene questa applicazione nel campo agricolo? I fumi prodotti dalla combustione dei rifiuti urbani hanno un contenuto di anidride carbonica che oscilla tra il 5 e il 20%, oltre ad altre tipologie di gas come l'ossigeno, gli ossidi di zolfo, gli ossidi di azoto e varie frazioni di polvere. Questi fumi vengono convogliati in un impianto specifico che ha lo scopo di separare la CO2 dagli altri elementi, così da poter avviare il processo di sterilizzazione dell'anidride carbonica, che si otterrà alla fine del ciclo di trattamento, così da renderla utilizzabile per usi industriali e alimentari. Questa separazione avviene facendo passare i fumi in un solvente che ha lo scopo di assorbire la CO2 e respingere gli altri componenti. La soluzione, solvente+CO2, viene avviata in un altro impianto che ha lo scopo di far bollire la soluzione in modo da separare nuovamente il solvente, che rientrerà nel ciclo di produzione, dalla CO2 sotto forma di gas. L'anidride carbonica gassosa passerà in un altro impianto di purificazione e, attraverso una serie di filtri, terminerà il processo di purificazione del gas, passando poi alla fase di compressione della CO2 per portarla ad una consistenza liquida. Questo nuovo elemento liquido verrà poi stoccato e avviato nelle serre per facilitare il processo di crescita dei fiori, delle piante e dei frutti. Infatti questo processo è influenzato dalla temperatura, dalla luce, dall'acqua e dalla CO2 assorbita dalle piante. Ma tra tutti gli elementi sopra citati, è proprio l'aumento della concentrazione di CO2 che influenza in maniera drastica il processo di fotosintesi, infatti un incremento di anidride carbonica doppia rispetto alle concentrazioni naturali, porterà ad uno sviluppo maggiore della pianta di circa il 15-20%, a parità degli altri parametri nutrizionali. La concimazione carbonica, così chiamata, ingenera un incremento della crescita di molte specie vegetali, ma i risultai più evidenti si notano nell'aumento della qualità del prodotto e la riduzione dei cicli produttivi.Categoria: notizie - rifiuti - economia circolareVedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - Ricambi per le auto prodotti con un compound contenente scarti di caffè
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Ricambi per le auto prodotti con un compound contenente scarti di caffè
Economia circolare

Ford e McDonald’s hanno creato una collaborazione ispirata all’economia circolaredi Marco ArezioLe due società attive nel settore della mobilità e della ristorazione hanno coinvolto la ditta Competitive Green Technology per realizzare un compound che potesse utilizzare alcuni scarti del del caffè, uniti al polipropilene, per produrre ricambi per auto. Lo scopo era studiare una ricetta che rendesse alcune parti delle auto più leggere e più robuste rispetto alle ricette tradizionali. Lo scarto, per evitare che si bruci, viene trattato in un ambiente a basso contenuto di ossigeno e poi mischiato con il polipropilene per la formazione dei granuli, che risulteranno più leggeri del polipropilene tradizionale e avranno bisogno di minor energia per lo stampaggio. Secondo il leader tecnico del team di ricerca dei nuovi materiali Ford, il Sig. Mielewski, lo scarto proveniente dalla torrefazione del caffè viene usato in sostituzione del talco che normalmente compone i compounds di polipropilene, apportando una riduzione di peso intorno al 20% e una buona resistenza alle alte temperature. Le prime applicazioni sono state fatte nella produzione di alloggiamenti per i fari, a seguito di prove nelle quali si è notata una maggiore resistenza alle temperature rispetto al pezzo fatto con il nuovo compound al tradizionale. Infatti, l’alloggiamento dei fari è una zona dove si crea molto calore e le proprietà tecnica del nuovo materiale è sembrata subito azzeccata a questo lavoro. Questi nuovi ambiti per i fari saranno costruiti dal fornitore Varroc Lighting Systems e saranno posizionati sulla berlina Lincon Continental a seguito delle nuove modifiche previste nel 2020. Secondo il team Ford, l’alloggiamento per i fari è solo l’inizio della produzione di articoli per la componentistica delle auto fatte con questa ricetta Green e con altre allo studio, come è successo per la schiuma di soia usata nei sedili della Mustang e che oggi si trovano in molte altre macchine dell’azienda. La ricerca e lo sviluppo di ricette che siano compatibili con la circolarità dei componenti impiegati, hanno lo scopo di utilizzare i pezzi prodotti in alcune vetture della gamma Ford e Lincon, con particolare attenzione a quegli elementi dove, all’interno dell’auto, vengono sviluppate alte temperature. Parliamo di involucri per batterie, sotto cofani e coperture per il motore. Ovviamente la fragranza del caffè, sui componenti da installare, viene tolta nella fase di produzione del compound per evitare che la vostra macchina abbia il profumo di una tazza di caffè appena versato.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - demolizioni - ricambi autoVedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - Plastic Free? Il Paradosso dell'Inquinamento da Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Plastic Free? Il Paradosso dell'Inquinamento da Plastica
Ambiente

Plastic Free: Una situazione incredibiledi Marco Arezio Il paradosso dell'inquinamento da plastica è che non c'è abbastanza plastica riciclata sul mercato. Pensaci. I movimenti popolari hanno aumentato la domanda di materie prime rigenerate per produrre imballaggi ecologici. I produttori di granuli e macinati riciclati non sono più in grado di soddisfare le esigenze delle industrie dell'imballaggio poiché la raccolta e il riciclaggio dei rifiuti di plastica sono di gran lunga inferiori alle richieste. La raccolta differenziata e il suo riciclaggio producono troppo poco materiale rispetto a quello che sarebbe necessario e quindi i rifiuti in plastica da riciclare sono lì ma finiscono principalmente nelle discariche o nell'ambiente. Una situazione incredibile.

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https://www.rmix.it/ - Il Socialismo Ecologico di Marx era Sbagliato?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Socialismo Ecologico di Marx era Sbagliato?
Ambiente

Si parla in modo ricorrente dell’attualità di certe teorie marxiste alla luce delle precarie condizioni ambientali della terra di Marco ArezioIn un’epoca in cui la sofferenza dell’ambiente e la diminuzione dell’equilibrio tra gli elementi della natura, come li abbiamo sempre conosciuti, stanno mettendo in difficoltà l’uomo e la sua sopravvivenza, si ricomincia a parlare di ecologia sociale. In questo periodo e nel recente passato, a causa della situazione ambientale compromessa, della crescita delle disuguaglianze economiche che creano sempre più poveri e migranti ecologici e del consumismo portato all’estremo, in cui la merce vale forse più del lavoro dell’uomo, il ritorno alla lettura della filosofia classica e dei grandi pensatori, come Platone, Gandhi e Karl Marx ci hanno fatto ritrovare riferimenti precisi sul rapporto tra l’uomo e la natura. Marx ne inizia a parlare prendendo spunto da una situazione precisa successa tra il 1830 e il 1870, periodo in cui sia in Europa che in Nord America si verificò una diffusa perdita di fertilità nei suoli coltivati. A sottolineare la gravità della situazione è il fatto che a partire dal 1835 iniziarono ad arrivare in Inghilterra le prime navi di grano per soccorrere la malata agricoltura Europea, arrivando ad importare nel 1847 ben 220.000 tonnellate. L’allarme creato da questa situazione non sfugge ad un accorto osservatore come Marx, che sviluppa una teoria sullo sfruttamento capitalistico dell’agricoltura, basato sull’impoverimento dei suoli senza preoccuparsi della loro rigenerazione e del loro equilibrio produttivo a sfavore delle generazioni future. Citando un passaggio estratto dal capitolo “Genesi della rendita fondiaria capitalistica” che fa parte del terzo libro del Capitale Marx dice: «La grande proprietà fondiaria riduce la popolazione agricola al minimo, a una percentuale continuamente decrescente, e le contrappone una popolazione industriale in continua crescita e concentrata nelle grandi città; in tal modo crea condizioni che provocano una frattura incolmabile nel complesso equilibrio del metabolismo sociale prescritto dalle leggi naturali della vita. Crea così le condizioni che provocano lo spreco delle energie del suolo, spreco che il commercio trasferisce molto oltre le frontiere del paese considerato. La grande industria e la grande agricoltura industriale agiscono nello stesso senso. In origine si distinguono perché l’industria devasta e rovina soprattutto la forza lavoro e dunque la forza naturale dell’essere umano, mentre l’agricoltura rovina più direttamente la forza naturale della terra, ma poi, sviluppandosi, finiscono per darsi la mano: il sistema industriale in campagna finisce così per debilitare anche i lavoratori, e l’industria e il commercio, dal canto loro, forniscono all’agricoltura i mezzi per sfruttare il terreno.» Inoltre Marx fa un accenno anche alla mancata circolarità dell’economia, mettendo in rapporto la bassa fertilità delle campagne con l’avvelenamento dei fiumi perpetrato nelle grandi città. Infatti scrive:  «A Londra, per esempio, del letame prodotto da quattro milioni e mezzo di persone non si è trovato di meglio da fare che usarlo per avvelenare, con un costo enorme, il Tamigi.» «I residui derivanti dai processi fisiologici naturali degli esseri umani avrebbero potuto, come quelli della produzione industriale e del consumo, essere reintrodotti nel ciclo produttivo, chiudendo il ciclo metabolico». Marx parla più volte di un nuovo rapporto tra la natura e l’uomo, dove l’agricoltura non poteva subire un approccio di sfruttamento industriale e capitalistico basato sul profitto immediato, così da debilitare la terra senza preoccuparsi di creare una corretta armonia con essa. Nei suoi scritti troviamo una citazione in merito: «Il fatto di dipendere, per la coltivazione dei diversi prodotti del suolo, dalle fluttuazioni dei prezzi di mercato, che determinano un continuo cambiamento di quelle colture, e lo spirito stesso della produzione capitalistica, centrato sul profitto più immediato, sono in contraddizione con l’agricoltura, che deve gestire la produzione tenendo conto dell’insieme delle condizioni di esistenza permanenti delle generazioni umane che si susseguono.» L’aspetto della sostenibilità in chiave moderna la troviamo spesso quando Marx sottolinea che la terra non può appartenere all’uomo contemporaneo che si permette di operare uno sfruttamento intensivo a suo beneficio, ma deve pensare alle generazioni future. Questo aspetto viene trattato qui di seguito: «Uno sviluppo che risponde alle necessità del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare le loro.» Per Marx, è necessario che la terra sia «trattata coscientemente e razionalmente come una proprietà perpetua della collettività, condizione inalienabile di esistenza e riproduzione della serie di generazioni successive.» Nonostante Marx abbia ricevuto sostenute critiche che sostenevano il suo disinteresse al valore della natura, lui stesso a più volte espresso il concetto che la vera ricchezza consiste nei valori d’uso, che caratterizzano la produzione in generale, al di là della sua forma capitalistica, di conseguenza la natura, che contribuisce alla produzione di valori d’uso, è una fonte di ricchezza quanto il lavoro.

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https://www.rmix.it/ - I robot ci salveranno dai rifiuti?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I robot ci salveranno dai rifiuti?
Economia circolare

Dopo la svolta ecologista della Cina la tecnologia dei robot potrebbe aiutare l’uomodi Marco Arezio Il mondo sta affondando nei rifiuti e non ci sono paesi che non possano temere questo lento annegamento nella palude dei nostri scarti. Forse i robot ci salveranno dai rifiuti? Vivevamo in un mondo comodo, dove i nostri rifiuti venivano facilmente ed economicamente spediti prevalentemente in Cina e nessuno, né il consumatore né le istituzioni politiche si sono mai preoccupate di che fine facessero tutta quella massa immensa di scarti che il benessere produceva ad un ritmo continuo e in quantità impressionante. Il giorno che il governo cinese ha detto stop, ci siamo svegliati dai nostri sonni felici e ci siamo ritrovare a precipitare in un baratro profondo. Non eravamo pronti per affrontare questa emergenza per due chiare ragioni: La prima, causata dello stop improvviso delle importazioni cinesi ci siamo accorti che dal punto di vista industriale non eravamo pronti a gestire una massa immensa di rifiuti contaminati. La seconda è di carattere tecnologico, in quanto i rifiuti che venivano inviate fuori dai paesi occidentali erano di una qualità bassa, con contaminazioni in termini di plastiche miste e poli-accoppiati che ne rendevano difficile il loro utilizzo commerciale. La soluzione potrebbe venire dalla tecnologia robotica che permetterebbe di incrementare e migliorare l’arduo compito che ci aspetta nella gestione in patria dei nostri rifiuti. I robot possono sostituire o implementare il lavoro gli operatori macchina proprio in quella parte del attività di selezione dei rifiuti dove l’incremento della quantità selezionata per giorno può accrescere il valore globale del rifiuto trattato. Inoltre possono incrementare la qualità della selezione, permettendo una selezione più precisa che unita all'aumento delle quantità dovrebbe portare un valore aggiunto al business, creando soluzioni compatibili con i costi di gestione dei rifiuti plastici attesi. Ovviamente i robot devono essere progettati per un lavoro per i quali non erano stati ancora impiegati, infatti, soprattutto negli Stati Uniti si stanno studiando terminali di presa dei prodotti in selezione attraverso l’incremento della tattilità delle mani meccaniche modificando con dei nuovi sensori persino la sensibilità alla tipologia di rifiuti che lavorano. Il loro funzionamento è semplice in quanto sono guidati da telecamere che puntano ai nastri di trasporto dei rifiuti da selezionare e interagiscono con i sensori posti sulle mani meccaniche. Inoltre ogni movimento che compiono permette di raccogliere dati specifici che possono essere gestiti per analizzare in modo matematico il lavoro svolto. C’è chi parla già di un miracolo della robotica che ci salverà dal problema dei rifiuti che sta strangolando le città in quanto velocità e qualità del rifiuto selezionato porterebbero alleggerire, nelle intenzioni degli addetti del settore, la pressioni sull'accumulo delle scorte dei rifiuti e porterebbe vantaggi economici indotti.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - robotVedi maggiori informazioni sull'automazione industriale

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https://www.rmix.it/ - Uso della plastica riciclata: tanti articoli ma poca attenzione verso il settore
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Uso della plastica riciclata: tanti articoli ma poca attenzione verso il settore
Economia circolare

Come aiutare l’ambiente, riutilizzando la plastica di scarto, ma sentirsi un imprenditore di serie Bdi Marco ArezioI produttori di articoli fatti con la plastica riciclata dovrebbero avere un riconoscimento sociale per l’uso che fanno della materia prima riciclata nei loro prodotti, la quale contribuisce, non solo a ridurre le quantità di rifiuto che giornalmente produciamo in tutto il mondo, ma permette di ridurre l’uso dei polimeri vergini di derivazione petrolifera. Un impegno verso l’ambiente in perfetta coerenza con i principi dell’economia circolare ma, che nel concreto non ha, fino ad ora, trovato grande sostegno tra i consumatori. La prima cosa che gli stati dovrebbero fare è quello di incentivare gli acquisti di prodotti fatti in plastica riciclata e scoraggiare quelli fatti con la materia prima vergine, così da dare una spinta importante in un’ottica ambientalista. Gli incentivi possono essere di varie forme: - sgravi fiscali sugli acquisti- buoni spesa- prezzi calmierati- incentivi sull’uso dei polimeri rigenerati per le industrie in fase di produzione Questi, sono solo alcuni esempi di tanti che si possono adottare, ma sono fondamentali per aiutare la riduzione della plastica di scarto. Non è la strada corretta quella di far credere alla gente che si possa vivere, nel breve, senza plastica, ma bisogna far capire che, più prodotti fatti in plastica riciclati vengono acquistati dai consumatori, più si consumano le grandi quantità di scarto plastico che i paesi producono quotidianamente e non sanno più dove mettere. Nello stesso senso, più si scelgono prodotti fatti con polimeri vergini, più si contribuisce ad aumentare i rifiuti plastici e si incentiva la trasformazione del petrolio in materia prima, con la conseguenza di aumentare l’effetto serra. L’incremento del riciclo è solo un anello di una catena di interventi che si devono fare per risolvere il problema dei rifiuti plastici, ma la sua importanza è tale da dover investire sulla cultura del riciclo e sul suo riutilizzo. Sapendo che l’adozione della “Plastic Free” è un’utopia, oggi, e lo sarà finchè la scienza non troverà un prodotto ecocompatibile che possa sostituire la plastica in termini di flessibilità d’uso, leggerezza, economicità e caratteristiche tecniche, dobbiamo qualificare il settore dei prodotti fatti in plastica riciclata. Andando al negozio, se volete bene all’ambiente e al proprio futuro, sarebbe auspicabile scegliere prodotti plastici fatti con materie prime riciclate cercando di non fare confusioni con certi messaggi sulle etichette dove viene riportato la dicitura “riciclabile” in quanto il prodotto potrebbe essere fatto con polimeri vergini. Se dovete comprare secchi, vasi, armadi, tavoli, sedie, cassette, flaconi, articoli per il giardino,grigliati, tubi e tanti altri prodotti, pensate all’ambiente, sempre.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - ricicloVedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - Imballi alimentari in pet: perché riciclarli?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Imballi alimentari in pet: perché riciclarli?
Economia circolare

A volte ci si chiede se lo sforzo di fare la raccolta differenziata in casa ne valga la penadi Marco ArezioMolte volte quando dividiamo la spazzatura ci chiediamo se il nostro impegno servirà a qualche cosa, se il materiale che noi dividiamo poi verrà effettivamente impiegato o finirà in discarica o peggio bruciato, se gli oneri che paghiamo, nonostante il nostro lavoro di pre-selezione, siano utili alla causa ambientalista. In casa, magari avendo a disposizione spazi ristretti, il dover selezionare la carta, il vetro, la plastica e gli scarti alimentari in contenitori diversi, comporta impegno, fatica mentale nella separazione e spazi sottratti ad altre cose. Se poi aggiungiamo che dobbiamo ricordarci anche in quali giorni del mese ritirano il sacchetto di uno o dell’altro prodotto, diventa un compito da organizzare con impegni da non dimenticare se non si vuole che la casa si riempia di spazzatura. Ogni tanto ricordiamo quanto era comodo buttare ogni cosa in un sacco unico e quando passava la raccolta dei rifiuti si doveva solo pensare a portare il sacco, con i rifiuti misti, fuori dalla porta di casa e non ci si pensava più. Abbiamo visto questa generale inerzia dove ci ha portato, ma forse avremmo anche il diritto di capire a cosa servano i nostri sforzi domestici nella separazione dei rifiuti. Quando compriamo i pomodori, le pesche o le fragole, ci vengono molte volte presentate in negozio dentro a scatolette in plastica trasparente, chiuse da un coperchio che protegge il prodotto deperibile. La portiamo a casa, mettiamo a tavola il contenuto e l’imballo, in questo caso in PET, viene subito buttato. Tutti questi imballi trasparenti in PET, attraverso la raccolta differenziata, possono rinascere a nuova vita evitando di utilizzare nuovo petrolio per fare altri prodotti. Si, ma come? La vaschetta, insieme alle altre compagne di viaggio, viene portata nei centri di selezione dei rifiuti dove verrà divisa dagli altri imballi in plastica ed avviata alla rigenerazione. Gli imballi alimentari in PET verranno macinati in pezzi dalle dimensioni di 10 mm. circa, poi lavati in modo da togliere le etichette presenti sulla confezione, separati per colore, se ci fossero vaschette colorate mischiate a quelle trasparenti e poi estrusi creando un granulo che costituirà la nuova materia prima per realizzare molti prodotti. Se la destinazione del nuovo granulo dovrà essere ancora quella alimentare, durante il processo che porta alla granulazione, il materiale verrà sanificato e igienizzato, potendo poi essere utilizzato per ricostruire imballi alimentari. Se invece la destinazione sarà in settori non alimentari, il granulo verrà imballato e venduto in molti settori produttivi. Vediamo quali: Il settore dell’arredamento utilizza il granulo di PET riciclato per fare la fibra che troveremo nei cuscini e nell’imbottitura dei divani e delle poltrone.L’industria tessile utilizza il granulo di PET riciclato per fare fibra adatta alla realizzazione di capi da abbigliamento e coperte.L’industria dell’imballaggio utilizza il granulo di PET riciclato per fare le regge per gli imballi che troviamo su molte confezioni o sui bancali di merce, con lo scopo di stabilizzare il materiale contenuto.L’industria della pulizia utilizza il granulo di PET riciclato per fare mono-filamenti per le scope domestiche e industriali e per realizzare spazzole per le macchine per la pulitura meccanica. Come vedete ogni nostro sforzo legato alla separazione domestica dei rifiuti è destinato a risparmiare CO2 nell’atmosfera, risorse naturali, a consumare inutilmente materie prime di origine fossile e a risolvere il problema degli imballi di plastica che non verranno più messi nelle discariche o peggio scaricati in mare.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - PETVedi il prodotto finitoVedi maggiori informazioni sul riciclo

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