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https://www.rmix.it/ - Perché l’Economia della Cina si Sta Indebolendo? Vediamo le Cause
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Perché l’Economia della Cina si Sta Indebolendo? Vediamo le Cause
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Un mix di fattori politico finanziari sta condizionando la seconda economia mondiale.di Marco ArezioCi eravamo abituati a vedere la crescita del PIL cinese con valori di tre o quattro volte superiori a quelli dell’Europa e degli USA, tanto da pensare che fosse un paese a se stante, dove le crisi ricorrenti che si vivono in occidente non potessero mai toccare la fabbrica del mondo. Abbiamo, negli anni, aperto le nostre porte ai prodotti cinesi, pensando di fare buoni affari comprando e rivendendo le loro merci invece che produrle in occidente. Le aziende maggiormente strutturate hanno iniziato la delocalizzazione massiccia in Cina, in modo da ridurre i costi di produzione e massimizzare i margini di contribuzione. Sono passati diversi anni per accorgerci che produrre lontano da casa poteva anche avere dei risvolti negativi sul prodotto, sulla logistica, sulla gestione del lavoro esternalizzato, che non sempre venivano compensati dai maggiori margini sulle operazioni di vendita. Oggi, la Cina ha un’immagine un po' meno lucente che nel passato agli occhi del mondo, un mercato che sta rallentando e le grandi multinazionali che si stanno guardando in giro, fuori dei confini Cinesi, per trovare nuove soluzioni produttive. Ma quali sono le cause di questo rallentamento del Dragone? Rossella Savojardo ha fatto un’analisi delle tre maggiori cause dell’indebolimento del mercato cinese, che vengono rappresentate da motivazioni politiche, economiche e sociali. La Cina eviterà la recessione sia quest’anno (+3,5% il pil) che il prossimo (+4,5%), con un’inflazione che rispetto ai paesi occidentali sarà bassa (2,8% nel 2022 e 1,9% nel 2023). Ma la forza dell’economia del Dragone nell’ultimo periodo si è affievolita e le cause sembrano essere almeno tre secondo gli esperti. La pandemia e la politica zero-Covid I casi di Covid-19 in Cina hanno segnato un nuovo aumento a oltre 31 mila contagi, un record da inizio pandemia. Questo ha di nuovo portato a lockdown generalizzati in tutto il Paese con la chiusura anche di alcuni importanti centri produttivi. Jian Shi Cortesi, investiment director Asia e Cina Equities di Gam, spiega che “il governo cinese si trova di fronte a un compromesso tra i decessi causati dal Covid e il rallentamento dell’economia. Grazie al successo delle misure di contenimento adottate in Cina negli ultimi due anni, meno dello 0,1% dei cinesi è stato infettato dal Covid e la Cina ha registrato soltanto poche migliaia di decessi (rispetto a 1 milione registrato negli Usa)”. Ciò, secondo Shi Cortesi, probabilmente rende la popolazione cinese altamente vulnerabile al Covid rispetto ai Paesi che stanno raggiungendo l'immunità di gregge. Il segmento più vulnerabile della popolazione cinese non è propenso a farsi vaccinare. In futuro probabilmente, per l’esperto, non si assisterà a un cambiamento immediato della politica cinese di zero Covid. Tuttavia, “le restrizioni sono sempre più pratiche. I lockdown generalizzati sono ora più rari. Si assiste invece a chiusure più mirate al fine di bilanciare le restrizioni Covid e l’impatto economico”. Evergrande e la crisi immobiliare Non solo Covid. In Cina a vacillare è anche il settore immobiliare anche a causa dei pericoli derivanti dal debito in sofferenza. “Tra il 2010 e il 2020 il mercato immobiliare in Cina era solido, con prezzi in aumento del 60% nelle principali cinque delle 70 città del Paese. Ciò ha portato alcuni acquirenti di case a lamentarsi dell’accessibilità economica degli immobili e il governo si è preoccupato che ciò potesse portare a una bolla immobiliare”, continua a spiegare Shi, evidenziando che per questo nel 2020 e nel 2021, alcune città in Cina hanno inasprito le regole per l’acquisto di un’abitazione nel tentativo di raffreddare il mercato immobiliare. Nel frattempo, il governo ha ordinato alle banche di rafforzare i criteri di erogazione dei prestiti alle società di sviluppo immobiliare fortemente indebitate. L’insieme di tali provvedimenti ha creato qualche problema di liquidità alle società di sviluppo immobiliare ad alto rischio, che, in qualche caso, sono risultate insolventi. "I costruttori in difficoltà hanno interrotto la realizzazione di alcuni progetti. Il sentiment è diventato piuttosto negativo per il settore, con conseguente inasprimento delle condizioni finanziarie”. Per stabilizzare la situazione immobiliare Pechino ha messo in atto politiche di sostegno sempre più incisive, ed è proprio guardando a queste ultime che l’esperto di Gam vede una probabilità molto bassa che il rallentamento del settore immobiliare porti a rischi sistematici nel sistema finanziario cinese. “Tuttavia”, continua, “è probabile che gli anni del boom del settore immobiliare siano ormai alle spalle”. Secondo alcuni esperti infatti, le vendite annuali di nuove case dovrebbero scendere a 1-1,2 miliardi di mq nei prossimi anni, rispetto agli 1,6 miliardi di mq del 2021. Ciò costituirà un freno al tasso di crescita del prodotto interno lordo del Dragone. Il problema della Cina è la disoccupazione giovanile? Ad accendere un faro su questo punto sono gli analisti di Credit Suisse, i quali ricordano che quando la forza lavoro di un paese si sta riducendo, come avviene attualmente in Cina, avere un alto tasso di disoccupazione giovanile aggrava la resistenza alla crescita del pil. “I giovani di età compresa tra 16 e 24 anni hanno una maggiore propensione marginale a consumare”, spiegano in primo luogo, “per ogni dato livello di tasso di disoccupazione globale, un tasso di disoccupazione giovanile più elevato ha quindi proporzionalmente un effetto negativo maggiore sulla crescita dei consumi”. Nel medio termine, da Credit Suisse ritengono dunque che la disoccupazione giovanile strutturalmente elevata si tradurrà in un minore potenziale di crescita, dato che questa riduce l’effettivo input di lavoro nell’economia ed esercita anche una pressione al ribasso sulla crescita dei salari. «Sulla base della nostra valutazione di vari fattori come i tassi di progresso tecnologico e la contrazione della forza lavoro, prevediamo una crescita del reddito disponibile pro capite in media intorno al 4,2% nei prossimi cinque anni, un netto calo rispetto al range dell’8-9% prima della pandemia», sottolineando dalla banca elvetica, “un tale calo della crescita tendenziale dovrebbe pertanto rimanere un vento contrario alla crescita dei consumi delle famiglie”.

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https://www.rmix.it/ - Il Manager Ostentatore: Analisi Psicologica e Impatti sull'Ambiente di Lavoro
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Manager Ostentatore: Analisi Psicologica e Impatti sull'Ambiente di Lavoro
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Esplorare le Motivazioni, le Problematiche Psicologiche e le Conseguenze degli Atteggiamenti Ostentatori sui Collaboratoridi Arezio MarcoNel mondo del lavoro, la figura del manager riveste un ruolo cruciale, non solo per la gestione operativa, ma anche per l'influenza psicologica che esercita sui collaboratori. Un fenomeno piuttosto diffuso è quello del manager che adotta atteggiamenti ostentatori nei confronti dei colleghi. Questa dinamica comportamentale può avere radici profonde e conseguenze significative per l'intero ambiente lavorativo. In questo articolo, esploreremo i motivi che spingono un manager a comportarsi in modo ostentatore, le problematiche psicologiche sottostanti e l'impatto che tali atteggiamenti hanno sui collaboratori. Motivi del Comportamento Ostentatore Bisogno di Convalida e Autostima Uno dei motivi principali che spingono un manager a ostentare è il bisogno di convalida. La necessità di sentirsi apprezzati e riconosciuti può spingere alcune persone a esibire il proprio potere e i propri successi. Questo comportamento può derivare da una bassa autostima o da un complesso di inferiorità, che il manager cerca di compensare attraverso l'ostentazione. Competizione e Invidia In ambienti altamente competitivi, i manager possono sentire la pressione di dimostrare costantemente la propria superiorità. L'invidia verso i colleghi di pari livello o verso i subordinati che mostrano potenziale può innescare comportamenti ostentatori. Questi manager cercano di mantenere una posizione dominante, spesso esagerando le proprie competenze e successi. Inadeguatezza e Paura del Fallimento La paura di essere considerati inadeguati o di fallire può spingere i manager a ostentare per coprire le proprie insicurezze. Questo atteggiamento serve come meccanismo di difesa per nascondere le proprie vulnerabilità e per cercare di mantenere un'immagine di infallibilità. Problematiche Psicologiche del Manager Ostentatore Disturbi della Personalità Alcuni manager ostentatori possono soffrire di disturbi della personalità, come il disturbo narcisistico. Questi individui hanno un bisogno costante di ammirazione e spesso mancano di empatia verso gli altri. L'ostentazione diventa un modo per nutrire il proprio ego e mantenere un senso di superiorità. Stress e Ansia L'ostentazione può essere una risposta allo stress e all'ansia legati alle elevate aspettative che il manager percepisce. La necessità di mantenere un'immagine perfetta e di essere sempre all'altezza delle aspettative può generare un ciclo di stress cronico, peggiorando ulteriormente i comportamenti ostentatori. Isolamento e Alienazione L'adozione di atteggiamenti ostentatori può portare il manager a isolarsi dai colleghi. La mancanza di autentiche relazioni interpersonali e la percezione di essere evitato o malvisto dagli altri può aumentare il senso di solitudine e alienazione, creando un circolo vizioso difficile da interrompere. Impatto sugli Altri Collaboratori Ambiente di Lavoro Tossico I comportamenti ostentatori del manager possono creare un ambiente di lavoro tossico. I collaboratori possono sentirsi costantemente sminuiti, demotivati e stressati. Questo clima negativo riduce la produttività e la soddisfazione lavorativa, portando a un alto tasso di turnover del personale. Mancanza di Collaborazione Un manager ostentatore tende a promuovere una cultura di competizione malsana piuttosto che di collaborazione. I collaboratori possono sentirsi meno inclini a lavorare insieme e a condividere idee, temendo di essere sminuiti o derisi. Questo ostacola l'innovazione e la crescita del team. Riduzione dell'Autostima e Motivazione L'esposizione costante a comportamenti ostentatori può minare l'autostima e la motivazione dei collaboratori. Sentirsi costantemente inferiori o non riconosciuti può portare a una diminuzione dell'engagement e a un aumento del burnout. Problematiche Relazionali I collaboratori possono sviluppare risentimento e ostilità verso il manager ostentatore, causando fratture nei rapporti interpersonali. La mancanza di fiducia e rispetto reciproco rende difficile costruire un team coeso e funzionante. Conclusioni Comprendere la psicologia di un manager che adotta atteggiamenti ostentatori è essenziale per affrontare e mitigare gli effetti negativi di tali comportamenti. Le motivazioni dietro l'ostentazione possono variare, ma spesso includono insicurezze personali, la necessità di convalida e la paura del fallimento. Questi atteggiamenti possono essere sintomatici di problematiche psicologiche più profonde, come disturbi della personalità e stress cronico. L'impatto sugli altri collaboratori è significativo, con la creazione di un ambiente di lavoro tossico, riduzione della collaborazione e motivazione, e problematiche relazionali. È fondamentale per le aziende riconoscere e affrontare questi comportamenti attraverso interventi mirati, come la formazione sulla leadership empatica, il supporto psicologico e la promozione di una cultura aziendale inclusiva e collaborativa. Attraverso un approccio consapevole e proattivo, è possibile trasformare l'ambiente di lavoro in uno spazio positivo e produttivo, dove tutti i membri del team si sentono valorizzati e motivati a dare il meglio di sé.

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https://www.rmix.it/ - Quali sono i Parallelismi tra ChatGPT e l’Intelligenza Umana?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Quali sono i Parallelismi tra ChatGPT e l’Intelligenza Umana?
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I computers erano considerate macchine da lavoro, efficienti ma stupide, ora forse dobbiamo ricredercidi Marco ArezioI sistemi di apprendimento predittivo non sono nati di recente, anzi sono allo studio da decenni e applicati in molte forme di apparecchi elettronici. Ma il sistema di istruzione di ChatGPT e la quantità di dati a disposizione che può utilizzare e far interagire tra di loro, lo portano ad avvicinarsi al cervello umano, attraverso alcune somiglianze di apprendimento delle informazioni e di come vengono usate per svolgere alcuni compiti. Certamente ChatGPT non ha un’anima, un carattere, non sogna, non ama, ma simula il comportamento umano in base a quello che ha appreso attraverso la rete, nel bene e nel male.Cosa è ChatGPT e come si avvicina al cervello umano? Come ci racconta Corrie Picul, ChatGPT è una nuova tecnologia sviluppata da OpenAI, così straordinariamente abile nell'imitare la comunicazione umana che presto conquisterà il mondo e tutti i posti di lavoro in esso contenuti. O almeno questo è ciò che i titoli dei giornali farebbero credere al mondo. In una conversazione organizzata dal Carney Institute for Brain Science della Brown University, due studiosi della Brown provenienti da diversi campi di studio hanno discusso i parallelismi tra intelligenza artificiale e intelligenza umana. La discussione sulle neuroscienze di ChatGPT ha offerto ai partecipanti una sbirciatina dietro il cofano del modello di machine learning del momento. Ellie Pavlick è un assistente professore di informatica e ricercatrice presso Google AI che studia come funziona il linguaggio e come far capire ai computer il linguaggio come fanno gli umani. Thomas Serre è un professore di scienze cognitive, linguistiche, psicologiche e di informatica che studia i calcoli neurali a supporto della percezione visiva, concentrandosi sull'intersezione tra visione biologica e visione artificiale. Insieme a loro, come moderatori, c'erano rispettivamente il direttore del Carney Institute e il direttore associato Diane Lipscombe e Christopher Moore. Pavlick e Serre hanno offerto spiegazioni complementari su come funziona ChatGPT rispetto al cervello umano e cosa rivela ciò che la tecnologia può e non può fare. Nonostante tutte le chiacchiere sulla nuova tecnologia, il modello non è così complicato e non è nemmeno nuovo, ha detto Pavlick. Al suo livello più elementare, ha spiegato, ChatGPT è un modello di apprendimento automatico progettato per prevedere la parola successiva in una frase, la parola successiva e così via. Questo tipo di modello di apprendimento predittivo esiste da decenni, ha affermato Pavlick, specializzato nell'elaborazione del linguaggio naturale. Gli informatici hanno cercato a lungo di costruire modelli che mostrino questo comportamento e possano parlare con gli umani in linguaggio naturale. Per fare ciò, un modello ha bisogno di accedere a un database di componenti informatici tradizionali che gli consentano di "ragionare" idee eccessivamente complesse.La novità è il modo in cui ChatGPT viene addestrato o sviluppato. Ha accesso a quantità di dati insondabilmente grandi, come ha detto Pavlick, "tutte le sentenze su Internet". "ChatGPT, di per sé, non è il punto di svolta", ha detto Pavlick. “Il punto di svolta è stato che negli ultimi cinque anni c'è stato questo aumento nella costruzione di modelli che sono fondamentalmente gli stessi, ma sono diventati più grandi. E quello che sta succedendo è che man mano che diventano sempre più grandi, si comportano meglio". Un'altra novità è il modo in cui ChatGPT e i suoi concorrenti sono disponibili per uso pubblico gratuito. Per interagire con un sistema come ChatGPT anche solo un anno fa, ha affermato Pavlick, una persona avrebbe avuto bisogno di accedere a un sistema come Brown's Compute Grid, uno strumento specializzato disponibile per studenti, docenti e personale solo con determinate autorizzazioni, e richiederebbe anche una giusta quantità di esperienza tecnologica. Ma ora chiunque, con qualsiasi abilità tecnologica, può giocare con l'interfaccia elegante e semplificata di ChatGPT. ChatGPT pensa davvero come un essere umano? Pavlick ha affermato che il risultato dell'addestramento di un sistema informatico con un set di dati così vasto, dà l'impressione di essere in grado di generare articoli, storie, poesie, dialoghi, opere teatrali e altro ancora in modo molto realistico. Può generare rapporti di notizie false, false scoperte scientifiche e produrre ogni sorta di risultati sorprendentemente efficaci. L'efficacia dei loro risultati ha spinto molte persone a credere che i modelli di apprendimento automatico abbiano la capacità di pensare come gli umani. Ma lo fanno? ChatGPT è un tipo di rete neurale artificiale, ha spiegato Serre, il cui background è in neuroscienze, informatica e ingegneria. Ciò significa che l'hardware e la programmazione si basano su un gruppo interconnesso di nodi ispirato da una semplificazione dei neuroni in un cervello. Serre ha detto che ci sono davvero una serie di affascinanti somiglianze nel modo in cui il cervello del computer e il cervello umano apprendono nuove informazioni e le usano per svolgere compiti. "Ci sono lavori che iniziano a suggerire che, almeno superficialmente, potrebbero esserci alcune connessioni tra i tipi di rappresentazioni di parole e frasi che algoritmi come ChatGPT usano e sfruttano per elaborare le informazioni linguistiche, rispetto a ciò che il cervello sembra fare", ha detto Serre. Ad esempio, ha affermato, la spina dorsale di ChatGPT è un tipo di rete neurale artificiale all'avanguardia chiamata rete di trasformazione. Queste reti, nate dallo studio dell'elaborazione del linguaggio naturale, sono arrivate recentemente a dominare l'intero campo dell'intelligenza artificiale. Le reti di trasformazione hanno un particolare meccanismo che gli informatici chiamano "auto-attenzione", che è correlato ai meccanismi attenzionali che si sa hanno luogo nel cervello umano. Un'altra somiglianza con il cervello umano è un aspetto chiave di ciò che ha permesso alla tecnologia di diventare così avanzata, ha detto Serre. In passato, ha spiegato, l'addestramento delle reti neurali artificiali di un computer, per apprendere e utilizzare il linguaggio o eseguire il riconoscimento di immagini, richiedeva agli scienziati di eseguire attività manuali noiose e dispendiose in termini di tempo, come la creazione di database e l'etichettatura di categorie di oggetti. I moderni modelli di linguaggio di grandi dimensioni, come quelli utilizzati in ChatGPT, vengono addestrati senza la necessità di questa esplicita supervisione umana. E questo sembra essere correlato a ciò che Serre ha definito un'influente teoria del cervello nota come teoria della codifica predittiva. Questo è il presupposto che quando un essere umano sente qualcuno parlare, il cervello fa costantemente previsioni e sviluppa aspettative su ciò che verrà detto dopo. Sebbene la teoria sia stata postulata decenni fa, Serre ha affermato che non è stata completamente testata nelle neuroscienze. Tuttavia, al momento sta guidando molto lavoro sperimentale. "Direi che il livello dei meccanismi di attenzione al motore centrale di queste reti che fanno costantemente previsioni su ciò che verrà detto, che sembra essere, a un livello molto grossolano, coerente con idee legate alle neuroscienze”, ha detto Serre durante l'evento. C'è stata una ricerca recente che mette in relazione le strategie utilizzate dai modelli di linguaggio di grandi dimensioni con i processi cerebrali effettivi, ha osservato: "C'è ancora molto che dobbiamo capire, ma c'è un crescente corpo di ricerca nelle neuroscienze che suggerisce che ciò che questi i modelli fanno [nei computer], non è del tutto disconnesso dal tipo di cose che il nostro cervello fa quando elaboriamo il linguaggio naturale. Ci possono anche essere dei pericoli, infatti, nello stesso modo in cui il processo di apprendimento umano è suscettibile di pregiudizi o corruzione, lo sono anche i modelli di intelligenza artificiale. Questi sistemi apprendono per associazione statistica, ha affermato Serre. Qualunque cosa sia dominante nel set di dati prenderà il sopravvento e spingerà fuori altre informazioni. "Questa è un'area di grande preoccupazione per l'intelligenza artificiale", ha affermato Serre. Ha citato a supporto di questa tesi, come la rappresentazione di uomini caucasici su Internet abbia prevenuto alcuni sistemi di riconoscimento facciale al punto in cui non sono riusciti a riconoscere volti che non sembrano essere bianchi o maschi. L'ultima iterazione di ChatCPT, ha affermato Pavlick, include livelli di apprendimento di rinforzo che fungono da divisorio e aiutano a prevenire la produzione di contenuti dannosi o odiosi. Ma questi sono ancora un work in progress. "Parte della sfida è che... non puoi dare una regola al modello, non puoi semplicemente dire 'non generare mai questo e quello'", ha detto Pavlick. “Impara con l'esempio, quindi gli dai molti esempi di cose e dici: 'Non fare cose del genere. Fai cose come questa.' E quindi sarà sempre possibile trovare qualche piccolo trucco per fargli fare la cosa brutta. Fonte: Brown University

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https://www.rmix.it/ - Storia di un Manager Commerciale di Successo con un Lato Nascosto
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Storia di un Manager Commerciale di Successo con un Lato Nascosto
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Estroso, loquace, competente, caparbio, ostinato, trascinatore, disponibile, eclettico, coinvolgente. Ma soprattutto asocialedi Marco ArezioL’attività commerciale, in aziende di qualsiasi livello, ha necessariamente bisogno di managers che facciano della platea del mercato, un campo naturale di lotta senza esclusione di colpi. La capacità di intessere rapporti personali e commerciali, di incontrare potenziali clienti per convincerli a diventare parte della propria azienda, l’esposizione in prima persona durante meetings e fiere, facendosi portavoce del proprio gruppo di lavoro o della propria società, portano ad identificare un manager dotato di un’attitudine alla comunicazione, all’empatia verso il mondo e a suo agio con la gente. E’ uno stereotipo professionale questa figura? Forse no, infatti, il carattere ti porta, spesso, a scegliere il tuo ambito lavorativo per una sorta di minore frizione verso le attività in cui ci si inserisce. Ma non sempre è così, ci sono figure manageriali, anche di successo, che sono vincenti nelle attività commerciali, dove il contatto con i clienti è costante e dove la collaborazione con la propria squadra di lavoro si fa sul campo, in gruppo e ben motivati, ma che hanno un carattere schivo, asociale a volte misantropo. Sembra un assurdo eppure è possibile, un manager che ha ben presente non solo le strategie di vendita, di relazione, di persuasione, di creazione del feeling giusto con i clienti o potenziali tali, ma fa anche di sé stesso una strategia di marketing. Ha ben presente quali sono i suoi passi per raggiungere gli obbiettivi che si è prefissato o che ha ricevuto dall’azienda, passi che lo porta a cene, visite in aziende, colloqui, momenti di incontro collettivi, meetings, esposizione a platee di persone e molte altre manifestazioni di contatto con il pubblico. Questa è la sua strada, il suo programma, i suoi passi da compiere per raggiungere i budgets, un percorso del tutto innaturale per lui, dove vive con ostinata riluttanza cenare con i clienti, parlare della propria e della loro vita, condividere inviti e momenti conviviali extra lavorativi, stringere mani alle fiere e ascoltare chiunque, parlare in pubblico, tenere corsi e seminari. Ogni momento di condivisione sociale è sofferto, ogni viaggio è un peso, ogni riunione con collaboratori e clienti è un dovere oneroso. Ma tutto questo non lo porta a incrinare il suo successo professionale, un’avanzata programmata nei modi, nei tempi, nell’intensità che si è imposto, cliente dopo cliente, incontro dopo incontro, fiera dopo fiera. Lui stesso fa parte della propria strategia professionale, lui stesso è un cliente da incontrare, convincere e inglobare nel suo risultato strategico. L’autodisciplina e la severità verso sé stesso non ne hanno modificato il carattere, ma hanno creato uno sdoppiamento della personalità, creando una figura che opera come un manager rilassato, disponibile in consessi di persone e pienamente a suo agio, che convive con una persona che si sente un pesce fuor d’acqua, che ama la solitudine, il basso profilo e i fari spenti della ribalta. Un’attività di successo che può essere molto logorante per chi la esercita e che, dopo un periodo più o meno lunga di resistenza ostinata, di solito si esaurisce per consunzione.

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https://www.rmix.it/ - La Storia delle Soffiatrici per le Materie Plastiche: dal Vetro alla Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Storia delle Soffiatrici per le Materie Plastiche: dal Vetro alla Plastica
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La Storia delle Soffiatrici per le Materie Plastiche: dal Vetro alla Plasticadi Marco ArezioLa storia delle soffiatrici per le materie plastiche affonda le sue radici all’inizio del secolo scorso, quando si iniziò a pensare ad imballi per alimenti liquidi, come il latte, prodotti in materiali più leggeri rispetto al vetro.Non erano però ancora del tutto maturi i tempi in quanto il materiale plastico per eccellenza, l’HDPE, non aveva fatto ancora la sua presenza nel mondo della produzione dei flaconi. La possibilità di ottenere prodotti finiti in forma completamente cava, mediante soffiaggio di un materiale termoplastico, era nota fin dal 1920 ed applicata per alcuni oggetti di cellulosa e di vetro. Fu una vera rivoluzione, se pensiamo che il packaging era da sempre monopolizzato dalle bottiglie di vetro che risalgono, con certezza, al periodo dei Faraoni in Egitto, avendo trovato all’interno delle tombe, vasetti e contenitori funerari in vetro artigianale. Sebbene, la nascita del vetro soffiato, antesignano delle moderne bottiglie di vetro, la possiamo far risalire al I° secolo a.C., quando si sperimentò per la prima volta la soffiatura del vetro attraverso un tubo metallico cavo. Con la soffiatura a canna la produzione divenne più veloce ed economica dando la possibilità di produrre bottiglie, fiaschette, e recipienti adatti anche al popolo e non solo oggetti per i ricchi. Così, nel 1938, due inventori Americani, Enoch Ferngren e William Kopitke, pensarono a un modo per utilizzare i principi della soffiatura del vetro nell'industria della plastica. Crearono così la prima soffiatrice per plastica e la vendettero alla Hartford Empire Company. Ma bisogna arrivare agli anni ‘40 per vedere i primi successi di questa tecnologia, dovuti principalmente all’introduzione del polietilene. Questo materiale, e poi anche il PVC, consentirono la produzione su vasta scala di bottigliette soffiate. Il maggiore sviluppo di questa tecnologia risale però ai primi anni ‘60, quando vennero meno alcune limitazioni brevettuali. Il processo di soffiaggio è sostanzialmente analogo a quello della soffiatura del vetro, tant’è che molti dei primi operatori delle soffiatrici automatiche e robotizzate prevenivano da quel settore. La prima tecnologia di soffiaggio di corpi cavi fu quella di estrusione-soffiaggio, applicata prima per piccoli flaconi e in seguito per grossi contenitori da 5 litri; seguì la tecnologia dell’iniezione-soffiaggio, utilizzata soprattutto per flaconi e bottiglie per uso farmaceutico e cosmetico. I Pionieri Italiani La storia del soffiaggio di corpi cavi incominciò in Italia con Giuseppe Moi, un sardo che trasferitosi a Milano nel 1937 riuscì ad inserirsi con entusiasmo nell’attività industriale di questa città; dopo cinquant’anni di attività, nel 1987, Moi aveva costituito in Italia ed all’estero una trentina di società. La prima attività indipendente di questo straordinario personaggio fu lo stampaggio ad iniezione nel 1945-49 di articoli religiosi e giocattoli di materiale plastico. Nel 1950 fu fondata la G.Moi, che un anno più tardi fabbricò la prima soffiatrice italiana da mezzo litro, dotata di estrusori bivite, destinata alla produzione di bottigliette per detersivi. A questa soffiatrice seguirono macchine da 2, 10, 50 e 500 litri (1962); a partire dai modelli da 10 litri, gli impianti erano attrezzati con testa ad accumulo. L’attività della Moi cessò nel 1980 quando i brevetti e la tecnologia furono trasferiti alla Triulzi, che continuò la costruzione di queste soffiatrici destinate soprattutto alla produzione di grandi manufatti per l’industria automobilistica. Giuseppe Moi ha al suo attivo anche la costruzione delle prime macchine per l’estrusione di lastre e tubi di PE espanso, fornite anche negli Stati Uniti. La storia continua con due società un tempo separate ed oggi divisioni del gruppo americano Uniloy: la Moretti e la Co-Mec. La prima fu fondata nel 1957 dai fratelli Domenico e Giorgio Moretti ad Abbiategrasso, con la ragione sociale: "Officina meccanica per la costruzione di macchine e stampi per il soffiaggio di corpi cavi in materiale plastico". Oltre a queste macchine la società costruì estrusori, teste per l’estrusione, filiere e traini per tapparelle e piccole calandre. Una delle prime macchine soffiatrici, costruita nel 1959, era di tipo pneumatico ad estrusione continua per la produzione di contenitori da due litri per detergenti. Nel 1961 fu costruita la prima macchina per l’estrusione soffiaggio di contenitori fino a 30 litri e la società si impose come una delle principali costruttrici di macchine per il soffiaggio di pezzi tecnici. La Co-Mec, fondata nel 1960 da Herberto Hauda, operava inizialmente a Firenze come trasformatore di materiali plastici. In seguito la sede fu trasferita a Calenzano (FI) dove incominciò la costruzione anche di macchine. Fino al 1965 la Co-Mec costruiva soffiatrici pneumatiche con capacità massima di 5 litri; nel 1966 fu messa sul mercato la prima macchina idraulica, a testa doppia fino ad un litro ed a testa semplice per contenitori fino a 5 litri. Verso la metà degli anni ‘60 furono fabbricate teste speciali per bicomponenti (PVC e PE), con colorazione a strisce. E’ da citare l’azione promotrice in questo settore di Piero Giacobbe, noto anche perché nel 1954 fondò il Giornale delle materie plastiche ceduto poi alla SIR. Giacobbe, oggi titolare con il figlio Ferruccio del gruppo Magic, fondò nel 1960 la ASCO (Associazione costruttori macchine materie plastiche) che mise sul mercato impianti di soffiaggio corpi cavi. Il primo impianto di soffiaggio, chiamato Olimpia, risale al 1960, mentre un anno più tardi fu costruito il modello Mini Magic, che anticipa nel nome la futura società Magic MP. All’inizio degli anni ‘70 si affermò anche in Italia una forte industria costruttrice di macchine per il soffiaggio di corpi cavi, anche se la produzione era allora limitata all’estrusione-soffiaggio e non all’iniezione-soffiaggio. L’offerta copriva dalle piccole unità per contenitori farmaceutici sino agli impianti completi per fusti e contenitori di mille litri ed oltre. Risale a quegli anni lo sblocco dell’impiego del PVC atossico, stabilizzato ai raggi UV ed antiurto, per il soffiaggio di bottiglie destinate alle acque minerali non gasate. Quattro stabilimenti di imbottigliamento incominciarono ad adottare il PVC per questo impiego. Nel 1970 erano presenti in Italia undici costruttori, contro i quattro del 1960. La CoMec mise in commercio nel 1970 una soffiatrice con ugello di soffiaggio dall’alto e con calibrazione del collo. Nei primi anni ‘70 sviluppò l’estrusione-soffiaggio di corpi cavi di nylon ad elevata viscosità e nel 1973 propose la Serie CS anche per la coestrusione fino a tre strati. La Fratelli Moretti costruiva quattro modelli di soffiatrice Serie M, ad un gruppo, per contenitori di PVC fino a sei litri di capacità e quattro modelli MB a due gruppi con smaterozzamento ed espulsione automatici; inoltre proponeva la serie Compact, con cinque modelli per contenitori da 20 a 250 litri ed estrusori fino a 120 mm di diametro. La Omea forniva due modelli di soffiatrice automatica con estrusore verticale e quattro tipi con estrusore orizzontale (fino a cinquanta litri): la testa era del tipo ad accumulo con regolazione dello spessore del parison. La Beloit Italia di Pinerolo (TO) costruiva due diversi modelli a stazioni rotanti (fino a sei). Troviamo poi tre società: la Newpac di Zingonia (BG), la Costaplastik di Macherio (MI) e la Mossi e Ghisolfi di Tortona, che dopo un’attività di trasformazione, iniziarono la costruzione di alcuni tipi di soffiatrici. La Mossi & Ghisolfi si era specializzata nella costruzione di impianti completi per la produzione di bottiglie per latte; commercializzava inoltre le macchine della francese Sidel, destinate alla realizzazione di bottiglie di PVC per acqua minerale, vino ed olio. La Locati e Pavesi di Milano si era fatta un nome con il modello LP 200 per contenitori fino a 5 litri, caratterizzato da un sistema di chiusura delle piastre attuato mediante robuste ginocchiere. La Magic, fondata come è stato detto da Piero Giacobbe nel 1965, acquisì ben presto un posto importante nel panorama dei costruttori italiani di macchine per contenitori fino a 200 litri; in particolare si segnalano i modelli Miniblow per la lavorazione del PVC rigido per uso alimentare, con smaterozzamento automatico in produzione e calibratura dei colli e Maxiblow, quest’ultimo per corpi cavi sino a 50 litri, con testa ad accumulo e regolazione dello spessore e del peso del parison.Categoria: notizie - tecnica - plastica - soffiatrici - storia Foto Kautex Fonti: IQS-Donadini-Kautex

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https://www.rmix.it/ - Come Scegliere tra un Agente di Vendita o un Distributore di Area?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come Scegliere tra un Agente di Vendita o un Distributore di Area?
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La scelta di chi presidierà una zona commerciale dipende da molti fattori interni ed esterni l’aziendadi Marco ArezioCreare una presenza commerciale in una zona, o migliorare quella esistente, che possa seguire una serie di clienti o da una determinata un’area geografica, più o meno ampia, comporta affidarsi, in alcuni casi, a venditori o distributori che possano presentare, vendere e gestire localmente la vendita e il post vendita. Prendiamo in considerazione, tra i molti esempi che potremmo citare, un’azienda che produce beni rappresentati da materie prime o prodotti finiti, come per il settore dell’edilizia, dell’idraulica, del giardinaggio ecc.. Un’area nuova deve essere preventivamente analizzata nel complesso, cioè capire la presenza e l’incidenza della concorrenza, i prodotti che vengono maggiormente richiesti, la dimensione dei clienti, il possibile fatturato, il taglio economico degli acquisti medi, le problematiche e i costi per la logistica, i canali distributivi e la solvibilità media della zona. Una prima macro selezione la possiamo fare sapendo se il nostro prodotto, che necessita di un trasporto dalla nostra sede al cliente finale, può essere venduto direttamente e nei tempi che si aspetta il cliente ad un prezzo favorevole per entrambi. Se vendiamo prodotti che non necessitano di un magazzino locale, in quanto il valore e la quantità di merce trasportata giustifica il costo del viaggio, possiamo pensare ad una vendita azienda – cliente finale. Se, viceversa, le quantità, l’assortimento alto o la tempistica di approvvigionamento collide con i costi e le tempistiche di consegne dirette, potrebbe essere necessario aprire depositi locali per la distribuzione. Queste due ipotesi possono già dar un’indicazione se, localmente, può essere necessario un agente di vendita o se si deve optare per un distributore che possa acquistare e rivendere, nelle quantità e nei tempi che il cliente finale chiede. La scelta di avere un distributore locale comporta una certa perdita di marginalità sui prodotti, in quanto bisogna assicurare all’azienda che fa il servizio, un guadagno sulle operazioni di logistica e di vendita. In caso non ci fossero queste marginalità, si può optare per l’apertura di un magazzino decentrato presso un corriere o un trasportatore, che terrà a deposito le nostre merci e ci assicurerà le consegne locali a prezzi inferiori rispetto all’attività di un distributore. Un altro aspetto da considerare è l’importanza della presenza del marchio dell’azienda produttrice nell’area di riferimento, in quanto attraverso l’azione di vendita di un agente, libero professionista o dipendente, l’interlocuzione tra cliente finale e produttore è sempre diretta, nel caso ci si appoggiasse ad un distributore la presenza del marchio e dei contatti diretti verrebbero meno. C’è poi da considerare, in linea generale, la differenza di gestione del parco clienti tra una vendita diretta tramite un agente o tramite un distributore. Il fatturato che risulta nell’area di competenza del distributore, è la somma di attività di più clienti, senza distinzioni tra uno o l’altro, senza informazioni sul grado di fiducia del cliente, sulle sue potenzialità e sulle sue necessità. Diciamo che questo approccio alla vendita potrebbe essere un modo più semplice per l’azienda produttrice, perché può evitare un maggior lavoro di gestione commerciale dei singoli clienti, con le problematiche che ne possono scaturire se moltiplichiamo l’impegno per un certo numero di aree in cui opera l’azienda. Dall’altro lato, il non avere un contatto diretto con il cliente può essere un deficit nell’imposizione del proprio marchio, per avere informazioni di come si muove la concorrenza, di quali politiche di prezzo applicano, delle campagne di incentivazione che vengono proposte, e molte altre cose. Dal punto di vista prettamente finanziario, invece, esiste un rischio che riguarda l’esposizione sulle vendite, infatti, considerando una dilazione tra acquisto e pagamento delle merci, il distributore lavora con esposizioni finanziarie più alte rispetto al singolo cliente, quindi con un maggior rischio per il produttore, e quando dovessero esserci dei problemi legati agli incassi, diventerebbe difficile non continuare a fornirlo, in quanto i clienti del distributore potrebbero essere ignari dei motivi per cui il produttore potrebbe fermare le forniture. In questo caso si creerebbe un danno diretto al produttore in quanto, non essendo in contatto diretto con il cliente, potrebbe rischiare di perderlo, o peggio, il distributore potrebbe continuare a servire i clienti finali attraverso un altro produttore. La scelta se affidare un’area a un agente diretto o ad un distributore passa quindi dall’analisi delle problematiche logistiche, commerciali, finanziarie e di marketing, riuscendo a prendere una decisione soppesando i pro e i contro delle strade che si prospettano. Infatti, ci sono prodotti che non possono essere venduti senza un distributore locale, altri che permettono maggiore flessione lasciando aperte varie ipotesi, scegliendo la migliore per quell’area, e, infine, merci che possono essere vendute direttamente senza necessità del distributore locale. Non è una scelta sbagliata farsi anche un’idea del sistema di vendita che applica in zona la concorrenza, la quale probabilmente, partita prima a vendere in zona, può avere, a parità di prodotti, già analizzato le problematiche. Infine c’è un aspetto prettamente tecnico, in quanto se il prodotto per la sua collocazione ha bisogno di un supporto tecnico sostanziale, la presenza di un agente diretto che può aiutare i clienti in situazioni di difficoltà a risolvere i problemi, può anche essere una discriminante.

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https://www.rmix.it/ - Che influenza ha il nepotismo manageriale per le aziende?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Che influenza ha il nepotismo manageriale per le aziende?
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La sottovalutazione dei rischi connessi all’attribuzione di ruoli manageriali per familiaritàdi Marco ArezioVi potrebbe essere capitato, nella vostra attività lavorativa, durante un colloquio con il titolare dell’azienda o con un CEO appartenente alla famiglia proprietaria dell’azienda, risposte del tipo: non vorrai guadagnare più di mia figlia, non penserai di aspirare ad un ruolo manageriale più alto di mio fratello, non puoi pretendere che mia moglie prenda ordini da te e così via. Il concetto di proprietà aziendale molte volte, specialmente nelle società medio piccole, ma spesso anche in quelle di grandi dimensioni a conduzione familiare, si confonde con il concetto della sua gestione, dove le persone dovrebbero operare secondo la convenienza dell’azienda e non dei singoli soggetti. Un cortocircuito di cui non si vedono i risultati nel breve periodo, ma che sono sicuramente deleteri nel medio lungo periodo, con una serie catastrofica di conseguenze che minano la credibilità e la qualità delle risorse umanane. Come abbiamo detto il nepotismo manageriale può avere un impatto significativo sulle aziende, di cui alcuni possibili effetti: Diminuzione del morale dei dipendenti Quando i posti di leadership vengono assegnati in base alle relazioni familiari o personali anziché al merito, questo può causare una diminuzione del morale dei dipendenti, portando a una riduzione della produttività e a un aumento del turnover. Qualità della leadership scadente Se le persone sono promosse in posizioni manageriali basandosi su connessioni personali invece che sulla competenza, la qualità della leadership può soffrire. Un atteggiamento simile può portare a decisioni aziendali scadenti, perdita di opportunità di business e potenzialmente alla perdita di competitività sul mercato. Danneggiamento della reputazione aziendale Il nepotismo può causare danni alla reputazione di un'azienda se viene percepito come ingiusto o disonesto. Il comportamento di favore può rendere difficile per l'azienda attrarre talenti di alto livello o mantenere clienti e partner commerciali. Riduzione della diversità Il nepotismo può portare a una mancanza di diversità nel team di manageriale, il che può limitare la gamma di idee e prospettive nella gestione dell'azienda. Quindi, sebbene possa sembrare conveniente promuovere persone familiari o conosciute in posizioni di leadership, il nepotismo può avere conseguenze negative significative per le aziende. Quale reazione hanno i dipendenti delle aziende al nepotismo manageriale? Siamo abbastanza convinti che le imprese, a tutti i livelli e in tutti i campi, siano fatte di uomini e il loro successo dipende dalla qualità delle risorse umane che vivono all’interno delle aziende. Più i collaboratori sono motivati e ambiziosi nel raggiungere i risultati più il clima costruttivo contagia i lavoratori e attrae risorse umani nuove e capaci. Per questo motivo l’atteggiamento nepotistico all’interno dell’azienda si scontra con la crescita della stessa, creando una cattiva valutazione complessiva e una sfiducia dei lavoratori nei confronti della piramide manageriale. La reazione dei dipendenti al nepotismo manageriale può variare, ma tende ad essere negativa per i seguenti motivi:Mancanza di fiducia Se i dipendenti vedono che le decisioni vengono prese in base al nepotismo, possono perdere fiducia nei leader dell'azienda, un comportamento che può portare a una mancanza di rispetto per i manager e a una riduzione dell'efficacia della leadership.Risentimento Il nepotismo può creare tensioni e risentimenti tra i dipendenti. Quelli che non sono favoriti possono sentirsi risentiti verso quelli che sono, e questo può portare a un ambiente di lavoro tossico. Mancanza di motivazione Se i dipendenti vedono che le promozioni sono basate su relazioni personali piuttosto che sul merito, possono perdere la motivazione per lavorare duramente e migliorare le loro competenze. Come vincere il nepotismo manageriale in azienda da parte del proprietario? Combattere il nepotismo manageriale può essere difficile, specialmente se è praticato dal proprietario dell'azienda. Tuttavia, ci sono alcuni passi che possono essere intrapresi: - Implementare politiche di assunzione e promozione chiare che enfatizzano il merito anziché le relazioni personali. Queste politiche dovrebbero essere ben documentate e facilmente accessibili a tutti i dipendenti. - Fornire formazione ai manager e ai leader aziendali su come evitare il nepotismo e su come prendere decisioni imparziali. - Creare canali attraverso i quali i dipendenti possano segnalare il nepotismo senza temere ritorsioni. Questo potrebbe includere una linea diretta o una casella di posta elettronica anonima. - Considerare l'idea di avere una parte esterna, come un consulente o un avvocato del lavoro, per rivedere le decisioni di assunzione e promozione. Questo può aiutare a garantire che le decisioni siano prese in modo equo. - Comunicare apertamente con i dipendenti sui passaggi intrapresi per combattere il nepotismo. Questo può aiutare a rafforzare la fiducia e a mostrare che l'azienda prende sul serio il problema. E’ bene ricordare, tuttavia, che queste strategie potrebbero non essere efficaci se il proprietario dell'azienda non è disposto a cambiare le sue pratiche. In questo caso, potrebbe essere necessario cercare consiglio legale o considerare altre opzioni di lavoro.

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https://www.rmix.it/ - La Nascita della Moderna Logistica: Carrelli Elevatori e Pallets
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La storia dei mezzi di movimentazione meccanica delle merci e dei pallets in legnodi Marco ArezioFino agli inizi degli anni ’20 del secolo scorso, le industrie e le attività commerciali non sentivano il bisogno di mezzi meccanici e dei futuri bancali per lo spostamento delle merci.Il motivo principale lo possiamo attribuire alla grande disponibilità di mano d’opera che caratterizzava il mondo del lavoro, alla quale affidare la movimentazione dei prodotti dai mezzi di trasporto e il loro accatastamento nei magazzini. Nonostante questa situazione nel 1917, l’Americano Eugene Clark, che gestiva un’azienda che produceva assali per camion, inventò il primo modello di muletto con motore a scoppio, dando la possibilità di spostare le merci pesanti all’interno delle aziende. Il modello era composto da un mezzo a tre ruote, senza freni, con un accessorio di contenimento che poteva trasportare fino a 2 tonnellate di merce. Lo sviluppo di questo nuovo mercato però restò sonnecchiante negli Stati Uniti per ancora un ventennio, con la costruzione e vendita di nuovi carrelli elevatori che non decollò in modo eguale rispetto alle sue grandi potenzialità, complice anche della bassa diffusone del bancale in legno e dei sistemi di stoccaggio delle merci in altezza nelle aziende. Le cose cambiarono in modo del tutto repentino e radicale quando gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale, dove le operazioni belliche erano posizionate lontane dal paese, costringendo l’esercito a creare una logistica, precisa, imponente per numero di merci spedite, ricevute e stoccate nei depositi. A questo punto il carrello elevatore diventa il fulcro della logistica militare quanto il pallet in legno, in quanto i rifornimenti dovevano essere spostati, caricati, scaricati e depositati velocemente e in modo funzionale. Si aggiunga anche il fatto che in quel periodo la mano d’opera scarseggiava, in quanto molti uomini erano stati inviati nei vari fronti di guerra e, quindi, questa carenza ha permesso che i muletti e i bancali rivoluzionassero la logistica militare. Le merci sui bancali risultavano facili da movimentare, più stabili anche nei lunghi tragitti navali e permettevano di ridurre, al fronte, le aree di stoccaggio. A partire dal 1941, l’Esercito e la Marina Americana invasero di ordini le aziende private che si occupavano di mezzi a motore, meccanica e packaging in legno, creando non pochi problemi nel reperimento della materia prima per soddisfarli. Infatti, alcune materie prime, come l’acciaio, erano destinati alla costruzione di armamenti, mezzi blindati da terra, navi, mezzi da sbarco anfibi e molti altri prodotti destinati alla fase offensiva delle operazioni. Ci fu allora uno scontro all’interno dello Stato Maggiore dell’Esercito per la gestione delle materie prime, dove una parte degli interessati considerava i carrelli elevatori un bene di lusso, rispetto alle armi e ai mezzi corazzati. Alla fine lo Stato Maggiore decise che la logistica fosse importante quanto le attrezzature offensive, in quanto senza rifornimenti nessuno poteva fare una guerra. Così a partire dal 1943, la maggior parte dei fornitori dei carrelli elevatori dell’esercito e della marina Americana furono costituiti da aziende straniere, che produssero in modo continuativo tutti i mezzi che la guerra richiedeva. Con la fine del conflitto il sistema logistico militare influenzò la gestione logistica delle aziende private, permettendo così la crescita del settore dei carrelli elevatori e dei bancali per la movimentazione della merce. Foto: Okeypart

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https://www.rmix.it/ - La Conoscenza della Chimica di Base Può Influenzare le Vendite nel Settore della Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Conoscenza della Chimica di Base Può Influenzare le Vendite nel Settore della Plastica
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Nonostante si pensi che i polimeri siano una commodity, conoscere un po' di chimica aiuterebbe il tuo lavorodi Marco ArezioIl settore della plastica è composto da molte ramificazioni, dalle macchine ai polimeri, dai prodotti finiti alla ricerca e sviluppo, dagli additivi alla tecnologia di controllo dei processi, solo per citarne alcune.Servizi, prodotti e macchine sono indirizzati tutti all’uso della plastica riciclata o vergine, per realizzare, nel modo migliore, al prezzo più basso e nel minor tempo, un mercato che possa sostenere l’azienda. Le attività di vendita sono solo la parte finale di un processo svolto dall’azienda per portare sul mercato una serie di prodotti, creando profitto e permettendo la continuità produttiva o distributiva. Ma se è vero che le risorse umane destinate a realizzare un prodotto in plastica devono avere competenze anche tecniche, in merito ai processi e ai materiali impiegati, si tende a non considerare la qualità delle conoscenze tecniche di chi è addetto al settore commerciale. Le competenze per la vendita di un prodotto o di un servizio sono spesso associate, ancora, alla qualità caratteriale dei venditori, alla loro intraprendenza, alle loro doti di convincimento, alla loro empatia, cortesia, simpatia e al carisma che il carattere di ognuno riesce a produrre sul cliente finale. In realtà, molto di quanto sopra descritto è vero ed aiuta sicuramente nel proprio lavoro, ma il mondo dei prodotti che ruotano intorno alle materie plastiche, ha l’esigenza di essere gestito da personale che possa avere una conoscenza della chimica di base e della meccanica di produzione. E se, per quanto riguarda la parte di approfondimento sui sistemi di produzione della propria azienda possono, attraverso un’infarinatura, migliorare la professionalità del venditore o dell’addetto post vendita, la conoscenza della chimica di base può rendere più efficace l’azione di vendita e permette di gestire in modo più competente l’insorgere di eventuali problemi. Tuttavia, la conoscenza della chimica di base non è utile solo per le materie prime plastiche, ma anche per migliorare la conoscenza delle reazioni termiche, oleodinamiche ed elettriche degli impianti che l’azienda usa. L’intento non è quello di spiegare, qui, i concetti della chimica di base, ma dare degli spunti di approfondimento su argomenti che potrebbero essere utili per la propria professione nelle vendite o nel post vendita. Parlando di chimica di base possiamo accennare all’importanza degli atomi e delle molecole, infatti un atomo non è che la parte più piccola di una sostanza, che può essere solida, alla temperatura della superficie terrestre, liquida o gassosa. Gli elementi possono avere differenti quantità di particelle e hanno posizioni fisiche differenti, infatti, i protoni e i neutroni sono nel nucleo dell'atomo, mentre gli elettroni girano intorno al nucleo respingendosi a vicenda. Le molecole sono le combinazioni di elementi semplici che troviamo in natura o che possiamo sintetizzare. Possono essere diversi elementi come acqua o anidride carbonica ed, alcuni, non sono così semplici. Inoltre, l'ossigeno e gli altri gas reattivi girano in coppia finché non trovano qualcosa con cui reagire: l'ossigeno nell'aria che respiriamo, ad esempio, reagisce con i nutrienti che mangiamo e digeriamo. Questa introduzione sugli atomi e i loro composti, porta a comprendere come nasce l’elettricità che è costituita dal movimento di elettroni in eccesso su una superficie, infatti, l’energia elettrica si basa sul movimento degli elettroni attraverso i conduttori (solitamente metalli) e richiede energia per spingere quegli elettroni attraverso la resistenza del conduttore. Nel lavoro utilizziamo frequentamene l’acqua che, nello specifico non è un elemento ma un composto, la combinazione magistrale tra due idrogeni e un ossigeno, così come può essere interessante approfondire la conoscenza dei metalli che si usano nelle lavorazioni delle materie plastiche. Infatti, molti metalli sono elementi, come il ferro, il rame, l’oro, il piombo e alluminio, ma alcuni sono leghe (zinco + rame = ottone, stagno + rame = bronzo) e alcuni sono un elemento che è stato lavorato, in particolare il ferro con l'acciaio. Alcuni si trovano in natura come elementi, ma la maggior parte si trova come composti (minerali) e alcuni, come il sodio e il calcio, sono così reattivi che non si trovano mai non combinati, come, per esempio, il cloruro di sodio o sale comune. Gli elementi come il carbonio e il silicio sono estremamente abbondanti, solitamente legati con altri elementi. Le combinazioni di carbonio sono la base della chimica organica e formano le molecole degli esseri viventi così come la maggior parte delle materie plastiche. Per arrivare fino alla fine di questa carrellata, capire come questi elementi di chimica di base, da approfondire a vostro piacimento, possano avere un nesso con le materie plastiche, dobbiamo parlare dell’ultima voce importante che è l’aria, che non è un elemento, ma una miscela di 78% di azoto, 21% di ossigeno, 1% di argon (inerte), e un po' di anidride carbonica e acqua (non inerte e molto importante nonostante le loro basse percentuali). Tornando al mondo delle materie plastiche possiamo dire che i polimeri sono formati da molecole differenti, i cui legami e le cui ramificazioni possono far mutare il polimero stesso sotto diversi punti di vista. Per esempio, le molecole di etilene e cloruro di vinile (PVC), la parti costituenti di due famiglie di plastiche molto comuni, possono avere un doppio legame, possibile perché un atomo di carbonio ha quattro braccia e può trattenere un altro carbonio con due di essi, lasciando che gli altri due contengano idrogeni, ossigeni, cloro o altro. Questi doppi legami sono reattivi, quindi uno può rompersi mentre l'altro rimane stabile, in questo modo, è possibile creare lunghe catene se l'etilene (o il cloruro di vinile) viene mantenuto alla giusta temperatura e pressione per un tempo sufficiente. Le molecole possono diventare molto più complicate, con ramificazioni e/o più di un monomero, e alcune plastiche estrudibili, come PET, PC e nylon, sono diverse, ma seguono comunque la stessa idea. Piccole molecole si uniscono per formarne di grandi e lunghe. L’approfondimento degli spunti sulla chimica di base, qui citati, può essere accoppiato ad una conoscenza dei flussi dinamici nelle macchine per la plastica e al comportamento del fuso plastico nei diversi mezzi di conformazioni negli stampi. Inoltre, un approfondimento a parte riguarda la tecnologia delle materie plastiche riciclate, che vede la necessità di una conoscenza importante inerente ai sistemi di separazione degli scarti, la macinazione, il lavaggio, la densificazione, l’essicazione, la granulazione, l’insaccamento e l’utilizzo della nuova materia prima nelle fasi di stampaggio o estrusione o soffiaggio o termoformatura.

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https://www.rmix.it/ - L'Influenza dell'Aspetto Fisico nella Carriera Aziendale: Opportunità e Difficoltà
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L'Influenza dell'Aspetto Fisico nella Carriera Aziendale: Opportunità e Difficoltà
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Come le Valutazioni Basate sull’Aspetto Possano Favorire o Sfavorire i Dipendenti e le Strategie per Mitigare i Bias Inconsci nel Mondo del Lavorodi Marco ArezioNel mondo del lavoro, l’aspetto fisico di un dipendente può giocare un ruolo significativo nel determinare il suo successo o insuccesso. Nonostante le competenze e le qualifiche professionali dovrebbero essere i principali criteri di valutazione, spesso le apparenze fisiche influenzano le decisioni dei manager e le dinamiche lavorative. Questo articolo esplorerà i meccanismi attraverso i quali l'aspetto fisico può favorire o sfavorire un dipendente, analizzando l'impatto di queste valutazioni extra lavorative sulla vita professionale. I Vantaggi di un Aspetto Fisico Attraente Bias di Bellezza Gli studi dimostrano che le persone considerate fisicamente attraenti tendono a ricevere valutazioni più positive sul posto di lavoro. Questo fenomeno, noto come "bias di bellezza", suggerisce che le persone belle sono percepite come più competenti, intelligenti e affabili. Questo può portare a opportunità di carriera migliori, salari più elevati e promozioni più rapide. Migliori Relazioni Interpersonali L’aspetto fisico attraente può facilitare l’instaurazione di buone relazioni interpersonali con colleghi e superiori. Un dipendente piacevole alla vista può essere più facilmente accettato e integrato nei gruppi di lavoro, migliorando la collaborazione e la comunicazione all'interno del team. Presenza nei Ruoli di Facciata Le aziende spesso scelgono persone attraenti per ruoli che richiedono un'interazione costante con i clienti, come vendite, reception e relazioni pubbliche. In questi contesti, un aspetto fisico piacevole può migliorare l'immagine dell'azienda e aumentare la soddisfazione del cliente. Gli Svantaggi di un Aspetto Fisico Non AttraenteDiscriminazione e Pregiudizi I dipendenti che non rientrano negli standard di bellezza tradizionali possono affrontare discriminazioni sul posto di lavoro. Questi pregiudizi possono manifestarsi in vari modi, tra cui salari inferiori, minori opportunità di promozione e esclusione da progetti importanti. Auto-percezione e Autostima Le persone che non si sentono sicure del proprio aspetto fisico possono sviluppare una bassa autostima e una scarsa fiducia in sé stesse. Questo può influenzare negativamente la loro performance lavorativa, limitando le loro possibilità di successo e crescita professionale. Stereotipi Negativi Gli stereotipi legati all’aspetto fisico possono portare i manager a fare supposizioni errate sulle competenze e le capacità di un dipendente. Ad esempio, una persona con sovrappeso potrebbe essere percepita come meno disciplinata o meno in salute, indipendentemente dalle sue reali abilità e prestazioni. Meccanismi di Valutazione Extra Lavorativa Effetto Alone L’effetto alone è un bias cognitivo che porta a valutare una persona in modo positivo o negativo in base a una singola caratteristica, come l’aspetto fisico. Questo effetto può distorcere le valutazioni dei manager, portandoli a sovrastimare le capacità di un dipendente attraente o a sottovalutare quelle di uno meno attraente. Conformità Sociale Le norme sociali e culturali influenzano le percezioni dei manager sull’aspetto fisico. In molte culture, un aspetto curato e attraente è associato a successo e competenza. I manager possono quindi sentirsi spinti a conformarsi a queste aspettative, anche se non riflettono la realtà delle competenze del dipendente. Comunicazione Non Verbale L’aspetto fisico può influenzare anche la comunicazione non verbale sul posto di lavoro. I dipendenti attraenti possono ricevere più sorrisi, contatti visivi e segnali positivi dai colleghi e superiori, che possono a loro volta rafforzare la loro posizione e influenzare le valutazioni di performance. Strategie per Mitigare l'Impatto dell'Aspetto Fisico Formazione sui Bias Inconsci Le aziende possono organizzare corsi di formazione sui bias inconsci per i loro dipendenti e manager. Questa formazione può aiutare a riconoscere e mitigare i pregiudizi legati all’aspetto fisico, promuovendo un ambiente di lavoro più equo e inclusivo. Politiche di Diversità e Inclusione Implementare politiche che promuovano la diversità e l’inclusione può aiutare a ridurre l’impatto negativo delle valutazioni basate sull’aspetto fisico. Queste politiche possono includere la promozione di standard di bellezza più ampi e l’adozione di criteri di valutazione basati esclusivamente sulle competenze e le prestazioni. Feedback Costruttivo e Obiettivo I manager dovrebbero fornire un feedback costruttivo e basato su criteri oggettivi. Un sistema di valutazione delle prestazioni ben strutturato può ridurre l’influenza dei bias di bellezza e garantire che le decisioni di carriera siano basate su meriti reali. Conclusione L’aspetto fisico di un dipendente può avere un impatto significativo sulla sua carriera, influenzando le percezioni dei manager e le dinamiche lavorative. Sebbene le valutazioni extra lavorative basate sull’aspetto siano inevitabili, è fondamentale che le aziende riconoscano e affrontino questi bias per garantire un ambiente di lavoro equo e inclusivo. Promuovere la consapevolezza dei bias inconsci, implementare politiche di diversità e inclusione e fornire feedback obiettivo sono passi cruciali per mitigare l’impatto delle apparenze fisiche e valorizzare le competenze e le prestazioni reali dei dipendenti.

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https://www.rmix.it/ - L’Italia e il Caro Energia: Sfide e Opportunità per un Settore Manifatturiero in Difficoltà
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’Italia e il Caro Energia: Sfide e Opportunità per un Settore Manifatturiero in Difficoltà
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Il costo dell'energia in Italia, il più alto d'Europa, mette in crisi la competitività dell'industria manifatturieradi Marco ArezioLa recente analisi dei prezzi medi mensili delle borse elettriche in Europa, dal gennaio all'ottobre 2024, mostra una chiara disparità tra l'Italia e gli altri paesi europei. Secondo i dati, l'Italia guida la classifica con un prezzo medio di 103,7 euro/MWh, seguita a distanza da Germania (71,4 euro/MWh), e dall'area media dei paesi UE (61,4 euro/MWh). Altre nazioni, come il Portogallo, la Spagna e la Francia, registrano prezzi inferiori, mentre l'area scandinava si distingue per il costo particolarmente basso di 36,5 euro/MWh. Questa significativa differenza di costo energetico pone l'industria italiana in una posizione di svantaggio rispetto ai concorrenti europei, un problema particolarmente grave per un paese a forte vocazione manifatturiera come l'Italia. Le Cause delle Disparità nei Costi Energetici a) Dipendenza Energetica e Infrastrutture L'Italia è storicamente un paese con una bassa produzione di energia da fonti domestiche, costretta a importare una grande quantità di risorse energetiche, specialmente gas naturale. Questo rende l'Italia vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi sui mercati internazionali e ai problemi di approvvigionamento, soprattutto in un contesto di crescente domanda globale e di turbolenze geopolitiche. Inoltre, le infrastrutture energetiche italiane, pur migliorate negli ultimi anni, scontano ancora una mancanza di investimenti adeguati rispetto a quelle di paesi come la Germania e la Francia, rendendo l'energia più costosa da distribuire e meno efficiente. b) Lentezza nella Transizione Energetica Sebbene l'Italia abbia avviato un'importante transizione verso le energie rinnovabili, come il fotovoltaico e l'eolico, il ritmo di sviluppo è ancora inferiore rispetto ad altri paesi europei. Questa lentezza è dovuta a vari fattori, tra cui una burocrazia complessa e frammentata, che rende difficile e dispendioso ottenere permessi per nuovi impianti, e a una rete elettrica non sempre adeguata a sostenere l'incremento delle fonti rinnovabili. In confronto, l'area scandinava ha investito massicciamente nelle rinnovabili, riuscendo così a mantenere i costi energetici bassi. c) Regolamentazioni e Tasse Un altro elemento di costo per l'energia in Italia è rappresentato dal peso delle imposte e delle accise, che sono tra le più elevate in Europa. Questi oneri fiscali incidono direttamente sul prezzo finale dell'energia, aggravando ulteriormente il costo per le imprese e i consumatori. La Germania, pur avendo un carico fiscale significativo, è riuscita a compensare grazie a un sistema più efficiente di incentivi e sovvenzioni, che in Italia ancora fatica a prendere piede in modo efficace e diffuso. Impatti sul Settore Manifatturiero Italiano L'elevato costo dell'energia ha un impatto devastante sulla competitività del settore manifatturiero italiano, che rappresenta una parte cruciale dell'economia nazionale. Le imprese italiane, soprattutto le piccole e medie, sono costrette a fare i conti con costi di produzione superiori rispetto ai concorrenti europei, limitando la capacità di competere sui prezzi e, in alcuni casi, minacciando la loro stessa sopravvivenza. Per settori energivori come quello siderurgico, chimico, plastico e della carta, l'incidenza del costo energetico sul totale dei costi di produzione è particolarmente elevata, con ripercussioni significative sull'intera catena di valore. Inoltre, le aziende italiane sono costrette a ridurre i margini di profitto o a trasferire parte dei costi sui consumatori finali, con il rischio di perdere quote di mercato, sia a livello domestico che internazionale. Questo svantaggio competitivo si ripercuote negativamente sull'occupazione e sull'indotto, minando la stabilità di un comparto che è stato tradizionalmente il cuore pulsante dell'economia italiana. Possibili Soluzioni e Strategie per un’Industria Competitiva a) Aumentare gli Investimenti nelle Energie Rinnovabili Per ridurre il gap con gli altri paesi europei, è essenziale che l'Italia acceleri la sua transizione energetica verso le fonti rinnovabili. Questo richiede non solo incentivi e finanziamenti per nuovi impianti, ma anche una semplificazione burocratica che renda più rapido e meno costoso l’iter di approvazione per le nuove installazioni. L’aumento della capacità di produzione da rinnovabili, in particolare in regioni con alto potenziale solare ed eolico, potrebbe ridurre sensibilmente la dipendenza energetica dall'estero e, conseguentemente, i costi di approvvigionamento. b) Efficientamento Energetico e Innovazione Tecnologica Un’altra strategia chiave per ridurre i costi energetici è investire nell’efficienza energetica delle industrie. Adottare tecnologie avanzate per la gestione e il monitoraggio dei consumi, come l'Internet of Things (IoT) e l’intelligenza artificiale, permette di ottimizzare l'uso dell'energia, riducendo gli sprechi e migliorando la sostenibilità dei processi produttivi. Alcune aziende italiane stanno già sperimentando questi approcci, ma è necessario un impegno più ampio e coordinato per ottenere risultati significativi. c) Politiche di Sostegno e Riforma delle Tasse È urgente che il governo italiano metta in atto politiche di sostegno concrete per le imprese energivore, riducendo il carico fiscale sull'energia e introducendo meccanismi di compensazione per i settori più colpiti. In questo senso, potrebbe essere utile ispirarsi a modelli di successo adottati da altri paesi europei, come la Germania, dove le industrie ad alta intensità energetica godono di agevolazioni fiscali e di sussidi mirati. Allo stesso tempo, una riforma delle tasse sull'energia potrebbe ridurre il peso sui consumatori e migliorare la competitività delle imprese. d) Promuovere la Collaborazione Europea L’Italia potrebbe beneficiare di una maggiore integrazione con il mercato energetico europeo, sfruttando accordi bilaterali e programmi di cooperazione per l’acquisto e la condivisione di energia a costi inferiori. Collaborare con altri paesi dell'Unione Europea, in particolare con quelli che hanno un surplus di energia rinnovabile, potrebbe rappresentare una soluzione temporanea per mitigare i costi e garantire una maggiore stabilità nell'approvvigionamento. Conclusione L'Italia si trova di fronte a una sfida importante: garantire un futuro sostenibile e competitivo per il proprio settore manifatturiero nonostante le attuali difficoltà legate al costo dell'energia. Le disparità nei prezzi energetici rispetto al resto d'Europa rappresentano un ostacolo significativo, ma non insormontabile. Con una strategia coordinata che coinvolga sia il settore pubblico che quello privato, investendo in rinnovabili, efficienza energetica e politiche di supporto mirate, l'Italia può superare questa crisi energetica e consolidare la propria posizione di leadership nel manifatturiero europeo. Il percorso non sarà facile, ma è una strada obbligata per garantire la competitività del paese e la sostenibilità del suo sviluppo industriale.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Il Costo Nascosto del Turnover: Perché Trattenere i Talenti è Essenziale per le Aziende
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Sostituire i dipendenti può costare fino al doppio del loro stipendio annuale: scopri come investire nella retention migliora performance e riduce i costi aziendalidi Marco ArezioNel contesto della gestione aziendale, il turnover del personale rappresenta una sfida cruciale, spesso sottostimata nelle sue implicazioni economiche e strategiche. Alcuni manager adottano la pratica di sostituire i dipendenti che avanzano richieste salariali o contrattuali, considerandola una soluzione per contenere i costi. Tuttavia, la letteratura manageriale dimostra che questa scelta può rivelarsi estremamente onerosa: il costo globale del turnover varia dal 50% al 200% della retribuzione annuale del dipendente, considerando sia i costi diretti sia quelli indiretti. Questa dinamica evidenzia come la gestione del capitale umano non possa essere ridotta a una semplice equazione di spesa immediata. Al contrario, le aziende devono considerare le implicazioni di lungo termine, valutando con attenzione l’impatto di ogni decisione relativa al personale. Il Peso Economico del Turnover Il costo del turnover si articola in una molteplicità di fattori, che vanno ben oltre le spese di sostituzione. La perdita di un dipendente comporta innanzitutto la necessità di attivare processi di selezione, che includono annunci di lavoro, colloqui e, spesso, l’intervento di società di recruiting. A questi si aggiunge il tempo necessario per formare il nuovo assunto, affinché raggiunga il livello di competenza e produttività richiesto dal ruolo. Parallelamente, si registrano impatti negativi indiretti sulla performance aziendale. La perdita di competenze ed esperienza specifica, difficilmente trasferibili in breve tempo, si traduce in un calo della produttività. Inoltre, il turnover può generare una destabilizzazione del team, influenzando il morale e la motivazione dei dipendenti rimasti. Questo fenomeno si acuisce nei ruoli strategici o di leadership, dove l’uscita di una figura chiave può compromettere l’intero sistema organizzativo. Uno studio del Society for Human Resource Management (SHRM) sottolinea come i costi del turnover non si limitino a una dimensione economica immediata, ma si riflettano anche nella reputazione aziendale e nella capacità di attrarre nuovi talenti. Le organizzazioni percepite come instabili o poco orientate alla valorizzazione dei dipendenti rischiano di essere meno competitive sul mercato del lavoro. Il Peso Economico del Turnover: Un'Analisi Concreta per i Manager Quando si affronta la questione del turnover aziendale, i costi associati sono spesso sottovalutati o, peggio, ignorati. Tuttavia, per un manager, comprendere questi costi in modo tangibile è fondamentale per valutare le conseguenze reali di non trattenere i talenti. Dietro la scelta di sostituire un dipendente si nascondono implicazioni economiche che vanno ben oltre il semplice reclutamento di un nuovo professionista. Costi visibili: l’impatto diretto del turnover Il primo livello di costi che un manager può percepire è quello diretto, legato al processo di sostituzione del dipendente. Questo include spese evidenti come la pubblicazione di annunci, le commissioni per agenzie di selezione e il tempo speso dal personale interno per gestire i colloqui. A ciò si aggiunge il costo della formazione del nuovo assunto, necessario per colmare il divario di competenze e inserirlo nel flusso operativo. Ad esempio, sostituire un dipendente con un salario annuo di 40.000 euro può facilmente comportare spese iniziali di selezione e formazione che superano i 10.000-15.000 euro. Questo importo, tuttavia, è solo la punta dell'iceberg. L’impatto nascosto: i costi indiretti del turnover I costi indiretti, meno immediati ma altrettanto incisivi, emergono quando si considera l’intero ciclo di vita della sostituzione. La perdita di un dipendente non riguarda solo il ruolo vacante, ma colpisce l’organizzazione in modo più profondo. Innanzitutto, un dipendente esperto porta con sé conoscenze uniche, accumulate nel tempo e spesso difficili da trasferire. La sua partenza può generare ritardi nei progetti, errori operativi e una temporanea inefficienza dei processi. Inoltre, la sostituzione richiede tempo: i nuovi assunti impiegano in media dai 3 ai 6 mesi per raggiungere i livelli di produttività ottimali. Durante questo periodo, l’azienda subisce una perdita in termini di output, che si traduce in mancati ricavi o in una maggiore pressione sui colleghi rimasti. Oltre alla perdita di competenze, bisogna considerare l’impatto sul morale del team. Un turnover elevato destabilizza l’ambiente di lavoro, alimentando insicurezze e demotivazione. I dipendenti che restano possono sentirsi sovraccaricati o meno valorizzati, con un effetto domino che riduce ulteriormente la produttività complessiva. La reputazione aziendale come costo intangibile In un’era in cui le opinioni dei dipendenti sono facilmente condivisibili su piattaforme pubbliche, il turnover elevato può danneggiare l’immagine dell’azienda. Recensioni negative su siti di valutazione del datore di lavoro, come Glassdoor, o il passaparola interno al settore possono scoraggiare talenti potenziali dall’unirsi all’organizzazione. Questo aumenta la difficoltà di attrarre candidati qualificati, prolungando i tempi di assunzione e, di conseguenza, aumentando i costi associati. Una riflessione per i manager Ignorare l’impatto economico e operativo del turnover equivale a trascurare una delle principali cause di inefficienza aziendale. Ogni decisione che porta alla perdita di un dipendente deve essere valutata non solo in termini di risparmio immediato, ma anche rispetto al costo complessivo che l’azienda dovrà sostenere per colmare quella lacuna. Capire questi costi, attraverso un’analisi concreta e dettagliata, è il primo passo per adottare una strategia di gestione più consapevole. Trattenere i talenti non è solo un atto di lungimiranza, ma una scelta che incide direttamente sulla competitività e sulla stabilità economica dell’organizzazion La Retention come Strategia Competitiva Investire nella fidelizzazione dei dipendenti non è solo una scelta etica, ma una strategia competitiva cruciale in un mercato sempre più dinamico. La retention, intesa come la capacità di trattenere i talenti all’interno dell’organizzazione, si basa su politiche di gestione del personale orientate al lungo termine. Diversi studi dimostrano che i dipendenti fedeli contribuiscono in modo significativo alla crescita aziendale, grazie alla loro conoscenza dei processi interni, alla maggiore produttività e alla capacità di innovare. Inoltre, un basso tasso di turnover favorisce la creazione di un clima aziendale positivo, rafforzando il senso di appartenenza e la coesione del team. Tra le leve più efficaci per incentivare la retention, si annoverano: Opportunità di sviluppo professionale: Percorsi di formazione e piani di carriera personalizzati rappresentano un elemento di motivazione fondamentale. Politiche retributive competitive: Una retribuzione equa, associata a benefit significativi, è un indicatore di riconoscimento del valore del dipendente. Flessibilità lavorativa: La possibilità di conciliare vita personale e professionale, attraverso il lavoro agile o altre forme di flessibilità, è oggi uno dei principali driver di soddisfazione. Il Paradosso del Risparmio a Breve Termine Una delle motivazioni principali dietro l’alto turnover è la percezione, da parte dei manager, che assecondare le richieste dei dipendenti sia troppo oneroso. In realtà, questa visione miope non tiene conto del rapporto costo-beneficio su scala temporale più ampia. Ad esempio, soddisfare una richiesta di aumento salariale del 10% per un dipendente chiave potrebbe comportare un esborso immediato inferiore rispetto al costo complessivo di reclutamento, formazione e calo di produttività legati alla sua sostituzione. Inoltre, un approccio proattivo nella gestione delle richieste del personale dimostra ai dipendenti che l’azienda valorizza il loro contributo, riducendo il rischio di future dimissioni. Il turnover, quando non gestito, diventa un circolo vizioso: i costi diretti e indiretti aumentano, mentre la reputazione aziendale e l’efficacia operativa ne risentono. Una Visione di Lungo Termine Per minimizzare i rischi legati al turnover, è essenziale che i manager adottino una prospettiva di lungo termine nella gestione del capitale umano. Questo implica non solo rispondere alle esigenze immediate dei dipendenti, ma anche creare un ambiente di lavoro che favorisca il loro coinvolgimento e il senso di appartenenza. Tra le strategie più efficaci emergono: Creazione di una cultura aziendale inclusiva: Valorizzare la diversità e riconoscere i meriti individuali contribuisce a creare un ambiente stimolante. Ascolto attivo: Raccogliere e analizzare feedback regolari permette di identificare tempestivamente eventuali criticità. Leadership empatica: I manager che dimostrano empatia e capacità di guidare il cambiamento creano fiducia e rafforzano le relazioni interne. Conclusione Il turnover non è solo un fenomeno naturale, ma una sfida gestionale che richiede un approccio strategico. Trattenere i dipendenti non è una questione di mera generosità, ma un investimento che genera valore per l’azienda. In un mercato competitivo, la capacità di mantenere i talenti rappresenta un vantaggio distintivo. I manager sono chiamati a superare la logica del risparmio immediato e a considerare l’intero ciclo di vita dei costi legati al personale. Solo così sarà possibile costruire un’organizzazione resiliente, capace di affrontare le sfide del futuro con un capitale umano motivato e competente.© Riproduzione Vietata

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Le università si stanno attrezzando per offrire i master in linea con il marcato che cerca esperti nelle nuove professioni emergenti nel campo dell’economia sostenibile e circolaredi Marco ArezioIl mondo si sta evolvendo verso un’attenzione sempre più marcata all’ambiente, al riciclo, al riuso, al risparmio delle materie prime, ad una produzione con il minor impatto ambientale possibile e ad una nuova riconsiderazione della natura. Questo genererà nuove professioni. Non sono solo appelli lanciati dalla Comunità Europea, che sta spingendo sull’accelleratore verso il cambiamento del modello produttivo, distributivo, energetico e logistico, prontamente derisa dai negazionisti dell’ambiente come gli Stati Uniti o gli indifferenti (apparentemente) come la Cina o l’India e i vari paesi satelliti. E’ sempre il mercato che coglie per primo le istanze del cambiamento che vengono dalla base, ed è sempre il mercato che si organizza per sostenere i cambiamenti epocali che stiamo vivendo, trascinando con sè anche la classe politica che deve legiferare in materia. Gli industriali hanno capito che devono assecondare la volontà della gente che sente in modo viscerale il problema dei cambiamenti climatici e che cerca di assumere comportamenti virtuosi con azioni che si riflettono sui consumi. Meno plastica, meno auto con motori termici, meno uso di corrente e di acqua, meno uso degli aerei, meno acquisto di prodotti che provengono da lontano e meno prodotti realizzati con materie prime vergini. Questo cambio di esigenze da parte della popolazione mondiale impatterà in modo sostanziale sui consumi e, quindi, anche sui processi produttivi, motivo per cui gli industriali non possono pensare di aspettare l’inerzia della politica. Lo dimostra il fatto che anche negli Stati Uniti, il tessuto industriale non si fa troppo impressionare dalla politica liberista e poco attenta all’ambiente che l’amministrazione Tramp si ostenta a difendere, contro ogni logica scientifica, muovendosi con iniziative che vanno incontro alle esigenze della popolazione in termini di rispetto per l’ambiente. Per questi motivi, nel prossimo decennio, si creeranno nuove figure professionali che dovranno governare, all’interno delle aziende, le produzioni di beni e servizi secondo un’ottica di economia circolare e sostenibilità. Per formare gli esperti dei settori che saranno tra i più richiesti dal mercato, le università stanno organizzando Master, attraverso i quali si possano certificare i nuovi tecnici delle discipline che riguardano il sistemi dei rifiuti, il controllo e gestione delle sostanze pericolose e dei rischi aziendali in funzione delle nuove normative ed infine, l’ambito della formazione tecnica sulle plastiche riciclate. L’esperto del sistema rifiuti avrà competenze specifiche nell’ambito della raccolta, trasporto, stoccaggio e smaltimento in relazione alle normative ambientali e produttive.L’esperto della sicurezza in ambito ambientale avrà competenze specifiche nelle sostanze pericolose, nella salute dei lavoratori in relazione al loro uso e al rispetto delle normative ambientali.L’esperto delle materie plastiche riciclate avrà competenze specifiche nel ciclo di lavorazione e riutilizzo dei rifiuti plastici, sotto forma di nuova materia prima, dando alle reti di vendita specifiche istruzioni sul loro uso nel campo dello stampaggio, estrusione, soffiaggio e termoformatura.Vedi le nuove professioni Il Sole 24 Ore

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https://www.rmix.it/ - Strategie per la Manutenzione degli Impianti Produttivi a Ciclo Continuo
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Un fermo produttivo di un impianto a ciclo continuo necessita di programmazione, competenza, velocità ed efficienzadi Marco ArezioI reparti di produzione a ciclo continuo utilizzano impianti che massimizzano i rendimenti produttivi, attraverso la riduzione al minimo di fermi, lavorando normalmente su tre turni giornalieri. Ma le macchine, pur efficienti, sono soggette ad usura, ed è per questo si rende necessario provvedere ad una corretta programmazione delle fermate per manutenzione. Nell’ambito del budget produttivo, la fermata per manutenzione ha due fattori importanti che devono essere attentamente calibrati: il tempo, che implica una mancanza di merce da vendere o da stoccare a magazzino, e i costi degli interventi, che coinvolgono l’organizzazione tecnica aziendale nel suo complesso. Quali regole adottare per programmare i fermi produttivi per la manutenzione Programmare i fermi produttivi per le manutenzioni, in un ambiente di produzione industriale a ciclo continuo, è fondamentale per mantenere l'efficienza delle apparecchiature e prevenire guasti. Ci sono alcune regole importanti da rispettare per non farsi trovare impreparati durante il fermo: - Prima di programmare un fermo produttivo, è essenziale condurre un'analisi delle condizioni degli impianti produttivi. Ciò aiuta a determinare la necessità e l'urgenza della manutenzione. - Pianificare i fermi produttivi con un buon anticipo in modo da avere tempo per coordinare tutte le risorse necessarie. - Cercare di programmare i fermi produttivi durante i periodi di bassa domanda o quando l'impatto sulla produzione sarà minimo. - Assicurarsi che tutti i dipendenti e le parti interessate siano informati dei tempi e delle durate previste dei fermi. - Prima del fermo, accertarsi di avere tutti i ricambi e gli strumenti necessari a portata di mano. - Assicurarsi che il personale incaricato delle manutenzioni sia adeguatamente formato e abbia le competenze necessarie. - Dopo ogni fermo produttivo, analizzare l'efficacia della manutenzione. Questo aiuta a migliorare i processi futuri. - Documentare ogni fermo produttivo, includendo le ragioni del fermo, le azioni intraprese e i risultati. Questo fornirà dati preziosi per la pianificazione futura. Come gestire il magazzino dei ricambi per gli impianti produttivi La gestione del magazzino dei ricambi, in un ambiente di produzione industriale a ciclo continuo, è essenziale per garantire che gli impianti stessi funzionino senza interruzioni non pianificate. Ci sono pezzi di ricambio che possono essere acquistati dai fornitori in poco tempo, mentre altri, specialmente quelli creati appositamente, hanno bisogno di settimane o mesi tra l’ordine e la consegna. Questo significa quanto sia importante saper pianificare la gestione del magazzino ricambi, sia per le manutenzioni programmate che per quelle straordinarie. Anche in questo caso sarebbe buona cosa tenere presente alcune semplici regole: - Classificare i ricambi in base alla loro importanza. Per esempio, ricambi critici che potrebbero causare fermi produttivi se non disponibili, ricambi regolarmente usati, e ricambi meno frequenti. - Stabilire livelli di scorta minimi e massimi per ogni componente. I ricambi critici potrebbero richiedere livelli di scorta più elevati. - Utilizzare un sistema informativo di gestione magazzino (come un ERP) che ti permetta di tracciare l'inventario in tempo reale, registrare le uscite e gli ingressi e prevedere le esigenze future. - Eseguire revisioni periodiche dell'inventario per assicurarsi che i livelli di scorta siano adeguati e per identificare eventuali ricambi obsoleti o in eccesso. - Assicurarsi che i ricambi siano di alta qualità e che vengano immagazzinati in condizioni adeguate per prevenire danni o deterioramenti. - Posizionare i ricambi più usati in luoghi facilmente accessibili. Utilizzare un’etichettatura chiara e sistemi di codifica per trovare rapidamente ciò di cui hai bisogno. - Stabilire relazioni con fornitori affidabili che possano fornire ricambi di qualità in tempi rapidi, se necessario. - Tenere traccia dei costi associati all'immagazzinamento dei ricambi, compresi i costi di acquisto, di immagazzinamento e di obsolescenza. - Considerare l'idea di avere un kit di emergenza per fermi imprevisti, contenente gli strumenti e i ricambi più critici. Quali differenze, tra costi e risultati, tra un servizio di manutenzione interna o esterna l’azienda L'opzione tra mantenere un servizio di manutenzione interna o esternalizzarla, in aziende con produzioni a ciclo continuo, può avere impatti sia sui costi che sui risultati. E’ difficile dare un suggerimento assoluto su quale tipo di organizzazione di manutenzione sia consigliabile per l’azienda, in quanto entrano in gioco la tipologia di produzione, la complessità degli impianti, la dimensione degli stessi, la diffusione commerciale o meno delle macchine produttive e molti altri fattori. Inoltre, molte aziende adottano un approccio ibrido, mantenendo un piccolo team interno per le esigenze quotidiane e collaborando con fornitori esterni per esigenze specializzate o progetti di grande scala. Possiamo, in via generale vedere i pro e i contro di una struttura di manutenzione interna all’azienda o di una a chiamata: Manutenzione Interna - Il personale interno comporta costi fissi come stipendi, benefici, formazione e strumentazione. - L'azienda potrebbe dover investire in attrezzature, strumenti e formazione specifica per il team di manutenzione. - Il personale interno ha una conoscenza approfondita degli impianti e delle loro specifiche esigenze. - In caso di guasto, il team interno può intervenire immediatamente, riducendo i tempi di fermo. - Il team interno è maggiormente allineato agli obiettivi e alle culture dell'azienda. Manutenzione Esterna - I costi sono variabili e si basano sul lavoro effettivamente svolto. Potrebbero non esserci costi fissi. - L'esternalizzazione può ridurre i costi complessivi, soprattutto se le esigenze di manutenzione sono sporadiche. - Le aziende esterne spesso hanno una vasta esperienza in specifici campi della manutenzione e possono fornire soluzioni innovative. - L'azienda può scegliere tra diversi fornitori e servizi, in base alle esigenze. - Potrebbe esserci un tempo di risposta più lungo in caso di guasti, a meno che non si abbia un accordo di servizio specifico. - L'azienda potrebbe avere meno controllo diretto sulla qualità e sui tempi del lavoro svolto. Come ammortizzare e imputare a bilancio i costi del servizio di manutenzione La contabilizzazione e l'ammortamento dei costi del servizio di manutenzione in un'azienda con produzione a ciclo continuo è un processo essenziale per garantire una corretta rappresentazione dei costi nel bilancio. Questo, inizia classificando i costi di manutenzione, che possono essere diretti (come pezzi di ricambio o ore lavorative dei tecnici) o indiretti (come l'amministrazione del servizio di manutenzione). I costi legati alle attività di manutenzione di routine, che mantengono l'attrezzatura in condizioni operative normali, sono spesso registrati come costi operativi. Vengono imputati al conto economico nell'anno in cui sono sostenuti. Se la manutenzione prolunga la vita utile dell'attrezzatura o ne aumenta il valore, questi costi possono essere capitalizzati come miglioramenti e ammortizzati nel tempo. Una volta capitalizzati, vengono ammortizzati sul conto economico nel corso della vita utile dell'attrezzatura o dell'asset migliorato. La durata e il metodo di ammortamento (ad esempio, lineare o decrescente) dovrebbero essere coerenti con le politiche contabili dell'azienda. Inoltre, registrare i costi di manutenzione nel sistema contabile, garantisce che vengano attribuiti ai periodi appropriati. Questo aiuta nell'analisi dei costi e nella pianificazione finanziaria. Periodicamente, è necessario analizzare le spese di manutenzione per identificare le tendenze, valutare l'efficacia delle attività di manutenzione e determinare se ci sono opportunità per migliorare l'efficienza. Assicurarsi che i responsabili di budget e altre funzioni interessate, siano informati sui costi di manutenzione e su come vengono contabilizzati. Ciò garantisce una pianificazione e una previsione finanziaria più precise.

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https://www.rmix.it/ - Il Nuovo Paradigma Industriale: Rischi per l’Occupazione e Morale nella Gestione dei Profitti
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Come il sistema manageriale moderno trasferisce i rischi alla collettività, concentra i profitti e minaccia la sostenibilità economica e socialedi Marco ArezioNegli ultimi anni, il sistema industriale e manageriale globale ha mostrato profonde trasformazioni. Da una parte, l’espansione dei mercati e l’innovazione tecnologica hanno offerto opportunità di crescita senza precedenti. Dall’altra, le dinamiche di gestione aziendale sembrano sempre più orientate alla massimizzazione del profitto nel breve termine, spesso a scapito del benessere collettivo. In questo contesto, emergono domande fondamentali: quale modello stiamo costruendo? È sostenibile un sistema in cui i rischi vengono condivisi, ma i guadagni rimangono concentrati? Un Modello in Crisi Le grandi crisi economiche degli ultimi decenni hanno portato alla luce un modello che fatica a bilanciare responsabilità collettiva e benefici individuali. Quando le cose vanno male, le conseguenze ricadono frequentemente su lavoratori, piccoli fornitori e governi, mentre, in tempi di prosperità, i profitti si concentrano nelle mani degli azionisti e dei manager aziendali. Questa dinamica non è solo economica, ma anche morale. Le imprese, che dovrebbero essere motori di innovazione e sviluppo, rischiano di trasformarsi in entità autoreferenziali, guidate da una logica di breve termine che minimizza il loro impatto positivo sulla società. Questo approccio solleva questioni fondamentali: è giusto trasferire i rischi imprenditoriali alla collettività, mentre i guadagni vengono trattenuti da pochi? E quali sono le conseguenze a lungo termine di questa visione? I Rischi per l’Occupazione Uno degli aspetti più critici di questo modello è il suo impatto sull'occupazione. Le aziende, per massimizzare i profitti, tendono a ridurre i costi operativi attraverso pratiche come: Delocalizzazione della produzione: Trasferire le attività in paesi con manodopera meno costosa spesso comporta la perdita di posti di lavoro nei territori di origine, lasciando le comunità locali in difficoltà. Automazione e digitalizzazione: Sebbene queste innovazioni siano essenziali per la competitività, vengono spesso implementate senza un piano per riqualificare i lavoratori, aggravando la disoccupazione. Taglio delle risorse umane: In nome dell’efficienza, molte aziende riducono il personale per migliorare i margini, lasciando interi settori in una condizione di precarietà. Questi processi non solo erodono la sicurezza economica dei lavoratori, ma mettono anche in discussione il ruolo sociale delle imprese. Se il profitto viene perseguito a discapito delle persone, quale futuro possiamo aspettarci? La Morale del Rischio e del Profitto Alla base di queste dinamiche c’è un’asimmetria di fondo nella gestione del rischio. Quando le aziende falliscono o attraversano momenti di crisi, i costi vengono spesso trasferiti ai lavoratori (attraverso licenziamenti), ai fornitori (attraverso mancati pagamenti) o agli stati (attraverso sussidi o salvataggi finanziari). Al contrario, in periodi di crescita, i profitti vengono trattenuti per essere distribuiti tra manager e azionisti, spesso senza alcun beneficio per le comunità che hanno contribuito al successo dell’impresa. Questa logica solleva interrogativi etici significativi. Il rischio è un elemento intrinseco dell’imprenditorialità, ma la sua gestione dovrebbe essere equilibrata. Spalmare le perdite sulla collettività senza condividerne i guadagni significa minare il contratto sociale tra imprese e società. Le aziende non operano nel vuoto: utilizzano infrastrutture pubbliche, accedono a risorse naturali e beneficiano di un sistema legale e politico che garantisce loro stabilità. In questo senso, non è solo ingiusto, ma anche miope escludere la società dalla redistribuzione dei benefici. Manager e Azionisti: I Veri Vincitori? Nel cuore di questa dinamica troviamo il ruolo sempre più preponderante dei manager e degli azionisti. Le decisioni strategiche delle imprese sono spesso guidate da logiche finanziarie che premiano il breve termine, come i dividendi elevati o il riacquisto di azioni, a scapito degli investimenti in ricerca, sviluppo e sostenibilità. I manager, in particolare, sono incentivati attraverso bonus e premi legati ai risultati economici di breve periodo, il che li porta a perseguire obiettivi che possono essere in contrasto con il bene collettivo. Questo tipo di governance, orientata esclusivamente al profitto, rischia di svuotare l’impresa della sua funzione sociale, trasformandola in una macchina di estrazione di valore.Conclusione Il paradigma industriale e manageriale attuale si trova di fronte a un bivio. Continuare a privilegiare il profitto a breve termine, trasferendo i rischi sulla collettività, rischia di approfondire le disuguaglianze e compromettere la sostenibilità economica e sociale. Al contrario, adottare un modello più responsabile e inclusivo potrebbe rappresentare non solo una scelta morale, ma anche una strategia vincente per il futuro. Le imprese non possono più ignorare il loro ruolo nella società. È tempo di ripensare il modo in cui i rischi e i benefici vengono distribuiti, abbandonando una visione puramente finanziaria per abbracciare un approccio che metta al centro il benessere collettivo. Solo così potremo costruire un sistema industriale in grado di affrontare le sfide del XXI secolo e garantire prosperità per tutti. © Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Rivoluzionare il Benessere Aziendale attraverso la Psicologia Organizzativa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Rivoluzionare il Benessere Aziendale attraverso la Psicologia Organizzativa
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Come l'Integrazione di Servizi Psicologici in Azienda Genera un Ambiente di Lavoro Innovativo e Supportivo, Mantenendo Allo Stesso Tempo Riservatezza e Sicurezza di Marco ArezioNel contesto aziendale contemporaneo, caratterizzato da ritmi frenetici e da una costante pressione verso l'innovazione e l'efficienza, emerge con forza l'esigenza di rivisitare e potenziare le strategie volte al benessere dei dipendenti. La crescita sostenibile di un'impresa, infatti, non può prescindere dalla salute psicofisica e dalla soddisfazione dei suoi lavoratori. In questo scenario, l'introduzione della figura dello psicologo organizzativo rappresenta non solo un investimento etico ma una scelta strategica di inestimabile valore per il futuro dell'azienda. Il ruolo dello psicologo aziendale trascende la semplice gestione del disagio lavorativo; esso si configura come una leva strategica per la costruzione di un ambiente lavorativo resiliente, stimolante e inclusivo. Attraverso un approccio scientifico e personalizzato, lo psicologo organizzativo interviene sul tessuto connettivo dell'impresa, ottimizzando le dinamiche di gruppo, potenziando le soft skills dei singoli e promuovendo pratiche di leadership positive. Questa figura professionale opera in sinergia con i managers e i teams HR per sviluppare strategie su misura che rispondano efficacemente alle esigenze emotive e professionali dei dipendenti, favorendo così un clima aziendale che alimenta la motivazione, la creatività e l'engagement. L'Impatto della Psicologia Organizzativa sul Business L'integrazione della psicologia nel contesto aziendale apporta benefici misurabili su molteplici livelli: Innovazione e Performance: Un ambiente lavorativo che promuove il benessere mentale è un terreno fertile per l'innovazione. Dipendenti mentalmente supportati e stimolati tendono a essere più creativi, proattivi e aperti al cambiamento, fattori chiave per il mantenimento di un vantaggio competitivo nel mercato. Riduzione del Turnover e dell'Assenteismo: La presenza di uno psicologo aziendale contribuisce a diminuire significativamente i livelli di stress lavorativo, riducendo il turnover e l'assenteismo. Ciò si traduce in un risparmio economico notevole per l'azienda, oltre che in una maggiore continuità operativa. Sviluppo delle Leadership Skills: Attraverso la formazione e il coaching psicologico, i leader aziendali acquisiscono strumenti efficaci per la gestione delle risorse umane, migliorando la loro capacità di ascolto, empatia e decision-making. Una leadership consapevole e orientata al benessere dei dipendenti è fondamentale per costruire team coesi e performanti. Successo Aziendale Attraverso la Psicologia Organizzativa La decisione di integrare la psicologia organizzativa nella gestione aziendale rappresenta un passo audace verso un nuovo paradigma di successo, dove la crescita economica e la sostenibilità sociale ed emotiva dei lavoratori procedono di pari passo. Per i manager e i decision-makers, questo approccio richiede una visione lungimirante e un impegno costante; tuttavia, i benefici in termini di clima aziendale, performance e immagine del brand giustificano ampiamente l'investimento. L'invito, dunque, è a considerare la psicologia organizzativa non come un costo, ma come un asset strategico che può trasformare profondamente la cultura aziendale, migliorando la vita dei dipendenti e incrementando, di conseguenza, la competitività e la resilienza dell'impresa nel suo complesso. E' necessario costruire ambienti di lavoro dove il benessere psicologico è la norma e non l'eccezione, dove ogni dipendente si senta valorizzato e parte integrante di un progetto collettivo di crescita e innovazione. La Privacy del Dipendente e la Gestione delle Informazioni Riservate Nel contesto dell'integrazione della psicologia organizzativa in azienda, uno degli aspetti più delicati e cruciali è la gestione della privacy del dipendente e delle informazioni riservate emerse durante i colloqui con lo psicologo aziendale. Questa tematica tocca i fondamenti etici della professione psicologica e le normative sulla protezione dei dati personali, richiedendo un'attenzione meticolosa e sistematica da parte dell'organizzazione. Principi Guida per la Gestione della Privacy Confidenzialità Assoluta: La confidenzialità è la pietra angolare della relazione tra psicologo e dipendente. È essenziale garantire che tutte le informazioni divulgate durante le sessioni restino strettamente confidenziali. Questo principio deve essere comunicato chiaramente ai dipendenti prima dell'inizio di qualsiasi intervento psicologico. Consenso Informato: Prima di iniziare qualsiasi percorso di supporto psicologico, è necessario ottenere il consenso informato del dipendente. Questo documento deve delineare in modo trasparente come verranno gestite le informazioni raccolte, comprese le eventuali limitazioni alla confidenzialità secondo la legge. Minimizzazione dei Dati: Raccogliere solo le informazioni strettamente necessarie per fornire supporto psicologico. Questo approccio rispetta il diritto alla privacy del dipendente e riduce il rischio di esposizione accidentale di dati sensibili. Sicurezza dei Dati: Adottare misure tecniche e organizzative avanzate per proteggere i dati raccolti da accessi non autorizzati, perdite o distruzioni. Ciò include la crittografia delle comunicazioni, l'uso di sistemi di archiviazione sicuri e la formazione del personale sulla sicurezza dei dati. Gestione delle Informazioni Riservate La gestione delle informazioni riservate emerse durante i colloqui psicologici richiede un equilibrio tra il rispetto della privacy del dipendente e le esigenze organizzative. In alcuni casi, le informazioni raccolte possono avere implicazioni per la sicurezza o il benessere collettivo in azienda. In tali situazioni, lo psicologo aziendale deve navigare tra il dovere di riservatezza e la responsabilità verso l'organizzazione, seguendo queste linee guida: Valutazione Caso per Caso: Ogni decisione riguardante la divulgazione di informazioni riservate deve essere presa valutando attentamente la specificità del caso, le possibili conseguenze della divulgazione e le alternative disponibili. Procedure Chiare: Stabilire procedure chiare e condivise per il trattamento delle informazioni sensibili che potrebbero richiedere una divulgazione limitata. Queste procedure devono essere conosciute e accettate dai dipendenti come parte del consenso informato. Coinvolgimento del Dipendente: Quando possibile, coinvolgere il dipendente nella decisione di divulgare informazioni riservate, esplorando soluzioni che rispettino la sua privacy e allo stesso tempo rispondano alle necessità organizzative. Lo psicologo deve tutelare la riservatezza delle informazioni raccolte durante i colloqui con i lavoratori in quasi tutte le circostanze. Questa confidenzialità è essenziale per creare un ambiente di fiducia in cui i dipendenti si sentano liberi di esprimersi senza timori di giudizio o di ripercussioni. La tutela della privacy è sancita anche da codici etici professionali e dalla normativa sulla protezione dei dati (come il GDPR in Europa). Eccezioni alla Regola della Confidenzialità Esistono, tuttavia, alcune situazioni specifiche in cui lo psicologo aziendale può essere moralmente e legalmente obbligato a divulgare informazioni senza necessariamente ledere la privacy o il principio di riservatezza: Rischio di Danno Grave: Se durante il colloquio emergono informazioni che indicano un rischio imminente di danno grave al dipendente stesso o ad altri (ad esempio, minacce di violenza, autolesionismo, o altre situazioni di pericolo), lo psicologo può avere il dovere di intervenire per prevenire il danno. In questi casi, la divulgazione è limitata alle informazioni strettamente necessarie per proteggere la sicurezza delle persone coinvolte. Obblighi Legali: In alcune giurisdizioni, gli psicologi possono essere tenuti per legge a segnalare determinate informazioni, come casi sospetti di abuso o di altre illegalità. Anche in questi casi, la divulgazione dovrebbe limitarsi al minimo indispensabile richiesto dalla legge. Procedure per la Divulgazione Per gestire queste eccezioni nel rispetto dei principi etici e legali, è fondamentale adottare procedure chiare e trasparenti: Valutazione Attenta: Prima di procedere con qualsiasi divulgazione, lo psicologo dovrebbe valutare attentamente la situazione, considerando la gravità del rischio, le alternative disponibili e l'eventuale possibilità di coinvolgere il dipendente nella decisione di divulgare. Minimizzazione della Divulgazione: Qualsiasi informazione condivisa con il datore di lavoro o altre parti dovrebbe essere limitata al necessario per affrontare la situazione specifica, cercando di proteggere al massimo la privacy del dipendente. Documentazione: Le decisioni relative alla divulgazione di informazioni riservate dovrebbero essere accuratamente documentate, inclusa la base della decisione e le misure adottate per limitare la divulgazione. In conclusione, mentre la tutela della riservatezza dei colloqui è la regola generale nella pratica psicologica aziendale, esistono eccezioni legate principalmente alla sicurezza e agli obblighi legali. La gestione di queste eccezioni richiede un'attenta valutazione e un impegno costante alla trasparenza, all'etica professionale e al rispetto dei diritti dei dipendenti.

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Le professioni che muoiono e che nascono nel settore della plastica riciclata, delle macchine e dei prodotti finiti di Marco ArezioLa distribuzione dei prodotti che abbracciano il settore plastico, con particolare riferimento a quella riciclata, alle macchine per la lavorazione della plastica e anche ai prodotti finiti fatti in plastica riciclata, si sta spostando con una certa rapidità verso canali distributivi impensabili fino a qualche anno fà. Se consideriamo alcuni articoli o settori dove la standardizzazione produttiva ha portato alla creazione di prodotti tecnicamente semplici da valutare per l’acquirente e dove la competizione commerciale spinge le aziende a trovare nuovi mercati mondiali, si può notare come il modello distributivo stia cambiando in fretta. Per le tre famiglie prese in considerazione, la figura professionale della risorsa umana dedicata alla vendita, che sia dipendente o agente poco importa, aveva conservato fino a poco tempo fà un ruolo centrale nella conclusione dell’operazione di distribuzione dei prodotti. Unitamente alle attività di marketing tradizionali, che comportavano il lancio di prodotti attraverso le fiere, la comunicazione sulla stampa specializzata e sul sito internet aziendale, l’uomo addetto alle vendite era probabilmente la pedina più importante in quanto definiva la conclusione dell’ordine. Le capacità professionali, carismatiche e seduttive del venditore nei confronti del cliente, era il peso in termini dell’importanza di un’azienda sul mercato, insieme alla qualità dei prodotti, alla distribuzione e alla serietà del team. La gestione delle reti vendita, specialmente se strutturate in aree geografiche molto ampie, comporta costi elevati, un’organizzazione importante, la difficoltà di reperire, formare e mantenere in azienda figure professionali capaci e tempi operativi dilatati rispetto alla potenzialità del mercato. Si sono quindi apprezzate, negli ultimi anni, forme alternative di distribuzione di articoli in cui la vendita avesse più un’impronta commerciale che tecnica: i polimeri, alcune macchine per la plastica e i prodotti finiti. Questi mezzi commerciali sono principalmente i portali web, generici o specializzati, con carattere solo informativo o prettamente di vendita, che danno all’imprenditore una visibilità immediata per la propria azienda e i propri prodotti. A seconda delle tipologie degli articoli da proporre e di aree geografiche da coprire, troviamo portali generalisti, come Alibaba, in cui si vende di tutto, quindi con una bassa specializzazione, ma con un’alta distribuzione, fino ad arrivare a portali specialistici, come rMIX, che si occupano esclusivamente del mondo della plastica riciclata e del suo indotto (macchine, stampi, prodotti finiti, consulenti, distributori e lavoro) in tutto il mondo. Esistono poi portali semi-specializzati, che trattano un settore come quello della plastica, per esempio, in aree geografiche nazionali o regionali. A seconda dei prodotti da distribuire e delle aree di suo interesse, l’imprenditore può scegliere se indirizzarsi verso un portale generalista internazionale, semi-specializzato in un ambito nazionale o regionale o uno specializzato, con traduzioni automatiche dei propri annunci nelle lingue di chi li leggerà, in un ambito internazionale. I portali web aiutano l’imprenditore a raggiungere un’area geografica sempre più ampia o/e una platea di persone più vasta, con la quale poter interagire direttamente dall’azienda aumentando i contatti e riducendo le spese. Le aziende di dimensioni più grandi normalmente sfruttano entrambi i sistemi distributivi, quello tradizionale con la rete vendita sul campo, più per un rafforzamento del marchio che per un’azione commerciale diretta, mentre quelle medio piccole trovano nei portali web un’occasione imperdibile per essere presenti in molte nazioni attraverso la rete. In questo scenario che sta evolvendo di giorno in giorno, ci sono professionalità, come quella dell’agente o venditore diretto, che subiranno un ridimensionamento dal punto di vista quantitativo o involutivo nelle assunzioni, per dare spazio a figure professionali nuove che gestiranno la comunicazione aziendale attraverso le piattaforme specializzate web e i social. Quale è il filone distributivo per la mia azienda? Difficile rispondere da questo articolo in quanto sia il sistema tradizionale di distribuzione che quello attraverso le piattaforme web hanno pro e contro in funzione dei progetti aziendali, dei prodotti da vendere, delle aree da coprire, dalla dimensione dell’azienda e dai capitali a disposizione per l’attività di marketing. E’ consigliabile sicuramente appoggiarsi, per la scelta corretta, a chi è specializzato nella comunicazione marketing nell’ambito della plastica e del suo indotto. Se guardiamo in modo distaccato l’evoluzione della comunicazione professionale sulla rete, si può dire che i portali web, specializzati, semi-specializzati e altamente specialistici, stanno destando l’interesse dei clienti in tutto il mondo e la spesa per banners, servizi di informazioni sui prodotti, sulla clientela e di comunicazione sponsorizzata, stanno crescendo velocemente. Sui portali web professionali non troviamo solo aziende che hanno bisogno di visibilità internazionale, ma anche colossi già molto affermati dal punto di vista del marchio e dei prodotti che fanno del canale web un’ulteriore forma di distribuzione internazionale.

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Con l'entrata in vigore della nuova normativa, i dipendenti possono finalmente separare la vita lavorativa da quella privatadi Marco ArezioIl 26 agosto 2024 segna una pietra miliare per i diritti dei lavoratori in Australia con l'entrata in vigore di una nuova legge che sancisce il diritto alla disconnessione per i dipendenti di medie e grandi aziende. Questo provvedimento, approvato dal parlamento australiano nel febbraio dello stesso anno, rappresenta un passo significativo verso la separazione netta tra vita lavorativa e vita privata, un aspetto sempre più cruciale nel mondo contemporaneo. Un Nuovo Capitolo nei Diritti dei Lavoratori La legge introduce un chiaro diritto per i lavoratori di non rispondere a email, chiamate o messaggi di lavoro al di fuori dell’orario contrattuale, a meno che non si tratti di questioni definite "ragionevoli" dal testo normativo. Questo concetto di "ragionevolezza" diventa centrale per l'applicazione della legge, lasciando un margine di interpretazione che potrebbe variare a seconda delle circostanze specifiche. Michele O’Neil, presidente dell’Australian Council for Trade Unions (ACTU), ha definito questa giornata come "storica per i lavoratori dipendenti". Secondo O’Neil, la nuova normativa permetterà agli australiani di "trascorrere del tempo di qualità con i loro cari senza dover rispondere continuamente a telefonate e messaggi di lavoro irragionevoli". Questo provvedimento, pertanto, non solo tutela il diritto al riposo, ma promuove anche un equilibrio più sano tra lavoro e vita privata. Una Legge che Guarda al Futuro Il primo ministro laburista Anthony Albanese ha sottolineato che questa riforma è stata introdotta anche per una questione di salute mentale. "Vogliamo assicurarci che, poiché le persone non sono pagate 24 ore al giorno, non debbano lavorare 24 ore al giorno", ha affermato Albanese. La sua dichiarazione riflette un crescente riconoscimento dell’importanza del benessere psicologico dei lavoratori, che spesso può essere compromesso da una costante connessione alle responsabilità lavorative. La legge si applica immediatamente alle aziende con 15 o più dipendenti, mentre le piccole imprese con meno di 15 dipendenti avranno tempo fino al 26 agosto 2025 per conformarsi alle nuove regole. Questa distinzione temporale intende dare alle piccole aziende più tempo per adattarsi alle nuove esigenze normative, riducendo al minimo l’impatto economico immediato. Il Contesto Internazionale: Un Movimento in Crescita L'introduzione del diritto alla disconnessione in Australia non è un caso isolato. Paesi come la Francia, la Spagna, il Portogallo e il Belgio hanno già adottato normative simili negli ultimi anni, riflettendo un cambiamento globale nell'approccio al lavoro e alla gestione del tempo. In Francia, per esempio, il diritto alla disconnessione è stato introdotto già nel 2017, mentre la Spagna ha seguito nel 2018, aggiornando ulteriormente la normativa nel 2020. Il Portogallo ha reso operativa la legge nel 2021, e il Belgio ha fatto altrettanto nel 2022. Questo fenomeno indica una crescente consapevolezza dei legislatori internazionali riguardo alla necessità di proteggere i lavoratori dagli eccessi della cultura della connessione perpetua, che le nuove tecnologie e il lavoro da remoto hanno amplificato. Le Critiche e le Sfide all’Implementazione Nonostante l'accoglienza positiva da parte dei sindacati e di molti lavoratori, la legge ha sollevato alcune polemiche. L'Australian Industry Group, un'organizzazione che rappresenta gli interessi dei datori di lavoro, ha espresso preoccupazioni riguardo alla chiarezza e alla praticabilità della normativa. Secondo l’organizzazione, termini come "questioni ragionevoli" possono generare confusione, rendendo difficile per i datori di lavoro e dipendenti determinare quando sia legittimo effettuare o accettare chiamate al di fuori dell'orario di lavoro. Questa ambiguità potrebbe, infatti, creare situazioni di incertezza, in cui i dipendenti, timorosi di ripercussioni, potrebbero sentirsi obbligati a rispondere alle richieste lavorative anche quando sarebbe loro diritto rifiutarsi. Per ovviare a questi rischi, l'implementazione della legge sarà monitorata dalla Fair Work Ombudsman (FWO), l’istituzione indipendente incaricata di vigilare sui rapporti di lavoro in Australia. I Criteri di Applicazione: Cosa Significa "Ragionevole"? La FWO ha indicato che il giudizio su cosa costituisca una "questione ragionevole" dipenderà dalle circostanze specifiche. Tra i fattori che verranno considerati ci sono il motivo del contatto, il modo in cui avviene e il grado di disturbo per il dipendente, nonché la retribuzione supplementare prevista per la mansione richiesta. Altri elementi che verranno presi in esame includono la disponibilità del dipendente a lavorare durante il periodo fuori orario, il ruolo e il livello di responsabilità del dipendente all'interno dell'azienda, e la situazione personale, comprese le responsabilità familiari o di assistenza. Questi criteri mirano a garantire un’applicazione equa della legge, bilanciando le esigenze aziendali con i diritti individuali dei lavoratori. Tuttavia, l’effettiva interpretazione e applicazione di queste norme rimarrà un punto di attenzione e dibattito nei prossimi anni. Conclusione: Un Passo Avanti per il Benessere dei Lavoratori L'introduzione del diritto alla disconnessione in Australia rappresenta un importante progresso nella tutela dei diritti dei lavoratori, ponendo l’accento sull’importanza di un corretto bilanciamento tra lavoro e vita privata. Nonostante le critiche e le sfide operative, la nuova legge è vista come un passo necessario verso la protezione della salute mentale e del benessere complessivo dei dipendenti. In un mondo sempre più connesso, il riconoscimento legislativo del diritto a "staccare la spina" può essere visto come una risposta ai cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie e dai modelli di lavoro flessibili. L'efficacia di questa normativa, tuttavia, dipenderà dalla sua corretta applicazione e dall'evoluzione delle prassi lavorative nei prossimi anni. La sua adozione segna comunque un segnale positivo, indicando che il benessere dei lavoratori sta diventando una priorità per i governi di tutto il mondo.© Riproduzione Vietata

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