Non farsi trascinare da slogan o da promesse senza fondamenta, restare aderenti alla realtà per migliorare le cose di Marco ArezioSe aprite internet e digitate “Plastic Free” troverete un fiume in piena di siti, social, blog, aziende, istituzioni che hanno una solo parola d’ordine: cancellare la plastica dalla faccia della terra. Ma come in tutti gli eserciti, gli ordini si rispettano, non si discutono, anche se sono dati come “parole d’ordine”, non è lecito avere delle opinioni. Questo in modo romanzato e un po’ grottesco è quello che sta succedendo nel mondo globalizzato dove la gestione del potere non è più, apparentemente, in mano alle istituzioni, alla politica o al denaro, nei termini classici a cui eravamo abituati fino a poco tempo fa, ma comandano le masse che hanno il potere di influenzare il mercato e, con esso, la nostra vita. Ma dietro ogni massa, comunque, ci sono sempre i soliti motori delle lobbies, del denaro e della politica con un vestito nuovo. Viviamo nell’era della libertà più assoluta ma se ci fermiamo a pensare alla condizione umana notiamo che una parte della gente si sente sola e insicura per cui trova nell’associazionismo, reale o virtuale, il modo di appartenere e condividere temi e movimenti di cui conosce poco e di cui si interroga ancora meno, ma si sente parte di qualche cosa. “Plastic Free” o “Zero Plastic” sono movimenti che sono cresciuti dalle paure della gente, che identifica nella plastica dispersa in mare o nella natura, il nemico numero uno da combattere. Questi movimenti sono stati ripresi e usati da alcune aziende che attraverso le campagne di marketing hanno trovato nuovi futuri clienti o per lo meno nel tentativo di evitare i consumatori-nemici, da alcuni media che propongono campagne di liberazione della plastica dai mari senza assolvere al loro principale compito che è quello dell’informazione imparziale, dalle istituzioni, grandi e piccole, che si reggono sulla politica e sui voti della gente e, quindi, per lo stesso motivo delle aziende, non possono inimicarsi la popolazione. Ma in un modo libero è lecito che ognuno abbia la propria opinione e possa seguire le correnti di pensiero che crede e i movimenti in cui crede. Il punto fondamentale è che ogni persona dovrebbe fare delle scelte razionali e meditate perché oggi le masse si muovono in modo rapido, crescendo velocemente e sapendo che ogni spostamento avrà una conseguenza, anche se il singolo non ci pensa. Moltissime persone vogliono rinunciare alla plastica perché secondo loro inquina, è un demone e senza di essa, pensano, avranno un mondo migliore. Direi che si può accettare questa teoria, magari non condividerla, perché nessuno è sposato alla plastica, ma poi? Quali sono le alternative nel breve periodo? Con quali materiali ecologici la sostituiamo? La plastica non è fatta solo di bottiglie o di fustini del detersivo o di sacchetti di plastica che vediamo nei documentari dispersi in mare, la usiamo in ospedale per salvarci la vita, su ogni mezzo di trasporto che prendiamo, anche quelli più ecologici, nelle nostre case, sei nostri computer o telefonini o stampanti o televisioni, nell’industria che produce i beni più vari che compriamo tutti i giorni anche se siamo promotori del “Plastic Free”, nei mezzi di pagamento, nei vestiti, nelle scarpe.. Forse facciamo prima ad elencare cosa non produciamo con la plastica. Immaginiamo quindi di cancellare di colpo tutti questi prodotti e sostituirli con prodotti più ecologici seguendo il motto del “Plastic Free o Zero Plastic”. Dove sono i prodotti green, oggi, che possono compiere questo passo? Un conto è gridare no alla plastica, un conto, subito dopo, è trovare una soluzione per continuare a vivere in modo reale. Ci vuole tempo, competenze tecniche e volontà politica per portare avanti un cambiamento così radicale, anche solo parzialmente, ricordandoci che la plastica è un materiale con delle doti tecniche ed economiche difficilmente sostituibili con le conoscenze scientifiche oggi a nostra disposizione. Ma dal punto di vista tecnico abbiamo tutte le conoscenze e le informazioni per risolvere il problema dell’inquinamento che l’uomo, non la plastica in sè, ha creato nell’ambiente. Vogliamo parlare, solo per fare un esempio tra i tanti che potremmo citare, delle proposte di sostituire le cannucce per bere o i pettini o gli spazzolini da denti con il bambù? Idea lodevole, ma anche se dal punto di vista del marketing può essere apprezzata, abbiamo considerato che una importante richiesta di materia prima per la produzione di questi articoli comporta l’inizio di nuove colture e quindi la ricerca di terre libere sulle quali coltivare le piante? Ci sono terre fertili attualmente libere o dobbiamo come sempre bruciare la foresta per fare spazio a nuove coltivazioni che richiederanno acqua e forse concimi, diserbanti e insetticidi chimici per sostenere il business? La plastica riciclata è una risorsa fondamentale per le nostre società, quindi vale la pena di elencarne alcuni aspetti premianti di questa importante funzione: – Il riciclo della plastica permette di ridurre l’uso di polimeri vergini, derivati dal petrolio, ogni volta che si produce un prodotto. 1 kg. di plastica rigenerata viene usata innumerevoli volte riducendo così la dipendenza dal petrolio. – Il riciclo della plastica permette la creazione di posti di lavoro specialmente in quei paesi dove il tessuto industriale è scarso, dando alle popolazioni una ulteriore possibilità di occupazione locale. – Il riciclo plastica salva l’ambiente da quello che i media ci fanno vedere tutti i giorni, l’inquinamento creato dai prodotti finiti buttati anziché riutilizzati. – La plastica può essere combustibile che serve per creare l’elettricità e combustibili liquidi riducendo la dipendenza dal petrolio e da altre fonti fossili molto inquinanti come il carbone. – Se alzassimo la % di plastica riciclata ogni anno nel mondo si instaurerebbe un circolo economico virtuoso e una riduzione sostanziale dell’inquinamento a tutti i livelli. Per imprimere una svolta che possa, in tempi rapidi risolvere il problema ambientale, si devono legare insieme vari settori che coprono i tasselli che compongono l’economia circolare: produzione, raccolta, riciclo e riuso. La produzione deve creare prodotti che siano più riciclabili di quelli che troviamo adesso sul mercato e non solo preoccuparsi di inserire nelle loro produzioni percentuali variabili di plastica riciclata. Le aziende devono essere coinvolte nel progetto sociale per cui riducano al minimo la produzione di articoli che a fine vita non potranno essere riciclati. La raccolta coinvolge le istituzioni governative che devono imporre ai cittadini un sistema chiaro e semplice per dividere i rifiuti plastici a fine vita, dando agli utenti informazioni non contraddittorie su come selezionare i rifiuti. Il cittadino deve prendere coscienza del compito sociale che gli è stato affidato nell’assolvere in modo corretto questo compito, anche e soprattutto per se stesso. I governi devono incrementare gli investimenti sul riciclo dei rifiuti, aiutando il mercato a trovare un equilibrio, anche economico, che permetta alle aziende che riciclano di avere una remunerazione corretta sul lavoro e sugli investimenti e un riconoscimento sociale del settore in cui operano. L’adozione di sistemi di vendita del rifiuto plastico post-raccolta, che vede i riciclatori schiacciati da prezzi delle materie prime nati a seguito di aste, sono un mezzo per frenare lo sviluppo del mercato a discapito della collettività. Inoltre la ricerca scientifica dovrebbe essere maggiormente supportata dai governi, in modo da arrivare ad attribuirgli una funzione di supporto tecnico circa i progetti per l’utilizzo delle plastiche non riciclabili come combustibili in sostituzione delle fonti fossili. Il riuso dei rifiuti plastici attraverso il processo di riciclo permette di ricreare valore al mercato dei prodotti senza attingere alle fonti naturali della terra chiudendo il circolo virtuoso dell’economia circolare. Ma tutto questo, senza una cultura generale sul mondo della plastica più ampia, è un compito veramente difficile. Un problema non parte mai dalla sua fine ma dal suo inizio, quindi non bisogna demonizzare la plastica perché è nei mari ma capire perché l’uomo la butta nell'ambiente e poi ce la troviamo nel mare. Se per magia nessuno disperdesse nell'ambiente i rifiuti ma capisse che questi sono risorse, a basso costo, equamente distribuite nel mondo, con le quali si può vivere sia dal punto di vista economico che ambientale, pensate che ci sarebbe ancora plastica nei mari? Stupidi a parte naturalmente.Vedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'La scelta di chi presidierà una zona commerciale dipende da molti fattori interni ed esterni l’aziendadi Marco ArezioCreare una presenza commerciale in una zona, o migliorare quella esistente, che possa seguire una serie di clienti o da una determinata un’area geografica, più o meno ampia, comporta affidarsi, in alcuni casi, a venditori o distributori che possano presentare, vendere e gestire localmente la vendita e il post vendita. Prendiamo in considerazione, tra i molti esempi che potremmo citare, un’azienda che produce beni rappresentati da materie prime o prodotti finiti, come per il settore dell’edilizia, dell’idraulica, del giardinaggio ecc.. Un’area nuova deve essere preventivamente analizzata nel complesso, cioè capire la presenza e l’incidenza della concorrenza, i prodotti che vengono maggiormente richiesti, la dimensione dei clienti, il possibile fatturato, il taglio economico degli acquisti medi, le problematiche e i costi per la logistica, i canali distributivi e la solvibilità media della zona. Una prima macro selezione la possiamo fare sapendo se il nostro prodotto, che necessita di un trasporto dalla nostra sede al cliente finale, può essere venduto direttamente e nei tempi che si aspetta il cliente ad un prezzo favorevole per entrambi. Se vendiamo prodotti che non necessitano di un magazzino locale, in quanto il valore e la quantità di merce trasportata giustifica il costo del viaggio, possiamo pensare ad una vendita azienda – cliente finale. Se, viceversa, le quantità, l’assortimento alto o la tempistica di approvvigionamento collide con i costi e le tempistiche di consegne dirette, potrebbe essere necessario aprire depositi locali per la distribuzione. Queste due ipotesi possono già dar un’indicazione se, localmente, può essere necessario un agente di vendita o se si deve optare per un distributore che possa acquistare e rivendere, nelle quantità e nei tempi che il cliente finale chiede. La scelta di avere un distributore locale comporta una certa perdita di marginalità sui prodotti, in quanto bisogna assicurare all’azienda che fa il servizio, un guadagno sulle operazioni di logistica e di vendita. In caso non ci fossero queste marginalità, si può optare per l’apertura di un magazzino decentrato presso un corriere o un trasportatore, che terrà a deposito le nostre merci e ci assicurerà le consegne locali a prezzi inferiori rispetto all’attività di un distributore. Un altro aspetto da considerare è l’importanza della presenza del marchio dell’azienda produttrice nell’area di riferimento, in quanto attraverso l’azione di vendita di un agente, libero professionista o dipendente, l’interlocuzione tra cliente finale e produttore è sempre diretta, nel caso ci si appoggiasse ad un distributore la presenza del marchio e dei contatti diretti verrebbero meno. C’è poi da considerare, in linea generale, la differenza di gestione del parco clienti tra una vendita diretta tramite un agente o tramite un distributore. Il fatturato che risulta nell’area di competenza del distributore, è la somma di attività di più clienti, senza distinzioni tra uno o l’altro, senza informazioni sul grado di fiducia del cliente, sulle sue potenzialità e sulle sue necessità. Diciamo che questo approccio alla vendita potrebbe essere un modo più semplice per l’azienda produttrice, perché può evitare un maggior lavoro di gestione commerciale dei singoli clienti, con le problematiche che ne possono scaturire se moltiplichiamo l’impegno per un certo numero di aree in cui opera l’azienda. Dall’altro lato, il non avere un contatto diretto con il cliente può essere un deficit nell’imposizione del proprio marchio, per avere informazioni di come si muove la concorrenza, di quali politiche di prezzo applicano, delle campagne di incentivazione che vengono proposte, e molte altre cose. Dal punto di vista prettamente finanziario, invece, esiste un rischio che riguarda l’esposizione sulle vendite, infatti, considerando una dilazione tra acquisto e pagamento delle merci, il distributore lavora con esposizioni finanziarie più alte rispetto al singolo cliente, quindi con un maggior rischio per il produttore, e quando dovessero esserci dei problemi legati agli incassi, diventerebbe difficile non continuare a fornirlo, in quanto i clienti del distributore potrebbero essere ignari dei motivi per cui il produttore potrebbe fermare le forniture. In questo caso si creerebbe un danno diretto al produttore in quanto, non essendo in contatto diretto con il cliente, potrebbe rischiare di perderlo, o peggio, il distributore potrebbe continuare a servire i clienti finali attraverso un altro produttore. La scelta se affidare un’area a un agente diretto o ad un distributore passa quindi dall’analisi delle problematiche logistiche, commerciali, finanziarie e di marketing, riuscendo a prendere una decisione soppesando i pro e i contro delle strade che si prospettano. Infatti, ci sono prodotti che non possono essere venduti senza un distributore locale, altri che permettono maggiore flessione lasciando aperte varie ipotesi, scegliendo la migliore per quell’area, e, infine, merci che possono essere vendute direttamente senza necessità del distributore locale. Non è una scelta sbagliata farsi anche un’idea del sistema di vendita che applica in zona la concorrenza, la quale probabilmente, partita prima a vendere in zona, può avere, a parità di prodotti, già analizzato le problematiche. Infine c’è un aspetto prettamente tecnico, in quanto se il prodotto per la sua collocazione ha bisogno di un supporto tecnico sostanziale, la presenza di un agente diretto che può aiutare i clienti in situazioni di difficoltà a risolvere i problemi, può anche essere una discriminante.
SCOPRI DI PIU'La Differenza tra Comunicare e Farsi Ascoltare nell’Era dell’Economia Circolaredi Marco ArezioSopraffatti dai molteplici mezzi di comunicazione facciamo fatica a capire se il mercato ci ascolta.L’avvento del Covid nel 2020 ha impresso un ulteriore accelerazione all’uso dei mezzi informatici per comunicare con il mercato e per creare transazioni commerciali, imprimendo una riduzione sostanziale del contatto umano alla base delle relazioni storiche tra aziende e clienti. Siamo quindi di fronte ad una svolta epocale, consumata in un lasso di tempo veramente ristretto, che ha cambiato le basi su cui si fondavano le relazioni commerciali e la comunicazione aziendale. Chi produce o distribuisce beni e servizi, specialmente nell’ambito dell’economia circolare, era fortemente impegnato sul campo per informare l’utenza che la propria azienda aveva le carte in regola per stare nel solco virtuoso dell’economia green. Un’attività, questa, che è ancora agli albori per molte aziende, dove, a volte, alcuni imprenditori non hanno realmente focalizzato come comunicare al mercato le potenzialità verdi della propria azienda, nonostante l’economia circolare sia l’aspetto ormai trainante del mercato. Con l’avvento del Covid sono saltati tutti gli schemi comunicativi tradizionali, lasciando grande spazio alla comunicazione on-line, che deve avere caratteristiche particolari in un mondo decisamente sovraffollato. I potenziali clienti si aspettano, come un dato acquisito, che i servizi o i prodotti che acquistano siano conformi ai principi dell’economia circolare, quindi non si aspettano che l’azienda dimostri di appartenere o meno a questo filone verde, ma si aspettano conferme e rassicurazioni che i beni o servizi venduti sposino ogni giorno, questa filosofia e che possano generare novità e migliorie in ottica ambientale. Per fare questo, le imprese che ancora non erano nel solco di un’economia verde, si dovranno adeguare velocemente al nuovo mercato e, in generale, le imprese si dovranno dotare di sistemi comunicativi “social” promossi e gestiti da consulenti specializzati nel settore dell’economia circolare. La differenza che fa, oggi, una comunicazione generalista, che potrebbe essere applicata ad un detersivo o ad una scarpa in modo indistinto, rispetto ad una comunicazione specializzata nel riciclo e nell’economia circolare, sta nel fatto che l’azione di comunicazione fatta da specialisti del settore, permette di imprimere, nelle vendite, una fiducia e una sicurezza verso il cliente verso l’azienda che diversamente sarebbe difficile da realizzare. Questo avviene attraverso il coinvolgimento del cliente o potenziale tale, nei processi tecnici che riguardano la filiera dell’economia circolare riferiti all’azienda, dandogli tranquillità e fiducia in merito al buon percorso produttivo “verde” dell’articolo che il cliente comprerà. Fiducia e sicurezza generano attaccamento al marchio e una maggiore velocità di diffusione dei prodotti o dei servizi spinti dai clienti stessi, creando un volano virtuoso. La specializzazione nel settore di chi è preposto alla comunicazione aziendale aiuta ad aumentare le possibilità di essere ascoltati, in modo critico e attivo, in un mercato dell’informazione che, a causa dei ritmi vorticosi di pubblicazione delle notizie, non rende semplice attenzionare l’utente.
SCOPRI DI PIU'Esplora i vantaggi di inserire il tuo profilo aziendale all’interno del portale del riciclo rMIX per ampliare la rete e le opportunità della tua impresa nel settore sostenibiledi Marco ArezioNell'era digitale, la visibilità online è diventata una componente fondamentale per il successo di qualsiasi azienda. Questo è particolarmente vero per il settore dell'economia circolare, dove l'innovazione e la sostenibilità si incontrano per creare un futuro più verde. Ecco perché rMIX, il portale del riciclo, rappresenta un'opportunità unica per le aziende impegnate nel riciclo e nella sostenibilità: una piattaforma dedicata, dove poter pubblicare il profilo della propria azienda, guadagnando visibilità in un settore in costante crescita. Una Vetrina per la Tua Azienda rMIX non è solo un portale, ma una vera e propria vetrina dedicata al mondo dell'economia circolare. Grazie alla possibilità di pubblicare una scheda dettagliata della tua azienda, con testi, indirizzi, sito internet, riferimenti aziendali e fotografie, potrai mostrare i punti di forza e le specializzazioni della tua attività a un pubblico interessato e specializzato. Visibilità Mirata Uno dei vantaggi principali di rMIX è la possibilità di scegliere la posizione del tuo profilo aziendale in base alla categoria di attività a cui appartieni. Che tu sia specializzato in polimeri riciclati, carta, vetro, legno, RAEE, metalli, tessuti riciclati, macchine industriali, prodotti realizzati con materiali riciclati, consulenza tecnica, commerciale, manageriale, distribuzione di prodotti, ricerca e offerta di lavoro o in altri settori, il tuo profilo sarà sempre visibile, assicurandoti una facile rintracciabilità.Opzioni di Abbonamento Flessibili Il portale del riciclo rMIX offre diverse opzioni di abbonamento, adatte ad ogni esigenza aziendale.- Per chi desidera entrare in contatto velocemente con possibili fornitori o clienti, la scelta dell’abbonamento rMIX Profilo, con i propri contatti aziendali visibili a chiunque acceda al portale (anche se non abbonati) è la scelta consigliata. - Infine, per chi desidera invece massimizzare la propria esposizione, è possibile optare per l'abbonamento rMIX On TOP (in abbinamento con rMIX Profilo), che garantisce, sempre, una posizione privilegiata all'interno della piattaforma. Traduzione in 4 Lingue In un mondo sempre più globalizzato, la capacità di comunicare oltre i confini nazionali è fondamentale. rMIX lo sa bene e offre la traduzione del tuo profilo aziendale in 4 lingue, rendendolo accessibile a un pubblico internazionale. Questo significa che la tua azienda potrà raggiungere potenziali clienti e partner in tutto il mondo, ampliando le opportunità di business e collaborazione. Le lingue trattate sono: Italiano, Inglese, Francese e Spagnolo. Unire le Forze per un Futuro Sostenibile Pubblicare il profilo della tua azienda su rMIX non significa solo guadagnare visibilità; significa anche diventare parte di una comunità impegnata a promuovere l'economia circolare e a lavorare insieme per un futuro più sostenibile. Unendoti a rMIX, avrai l'opportunità di connetterti con altre aziende e professionisti del settore, scambiare idee, trovare nuovi clienti e fornitori, e contribuire attivamente alla transizione verso un'economia più verde e responsabile. In conclusione, rMIX rappresenta una piattaforma unica per le aziende che operano nel settore dell'economia circolare. Con la sua ampia visibilità, la flessibilità degli abbonamenti e la possibilità di raggiungere un pubblico internazionale, rMIX offre gli strumenti necessari per crescere, innovare e contribuire attivamente alla costruzione di un futuro sostenibile. Non perdere l'opportunità di far conoscere la tua azienda al mondo: pubblica oggi stesso il tuo profilo su rMIX.
SCOPRI DI PIU'Vediamo perché l’arbitrato è spesso la soluzione preferibile nei contratti di licenza internazionale e come redigere una clausola arbitrale solida e vantaggiosa per la tua impresaQuando un’impresa decide di varcare i confini nazionali per espandere il proprio marchio, la propria tecnologia o il proprio know-how, inevitabilmente si trova davanti a un bivio giuridico: in caso di controversie, sarà più prudente affidarsi ai tribunali statali o optare per un arbitrato internazionale? Non è una scelta meramente formale. È una decisione che può incidere profondamente sulla rapidità, sull’efficacia e persino sull’esito delle controversie future. Il contratto di licenza internazionale, per sua natura, espone le parti a incognite legate non solo alla distanza geografica, ma anche alle differenze tra sistemi giuridici, culture d’impresa e ordinamenti processuali. In questo contesto, l’arbitrato non è solo un’alternativa: è spesso una protezione strategica, un’ancora di affidabilità in un mare di incertezze normative. L’arbitrato: non un ripiego, ma una strategia Molti imprenditori, abituati alla giustizia ordinaria nazionale, percepiscono l’arbitrato come qualcosa di accessorio, o addirittura elitario. In realtà, è esattamente il contrario. Nell’arbitrato le parti non si affidano a giudici pubblici, ma a professionisti scelti direttamente (o tramite enti specializzati) per la loro esperienza nel settore specifico. Questo significa che, nel caso ad esempio di una licenza su un software industriale o su un brevetto, il caso sarà discusso davanti a esperti che conoscono a fondo la materia, e non a giudici generici. Ma il vero punto di forza dell’arbitrato, quando si opera a livello internazionale, è la neutralità. Nessuna delle due parti “gioca in casa”, nessuna delle due è costretta a trascinarsi nei tribunali dell’altro. È un terreno terzo, regolato da norme chiare, da regole procedurali condivise, da un linguaggio scelto di comune accordo. Riservatezza, eseguibilità e controllo dei tempi Un altro elemento che fa dell’arbitrato uno strumento potente è la sua riservatezza. Mentre una causa in tribunale è pubblica per definizione, un arbitrato può svolgersi nel più assoluto riserbo. Per le aziende che operano con informazioni sensibili, marchi, formule segrete o dati brevettuali, questo aspetto è tutt’altro che secondario. Inoltre, i lodi arbitrali – cioè le decisioni emesse dagli arbitri – sono riconosciuti e più facilmente eseguibili nella maggior parte dei Paesi grazie alla Convenzione di New York del 1958, che oggi conta oltre 170 Stati aderenti. È un vantaggio enorme rispetto a una sentenza nazionale che, in certi contesti, rischia di non valere nulla fuori dai confini. E poi c’è il tempo. I procedimenti arbitrali, se ben strutturati, possono concludersi in 12-18 mesi. Nei tribunali ordinari internazionali, tra primo grado e ricorsi, passano spesso 4 o 5 anni. Quando conviene davvero l’arbitrato? Non sempre, va detto, l’arbitrato è la via migliore. Ma in determinati casi lo è senz’altro. Immaginiamo, ad esempio, un contratto di licenza esclusiva con un’impresa asiatica per la produzione di un prodotto a marchio italiano. Le implicazioni legali, in caso di inadempimento o uso improprio del marchio, possono essere gravi. E affrontare una causa civile in un tribunale locale, magari in una lingua poco accessibile e con sistemi giuridici lenti, può essere una trappola. Lo stesso vale se si prevede un contratto a lungo termine, con royalty significative e obblighi di sviluppo o distribuzione. In questi casi, avere un meccanismo neutrale, veloce, riservato e specializzato per gestire eventuali crisi è un investimento, non un costo. Una clausola arbitrale ben fatta vale quanto il contratto Tutto questo, però, ha senso solo se la clausola arbitrale è scritta bene. Una clausola vaga, ambigua o mal formulata può complicare – e non risolvere – i conflitti. È perciò essenziale definirla con attenzione. Occorre specificare: - a quale istituzione arbitrale si fa riferimento (ad esempio ICC, LCIA, CAM di Milano); - il numero degli arbitri e le modalità di nomina (uno o tre, e da chi designati); - la sede dell’arbitrato, che determina anche la legge processuale di riferimento; - la lingua del procedimento; - il diritto sostanziale applicabile al contratto. Un esempio virtuoso di clausola arbitrale è quello in cui le parti scelgono una sede neutrale (come Ginevra, Parigi, Milano), nominano arbitri con esperienza in materia di proprietà intellettuale e stabiliscono un calendario procedurale snello. È anche utile prevedere, nei casi più complessi, un meccanismo di escalation: prima un tentativo di conciliazione o mediazione, poi – se fallisce – l’arbitrato come fase finale. I rischi da evitare Alcuni errori sono ricorrenti, specie quando la clausola viene inserita in fretta. Un classico è scrivere: “Le controversie saranno risolte in via arbitrale”, senza specificare nient’altro. Chi nomina gli arbitri? Dove si tiene l’arbitrato? Quali regole si seguono? Queste omissioni aprono la strada a dispute su come gestire la disputa. Altri rischi includono l’incompatibilità con norme imperative locali (ad esempio, in alcuni Paesi la validità dei brevetti può essere decisa solo dai giudici), o la contraddizione tra clausole (es. prevedere sia arbitrato che foro ordinario nello stesso contratto). In conclusione: l’arbitrato come segno di maturità contrattuale Per un imprenditore che guarda oltreconfine, l’arbitrato non è un tecnicismo legale, ma una componente essenziale della strategia contrattuale. È un modo per blindare gli investimenti, per prevenire lunghi e costosi contenziosi, per garantire stabilità alle relazioni commerciali. Inserire una clausola arbitrale ben congegnata in un contratto di licenza internazionale è come assicurarsi un paracadute ben piegato prima di un lancio. Forse non servirà mai. Ma se servirà, farà tutta la differenza.© Riproduzione VietataFontiTesto ufficiale: UNCITRAL ICC Arbitration Rules (International Chamber of Commerce) UNCITRAL Arbitration Rules London Court of International Arbitration (LCIA) WIPO Arbitration and Mediation Center
SCOPRI DI PIU'Un mix di fattori politico finanziari sta condizionando la seconda economia mondiale.di Marco ArezioCi eravamo abituati a vedere la crescita del PIL cinese con valori di tre o quattro volte superiori a quelli dell’Europa e degli USA, tanto da pensare che fosse un paese a se stante, dove le crisi ricorrenti che si vivono in occidente non potessero mai toccare la fabbrica del mondo. Abbiamo, negli anni, aperto le nostre porte ai prodotti cinesi, pensando di fare buoni affari comprando e rivendendo le loro merci invece che produrle in occidente. Le aziende maggiormente strutturate hanno iniziato la delocalizzazione massiccia in Cina, in modo da ridurre i costi di produzione e massimizzare i margini di contribuzione. Sono passati diversi anni per accorgerci che produrre lontano da casa poteva anche avere dei risvolti negativi sul prodotto, sulla logistica, sulla gestione del lavoro esternalizzato, che non sempre venivano compensati dai maggiori margini sulle operazioni di vendita. Oggi, la Cina ha un’immagine un po' meno lucente che nel passato agli occhi del mondo, un mercato che sta rallentando e le grandi multinazionali che si stanno guardando in giro, fuori dei confini Cinesi, per trovare nuove soluzioni produttive. Ma quali sono le cause di questo rallentamento del Dragone? Rossella Savojardo ha fatto un’analisi delle tre maggiori cause dell’indebolimento del mercato cinese, che vengono rappresentate da motivazioni politiche, economiche e sociali. La Cina eviterà la recessione sia quest’anno (+3,5% il pil) che il prossimo (+4,5%), con un’inflazione che rispetto ai paesi occidentali sarà bassa (2,8% nel 2022 e 1,9% nel 2023). Ma la forza dell’economia del Dragone nell’ultimo periodo si è affievolita e le cause sembrano essere almeno tre secondo gli esperti. La pandemia e la politica zero-Covid I casi di Covid-19 in Cina hanno segnato un nuovo aumento a oltre 31 mila contagi, un record da inizio pandemia. Questo ha di nuovo portato a lockdown generalizzati in tutto il Paese con la chiusura anche di alcuni importanti centri produttivi. Jian Shi Cortesi, investiment director Asia e Cina Equities di Gam, spiega che “il governo cinese si trova di fronte a un compromesso tra i decessi causati dal Covid e il rallentamento dell’economia. Grazie al successo delle misure di contenimento adottate in Cina negli ultimi due anni, meno dello 0,1% dei cinesi è stato infettato dal Covid e la Cina ha registrato soltanto poche migliaia di decessi (rispetto a 1 milione registrato negli Usa)”. Ciò, secondo Shi Cortesi, probabilmente rende la popolazione cinese altamente vulnerabile al Covid rispetto ai Paesi che stanno raggiungendo l'immunità di gregge. Il segmento più vulnerabile della popolazione cinese non è propenso a farsi vaccinare. In futuro probabilmente, per l’esperto, non si assisterà a un cambiamento immediato della politica cinese di zero Covid. Tuttavia, “le restrizioni sono sempre più pratiche. I lockdown generalizzati sono ora più rari. Si assiste invece a chiusure più mirate al fine di bilanciare le restrizioni Covid e l’impatto economico”. Evergrande e la crisi immobiliare Non solo Covid. In Cina a vacillare è anche il settore immobiliare anche a causa dei pericoli derivanti dal debito in sofferenza. “Tra il 2010 e il 2020 il mercato immobiliare in Cina era solido, con prezzi in aumento del 60% nelle principali cinque delle 70 città del Paese. Ciò ha portato alcuni acquirenti di case a lamentarsi dell’accessibilità economica degli immobili e il governo si è preoccupato che ciò potesse portare a una bolla immobiliare”, continua a spiegare Shi, evidenziando che per questo nel 2020 e nel 2021, alcune città in Cina hanno inasprito le regole per l’acquisto di un’abitazione nel tentativo di raffreddare il mercato immobiliare. Nel frattempo, il governo ha ordinato alle banche di rafforzare i criteri di erogazione dei prestiti alle società di sviluppo immobiliare fortemente indebitate. L’insieme di tali provvedimenti ha creato qualche problema di liquidità alle società di sviluppo immobiliare ad alto rischio, che, in qualche caso, sono risultate insolventi. "I costruttori in difficoltà hanno interrotto la realizzazione di alcuni progetti. Il sentiment è diventato piuttosto negativo per il settore, con conseguente inasprimento delle condizioni finanziarie”. Per stabilizzare la situazione immobiliare Pechino ha messo in atto politiche di sostegno sempre più incisive, ed è proprio guardando a queste ultime che l’esperto di Gam vede una probabilità molto bassa che il rallentamento del settore immobiliare porti a rischi sistematici nel sistema finanziario cinese. “Tuttavia”, continua, “è probabile che gli anni del boom del settore immobiliare siano ormai alle spalle”. Secondo alcuni esperti infatti, le vendite annuali di nuove case dovrebbero scendere a 1-1,2 miliardi di mq nei prossimi anni, rispetto agli 1,6 miliardi di mq del 2021. Ciò costituirà un freno al tasso di crescita del prodotto interno lordo del Dragone. Il problema della Cina è la disoccupazione giovanile? Ad accendere un faro su questo punto sono gli analisti di Credit Suisse, i quali ricordano che quando la forza lavoro di un paese si sta riducendo, come avviene attualmente in Cina, avere un alto tasso di disoccupazione giovanile aggrava la resistenza alla crescita del pil. “I giovani di età compresa tra 16 e 24 anni hanno una maggiore propensione marginale a consumare”, spiegano in primo luogo, “per ogni dato livello di tasso di disoccupazione globale, un tasso di disoccupazione giovanile più elevato ha quindi proporzionalmente un effetto negativo maggiore sulla crescita dei consumi”. Nel medio termine, da Credit Suisse ritengono dunque che la disoccupazione giovanile strutturalmente elevata si tradurrà in un minore potenziale di crescita, dato che questa riduce l’effettivo input di lavoro nell’economia ed esercita anche una pressione al ribasso sulla crescita dei salari. «Sulla base della nostra valutazione di vari fattori come i tassi di progresso tecnologico e la contrazione della forza lavoro, prevediamo una crescita del reddito disponibile pro capite in media intorno al 4,2% nei prossimi cinque anni, un netto calo rispetto al range dell’8-9% prima della pandemia», sottolineando dalla banca elvetica, “un tale calo della crescita tendenziale dovrebbe pertanto rimanere un vento contrario alla crescita dei consumi delle famiglie”.
SCOPRI DI PIU'Strategie per i manager che si occupano degli acquisti: identificare i rischi e proteggere l’azienda di Marco ArezioLa frode negli acquisti, conosciuta anche come procurement fraud, rappresenta una delle sfide più complesse e pericolose per le aziende moderne. Questo fenomeno può avere conseguenze devastanti, compromettendo sia la solidità finanziaria che la reputazione di un'organizzazione. Le sue implicazioni non si limitano soltanto agli aspetti economici, ma incidono profondamente anche sulla fiducia nei processi interni e nei rapporti con i fornitori. Per i manager responsabili degli acquisti, è cruciale acquisire una conoscenza approfondita delle modalità con cui queste frodi si manifestano e sviluppare strategie concrete per prevenire e contrastare tali minacce. Solo attraverso un approccio mirato è possibile garantire operazioni aziendali sicure, efficienti e in linea con gli obiettivi di sostenibilità. Frodi negli acquisti: dinamiche e rischi principali Le frodi negli acquisti si verificano attraverso una serie di schemi complessi e diversificati che spesso sfuggono al controllo e alla supervisione. Tra le più comuni troviamo: Bid Rigging: Un fenomeno insidioso in cui i fornitori colludono per manipolare il risultato delle gare d'appalto, assicurandosi contratti a condizioni decisamente svantaggiose per l'azienda. Questo sistema mina la competitività del mercato e riduce la possibilità di ottenere il miglior rapporto qualità-prezzo. Fatturazioni fraudolente: Si tratta di pratiche in cui i fornitori emettono fatture gonfiate o per beni e servizi mai effettivamente forniti. Spesso tali azioni sono facilitate dalla complicità di dipendenti interni, rendendo ancora più complesso l'individuazione del problema. Conflitti di interesse: Situazioni in cui dipendenti con potere decisionale favoriscono fornitori con cui hanno legami personali o finanziari. Questo compromette l’imparzialità dei processi e genera un impatto negativo sulle performance aziendali. Manipolazioni nella consegna: Episodi in cui vengono fornite quantità inferiori rispetto a quelle concordate o prodotti di qualità decisamente inferiore rispetto agli standard contrattuali. Questo tipo di frode può generare inefficienze e costi aggiuntivi non previsti. Manipolazione dei requisiti: Requisiti di gara definiti appositamente per avvantaggiare un determinato fornitore, limitando la concorrenza e ostacolando un processo di selezione equo e trasparente. Strategie efficaci per la prevenzione Contrastare efficacemente la frode negli acquisti richiede un approccio strutturato, basato su una combinazione di strumenti tecnologici, buone pratiche e formazione. Di seguito, alcune strategie fondamentali che i manager possono adottare per proteggere l'integrità del processo di approvvigionamento: Controlli interni e approvazioni multilivello Implementare controlli interni rigorosi è essenziale per monitorare ogni fase del processo di approvvigionamento. Questo include attività come la verifica incrociata delle fatture, l'analisi dettagliata dei contratti e l'adozione di un sistema di approvazioni multilivello per le decisioni critiche. Tali misure non solo riducono il rischio di frode, ma rafforzano anche la trasparenza e la responsabilità interna. Trasparenza e politiche aziendali chiare Promuovere una cultura aziendale basata sulla trasparenza contribuisce a ridurre significativamente le opportunità di frode. Pubblicare i bandi di gara in modo chiaro e accessibile, definire criteri di selezione oggettivi e condividere politiche aziendali anti-frode rappresentano passi essenziali per instaurare un processo decisionale equo e credibile. Utilizzo di tecnologie avanzate L'adozione di strumenti tecnologici avanzati, come software di analisi dei dati e soluzioni basate sull'intelligenza artificiale, offre alle aziende un vantaggio significativo nel rilevamento precoce di anomalie e schemi sospetti. Tali tecnologie consentono di analizzare grandi volumi di dati in modo rapido ed efficiente, evidenziando incongruenze che altrimenti passerebbero inosservate. Formazione del personale Investire nella formazione del personale è un elemento chiave per prevenire la frode negli acquisti. Programmi di formazione regolari e mirati aiutano i dipendenti a sviluppare competenze specifiche per riconoscere comportamenti sospetti e seguire le procedure corrette. La consapevolezza diffusa riduce il rischio di errori umani e aumenta l'efficacia complessiva delle misure di prevenzione. Sistemi di segnalazione anonima L'implementazione di un sistema di whistleblowing anonimo rappresenta una risorsa preziosa per identificare potenziali comportamenti fraudolenti. Questo strumento consente ai dipendenti di segnalare irregolarità senza timore di ritorsioni, favorendo un clima aziendale di fiducia e responsabilità condivisa. Audit periodici e valutazione dei fornitori Gli audit regolari dei processi di approvvigionamento costituiscono un altro pilastro fondamentale nella lotta contro la frode. Questi controlli permettono di identificare vulnerabilità e garantire che le politiche aziendali siano rispettate. Inoltre, effettuare una valutazione approfondita dei fornitori prima di stipulare contratti e promuovere la rotazione periodica degli stessi riducono il rischio di favoritismi e conflitti di interesse, migliorando la qualità complessiva delle collaborazioni. Conclusioni La frode negli acquisti non rappresenta solo un rischio operativo, ma costituisce una minaccia strategica per la sostenibilità economica e la reputazione aziendale. Per i manager responsabili degli approvvigionamenti, implementare misure preventive adeguate non è semplicemente una scelta, ma una necessità imprescindibile. Solo attraverso controlli mirati, formazione continua e l'integrazione di tecnologie avanzate, le aziende possono costruire un sistema di approvvigionamento resiliente e sicuro, capace di garantire operazioni più efficienti e sostenibili nel lungo termine.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Come le Manager Donne Possono Creare un Ambiente di Lavoro Sicuro e i Rischi per le Aziende che Trascurano il Problemadi Marco ArezioLe pressioni a carattere sessuale in azienda rappresentano una delle problematiche più complesse e delicate da affrontare. Non solo minano il morale dei dipendenti, ma possono anche avere ripercussioni devastanti sulla produttività e sulla reputazione di un'impresa. In questo contesto, il ruolo delle donne in posizioni manageriali assume un'importanza fondamentale, offrendo vantaggi unici nella gestione e nella prevenzione di tali situazioni. Tuttavia, le aziende che trascurano queste problematiche si espongono a rischi significativi. Esploriamo quindi come individuare e risolvere le pressioni sessuali in azienda, mettendo in luce i benefici derivanti dalla leadership femminile e i pericoli per le imprese che non adottano misure adeguate. Individuare le Pressioni Sessuali Riconoscere i segnali di pressioni sessuali sul luogo di lavoro può essere complesso, ma è il primo passo cruciale per affrontare il problema. Spesso, le vittime non parlano apertamente per paura di ritorsioni o per timore di non essere credute. Tuttavia, alcuni segnali possono indicare che qualcosa non va: cambiamenti comportamentali improvvisi, un aumento delle assenze ingiustificate o un calo nella performance lavorativa possono essere sintomi di una situazione di disagio. È fondamentale che le aziende creino un ambiente in cui i dipendenti si sentano sicuri nel segnalare episodi di molestie. Questo può essere facilitato tramite l'implementazione di canali di segnalazione anonimi, come hotline dedicate o piattaforme online, che garantiscano la riservatezza e la protezione delle vittime. La fiducia dei dipendenti nella possibilità di segnalare gli abusi senza temere ritorsioni è un elemento chiave per una gestione efficace delle molestie sessuali. Risolvere le Pressioni Sessuali Una volta individuati i segnali di pressione sessuale, è essenziale che le aziende agiscano prontamente e con decisione. Le politiche aziendali devono essere chiare e ben definite, esplicitando cosa costituisce molestia sessuale e le conseguenze per chi si rende colpevole di tali atti. Ma non basta avere delle politiche scritte; queste devono essere accompagnate da una formazione continua e da una sensibilizzazione costante. Organizzare workshop e seminari può aiutare i dipendenti a comprendere meglio cosa si intende per molestia sessuale e come prevenirla. Inoltre, fornire materiali educativi, come manuali e guide, può essere utile per mantenere alta l'attenzione su queste tematiche. È altrettanto importante offrire supporto alle vittime, attraverso consulenze psicologiche e assistenza legale, per garantire che possano affrontare le conseguenze delle molestie senza sentirsi isolate o abbandonate. Il Ruolo delle Donne in Posizioni Manageriali Le donne in posizioni manageriali possono fare la differenza nella gestione delle pressioni sessuali in azienda. La loro maggiore sensibilità e empatia verso queste problematiche può creare un ambiente di lavoro più sicuro e inclusivo. Le manager donne, infatti, tendono a promuovere una cultura aziendale che non tollera le molestie e che incoraggia la segnalazione di abusi. Inoltre, le donne leader possono fungere da modelli positivi, ispirando altre donne a perseguire posizioni di leadership e a segnalare eventuali molestie. Questo può contribuire a creare un ambiente di lavoro più equilibrato e rispettoso, in cui le dinamiche di potere che facilitano le molestie sessuali sono ridotte. La promozione della diversità e dell'inclusione è un altro aspetto cruciale: un ambiente di lavoro diversificato è meno tollerante verso comportamenti inappropriati e promuove una cultura aziendale più sana. I Rischi per le Aziende Le aziende che non affrontano adeguatamente le pressioni sessuali si espongono a gravi rischi. Dal punto di vista legale, possono incorrere in costose cause giudiziarie e risarcimenti significativi. Le sentenze sfavorevoli non solo rappresentano un danno economico, ma possono anche compromettere la reputazione dell'azienda, con conseguenze a lungo termine sulla fiducia dei clienti e degli investitori. Un altro rischio significativo è legato alla perdita di fiducia dei dipendenti. Un ambiente di lavoro in cui le molestie sessuali non vengono gestite adeguatamente può portare a un aumento del turnover, con costi elevati per la formazione e l'integrazione di nuovi dipendenti. Inoltre, un clima aziendale negativo può avere ripercussioni sulla produttività: i dipendenti che si sentono insicuri o non supportati sono meno motivati e meno produttivi. Conclusione Affrontare le pressioni a carattere sessuale in azienda non è solo una questione di conformità legale, ma anche di responsabilità morale e di gestione efficace delle risorse umane. Le donne in posizioni manageriali possono svolgere un ruolo cruciale in questo processo, grazie alla loro sensibilità e alla capacità di promuovere una cultura aziendale inclusiva e rispettosa. Tuttavia, ignorare queste problematiche può comportare rischi significativi per le aziende, sia dal punto di vista legale che reputazionale e produttivo. Implementare politiche efficaci, offrire supporto alle vittime e promuovere la diversità sono passi essenziali per creare un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso, in cui tutti i dipendenti possano prosperare.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Come la gentilezza sta rivoluzionando il mondo del lavoro e creando leader capaci di ispiraredi Marco ArezioIn un mondo in cui la competitività e la produttività vengono spesso messe al primo posto, la gentilezza sembra un concetto quasi anacronistico. Tuttavia, essa rappresenta una forza rivoluzionaria, capace di influenzare positivamente non solo le relazioni personali, ma anche il mondo del lavoro e della leadership. Parlare di gentilezza oggi significa riscoprire un valore che, seppur antico, può essere la chiave per un cambiamento autentico, sostenibile e virtuoso. La gentilezza, infatti, non è solo un semplice gesto, ma un vero e proprio approccio alla vita, un'attitudine che può trasformarsi in un potente strumento di leadership. La gentilezza come rivoluzione silenziosa Spesso, nel contesto lavorativo, si percepisce che la gentilezza sia un tratto di debolezza, un lusso che pochi possono permettersi. Invece, essa rappresenta una rivoluzione silenziosa, che avanza con forza e costanza. Essere gentili non significa rinunciare alla fermezza o all’autorità; al contrario, è una forma di autorevolezza che non necessita di prepotenza per imporsi. La gentilezza promuove un ambiente di lavoro positivo, costruisce fiducia e facilita la cooperazione, elementi essenziali per il successo di qualsiasi organizzazione. In un’epoca di rapidi cambiamenti, dove le dinamiche sociali e professionali sono messe continuamente alla prova, la gentilezza si dimostra una qualità straordinariamente adattativa. Essa crea un clima di sicurezza psicologica, fondamentale per l'innovazione e la crescita personale e collettiva. Un leader che dimostra gentilezza non solo guida, ma ispira, spingendo i membri del suo team a dare il meglio di sé in un ambiente privo di paura e di giudizio. Gentilezza e leadership: un binomio inscindibile La leadership non è una questione di autorità, ma di influenza. Un vero leader sa che il suo ruolo è quello di servire e sostenere i propri collaboratori, mettendoli nelle condizioni migliori per esprimere il loro potenziale. La gentilezza, in questo senso, è una competenza strategica. Mostrare gentilezza significa comprendere le necessità altrui, saper ascoltare e dare valore all'individualità di ciascuno. Questo crea un senso di appartenenza e lealtà all'interno del team, valori difficili da raggiungere con l'uso esclusivo dell’autorità. Un leader gentile non solo ottiene la collaborazione dei propri colleghi, ma costruisce una cultura del rispetto e della responsabilità. La gentilezza promuove la risoluzione dei conflitti in modo pacifico e produttivo, riducendo le tensioni e facilitando il dialogo. In un mondo dove la connessione è fondamentale, la capacità di ascolto e di empatia si rivelano elementi cardine per una leadership moderna, capace di trasformare il lavoro in una missione condivisa. La gentilezza come strumento di gestione del cambiamento In un contesto economico e sociale in costante evoluzione, la gestione del cambiamento è una delle principali sfide per qualsiasi organizzazione. La gentilezza può essere un’arma potentissima per affrontare questi mutamenti, poiché permette di approcciarsi alle persone con rispetto e comprensione, riducendo la naturale resistenza al cambiamento. Essere gentili non significa evitare decisioni difficili, ma saperle comunicare con tatto e umanità, favorendo così una transizione più serena e meno traumatica. Le organizzazioni guidate da leader gentili tendono ad avere team più resilienti, capaci di adattarsi alle novità senza percepirle come minacce. La gentilezza, in questo senso, diventa un elemento stabilizzante, che rassicura e incoraggia i membri del team a fare propria la missione aziendale. In un mondo dove la flessibilità è essenziale, la gentilezza rappresenta un vantaggio competitivo, poiché aiuta a costruire relazioni solide e basate sulla fiducia. Il potere della gentilezza nella comunicazione Un aspetto fondamentale della leadership gentile è la comunicazione. La gentilezza si manifesta attraverso parole, toni e gesti, che riflettono rispetto e considerazione verso l’interlocutore. Questo tipo di comunicazione è assertiva, non aggressiva, e si basa sulla capacità di esprimere il proprio punto di vista senza denigrare quello altrui. La comunicazione gentile, inoltre, facilita la comprensione e riduce il rischio di fraintendimenti, promuovendo un ambiente di lavoro armonioso. La gentilezza nella comunicazione non è solo una questione di buone maniere, ma una strategia che migliora l’efficacia delle interazioni. Essa permette di affrontare anche argomenti spinosi in modo costruttivo, concentrandosi sulle soluzioni piuttosto che sui problemi. Un leader gentile sa che le parole hanno un peso e le utilizza con consapevolezza, evitando di generare tensioni inutili e focalizzandosi sulla costruzione di un dialogo aperto e produttivo. La gentilezza come valore distintivo in un mondo orientato alla performance Nel contesto odierno, orientato alla performance e al risultato immediato, la gentilezza è un valore distintivo che rende i leader capaci di generare un impatto positivo e duraturo. La gentilezza non è in contrasto con l’efficienza; al contrario, essa può migliorarla, poiché motiva le persone a dare il massimo, non per paura o per dovere, ma per autentica volontà di contribuire a un progetto comune. Un ambiente lavorativo dove la gentilezza è incoraggiata riduce lo stress, aumenta la soddisfazione e, di conseguenza, la produttività. Essere gentili, dunque, non è solo un atto di altruismo, ma una strategia che porta vantaggi concreti. La gentilezza può trasformarsi in un marchio distintivo, capace di attirare talenti e di creare una cultura aziendale solida e positiva. In un’epoca in cui le persone sono sempre più alla ricerca di significato e di benessere sul lavoro, la gentilezza rappresenta un valore aggiunto, capace di fare la differenza. Conclusione: la gentilezza è leadership Parlare di gentilezza come virtù rivoluzionaria significa riconoscere che la vera leadership non si misura solo in termini di risultati economici, ma anche in termini di impatto umano. La gentilezza è un modo di essere che richiede coraggio e autenticità, qualità che contraddistinguono i veri leader. Essere gentili significa saper vedere l’altro, comprendere le sue esigenze e rispettare la sua dignità, creando così un legame basato sulla fiducia e sulla collaborazione. © Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Workaholism: La Dipendenza da Lavoro che Minaccia le Aziendedi Marco ArezioLa sindrome da ubriacatura da lavoro o dipendenza da lavoro è una malattia neuro-psichiatrica scoperta in America agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso. In questo articolo non tratteremo l’aspetto medico, cioè le mutazioni che questa malattia infligge sul soggetto malato, ma illustreremo le ricadute che può avere nell’ambito aziendale. Nel corso degli anni si è spesso confuso, forse per convenienza, la differenza tra uno stacanovista e un lavoratore affetto da dipendenza cronica da lavoro. Quale è la differenza vista dal punto delle attività aziendali? Lo stacanovista, che ha ruoli dirigenziali, lo possiamo vedere come un soggetto responsabile, affidabile, ambizioso e fidato che trascina il proprio team a raggiungere gli obbiettivi aziendali o i budget affidati, attraverso la costruzione di un clima competitivo e appagante i cui ogni partecipante al progetto si sente inserito in una catena motrice, con lo scopo comune di far girare il motore al giusto livello per raggiungere il traguardo comune. Collegialità degli obbiettivi, degli sforzi e delle gratificazioni sono la chiave per ottenere i migliori risultati lasciando, nel leader, ma anche i tutti i soggetti della squadra, la piacevolezza dell’impegno e la riconoscenza delle qualità dei singoli, ognuno nella giusta misura. La valorizzazione degli sforzi dei singoli e del team, a tutti i livelli, dona una sorta di protezione del branco e una carica autorigenerante per le sfide di tutti i giorni. Il leader che guida il gruppo, per stimolare le energie di tutti, deve essere inclusivo, rassicurante, sincero nell’illustrare rischi e obbiettivi, ma soprattutto deve sporcarsi le mani in prima linea, nella stessa trincea e condividere sul campo le strategie. In caso di raggiungimento degli obbiettivi il gruppo sarà compatto e più forte, soddisfatto, gratificato, sicuro del fatto che l’unione fa la forza e che, egoismi o prevaricazioni interne, siano deleteri per ognuno dei partecipanti. Se guardiamo invece il leder di un gruppo affetto da dipendenza da lavoro, ci troviamo di fronte ad un soggetto che vive per raccogliere adrenalina con la quale alimentare la propria giornata. Gli obbiettivi aziendali sono una scusa per applicare questa dipendenza alla propria vita, trascinando tutta la squadra in un ciclone di stress costante. Chi vive questa dipendenza mobilita una competizione sterile, volta ad accrescere il volume di lavoro in modo negativo, mettendo sotto pressione i collaboratori senza capire i limiti e le esigenze delle persone. Non è capace di fare squadra perché vive in modo egocentrico l’attività, quindi si rapporta con i colleghi come se fossero un tassello al proprio progetto finalizzato al risultato. Gli obbiettivi aziendali sono un propellente che alimenta la spirale di impegno, la benzina che accende un motore che deve girare al massimo e la componente umana non è considerata come parte della partita. Chi soffre di dipendenza da lavoro non riesce a staccare, perde il contatto con la vita reale e pretende che i collaboratori lavorino secondo il suo schema e i suoi interessi. Facilmente mette in cattiva luce chi non lo segue, crea zizania per incrementare la competitività reciproca, e non dialoga con la squadra. Non concepisce chi dissente o chi ha un atteggiamento verso il lavoro più equilibrato, dove ogni componente della propria vita deve avere un peso ponderato. Farsi dirigere da un soggetto che soffre di dipendenza da lavoro ha l’effetto negativo di lavorare in un ambiente in costante tensione, dove la paura di sbagliare riduce i risultati, dove il rischio di sfuriate dal leader del team sono all’ordine del giorno, con possibili conseguenze sulla posizione lavorativa. La paura di sbagliare o di essere traditi dai compagni di lavoro crea correnti interne, fazioni più o meno vicine al leader, il cui scopo non è più il raggiungimento del traguardo aziendale ma quello della sopravvivenza del rapporto di lavoro. I componenti del team tendono a ritirarsi in gusci protettivi, fanno quello che gli viene detto di fare, anche se lo reputano improduttivo od addirittura sbagliato. Non si espongono con idee o proposte per non esporsi a reazioni non calcolabili, sapendo quanto un soggetto affetto da questa malattia possa essere irascibile, scostante nell’umore e rischiando di mettersi in cattiva luce. Un ambiente come quello descritto focalizzato su un soggetto che crede di correre una gara da solo, umilia il lavoro di tutti, a volte anche le persone, trasformando la spinta propositiva di un team in passività lavorativa, lasciando al leader ogni decisione e ogni conseguenza. La spirale porta la figura apicale a doversi occupare di tutto, non avendo più una squadra su cui contare, con l’avvitamento del carico di lavoro e la riduzione della lucidità nelle decisioni e la trascuratezza della qualità generale dei risultati. Si crea uno scollamento che alimenta risentimento tra il leader e la squadra, un generale disinteresse all’azienda e al suo futuro, creando la costruzione di prove che possano difendere le singole posizioni in attesa della catastrofe imminente. Infatti, le giornate lavorative passano non finalizzate al miglioramento delle perfomances societarie, ma nell’attesa del giorno del fallimento della loro team, con la speranza che il loro comportamento minimale ed ossequioso possa salvargli il posto di lavoro. Se partiamo da un paradigma molte volte usato, ma reale, che dice che i successi delle aziende sono fatti di persone guidate da leader capaci, dobbiamo quindi monitorare comportamenti eccessivi sia di lassismo che di iper lavoro.
SCOPRI DI PIU'Porsi il problema di come trattenere le migliori risorse umane è indice di attenzione verso la propria aziendadi Marco ArezioIl mondo del lavoro si sa è sempre stato fluido, sia in situazioni di prosperità che di crisi, in quanto sono sempre le persone che traghettano le aziende, in qualsiasi condizione si trovi il mare, calmo o tempestoso. Se da un lato le professionalità meno qualificate o meno collaborative sono un po' in balia delle situazioni economiche interne ed esterne, quelle potenzialmente migliori possono essere una risorsa in qualsiasi condizione si possa trovare l’azienda. Ma i futuri leaders sono capricciosi, attenti alle dinamiche interne, ambiziosi, sono facilmente disposti a sgomitare, ma anche a sacrificarsi infondendo all’azienda spinte importanti. Sono sempre un po' irrequieti, giudicano e fanno paragoni, mettono sotto esame i collaboratori e i diretti superiori, possono essere fuori dagli schemi e assetati di sfide, sono dinamici e competitivi. Sono persone ricche di potenzialità, ma devono avere un contesto lavorativo che li comprenda, li faccia crescere, gli dia soddisfazioni e riconoscimenti, costantemente nel tempo, perché sono un po' narcisi. I managers da cui dipendono devono accorgersi delle loro potenzialità e devono saper valutare, caso per caso, i rischi di perderli, perché queste figure professionali cercano soddisfazioni nel mercato. Non tutte sono uguali e non tutte sono alla ricerca di affermazioni con la stessa intensità. C’è chi cerca la progressione del proprio stipendio come autocertificazione delle proprie qualità professionali, chi cerca maggiori responsabilità, chi cerca entrambi, chi un percorso di formazione manageriale di alto livello. Tutte aspettative che non si possono soddisfare sempre con il vecchio adagio dell’incremento di stipendio, in quanto non tutti lo mettono in cima alle proprie priorità, anzi direi che se un manager punta solo su quello può incorrere in diversi rischi. Come si sa, gli ambiziosi che rincorrono salari sempre più alti e ne fanno una priorità della loro vita lavorativa, difficilmente si accontentano, nel tempo, dei gradini che hanno raggiunto. Sono gli elementi più difficili da trattenere in quanto hanno, normalmente, un ego piuttosto importante e la soddisfazione del raggiungimento di un aumento, muore dopo poco tempo, in quanto l’aumento stesso certifica in loro il riconoscimento della “necessità” dell’azienda nel trattenerlo. Si possono sentire indispensabili e riconosciuti come elementi importanti e quindi ne possono fare una questione di continua trattativa con l’azienda, sondando anche il mercato per valutare quando o come richiedere il prossimo aumento. Le risorse umane che cercano maggiori responsabilità sono quelle che ricavano dal proprio lavoro una soddisfazione personale, alimentano la loro autostima nella consapevolezza del loro ruolo nella società. Si riconoscono utili, ma non per forza indispensabili, al progresso dell’azienda e considerano le loro competenze un collante nei rapporti con la società, ricercando all’interno della stessa, o sul mercato se non ve ne fossero le opportunità, posizioni di prestigio. Sono persone normalmente meno impulsive, più equilibrate, ma sempre ambiziose e necessitano di trovare quello che cercano, in un arco di tempo ragionevole, difficilmente barattano il loro futuro e, se delusi, sono disposti a rivolgersi al mercato. Esistono poi elementi che cercano uno sviluppo professionale legato al miglioramento delle competenze manageriali, che sono disposti a barattare delle affermazioni economiche nel breve-medio periodo con un percorso di formazione, anche internazionale, che possa diventare un biglietto da visita indiscutibile per il futuro. Anche queste sono figure professionali che si possono perdere facilmente se, assunti, non gli si offre un percorso di crescita di un livello importante, con il conseguente rischio di perderli in breve tempo. Come abbiamo visto le risorse umane da assumere o presenti in azienda hanno esigenze diverse e i managers, se vogliono trattenerli in azienda devono incominciare a capire come sono di carattere, quali siano le loro ambizioni e quali strade da prendere, per creare loro un clima di soddisfazione per trattenerli.
SCOPRI DI PIU'Trasporto via Mare: Cosa ci Dobbiamo Aspettare per la Fine del 2021?di Marco ArezioLe tariffe raggiunte per il trasporto dei containers via mare continuano a macinare record su record, con nuovi picchi dei prezzi sulle rotte Asia-Europa-AmericaDopo il periodo di punta della pandemia mondiale, il forte rimbalzo della domanda dei beni di consumo ha messo in crisi il sistema, imprimendo una forte pressione sia gli spedizionieri che i produttori. Sembra pazzesco anche scrivere i dati sui costi dei container che, sulla linea Asia-Europa, sono arrivati a toccare i 18.000 USD, mentre sulla rotta Asia-Stati Uniti addirittura 22.000 USD, secondo i dati riportati da Freighttos. E’ forse bene ricordare che prima del periodo pandemico i costi per gli stessi servizi si aggiravano intorno ai 3.000 USD. Tra le cause di cui abbiamo parlato in questi mesi attraverso diversi articoli, si può evidenziare che le famiglie, tra il periodo pandemico e post pandemico, hanno cambiato i loro stili di vita, riducendo le spese per viaggi e ristoranti, ed incrementando l’acquisto di mobili, elettrodomestici ed oggetti per la casa. Questi cambiamenti hanno modificato l’approccio alla spesa, creando una fortissima domanda di beni, soprattutto dalla Cina verso l’Europa e gli Stai Uniti, con la conseguente incredibile ascesa di richiesta di containers per il trasporto di tutta questa merce. Di conseguenza, le compagnie di navigazione, prese alla sprovvista, non sono riuscite a soddisfare tutta la richiesta crescente, complice anche le problematiche metereologiche straordinarie durante l’inverno negli Stati Uniti e il blocco temporaneo del canale di Suez. Per questi motivi, se guardiamo verso l’ultima parte dell’anno, la situazione dei costi dei trasporti marittimi non fà sperare in una diminuzione a breve, in quanto gli importatori si stanno approvvigionando per il periodo Natalizio e del Ringraziamento e sono disposti a sostenere questo incredibile onere per non compromettere le vendite di fine anno. Il problema che devono affrontare le aziende che si occupano di import & export non riguarda solo la situazione dei costi finanziari enormi, per unità venduta a causa dei costi della logistica, ma anche ai numerosi ritardi continui e prolungati per la consegna degli ordini.
SCOPRI DI PIU'La sottovalutazione dei rischi connessi all’attribuzione di ruoli manageriali per familiaritàdi Marco ArezioVi potrebbe essere capitato, nella vostra attività lavorativa, durante un colloquio con il titolare dell’azienda o con un CEO appartenente alla famiglia proprietaria dell’azienda, risposte del tipo: non vorrai guadagnare più di mia figlia, non penserai di aspirare ad un ruolo manageriale più alto di mio fratello, non puoi pretendere che mia moglie prenda ordini da te e così via. Il concetto di proprietà aziendale molte volte, specialmente nelle società medio piccole, ma spesso anche in quelle di grandi dimensioni a conduzione familiare, si confonde con il concetto della sua gestione, dove le persone dovrebbero operare secondo la convenienza dell’azienda e non dei singoli soggetti. Un cortocircuito di cui non si vedono i risultati nel breve periodo, ma che sono sicuramente deleteri nel medio lungo periodo, con una serie catastrofica di conseguenze che minano la credibilità e la qualità delle risorse umanane. Come abbiamo detto il nepotismo manageriale può avere un impatto significativo sulle aziende, di cui alcuni possibili effetti: Diminuzione del morale dei dipendenti Quando i posti di leadership vengono assegnati in base alle relazioni familiari o personali anziché al merito, questo può causare una diminuzione del morale dei dipendenti, portando a una riduzione della produttività e a un aumento del turnover. Qualità della leadership scadente Se le persone sono promosse in posizioni manageriali basandosi su connessioni personali invece che sulla competenza, la qualità della leadership può soffrire. Un atteggiamento simile può portare a decisioni aziendali scadenti, perdita di opportunità di business e potenzialmente alla perdita di competitività sul mercato. Danneggiamento della reputazione aziendale Il nepotismo può causare danni alla reputazione di un'azienda se viene percepito come ingiusto o disonesto. Il comportamento di favore può rendere difficile per l'azienda attrarre talenti di alto livello o mantenere clienti e partner commerciali. Riduzione della diversità Il nepotismo può portare a una mancanza di diversità nel team di manageriale, il che può limitare la gamma di idee e prospettive nella gestione dell'azienda. Quindi, sebbene possa sembrare conveniente promuovere persone familiari o conosciute in posizioni di leadership, il nepotismo può avere conseguenze negative significative per le aziende. Quale reazione hanno i dipendenti delle aziende al nepotismo manageriale? Siamo abbastanza convinti che le imprese, a tutti i livelli e in tutti i campi, siano fatte di uomini e il loro successo dipende dalla qualità delle risorse umane che vivono all’interno delle aziende. Più i collaboratori sono motivati e ambiziosi nel raggiungere i risultati più il clima costruttivo contagia i lavoratori e attrae risorse umani nuove e capaci. Per questo motivo l’atteggiamento nepotistico all’interno dell’azienda si scontra con la crescita della stessa, creando una cattiva valutazione complessiva e una sfiducia dei lavoratori nei confronti della piramide manageriale. La reazione dei dipendenti al nepotismo manageriale può variare, ma tende ad essere negativa per i seguenti motivi:Mancanza di fiducia Se i dipendenti vedono che le decisioni vengono prese in base al nepotismo, possono perdere fiducia nei leader dell'azienda, un comportamento che può portare a una mancanza di rispetto per i manager e a una riduzione dell'efficacia della leadership.Risentimento Il nepotismo può creare tensioni e risentimenti tra i dipendenti. Quelli che non sono favoriti possono sentirsi risentiti verso quelli che sono, e questo può portare a un ambiente di lavoro tossico. Mancanza di motivazione Se i dipendenti vedono che le promozioni sono basate su relazioni personali piuttosto che sul merito, possono perdere la motivazione per lavorare duramente e migliorare le loro competenze. Come vincere il nepotismo manageriale in azienda da parte del proprietario? Combattere il nepotismo manageriale può essere difficile, specialmente se è praticato dal proprietario dell'azienda. Tuttavia, ci sono alcuni passi che possono essere intrapresi: - Implementare politiche di assunzione e promozione chiare che enfatizzano il merito anziché le relazioni personali. Queste politiche dovrebbero essere ben documentate e facilmente accessibili a tutti i dipendenti. - Fornire formazione ai manager e ai leader aziendali su come evitare il nepotismo e su come prendere decisioni imparziali. - Creare canali attraverso i quali i dipendenti possano segnalare il nepotismo senza temere ritorsioni. Questo potrebbe includere una linea diretta o una casella di posta elettronica anonima. - Considerare l'idea di avere una parte esterna, come un consulente o un avvocato del lavoro, per rivedere le decisioni di assunzione e promozione. Questo può aiutare a garantire che le decisioni siano prese in modo equo. - Comunicare apertamente con i dipendenti sui passaggi intrapresi per combattere il nepotismo. Questo può aiutare a rafforzare la fiducia e a mostrare che l'azienda prende sul serio il problema. E’ bene ricordare, tuttavia, che queste strategie potrebbero non essere efficaci se il proprietario dell'azienda non è disposto a cambiare le sue pratiche. In questo caso, potrebbe essere necessario cercare consiglio legale o considerare altre opzioni di lavoro.
SCOPRI DI PIU'Dalla Visibilità Generalista alla Visibilità Certificata: La Nuova Frontiera degli Investimenti Pubblicitari nei Bannerdi Marco ArezioNegli ultimi anni, il panorama della pubblicità digitale ha subito una trasformazione significativa. Gli investitori pubblicitari stanno passando da modelli di visibilità generalista a strategie più mirate, basate su una visibilità certificata e misurabile. Questo cambio di paradigma è particolarmente rilevante per settori specifici come l'economia circolare, la sostenibilità, l'ambiente e la slow life, dove le aziende necessitano di un pubblico altamente profilato e realmente interessato ai loro prodotti e servizi. I Limiti della Visibilità Generalista Tradizionalmente, gli investitori pubblicitari acquistavano spazi banner su portali generalisti, con un costo fisso garantito e una visibilità non sempre verificabile. Questo modello presentava diversi svantaggi: Scarsa profilazione del pubblico: Le visualizzazioni non erano necessariamente pertinenti al settore dell'inserzionista. Difficoltà di misurazione: Spesso i dati di traffico non erano trasparenti, rendendo difficile valutare il ritorno sull'investimento. Spreco di risorse: Le aziende finivano per pagare per visualizzazioni che non generavano alcun valore concreto. La Soluzione: Il Banner Certificato rMIX Con l'avvento della visibilità certificata, il concetto di pubblicità digitale ha subito un'evoluzione. Piattaforme specializzate come rMIX offrono la possibilità di investire in banner con un numero di visualizzazioni garantito e verificabile. Come Funziona il Banner Certificato? Definizione del target: L'azienda seleziona il mercato di riferimento a cui appartiene. Scelta della visibilità: Il cliente stabilisce quante volte il suo banner deve essere visto nel corso di un trimestre, in base ai target proposti (500.000 o più di 1.000.000 di visualizzazioni). Garanzia delle visualizzazioni: rMIX assicura che il banner venga mostrato esattamente al pubblico target, evitando sprechi e massimizzando l'efficacia della campagna. Monitoraggio trasparente: Grazie a strumenti di analisi avanzati, il cliente può verificare l'andamento della campagna e il numero di visualizzazioni effettive acquistate. A Chi è Rivolto Questo Investimento di Marketing? Il Banner Certificato rMIX è la soluzione ideale per diverse tipologie di aziende e professionisti che operano nei settori della sostenibilità e dell'economia circolare, tra cui: Aziende che producono o distribuiscono prodotti sostenibili, desiderose di aumentare la loro visibilità presso un pubblico mirato. Aziende che forniscono servizi per l'economia circolare, come consulenza, certificazioni e gestione dei rifiuti. Imprese che producono macchine o offrono servizi per il riciclo, alla ricerca di partner e clienti nel settore ambientale. Divulgatori e media specializzati sulla sostenibilità, che vogliono ampliare la loro audience e rafforzare la loro autorevolezza. Agenzie di marketing e comunicazione green, che necessitano di strumenti efficaci per promuovere le loro campagne. Enti pubblici e organizzazioni no-profit, impegnati nella sensibilizzazione e nell'educazione ambientale. Perché Scegliere il Banner Certificato di rMIX?rMIX offre un'opportunità unica per le aziende che vogliono massimizzare la loro visibilità in un settore specifico. Con oltre 500.000 pagine viste al mese, il portale garantisce una copertura mirata ed efficace. I Vantaggi del Banner Certificato - Targetizzazione precisa: Il banner viene mostrato solo a potenziali clienti e fornitori del settore desiderato (come l'economia circolare, ambiente, sostenibilità e la slow life). - Investimento ottimizzato: Ogni visualizzazione è contabilizzata e verificabile, eliminando dispersioni di budget. - Strategia flessibile: L'azienda può scegliere il numero di visualizzazioni desiderato per ogni trimestre, adattando la campagna alle proprie esigenze. - Brand Awareness potenziata: Essere presenti su una piattaforma leader nel settore dell'economia circolare migliora la reputazione del brand e la sua autorevolezza. Conclusione Il passaggio dalla visibilità generalista alla visibilità certificata segna un cambiamento cruciale nella pubblicità digitale. Per le aziende che operano in settori come la sostenibilità e l'economia circolare, strumenti come il Banner Certificato di rMIX rappresentano un'opportunità strategica per emergere sul mercato in modo efficace e misurabile. Investire in visibilità non è mai stato così trasparente ed efficiente. Scopri di più su rMIX Banner Certificato e porta la tua azienda al prossimo livello. Chiedi un preventivo senza impegno.
SCOPRI DI PIU'Marketing di prodotto. Aspettative elevate sui prodotti fatti in plastica riciclata minano l’economia circolaredi Marco ArezioNon ci siamo mai chiesti come mai molti prodotti, specialmente nel campo dell’imballaggio, continuano a essere prodotti con materia prima vergine? Esistono delle esigenze estetiche, apparentemente non derogabili, stabilite dai protocolli di marketing che vogliono un prodotto dall’aspetto perfetto, nei colori, nella trama e nella finitura, figli di una produzione fatta con materie prime vergini, che hanno lo scopo di soddisfare l’occhio del cliente. Ma è proprio questo che il cliente chiede ad un prodotto per il packaging o altri prodotti addirittura che hanno una funzione tecnica e non estetica, come per esempio i tubi da interro o dei bancali in plastica, o altri prodotti simili? Non credo. Vediamo alcuni esempi in cui sui potrebbe usare il granulo riciclato da post consumo al 100% e invece si continua con la materia prima vergine o in alcuni casi più virtuosi si usa un compound misto. – Tubi per irrigazione in HDPE e LDPE: spesso accade che un prodotto destinato al campo, che verrà, nel corso del tempo, aggredito dal sole con conseguente peggioramento della struttura esterna, riduzione di colore e ricopertura di ampie porzioni da parte della terra o del fango, possa diventare oggetto di una contestazione perché il granulo da post consumo, che potrebbe avere all’interno un po’ di gas o umidità residua, porta a creare piccole bollicine sulla superficie del tubo. Questo non comporta difetti qualitativi del manufatto, ma solo estetici, ma sufficienti a spingere il produttore a fare compounds con il vergine o con granuli post indutriali. – Cassette industriali in HDPE e PP: le casette vengono usate per la logistica di movimento o all’interno di magazzini di attività produttive, quindi non hanno lo scopo di essere messe sul mercato della vendita, ma rimangono un mezzo di lavoro all’interno delle aziende. Sono fatte normalmente in HDPE o PP in vari colori. I più diffusi sono il rosso, il blu e il grigio. L’uso del granulo da post consumo, colorato, potrebbe portare con sé, piccole imperfezioni estetiche che si manifestano in leggere sfiammature sul colore, possibili saltuari puntini neri sulla superficie o piccole zone opacizzate. Facile incorrere nel rifiuto da parte del produttore di cassette, del granulo post consumo come se l’estetica perfetta sia importante per la funzione della cassetta che rimane in un magazzino. Normalmente si preferisce usare una materia prima proveniente da scarti post industriali o un compound misto con materie prime vergini. – Flaconi per il detersivo o liquidi industriali e agricoli: la materia prima normalmente utilizzata è l’HDPE, il PP o il PET. Sul mercato del soffiaggio possiamo dire che una timida apertura al riciclato da post consumo sta avvenendo negli ultimi anni, sulla spinta dei movimenti per l’ambiente, che vedono tutti i giorni i flaconi del detersivo in negozio. L’impressione è che questa attenzione per il riciclato da parte dei produttori di flaconi sia dettata da precise scelte compiacere i propri clienti piuttosto che un’attenzione all’ambiente. Sono comunque scelte un po’ zoppe, in quanto l’industria della produzione del granulo da post consumo ha raggiunto una qualità tale da poter offrire una materia prima che consente di produrre flaconi da 0,5 a 5 litri al 100%, ma ancora oggi si punta a compounds contenenti solo il 30% -50% di materiale riciclato. Questo vale solo su alcuni flaconi e con alcuni colori, perché la maggior parte vengono ancora fatti con il materiale vergine. La produzione dei flaconi con il granulo riciclato da post consumo, specialmente in HDPE, potrebbe a volte lasciare, sul flacone, piccole zone di opacità nel colore, l’assenza di brillantezza tipica dell’uso della materia prima vergine e una presenza di profumo di detersivo tipica del granulo da post consumo proveniente dalla raccolta differenziata. I produttori di flaconi, considerando i numeri generali di consumo delle materie prime, continuano a preferire il granulo vergine, specialmente in questo periodo in cui il costo di questo è inferiore al costo del granulo rigenerato, ma sono spinti dal mercato ad impegnarne una percentuale per questioni di immagine aziendale “green”. Potremmo andare avanti con molti altri esempi sulle opportunità perse di utilizzo della materia prima proveniente dai rifiuti domestici al posto del granulo vergine, ma i canoni estetici che gli esperti di marketing esigono per i loro prodotti a volte sono incompatibili con l’esigenza di utilizzo dei rifiuti plastici e di protezione dell’ambiente.
SCOPRI DI PIU'Una strategia per un’industria competitiva e sostenibile, tra transizione verde e autonomia europeadi Marco ArezioNel cuore delle trasformazioni globali, l’industria europea affronta sfide inedite. Tra la necessità di decarbonizzare le attività produttive e la crescente competizione internazionale, la Dichiarazione di Anversa emerge come un appello forte e chiaro per il rilancio di un settore cruciale. Questo documento ambizioso, firmato da aziende e organizzazioni, chiede ai leader europei di adottare un Patto Industriale Europeo che si integri con il Green Deal, garantendo una transizione equa e sostenibile per il continente.L’obiettivo non è solo mitigare i rischi della globalizzazione o ridurre la dipendenza dalle materie prime esterne, ma anche preservare l’eccellenza industriale dell’Europa, un pilastro della sua identità economica. Per farlo, è necessario un piano che metta al centro innovazione, competitività e sostenibilità, creando le basi per un futuro più resiliente.Una Visione di CambiamentoLa Dichiarazione di Anversa parte da una considerazione cruciale: l’Europa non può permettersi di perdere il suo tessuto industriale, tanto meno in un momento in cui la transizione verde richiede investimenti colossali in tecnologie pulite e infrastrutture. Senza una politica industriale forte, il rischio è di diventare dipendenti da prodotti e materie prime essenziali provenienti da paesi terzi, con tutte le implicazioni geopolitiche ed economiche che ne conseguono.Per scongiurare questo scenario, il documento delinea una strategia articolata, che parte dalla necessità di inserire il Patto Industriale Europeo come priorità nell’Agenda Strategica 2024-2029. Solo una visione integrata, sostenuta da misure concrete, può garantire che l’Europa mantenga il suo ruolo di leader globale nella produzione di qualità e nell’innovazione tecnologica.Sostenere l’Industria nella Transizione VerdeAl centro della Dichiarazione c’è l’impegno a rendere l’industria europea un modello di sostenibilità. La creazione di un fondo per le tecnologie pulite, il cosiddetto "Clean Tech Deployment Fund", rappresenta un passo fondamentale in questa direzione. Questo strumento permetterebbe di ridurre i rischi per gli investimenti privati, incentivando la diffusione di tecnologie a basso impatto ambientale.Un altro punto cruciale riguarda l’energia. I costi energetici elevati rappresentano una delle principali sfide per le imprese europee. Per affrontarle, la Dichiarazione propone di dare priorità a fonti rinnovabili, nucleare di nuova generazione e idrogeno verde, garantendo un approvvigionamento accessibile e competitivo.Anche le infrastrutture giocano un ruolo chiave. L’Europa deve accelerare lo sviluppo di progetti strategici, come reti elettriche transfrontaliere, sistemi di riciclo avanzati e digitalizzazione, per supportare un’industria moderna e sostenibile.Una Visione per l’Autonomia StrategicaUn tema ricorrente nella Dichiarazione di Anversa è l’importanza di ridurre la dipendenza dell’Europa da fornitori esterni. La creazione di una filiera circolare per le materie prime critiche è essenziale per raggiungere questo obiettivo. Attraverso nuove partnership globali e il potenziamento delle capacità di riciclo domestico, l’Europa può assicurarsi le risorse necessarie per sostenere la sua transizione industriale.Al tempo stesso, è fondamentale promuovere un mercato unico per i materiali riciclati, eliminando le barriere normative che ostacolano la libera circolazione di questi prodotti. Questo rafforzerebbe non solo l’economia circolare, ma anche la competitività complessiva dell’industria europea.Innovazione e Governance: Le Chiavi del SuccessoLa Dichiarazione punta inoltre a creare un ecosistema favorevole all’innovazione. Investire in ricerca di alta qualità, digitalizzazione e politiche aperte all’adozione di nuove tecnologie è essenziale per mantenere l’Europa competitiva. Per questo, il documento propone di proteggere i diritti di proprietà intellettuale e accelerare il trasferimento tecnologico dal laboratorio al mercato.Infine, un elemento centrale della Dichiarazione è la proposta di rafforzare le strutture di governance. L’istituzione di un Vicepresidente dedicato al Patto Industriale Europeo garantirebbe un’integrazione armoniosa delle politiche industriali con le priorità strategiche dell’Unione, assicurando un coordinamento efficace tra i vari stati membri.Conclusione: Un’Industria Europea Forte per un Futuro SostenibileLa Dichiarazione di Anversa rappresenta un’opportunità unica per definire il futuro dell’industria europea. Attraverso una strategia condivisa, basata su sostenibilità, innovazione e autonomia, l’Europa può affrontare con successo le sfide del ventunesimo secolo.Mantenere un’industria forte non significa solo salvaguardare posti di lavoro di qualità, ma anche garantire che la transizione verde sia inclusiva e giusta. Il Patto Industriale Europeo, come delineato nella Dichiarazione, non è solo una risposta alle sfide attuali, ma una visione ambiziosa per costruire un’Europa più resiliente e competitiva.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Quando gli anelli deboli della catena di comando non permettono la crescita degli juniors managersdi Marco ArezioDopo i lunghi periodi di studi universitari e, talvolta, reduci da un master di specializzazione, i giovani managers sono ansiosi di misurare le loro capacità, sviluppare le loro ambizioni e raggiungere i loro obbiettivi professionali. Spesso trovano occupazioni in aziende già strutturate, in cui la catena di comando è abbastanza lunga, i passi per salirla non sempre banali e la competizione tra colleghi sempre accesa. Un buon campo di prova per misurare le proprie capacità, sviluppare competenze e, a volte, proporre novità che possano portare beneficio all’azienda, attraverso un occhio nuovo, non compromesso dalle abitudini di lavoro interno. Lo junior manager che avesse sviluppato soluzioni interessanti, magari da approfondire ulteriormente, o avesse trovato delle inefficienze da risolvere per migliorare nella catena del lavoro, si rapporterà con il proprio manager da cui dipende. Dovrà sviscerare nei dettagli il processo di miglioramento studiato, o i difetti della linea di lavoro che secondo lui potrebbe essere implementata, o portare delle efficienze nella circolazione delle attività, o suggerire cambiamenti di strategie commerciali, di marketing, degli acquisti o in altri ambiti in cui ha focalizzato il proprio interesse. Le buone idee, in certe aziende, possono pesare quanto quelle negative, nel senso che possono dare fastidio a chi le riceve, che deve, a sua volta, proporre alla catena di comando sopra di lui. Non stiamo in questo caso ad analizzare il comportamento di un manager che, sicuro delle sue competenze e del proprio ruolo, incentiva gli juniors managers a sviluppare iniziative che possano essere degne di nota da proporre in ambiti più alti dell’azienda. Oggi ci occupiamo del manager intermedio, che teme il dovere veicolare iniziative diverse dalla propria routine, che possano mettere in discussione l’ambito di lavoro e di controllo che ha esercitato, nel tempo, sul suo posto di lavoro. Il trasferimento della proposta dallo junior manager al responsabile intermedio, avviene normalmente attraverso una profonda esplicazione dei dettagli della stessa, dove spesso, ascoltandola, vuole sapere i legami interni ed esterni all’azienda, gli strumenti necessari per gestire la novità, quali ambiti aziendali dovrebbe toccare e come potrebbe cambiare il suo lavoro e la sua tranquillità. Un manager di questo tipo ascolta, domanda, crea una sorta di complicità nel progetto, chiede allo junior manager riservatezza sul progetto e mantiene un rapporto di finto privilegio comunicativo con il suo sottoposto. Cerca di dargli quell’importanza che il proponente si aspetta di avere, qualificando la sua proposta e gratificandolo verbalmente per il rischio che si è assunto esponendosi a possibili di errori personali. A questo punto il manager, anello debole della catena di comando, avendo in mano tutte le carte e conoscendo esattamente la proposta, si sente in grado di elaborare una strategia che possa tornare a suo vantaggio. Se la proposta è effettivamente migliorativa, valida e importante per l’azienda, cercherà di vendere l’idea, ai suoi superiori, come una sua iniziativa, nata da un confronto, magari, con il gruppo di lavoro che dirige, attraverso il quale ha analizzato varie opinioni ed elaborato, in modo autonomo, il progetto che potrà portare un giovamento all’azienda. Potrebbe raccogliere la gratificazione dei suoi superiori e darà un minimo riconoscimento al team che, con “tanta cura dirige”, negando uno spazio di confronto tra lo junior manager e la fascia alta dell’azienda che decide. Il successo sarà del manager in primis, del gruppo di lavoro in seconda battura, facendo cadere su di sé anche il successo del gruppo che dirige. Se, in caso contrario, l’idea fosse negativa, sbagliata o non molto produttiva, terrà conto degli errori commessi dallo junior manager, anche se solo nell’elaborazione di una proposta, in modo che possa far valere, come arma di scambio, in periodi successivi gli errori del passato. Questo anello debole della catena di comando è abbastanza diffuso nelle aziende di una certa dimensione, e gli juniors managers, prima di esporsi devono cercare di conoscere il proprio superiore e capire i risvolti del suo carattere, la sincerità e la sua sicurezza nel gestire le risorse umane, senza secondi fini.
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