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https://www.rmix.it/ - Foresta di Scope Riciclate: L’Arte che Trasforma gli Oggetti in Natura
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Foresta di Scope Riciclate: L’Arte che Trasforma gli Oggetti in Natura
Slow Life

Un’opera digitale immersiva che reinterpreta le scope dismesse come simboli di rinascita, creatività e sostenibilitàdi Marco ArezioNel mondo dell’economia circolare, alcuni oggetti sembrano destinati a una vita silenziosa, funzionale, quasi invisibile. Tra questi, la scopa è uno degli strumenti più modesti, quotidiani e facilmente sostituibili. Eppure, proprio da un oggetto così semplice nasce un’opera digitale che sorprende per intensità visiva e profondità simbolica. Questa “foresta di scope riciclate” è molto più di una composizione artistica: è un paesaggio narrativo, una dichiarazione etica, un invito a ripensare ciò che consideriamo scarto. L’immagine presenta un ambiente immersivo, caldo, costruito come una sorta di installazione museale dove il suolo è disseminato di frammenti plastici e residui materici. È un tappeto di memoria, la testimonianza discreta di ciò che era e di ciò che potrebbe tornare a essere. Le scope riciclate emergono da questo terreno come alberi reinventati: manici di legno recuperato si allungano verso l’alto, mentre le setole consumate si trasformano in chiome leggere, colorate, vive. Non c’è nulla di artificioso nel loro aspetto, solo la naturale evoluzione di materiali che hanno trovato una seconda identità. Le fibre, i filamenti, i frammenti di plastica recuperata, le corde provenienti da vecchi imballaggi: tutto convive, tutto si armonizza. Ogni scopa-albero diventa una creatura autonoma, con la sua storia e la sua estetica. Alcune sono compatte e raccolte, altre aperte e vaporose, altre ancora arricchite da piccoli elementi colorati che comunicano dinamismo e vitalità. La luce calda e diffusa dello sfondo contribuisce a creare un’atmosfera quasi sacrale, come se questa fosse una foresta protetta, un santuario del riuso dove la materia ritrova la propria dignità. Ciò che colpisce in modo particolare è il modo in cui l’artista riesce a mantenere la riconoscibilità dell’oggetto originario, pur stravolgendone il ruolo. Nessuna scopa è stata camuffata o dissimulata: sono sempre scope, con manici, legature, setole. Ma sono scope trasformate, sospese tra ciò che erano e ciò che rappresentano oggi. È la stessa tensione che attraversa il mondo del riciclo: non negare l’origine, ma valorizzarla, reinventarla, riscriverla. Il messaggio dell’opera si inserisce perfettamente nelle tematiche trattate da rMIX: la possibilità di considerare i rifiuti come risorse, la capacità creativa del riuso, il potere evocativo dei materiali abbandonati. Questo lavoro digitale mostra che la sostenibilità non è fatta solo di procedure e tecniche, ma anche di immaginazione. È uno sguardo nuovo sulle cose, un modo per ripensare il quotidiano e riconoscere la bellezza anche dove non avremmo mai pensato di trovarla. La foresta di scope non è un’onirica allucinazione: è un futuro possibile. È l’idea che attraverso la creatività possiamo riscrivere il ciclo di vita dei materiali, trasformando strumenti comuni in metafore di rinascita. È un invito a vedere oltre il consumo, oltre la sostituzione automatica, oltre la cultura dello scarto. Per chi vive e lavora nell’economia circolare, questa immagine ricorda che ogni oggetto porta con sé un potenziale inespresso. E che il riciclo, quando incontra la sensibilità artistica, diventa linguaggio visivo, diventa emozione, diventa racconto. Un racconto che rMIX è felice di condividere.© Riproduzione Vietata#marcoarezio

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https://www.rmix.it/ - TotalEnergies e Saint-Gobain insieme per decarbonizzare l'industria francese
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare TotalEnergies e Saint-Gobain insieme per decarbonizzare l'industria francese
Notizie Brevi

Siglato un accordo per la fornitura di 875 GWh di elettricità rinnovabile, rafforzando l’impegno verso la riduzione delle emissioni di carbonio entro il 2050di Marco ArezioTotalEnergies ha siglato un Power Purchase Agreement (PPA) con Saint-Gobain, in base al quale fornirà elettricità rinnovabile agli impianti francesi della multinazionale. L’accordo entrerà in vigore a partire da gennaio 2026 e prevede una fornitura totale di 875 GWh di energia in un periodo di cinque anni. L'elettricità sarà prodotta da impianti eolici e solari di proprietà di TotalEnergies situati nel nord-est e nel sud della Francia, oltre che nella Valle della Loira. Saint-Gobain riceverà una fornitura continua di energia elettrica con garanzie di origine, certificando la provenienza dell'energia da fonti rinnovabili. Questo contratto per l'elettricità rinnovabile si aggiunge a un precedente accordo firmato a giugno 2023, in cui TotalEnergies ha venduto biometano prodotto presso il suo sito BioBéarn a Saint-Gobain. "Siamo entusiasti di questo nuovo accordo con Saint-Gobain, che rappresenta un segnale del nostro impegno condiviso per decarbonizzare l'industria francese. Dimostra anche la nostra capacità di offrire soluzioni energetiche che rispondono alle esigenze dei clienti, garantendo al contempo la provenienza dell’elettricità verde fornita", ha dichiarato Sophie Chevalier, Vicepresidente di Flexible Power & Integration di TotalEnergies. "In Francia, TotalEnergies dispone di un portafoglio di energie rinnovabili di oltre 2 GW, che contribuisce a evitare l’emissione di 800.000 tonnellate di CO2 ogni anno. Questo è un argomento convincente per i nostri clienti", ha aggiunto. Swaroop Srinath, Direttore degli Acquisti Energetici per il gruppo Saint-Gobain, ha commentato: "Saint-Gobain si è impegnata a raggiungere le emissioni nette zero di carbonio entro il 2050. Per realizzare questa ambizione, è fondamentale decarbonizzare i nostri processi produttivi. Questo contratto con TotalEnergies consente al Gruppo di compiere un ulteriore passo verso tale obiettivo, garantendo una fornitura affidabile e continua di elettricità rinnovabile per i nostri siti industriali. Grazie a questo PPA, insieme ad altri contratti siglati dal Gruppo in Francia, il 30% dell'elettricità utilizzata nei nostri impianti francesi proverrà da fonti rinnovabili entro il 2027." Soluzioni su misura per le esigenze specifiche dei clienti L’accordo con Saint-Gobain segue altri contratti simili firmati da TotalEnergies con aziende come Air Liquide, Amazon, LyondellBasell, Merck, Microsoft, Orange e Sasol. Questo testimonia ulteriormente la capacità di TotalEnergies di sviluppare soluzioni innovative, sfruttando un portafoglio diversificato di asset per supportare i propri clienti negli sforzi di decarbonizzazione.

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https://www.rmix.it/ - Dall'Ignoranza all'Ideologia: Come la Mancanza di Conoscenza Diventa una Forza Plasmante
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Dall'Ignoranza all'Ideologia: Come la Mancanza di Conoscenza Diventa una Forza Plasmante
Slow Life

Esplorare i Meccanismi Psicologici, Sociali e Politici che Trasformano l'Ignoranza in Ideologia e le sue Conseguenze sulla Societàdi Marco ArezioL'ignoranza, nella sua essenza, rappresenta una mancanza di conoscenza o di informazioni su un determinato argomento. Tuttavia, quando questa mancanza viene coltivata e alimentata, può trasformarsi in qualcosa di molto più pericoloso: un'ideologia. In questo articolo esploreremo come l'ignoranza può evolversi in ideologia, esaminando i meccanismi psicologici, sociali e politici che facilitano questa trasformazione, e riflettendo sulle conseguenze che questo fenomeno può avere sulla società. Ignoranza e Psicologia Sociale Uno degli aspetti fondamentali dell'ignoranza trasformata in ideologia è il ruolo della psicologia sociale. Gli esseri umani sono creature sociali che tendono a cercare conferme alle loro convinzioni e a circondarsi di persone che la pensano allo stesso modo. Questo fenomeno è noto come "bias di conferma" e gioca un ruolo cruciale nella formazione di ideologie basate sull'ignoranza. Quando le persone si trovano in ambienti che rafforzano le loro convinzioni preesistenti, sono meno inclini a mettere in discussione tali credenze. La mancanza di esposizione a punti di vista diversi crea un terreno fertile per l'ignoranza. Nel contesto della psicologia sociale, questo è noto come "effetto camera dell'eco", dove le idee si ripetono e si amplificano senza essere contestate. Media e Disinformazione I media giocano un ruolo centrale nel plasmare le opinioni pubbliche e, di conseguenza, nell'evoluzione dell'ignoranza in ideologia. In un'era di sovrabbondanza informativa, è paradossalmente più facile che mai diffondere disinformazione. Le piattaforme di social media, in particolare, hanno reso la diffusione di notizie false e parziali un fenomeno comune. La disinformazione alimenta l'ignoranza offrendo spiegazioni semplici e spesso errate di eventi complessi. Quando tali narrazioni vengono ripetute e accettate senza un'adeguata verifica, possono trasformarsi in convinzioni radicate. Questo processo è ulteriormente facilitato dagli algoritmi delle piattaforme social, che tendono a mostrare contenuti che confermano le preesistenti credenze degli utenti, creando così bolle informative. Il Ruolo della Politica La politica è un altro ambito in cui l'ignoranza può essere trasformata in ideologia. I leader politici possono sfruttare l'ignoranza per consolidare il loro potere, manipolando informazioni e promuovendo narrazioni che servono i loro interessi. Questo avviene spesso attraverso la semplificazione e la distorsione della realtà, presentando soluzioni facili a problemi complessi. Un esempio emblematico di questo fenomeno è l'uso della propaganda. La propaganda politica si basa sulla selezione e manipolazione delle informazioni per influenzare l'opinione pubblica. Attraverso slogan semplicistici, mezze verità e appelli emotivi, i leader possono creare un'ideologia basata sull'ignoranza che diventa resistente alla critica e alla verifica dei fatti. Ignoranza e Identità L'ignoranza può anche essere legata all'identità personale e collettiva. Quando le persone si identificano fortemente con un gruppo o una causa, sono più inclini a respingere informazioni che contraddicono le loro credenze. Questo fenomeno è noto come "dissonanza cognitiva" e può portare le persone a ignorare o negare evidenze che mettono in discussione la loro visione del mondo. L'identità collettiva può rafforzare l'ignoranza attraverso il conformismo. In molti gruppi sociali, conformarsi alle credenze e alle pratiche del gruppo è visto come un segno di lealtà e appartenenza. Questo può creare un ciclo di rinforzo positivo in cui l'ignoranza diventa un punto di orgoglio e un segno distintivo dell'identità di gruppo. Conseguenze sull’Individuo e sulla Società Le conseguenze dell'ignoranza trasformata in ideologia possono essere profonde e pervasive. A livello individuale, può portare a una visione del mondo limitata e distorta, riducendo la capacità di prendere decisioni informate e razionali. L'ignoranza ideologica può anche creare un senso di falsa sicurezza, dove le persone credono di avere tutte le risposte, anche quando non le hanno. A livello sociale, l'ignoranza ideologica può portare a divisioni e conflitti. Quando gruppi diversi aderiscono a narrazioni contrastanti basate sull'ignoranza, il dialogo e la comprensione reciproca diventano difficili, se non impossibili. Questo può portare a una polarizzazione estrema, dove la cooperazione e il compromesso diventano irraggiungibili. Un altro rischio significativo è l'erosione della fiducia nelle istituzioni. Quando l'ignoranza ideologica prende piede, le istituzioni come i media, la scienza e il governo possono essere percepite come nemici o come fonti di disinformazione. Questo può indebolire la coesione sociale e minare la capacità della società di affrontare sfide comuni in modo efficace e unificato. Strategie per Contrastare l’Ignoranza Ideologica Contrastare l'ignoranza ideologica richiede uno sforzo concertato su più fronti. Educazione e alfabetizzazione mediatica sono strumenti fondamentali per aiutare le persone a sviluppare il pensiero critico e la capacità di valutare le informazioni in modo indipendente. Promuovere l'educazione scientifica e l'importanza della verifica dei fatti può aiutare a ridurre la diffusione di disinformazione. I media hanno anche una responsabilità cruciale. Giornalisti e editori devono impegnarsi a fornire informazioni accurate e a contestare attivamente la disinformazione. Inoltre, le piattaforme di social media devono essere incentivate a migliorare i loro algoritmi per ridurre la diffusione di contenuti fuorvianti e a promuovere la diversità di opinioni. La politica può giocare un ruolo positivo promuovendo un discorso basato sui fatti e incoraggiando la trasparenza. I leader politici devono resistere alla tentazione di sfruttare l'ignoranza per fini elettorali e lavorare invece per informare e educare l'elettorato. Infine, a livello individuale, è importante coltivare l'umiltà intellettuale e la volontà di ascoltare punti di vista diversi. Essere consapevoli dei propri bias e fare uno sforzo consapevole per cercare informazioni diverse e contrastanti può aiutare a ridurre l'impatto dell'ignoranza ideologica. Conclusione L'ignoranza può facilmente trasformarsi in ideologia quando viene coltivata attraverso bias cognitivi, disinformazione, manipolazione politica e identità di gruppo. Le conseguenze di questo fenomeno possono essere devastanti per l'individuo e per la società, portando a una visione del mondo distorta, divisioni sociali e perdita di fiducia nelle istituzioni. Contrastare l'ignoranza ideologica richiede uno sforzo concertato da parte di educatori, media, leader politici e individui, per promuovere il pensiero critico, la verifica dei fatti e la diversità di opinioni. Solo attraverso un impegno collettivo possiamo sperare di mitigare l'impatto dell'ignoranza trasformata in ideologia e costruire una società più informata e coesa. © Vietata la Riproduzione

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https://www.rmix.it/ - Polimeri da Fonti Rinnovabili Rinforzati con Grafene: Innovazione, Applicazioni e Sostenibilità
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Polimeri da Fonti Rinnovabili Rinforzati con Grafene: Innovazione, Applicazioni e Sostenibilità
Informazioni Tecniche

Scopri come la sintesi avanzata e la caratterizzazione di materiali compositi a base di grafene aprano nuove frontiere tecnologiche e sostenibilidi Marco ArezioNegli ultimi anni, l’attenzione verso materiali sostenibili derivati da fonti rinnovabili è cresciuta notevolmente. Tra questi materiali spiccano i polimeri biodegradabili come l'acido polilattico (PLA), i poliidrossialcanoati (PHA) e vari derivati della cellulosa. Questi polimeri rappresentano una valida alternativa ai materiali tradizionali derivati da fonti fossili, grazie al ridotto impatto ambientale e alla loro biodegradabilità. Tuttavia, presentano alcune limitazioni intrinseche, come la bassa resistenza meccanica, una limitata conducibilità termica ed elettrica e una scarsa stabilità termica, che ne limitano significativamente le applicazioni industriali avanzate. Grafene come Rinforzo Innovativo nei Materiali Compositi Il grafene, un materiale composto da uno strato bidimensionale di atomi di carbonio disposti in una struttura esagonale, si distingue per proprietà eccezionali di resistenza meccanica, superiore persino a quella dell'acciaio, e per elevate conducibilità termica ed elettrica. Queste proprietà lo rendono ideale per rinforzare matrici polimeriche, migliorando in maniera significativa le prestazioni dei materiali compositi derivati da fonti rinnovabili. L'integrazione del grafene consente di realizzare materiali compositi sostenibili con proprietà comparabili o superiori rispetto ai materiali convenzionali, aprendo nuove opportunità applicative. Tecniche di Sintesi dei Compositi Polimerici Rinforzati con Grafene La realizzazione di compositi polimerici rinforzati con grafene richiede tecniche di sintesi specifiche e avanzate, volte a ottenere una dispersione omogenea e stabile del rinforzo nella matrice polimerica. Tra queste tecniche si distinguono la sonificazione ultrasonica, efficace nel separare uniformemente le lamelle di grafene, la miscelazione meccanica ad alta energia, capace di miscelare fisicamente i componenti in modo uniforme, e l’utilizzo di solventi ecocompatibili, che migliorano la dispersione senza comprometterne la sostenibilità. Una dispersione efficace previene l'agglomerazione, ottimizzando le proprietà meccaniche e termiche del materiale finale. Tecniche di Caratterizzazione Avanzata dei Compositi Per garantire la qualità e l’efficacia dei compositi polimero-grafene, sono necessarie tecniche avanzate di caratterizzazione. La spettroscopia Raman consente di analizzare le interazioni molecolari tra grafene e matrice polimerica, evidenziando il grado di adesione interfaciale. La microscopia elettronica a scansione (SEM) e la microscopia a forza atomica (AFM) offrono informazioni dettagliate sulla morfologia della dispersione, identificando eventuali irregolarità o agglomerati. Infine, l'analisi termogravimetrica (TGA) valuta la stabilità termica e la resistenza del materiale composito in condizioni operative ad alta temperatura. Risultati Tecnici e Applicazioni Industriali L’impiego di grafene nei polimeri sostenibili ha mostrato miglioramenti significativi nelle proprietà meccaniche, conducendo a materiali compositi dalle performance superiori rispetto ai polimeri non rinforzati. Le applicazioni emergenti riguardano l’elettronica flessibile, con polimeri conduttivi altamente resistenti; l'industria automobilistica, dove leggerezza e proprietà avanzate sono essenziali; il packaging alimentare, che richiede proprietà barriera migliorate; e il settore biomedicale, dove la biocompatibilità si combina con le performance offerte dal grafene. Prospettive Future e Sostenibilità I polimeri rinforzati con grafene rappresentano una promettente frontiera tecnologica per la sostenibilità ambientale e l’innovazione industriale. Tuttavia, restano sfide tecniche, come la scalabilità industriale, l’ottimizzazione continua delle tecniche di dispersione e la valutazione del ciclo di vita completo del materiale. Le future ricerche dovranno focalizzarsi su metodi produttivi ancora più ecocompatibili e scalabili. L'adozione crescente di questi materiali potrebbe favorire una significativa transizione verso modelli di produzione e consumo sostenibili, contribuendo agli obiettivi globali di sostenibilità ambientale ed economica. © Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Come scegliere il miglior decalcificante per macchine da caffè: guida all’acquisto efficace, sicuro e sostenibile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come scegliere il miglior decalcificante per macchine da caffè: guida all’acquisto efficace, sicuro e sostenibile
Economia circolare

Quello che devi sapere prima di acquistare un decalcificante: differenze tra i prodotti, consigli per una scelta consapevole e attenzione all’ambienteC’è una cosa che ogni appassionato di caffè dovrebbe sapere, ed è che il calcare è il nemico silenzioso della tua macchina espresso. Agisce lentamente, invisibile agli occhi, ma inesorabile. Eppure, bastano pochi accorgimenti per tenerlo lontano e continuare a gustare un caffè che sia degno di questo nome. Tra questi, il decalcificante è uno strumento prezioso, troppo spesso trascurato o scelto a caso, come fosse tutto uguale. Spoiler: non lo è. Perché la decalcificazione è così importante? Quando si usa l'acqua del rubinetto – anche se buona – è inevitabile che nel tempo si formino depositi di calcio e magnesio. La tua macchina non li digerisce affatto bene: i residui si accumulano nei condotti, nei serbatoi, nei circuiti di erogazione. Risultato? Un caffè più lento a uscire, meno caldo, con un gusto alterato. E poi quel suono stanco che senti ogni tanto? Sì, è lei che ti chiede aiuto. Una manutenzione regolare con un buon decalcificante è la risposta a tutto questo: mantiene alte le performance, allunga la vita della macchina e, soprattutto, rispetta l'aroma del tuo caffè. Le differenze tra i prodotti in commercio Qui si apre un mondo. Ci sono decalcificanti naturali, casalinghi, come l’acido citrico o il classico aceto bianco. Soluzioni economiche, ma non sempre efficaci o delicate quanto dovrebbero. Il profumo di aceto che aleggia per ore nella cucina dopo l’uso non è proprio invitante, e alcuni produttori lo sconsigliano vivamente perché rischia di danneggiare le guarnizioni interne. Poi ci sono i prodotti chimici professionali, studiati per le macchine da caffè: liquidi, polveri, pastiglie. Questi sono calibrati per pulire in profondità, senza aggredire. Alcuni, addirittura, sono approvati o sviluppati dalle stesse case produttrici delle macchine, come De’Longhi o Lavazza. E questo è già un indizio di fiducia. Come si sceglie il decalcificante giusto? La prima cosa da valutare è la compatibilità. Alcuni decalcificanti sono universali, altri sono pensati per un certo tipo di macchina. Usare il prodotto sbagliato può non solo essere inefficace, ma anche dannoso. Quindi: sì al prodotto consigliato dal produttore, o almeno testato su modelli simili al tuo. Poi c’è la questione della facilità d’uso. Se ami la praticità, troverai comode le pastiglie pre-dosate: zero sprechi e nessuna misurazione da fare. Se invece preferisci personalizzare i dosaggi in base alla durezza dell’acqua o alla frequenza d’uso della macchina, i liquidi sono più flessibili. Ma non basta. C’è un altro criterio da tenere in considerazione: la sostenibilità. La sostenibilità conta. Eccome. Oggi più che mai, scegliere un decalcificante non è solo una questione di pulizia interna della macchina, ma anche di responsabilità esterna. I prodotti migliori sono biodegradabili, realizzati con ingredienti naturali, privi di sostanze inquinanti. Anche l’imballaggio ha il suo peso: meglio se in plastica riciclata o riciclabile, magari con etichette chiare che spiegano come smaltirlo correttamente. Ma non è tutto: alcune aziende dichiarano apertamente i loro standard di produzione, usando energia da fonti rinnovabili, evitando test su animali, o compensando le emissioni di CO₂. Insomma, ogni flacone è una piccola dichiarazione d’intenti. E, se ci pensi, è anche un bel modo per iniziare la giornata: con un caffè fatto bene e una coscienza più leggera. Tre decalcificanti consigliati Se a questo punto ti stai chiedendo “sì, ma quale compro?”, ecco tre proposte che abbiamo selezionato per efficacia, sostenibilità e rapporto qualità-prezzo. 1. De’Longhi EcoDecalk DLSC500 Probabilmente il decalcificante ecologico più famoso in Italia. È liquido, viene fornito in flaconi da 500 ml (per circa cinque trattamenti) ed è composto da materie prime naturali e biodegradabili. È approvato dalla stessa De’Longhi e compatibile anche con altre macchine. Una scelta sicura, efficace e green. 2. Lavazza A Modo Mio Decalcificante liquido Perfetto se hai una macchina Lavazza. Questo liquido è dosato per due cicli di pulizia, è facile da usare e ha un profilo neutro che non lascia odori né residui. Anche qui si punta su ingredienti sicuri e formule non aggressive. È la soluzione più immediata per chi cerca comodità e precisione. 3. Oputec Pastiglie Decalcificanti Universali Un’alternativa molto apprezzata per chi usa spesso la macchina da caffè, magari anche in contesto semi-professionale. Le pastiglie Oputec sono compatibili con quasi tutti i modelli in commercio, facili da dosare (una per trattamento), con una formula delicata ma decisa contro il calcare. La confezione ne contiene ben 100: ideale per lunghe durate o per condividerle con amici e colleghi. In conclusione C’è chi pensa che la manutenzione della macchina da caffè sia un dettaglio. Ma non lo è. È un gesto di cura, di attenzione, di rispetto verso il rituale quotidiano del caffè. E anche verso l’ambiente, se si scelgono i prodotti giusti. Che tu scelga il decalcificante del tuo brand preferito o un’alternativa universale, l’importante è non trascurare questo passaggio fondamentale. Perché il gusto del caffè – il tuo gusto – merita sempre un’acqua pulita, un circuito efficiente e una macchina in salute. © Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Alberto Giacometti – L’uomo sottile dell’esistenzialismo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Alberto Giacometti – L’uomo sottile dell’esistenzialismo
Slow Life

Sculture come spiriti: Giacometti e l’angoscia dell’essere nel Dopoguerra di Marco ArezioNel silenzio spezzato delle città europee, dopo la guerra che aveva devastato corpi, anime e architetture, si aggirava l’arte di Alberto Giacometti. Non un’arte gridata, né celebrativa della rinascita industriale o del nuovo trionfo della società dei consumi. Piuttosto, un’arte fatta di figure filiformi, esili come fiammiferi, fragili come ombre evanescenti. Le sculture di Giacometti sono spiriti che attraversano il vuoto del dopoguerra: non personaggi, non eroi, ma esseri umani ridotti all’essenziale, segni verticali che si oppongono alla dispersione, al nulla che li circonda. In esse, la condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo trova la sua forma più sincera, spogliata di retorica e ridotta alla sua nudità metafisica. Un percorso tormentato Nato nel 1901 a Borgonovo, nei Grigioni svizzeri, Giacometti respirò sin da giovane l’aria della pittura grazie al padre Giovanni, artista di rilievo nel panorama elvetico. Dopo la formazione iniziale, si trasferì a Parigi negli anni Venti, frequentando l’Académie de la Grande Chaumière. Qui entrò in contatto con le avanguardie, in particolare il Surrealismo, che ne influenzò la ricerca nelle prime sculture, dense di simboli onirici e di visioni psichiche. Giacometti dialogò con André Breton, Paul Éluard e i circoli intellettuali che ruotavano intorno a questa corrente, ma ben presto avvertì i limiti di un linguaggio troppo chiuso nei meccanismi dell’inconscio collettivo. La sua ossessione, in realtà, era un’altra: la figura umana. Lo sguardo, il volto, il rapporto tra chi osserva e chi è osservato. Nel suo studio angusto di Montparnasse, Giacometti consumava ore intere a tentare di cogliere la presenza di un modello, la vibrazione invisibile che rendeva vivo un corpo. Le sue sculture non nascevano da una spinta decorativa, ma da una battaglia interiore: ridurre la forma fino a raggiungere l’essenza, fino a che la materia non diventasse spirito. Le figure filiformi: anatomia dell’esistenza Dopo l’esperienza bellica, le opere di Giacometti assunsero un volto nuovo e radicale. Le figure si allungarono, si assottigliarono, sembravano smaterializzarsi. Non più carne, ma linee verticali, come se il corpo fosse stato attraversato da un fuoco che ne aveva consumato ogni eccesso. “L’Homme qui marche”, “La Femme debout”, “La Place”: titoli semplici, essenziali, quasi anonimi, che lasciavano spazio all’universalità della condizione umana. Quelle sagome sottili sembravano vivere nell’interstizio tra presenza e assenza. Fragili, isolate, eppure testarde nel rimanere in piedi. Era la rappresentazione più diretta dell’angoscia esistenzialista che attraversava l’Europa del dopoguerra: la percezione di una solitudine incolmabile, di un mondo frammentato, ma anche di una dignità ostinata nel resistere. Le sculture di Giacometti sembrano apparizioni. Non sono individui riconoscibili, ma figure archetipiche, spiriti che ci interrogano con il loro silenzio. Nel loro passo incerto, nella loro immobilità sospesa, risuona la domanda fondamentale: che cosa significa essere uomini, dopo l’orrore della guerra, dopo il crollo delle certezze? Giacometti e l’esistenzialismo Non è un caso che Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, i grandi interpreti della filosofia esistenzialista, abbiano visto in Giacometti un interlocutore privilegiato. Le sue opere, diceva Sartre, erano “sempre in bilico tra essere e nulla”. La condizione dell’uomo, ridotto al suo nucleo fragile, trovava in quelle sculture una trasposizione plastica. Non la grandiosità della forma classica, non la potenza dei corpi michelangioleschi, ma la fragilità di una linea che tenta disperatamente di permanere. Giacometti stesso, nel suo processo creativo, cercava la verità dell’occhio, dello sguardo che non si lascia mai catturare del tutto. La sua ossessione era catturare la distanza tra il sé e l’altro, l’incolmabile vuoto che separa due esistenze. Questo lo avvicina al cuore dell’esistenzialismo: la coscienza dell’isolamento, dell’impossibilità di un possesso totale dell’altro, ma anche la consapevolezza che proprio in questa frattura risiede la nostra condizione umana. Il Dopoguerra e la ricostruzione Le sculture sottili di Giacometti emersero in un periodo in cui l’Europa cercava di rialzarsi, tra macerie fisiche e morali. Accanto al boom economico e alle nuove speranze di progresso, aleggiava un senso di perdita e di smarrimento. L’arte, in quel contesto, poteva assumere due strade: la celebrazione del moderno, con le geometrie dell’astrazione e le promesse della tecnica, oppure la testimonianza del vuoto e del dolore. Giacometti scelse quest’ultima via, consapevole che il compito dell’artista non è consolare, ma rendere visibile ciò che brucia sotto la pelle della società. Il suo lavoro, pur dialogando con le correnti del tempo, rimase solitario, difficile da incasellare. Non era più Surrealismo, non era astrattismo, non era figurazione tradizionale. Era un linguaggio unico, dove il corpo umano diventava simbolo dell’essere, metafora di un’umanità ridotta all’essenziale ma ancora viva. Il messaggio delle sculture Guardare un’opera di Giacometti significa specchiarsi in un fantasma che ci somiglia. Quelle figure sottili ci costringono a fare i conti con la nostra stessa fragilità, con il nostro bisogno di resistere, con la solitudine che ci abita. Sono testimonianze, ma anche ammonimenti: ci ricordano che l’uomo non può mai ridursi a una macchina, a un oggetto tra gli oggetti. Il messaggio non è disperazione, ma consapevolezza. Nella loro sottigliezza, quelle sculture contengono una forza interiore che supera la carne e la materia. Sono anime scolpite nel bronzo, ombre che camminano accanto a noi. La loro fragilità diventa resistenza, la loro solitudine diventa presenza. Conclusione Alberto Giacometti è stato l’artista che più di ogni altro ha saputo tradurre in forma plastica l’essenza del dopoguerra europeo. I suoi uomini sottili sono le nostre paure e le nostre speranze, la nostra solitudine e la nostra forza. In un mondo che ricostruiva fabbriche e città, lui ricostruiva l’uomo, riportandolo alla sua nudità esistenziale. Le sue sculture sono spiriti che ci accompagnano ancora oggi, nella memoria di un secolo ferito ma capace di generare arte immortale.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Cosa è un Fotoelettrolizzatore e Come Funziona nella Produzione dell'Idrogeno Verde
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cosa è un Fotoelettrolizzatore e Come Funziona nella Produzione dell'Idrogeno Verde
Ambiente

Innovazione e Sostenibilità: La Rivoluzione dell'Idrogeno Verde attraverso la Fotoelettrolisidi Marco ArezioL'idrogeno verde rappresenta una delle fonti energetiche più promettenti e sostenibili del nostro futuro energetico. La sua produzione attraverso il fotoelettrolisi dell'acqua utilizza fonti di energia rinnovabile, riducendo significativamente l'impatto ambientale rispetto ai metodi convenzionali basati sui combustibili fossili. Un componente chiave in questo processo è il fotoelettrolizzatore, una tecnologia innovativa che svolge un ruolo cruciale nella conversione dell'energia solare in idrogeno verde. Cos'è un Fotoelettrolizzatore? Un fotoelettrolizzatore è un dispositivo che scompone molecole d'acqua (H2O) in ossigeno (O2) e idrogeno (H2) utilizzando la luce solare come fonte di energia. Questa tecnologia combina i principi della fotoelettrochimica con quelli dell'elettrolisi, permettendo di ottenere idrogeno in modo efficiente e sostenibile. Come Funziona Il processo di fotoelettrolisi si basa sull'utilizzo di semiconduttori sensibili alla luce, noti come fotoelettrodi, che assorbono l'energia solare e la convertono in energia elettrica. Questa energia elettrica viene poi utilizzata per scomporre le molecole d'acqua in idrogeno e ossigeno attraverso una reazione elettrochimica. Il processo può essere riassunto in tre fasi principali: Assorbimento della luce solare: I fotoelettrodi assorbono la luce solare e generano coppie di elettrone-lacuna. Generazione di corrente: Le coppie di elettrone-lacuna generano una corrente elettrica quando si muovono verso gli elettrodi. Elettrolisi dell'acqua: La corrente elettrica stimola la scomposizione dell'acqua negli elettrodi, producendo idrogeno all'anodo e ossigeno al catodo. Costi dell'Idrogeno Verde La produzione di idrogeno verde è storicamente stata considerata costosa a causa dell'alto costo dei fotoelettrolizzatori e dell'energia rinnovabile necessaria per alimentarli. Tuttavia, con il miglioramento delle tecnologie e l'aumento dell'efficienza, i costi stanno diminuendo. Attualmente, il costo dell'idrogeno verde è influenzato da vari fattori, tra cui il costo dell'energia solare, l'efficienza del fotoelettrolizzatore, e i costi operativi e di manutenzione. Perché non si è ancora Sviluppato Completamente l'Idrogeno VerdeNonostante il suo potenziale, lo sviluppo dell'idrogeno verde tramite fotoelettrolisi è limitato da sfide tecniche, economiche e infrastrutturali. Le principali barriere includono l'alto investimento iniziale per la produzione e lo stoccaggio, la necessità di ulteriori ricerche per aumentare l'efficienza dei fotoelettrolizzatori, e la mancanza di infrastrutture dedicate al trasporto e all'utilizzo dell'idrogeno. Vantaggi sull'Ambiente Riduzione delle emissioni di CO2: L'utilizzo dell'energia solare per produrre idrogeno verde elimina le emissioni di gas serra associate alla produzione di idrogeno da combustibili fossili. Sostenibilità: L'idrogeno verde è prodotto utilizzando risorse rinnovabili e abbondanti, come l'acqua e la luce solare. Versatilità: L'idrogeno può essere utilizzato in una varietà di applicazioni, inclusa la generazione di energia, il riscaldamento e come carburante per i veicoli. Svantaggi sull'Ambiente Costi iniziali elevati: Lo sviluppo delle infrastrutture necessarie per la produzione e distribuzione dell'idrogeno verde richiede investimenti significativi. Efficienza: Le attuali tecnologie di fotoelettrolisi hanno efficienze inferiori rispetto ad altri metodi di produzione dell'idrogeno, sebbene vi sia un potenziale di miglioramento. Conclusioni Il fotoelettrolizzatore gioca un ruolo fondamentale nella produzione sostenibile di idrogeno verde, offrendo una soluzione promettente per un futuro energetico pulito. Nonostante le difficoltà esistenti, gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo, insieme ai miglioramenti tecnologici, stanno rendendo la produzione di idrogeno verde sempre più fattibile e conveniente. Con un impegno continuo verso l'innovazione, l'idrogeno verde ha il potenziale per diventare una componente chiave del nostro mix energetico sostenibile.

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https://www.rmix.it/ - Il tuo estrusore si lamenta? prova un cambia filtri in continuo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il tuo estrusore si lamenta? prova un cambia filtri in continuo
Informazioni Tecniche

Cambia filtri in continuo: la pulizia delle impurità nella produzione di granuli plastici da post consumo è diventata una sfida interessantedi Marco ArezioCome abbiamo avuto modo di affrontare in altri articoli, la qualità dell’input della plastica proveniente dalla raccolta differenziata, ha subito negli ultimi anni un generale peggioramento, anche a causa della chiusura delle importazioni sul mercato cinese della fine del 2017. L’aumento della presenza di plastiche miste, come i poli accoppiati, il PVC o le contaminazioni di altre plastiche all’interno della balla di scarti da post consumo che arriva agli impianti di lavorazione delle materie plastiche, mette in difficoltà il produttore di polimeri sul mantenimento di un’idonea qualità dei polimeri da produrre. Mai come in questi periodi la qualità degli impianti di lavaggio degli scarti, sono un fatto fondamentale per selezionare, pulire e limitare, parti non facilmente lavorabili negli estrusori. Meno materiale incompatibile con quello principale da lavorare, come l’HDPE, il PP l’LDPE, l’MDPE, il PS e altri, più ne guadagna la produzione, in termini di velocità, qualità e costi. Il processo di lavaggio deve essere ben progettato in funzione dell’input da lavorare e, il suo utilizzo, non deve essere spinto per massimizzare la produzione, in quanto il ciclo di lavorazione degli scarti all’interno delle vasche prevede corretti tempi di passaggio del materiale, di movimentazione e una lunghezza sufficiente del percorso in acqua per la giusta decantazione del materiale. Non sempre si può disporre di impianti di lavaggio corretti e, non sempre a monte di questi, si può disporre di moderni impianti di selezione ottica dei materiali plastici in entrata, che possono dividere le plastiche per famiglie omogenee di prodotti. Quando il binomio tecnico, selezione automatica efficiente e lavaggi correttamente dimensionati, non sono disponibili o sono sottodimensionati, l’utilizzo del materiale da post consumo per la produzione di granuli riciclati potrebbe comportare molte difficoltà di produzione dei granuli. Sul mercato esistono degli impianti di filtrazione delle impurità che si abbinano agli estrusori e che possono sostituire i tradizionali filtri a cassetta, permettendo di dare alla produzione un aiuto in termini di qualità del granulo realizzato, riduzione degli scarti e velocità di produzione. Stiamo parlando dei cambia filtri in continuo che prevedono un sistema di auto pulizia in continuo dei residui sui filtri, provvedendo all’espulsone delle parti di scarto, il mantenimento della pressione dell’estrusore, con perdite valutabili in 5-10 Bar e una modularità sulla capacità di filtrazione fino a 50 micron. I cambia filtri automatici possono essere impiegati anche per plastiche con instabilità di fluidità all’interno dell’estrusione, come il PET e il Naylon. Per quanto siano ottimi strumenti per migliorare il processo produttivo delle plastiche da post consumo, non bisogna dimenticare che questo tipo di rifiuti, in quanto provenienti da un mix eterogeneo di plastiche miste, avrebbero bisogno di un’attenta filiera di lavorazione che contempla tutti i passaggi inerenti al riciclo meccanico.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - filtri - estrusori

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https://www.rmix.it/ - Hummus di fave secche e limone non trattato: la ricetta mediterranea sostenibile con legumi locali
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Hummus di fave secche e limone non trattato: la ricetta mediterranea sostenibile con legumi locali
Slow Life

Scopri come preparare un hummus alternativo e gustoso con fave secche italiane e limone biologico: un piatto sano, sostenibile e ricco di sapore, perfetto per valorizzare le colture localiQuando si pensa all’hummus, la mente vola immediatamente a ceci e tahina. Ma nelle cucine mediterranee, dove la creatività incontra la stagionalità e la sostenibilità, esistono varianti capaci di riscrivere la tradizione. Questa ricetta a base di fave secche decorticate e limone non trattato è un esempio di come pochi ingredienti locali possano dar vita a un piatto eccezionale. Ricco di fibre, proteine vegetali e gusto autentico, il nostro hummus di fave è anche un atto d’amore verso la terra e le sue risorse. Perché scegliere le fave secche locali: legumi a basso impatto ambientale Le fave secche, soprattutto se decorticate, sono un prodotto straordinariamente sostenibile. Crescono senza bisogno di molta acqua, non richiedono pesticidi o fertilizzanti chimici e migliorano la fertilità del suolo grazie alla loro capacità di fissare l’azoto. Scegliere fave coltivate in Italia (in particolare da produttori pugliesi, siciliani o toscani) significa sostenere filiere corte, ridurre l’impronta carbonica e riscoprire sapori spesso dimenticati. Inoltre, sono facilmente reperibili sfuse o in confezioni compostabili nei mercati locali e nei negozi di prodotti biologici. La selezione degli ingredienti: qualità, origine e stagionalità Per 4 persone, gli ingredienti sono semplici ma devono essere scelti con cura: - 200 g di fave secche decorticate, italiane e preferibilmente biologiche - 1 limone non trattato, per succo e scorza - 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva, meglio se da piccoli frantoi locali - 1 spicchio d’aglio, facoltativo - ½ cucchiaino di cumino o coriandolo in polvere, acquistato sfuso - Sale marino integrale, quanto basta - Acqua di cottura delle fave, per regolare la cremosità Scegliere ingredienti naturali e non industriali è già un passo verso la sostenibilità: niente packaging superfluo, niente conservanti, solo terra e pazienza. L’ammollo: il primo gesto di una cucina consapevole La preparazione dell’hummus inizia la sera prima. Le fave secche vanno sciacquate con cura sotto acqua fredda, quindi immerse in abbondante acqua per 8-12 ore. Questo semplice gesto riduce i tempi di cottura, migliora la digeribilità dei legumi e rispetta la filosofia di una cucina lenta, che non corre ma osserva i ritmi naturali. La cottura lenta: tra tradizione e nutrizione Una volta scolate dall’ammollo, le fave vanno cotte in una pentola capiente con acqua nuova (rapporto 1:4). Lasciatele sobollire per circa 40-50 minuti, fino a quando non saranno tenere e inizieranno a disfarsi. Schiumate durante la cottura e aggiungete un pizzico di sale solo a fine cottura per evitare che le fave induriscano. Conservate una tazza dell’acqua di cottura, vi servirà per ottenere la giusta cremosità. Il limone non trattato: aroma, salute e filiera corta Il limone è più di un semplice agrume in questa ricetta: è il cuore aromatico che conferisce freschezza e complessità al piatto. Sceglietene uno non trattato, possibilmente locale e di stagione. Dopo averlo lavato bene, grattugiate la scorza (senza arrivare all’albedo bianco) e spremetene il succo. Questo agrume, usato interamente, permette di evitare sprechi e di valorizzare ogni sua parte, inclusa la buccia ricca di oli essenziali. Assemblare l’hummus: quando la semplicità diventa sapore Versate le fave cotte (intiepidite) in un mixer o in una ciotola alta da frullatore a immersione. Aggiungete: - il succo e la scorza di limone, - l’olio extravergine, - lo spicchio d’aglio (se gradito), - le spezie macinate, - un pizzico di sale integrale. Frullate aggiungendo poco alla volta l’acqua di cottura delle fave fino a ottenere una consistenza vellutata. L’hummus dev’essere morbido, ma non liquido: deve “tenere” il cucchiaio. Come servirlo: idee sostenibili per accompagnarlo Servite l’hummus in una ciotola rustica, con un filo d’olio crudo e qualche scorzetta di limone per decorazione. Potete accompagnarlo con: - crostini di pane raffermo tostato, - verdure crude a bastoncino (carote, finocchi, sedano), - patate novelle lessate con la buccia, - piadine integrali autoprodotte. Tutto ciò che avanza si può spalmare su fette di pane per la merenda, oppure usare come base per una salsa da condimento per cereali lessati. Conservazione e zero sprechi: come riutilizzarlo in altre preparazioni L’hummus si conserva in frigo per 3-4 giorni, in un barattolo di vetro ben chiuso. Si può anche congelare in porzioni, così da evitare qualsiasi spreco. Un’idea zero waste? Usatelo per farcire panini vegetariani, oppure per mantecare una pasta corta integrale con verdure di stagione: sarà un’alternativa nutriente al classico pesto o alle salse pronte. Un piatto, una filosofia: il valore ambientale dell’hummus di fave Ogni porzione di questo hummus racconta una scelta. Scegliere legumi locali al posto di proteine animali significa risparmiare litri d’acqua, evitare emissioni di CO₂ e sostenere un’economia agricola più equa. Valorizzare il limone non trattato significa fidarsi della terra, non delle etichette. Preparare un piatto in casa, senza imballaggi o prodotti lavorati, significa rallentare e tornare a cucinare davvero. Questo hummus non è solo buono. È giusto, semplice, e profondamente connesso al territorio.Ricette vegane semplici, tecniche base e trucchi per chi vuole mangiare vegetale senza stress, con ironia, gusto e tanta creatività Con oltre 100 ricette 100% vegetali, “Cucina vegetale da paura” di Fabiola Di Sotto, è molto più di un ricettario: è una vera guida per chi vuole portare in tavola piatti gustosi, sani e alla portata di tutti, senza ingredienti di origine animale e senza rinunciare al comfort della cucina di casa. In queste pagine prende forma una cucina creativa e concreta, dove la tradizione incontra l’innovazione e ogni ricetta è pensata per essere replicabile anche da chi ha poco tempo o poca esperienza. Con passione e competenza, l’autrice accompagna il lettore in un percorso fatto di scoperte sorprendenti: sapevi che puoi preparare meringhe e dolci soffici montando l’acqua di cottura dei legumi al posto degli albumi? E che gli stessi legumi, così versatili, possono trasformarsi in gnocchi, creme spalmabili, polpette e persino insaccati vegetali? Il libro offre un’ampia varietà di preparazioni: piatti unici proteici, ideali anche per i bambini, lievitati fragranti, dolci deliziosi, preparazioni base per costruire un menù completo, e proposte più elaborate perfette per le occasioni speciali. Non mancano poi suggerimenti per chi segue una dieta senza glutine, rendendo il volume inclusivo e accessibile a chiunque. Il tono è coinvolgente, pratico e mai dogmatico. Fabiola condivide la sua esperienza di mamma e appassionata di cucina vegetale con generosità, offrendo non solo ricette, ma una vera e propria filosofia del cucinare insieme, con amore e consapevolezza. 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https://www.rmix.it/ - Tubazioni Corrugate per Fognatura in HDPE e PP di Grande Diametro
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Tubazioni Corrugate per Fognatura in HDPE e PP di Grande Diametro
Informazioni Tecniche

Tubazioni Corrugate per Fognatura in HDPE e PP di Grande Diametro attraverso l'uso di granuli riciclatidi Marco ArezioLe linee di fognatura sono progettate in funzione del carico di lavoro che i centri abitati imprimono sul sistema di scarico e, in base ad altri parametri di tipo tecnico-progettuale, vengono stabilite le caratteristiche dei tubi di trasporto dei liquidi di scarico.Le tubazioni non a pressione composte di materiale plastico, specialmente quelle realizzate in Polietilene ad alta densità e in Polipropilene, sono largamente impiegate da decenni a seguito dei vantaggi che sono insiti nelle materie prime costituenti i tubi stessi.Possono essere utilizzati granuli in HDPE riciclati o vergini che abbiano un MFI 0,4-0,7  a 190°/5 Kg., oppure in PP con MFI 1,5-2 a 230°/2,16 Kg. con una corretta stabilità termica e la giusta quantità di carbon black.  Le caratteristiche richieste normalmente in fase di progettazione sono:• Resistenza ai carichi esterni • Resistenza alle aggressioni chimiche ed elettrochimiche • Tenuta bidirezionale delle giunzioni • Caratteristiche idrauliche costanti nel tempo • Ridotta aderenza alle incrostazioni • Facilità di assemblaggio e posa • Ridotto costo di posa e manutenzione I tubi in HDPE e PP possono essere corrugati, cioè presentare una ondulazione di rinforzo della parte esterna della struttura e una finitura liscia nella parte interna. In presenza di tubi di grandi dimensioni è possibile interporre una struttura metallica nell’intradosso della corrugazione con lo scopo di aumentare la resistenza del manufatto al fenomeno denominato “creep”, che si configura in un comportamento visco-elastico del materiale, con la conseguente deformabilità temporanea del tubo. Abbiamo accennato alla presenza dei due strati del tubo, quello esterno corrugato e quello interno liscio, elementi che hanno quindi due funzioni ben distinte. Lo strato interno, liscio, a diretto contatto con i fluidi trasportati, deve possedere una corretta resistenza chimica e meccanica nei confronti dei liquidi trasportati e una resistenza allo scorrimento basso. Lo strato esterno, corrugato, ha la funzione di contrapporsi agli sforzi di compressione che agiscono sul tubo posato, garantendone la durata e l’assenza di rotture. Nel caso di tubature armate, prodotto sviluppano in Giappone negli anni 90 del secolo scorso e successivamente largamente impiegati anche negli Stati Uniti, si associano le caratteristiche delle materie plastiche come la resistenza all’abrasione, la leggerezza, il coefficiente di scabrezza minimo, l’inerzia alle sostanze chimiche e la facilità di posa, alle caratteristiche dell’acciaio che presenta, per esempio, un modulo elastico molto più elevato del polietilene. L’utilizzo del PP anziché l’HDPE avviene in virtù di piccole differenze sui materiali:• Modulo elastico leggermente superiore • Migliore comportamento alle alte temperature (minore però a quelle basse) • Densità e peso specifico inferiore Tra le tre caratteristiche elencate sicuramente la differenza del modulo elastico è quella più importante, in quanto il modulo influenza la rigidità del tubo e quindi la resistenza ai carichi compressivi. Quindi, a parità di spessori, un modulo elastico superiore corrisponde una maggiore resistenza ai carichi e, nel caso dell’HDPE il modulo elastico istantaneo è normalmente > di 800 MPa, mentre nel PP è > di 1250 MPa. Come abbiamo detto, le tubazioni costituite in HDPE e PP hanno ottime caratteristiche idrauliche sia per quanto riguarda la scabrezza delle pareti a contatto con i fluidi, ma anche per quanto riguarda la resistenza all’abrasione, garantendo una costante portata idraulica e una grande durabilità della linea fognaria. Tra i concorrenti dei tubi in PP e HDPE, quali i tubi in cemento, in cemento rivestito, in vetroresina, in gres e in PVC, si è verificato, attraverso prove di laboratorio, che la resistenza all’abrasione interna risulta inferiore tra i concorrenti, quindi, questi, sono soggetti a un maggior logorio meccanico. Tra questi prodotti, quelli composti con PVC, hanno dato risultati vicini ai tubi in PP e HDPE. Per farci un’idea di cosa si intende per tubi fognari di grande diametro, possiamo dire che sul mercato esistono tubi con diametro esterno fino a 2500 mm. ed interno di 2400 mm. circa. Nella posa dei tubi in HDPE, PP e PVC in trincea è fondamentale il ruolo del sottofondo sul quale verrà posata la linea, in quanto questi manufatti sono soggetti al comportamento meccanico di tipo visco-elastico, quindi soggetti ad una costante deformazione nel tempo definito “creep”. In caso di sottofondi non estremamente compatti o soggetti a piccoli movimenti l’impiego di tubi corrugati con armatura in metallo nell’intradosso della corrugazione può aiutare a contenere questo fenomeno. Per quanto riguarda le caratteristiche chimiche dei tubi in HDPE e PP possiamo dire che i materiali costituenti hanno in sé caratteristiche di resistenza ai fenomeni di corrosione elettrochimica o per l’accoppiamento galvanico, in quanto non sono di per se elettricamente conduttivi. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - tubi - fognatura - HDPE - PP

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https://www.rmix.it/ - Pellicole in PP, CPP e BOPP: guida tecnica ai film in polipropilene per packaging moderno e sostenibile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Pellicole in PP, CPP e BOPP: guida tecnica ai film in polipropilene per packaging moderno e sostenibile
Economia circolare

Analisi strutturale e funzionale dei film in polipropilene per l'imballaggio: differenze costruttive, applicazioni industriali e impiego dei polimeri riciclatidi Marco Arezio. Nel panorama dell’imballaggio moderno, la plastica flessibile gioca un ruolo centrale non solo per la sua capacità di proteggere il contenuto, ma anche per l’efficienza con cui accompagna la logistica, la comunicazione visiva e la conservazione dei prodotti. I film a base di polipropilene (PP) incarnano al meglio questa versatilità, offrendo un equilibrio interessante tra proprietà meccaniche, barriera, estetica e processabilità. Tuttavia, definire un film semplicemente come “PP” è una semplificazione che non rende giustizia alla varietà e complessità dei materiali realmente impiegati.Tra le varianti più utilizzate troviamo tre categorie distinte: PP non orientato, CPP (Cast Polypropylene) e BOPP (Biaxially Oriented Polypropylene). Ciascuna presenta caratteristiche specifiche dovute a differenti processi produttivi e a strutture molecolari uniche, con impatti decisivi sulle prestazioni funzionali e sugli ambiti applicativi, dalla conservazione alimentare alla stampa di etichette. Il polipropilene (PP): struttura polimerica e versatilità di base Il polipropilene nasce dalla polimerizzazione del monomero propilene, un idrocarburo a tre atomi di carbonio. La sua catena può assumere diverse configurazioni stereochimiche: isotattica, atattica o sindiotattica. La forma più impiegata nel settore dell’imballaggio è quella isotattica, caratterizzata da una struttura ordinata e cristallina che conferisce al materiale una buona rigidità, trasparenza e resistenza. Le sue proprietà fondamentali lo rendono ideale per l’utilizzo nei film plastici: - Temperatura di fusione relativamente alta (160–165 °C), utile per applicazioni che prevedono trattamenti termici. - Bassa densità (0,90–0,91 g/cm³), che si traduce in una resa maggiore a parità di peso. - Ottima saldabilità e resistenza agli agenti chimici, specialmente grassi e solventi organici. - Inerzia elettrica, che consente applicazioni anche in ambito elettronico. Il PP può essere utilizzato puro (omopolimero) o modificato con etilene (copolimero random o a blocchi), con lo scopo di migliorarne la resistenza all’urto, la flessibilità e la lavorabilità, in base alla destinazione d’uso finale. CPP – Cast Polypropylene: struttura, vantaggi e limiti Il CPP è prodotto tramite un processo di estrusione a testa piatta, in cui il polimero fuso viene colato su una superficie raffreddata e solidificato rapidamente. Questa lavorazione non prevede stiramento molecolare, mantenendo quindi una struttura relativamente amorfa. Di conseguenza, il film CPP è molto più flessibile e facilmente saldabile, ma meno resistente dal punto di vista meccanico rispetto al BOPP. Tra i suoi punti di forza troviamo: - Spessore uniforme, utile per applicazioni che richiedono controllo dimensionale. - Eccellente saldabilità, anche a bassa temperatura, che lo rende ideale come strato interno in accoppiati multistrato. - Buona trasparenza e brillantezza, estetiche utili per confezioni visivamente attrattive. - Flessibilità superiore, vantaggiosa per imballaggi che devono adattarsi alla forma del contenuto. Tuttavia, il CPP presenta anche delle limitazioni evidenti: - La resistenza alla trazione e alla perforazione è inferiore. - La stabilità dimensionale è meno performante, soprattutto in ambienti con variazioni di temperatura. - La rigidità insufficiente ne sconsiglia l’uso in linee di confezionamento automatiche ad alta velocità. Per questi motivi, il CPP viene spesso laminato con altri film, come il PET o il BOPP, per combinare le proprietà di ognuno e ottenere materiali più performanti e su misura per esigenze specifiche. BOPP – Biaxially Oriented Polypropylene: orientamento molecolare per alte prestazioni Il BOPP rappresenta una vera evoluzione ingegneristica nel mondo dei film plastici. Dopo l’estrusione iniziale, il film subisce un processo di biorientamento, ovvero viene stirato in due direzioni ortogonali. Questo allineamento molecolare incrementa in maniera significativa la resistenza meccanica, la rigidità, e la stabilità dimensionale. Grazie a queste proprietà, il BOPP si distingue per: - Altissima resistenza alla trazione lungo entrambi gli assi, MD e TD. - Eccellente stabilità dimensionale, importante per la precisione nelle fasi di stampa e confezionamento. - Superficie planare e brillante, che migliora l’estetica e la leggibilità del packaging. - Ottima barriera all’umidità, anche se non particolarmente efficace contro ossigeno e aromi. - Trattabilità superficiale, che consente metallizzazione, coating acrilici, o trattamenti corona per migliorarne la stampabilità o le prestazioni barriera. Le applicazioni spaziano dall’industria alimentare (flow pack per snack e biscotti), al settore della cosmetica, all’etichettatura autoadesiva, fino all’impiego in nastri adesivi tecnici. Tuttavia, la rigidità del materiale e la sua difficoltà di saldatura senza trattamento superficiale possono rappresentare degli svantaggi in particolari condizioni operative. L’evoluzione sostenibile: polimeri riciclati nei film in PP, CPP e BOPP Nel contesto della transizione ecologica e dell’economia circolare, anche i film plastici devono affrontare una trasformazione profonda. Sempre più frequentemente si integrano quote di polipropilene riciclato (rPP) nei materiali destinati all’imballaggio. Tuttavia, questa operazione non è semplice: il riciclo del PP presenta delle sfide sia tecniche che normative, soprattutto quando si parla di imballaggi alimentari. Esistono due modalità principali di ottenere rPP: - Riciclo meccanico, mediante selezione, lavaggio e granulazione degli scarti post-consumo o post-industriali - Riciclo chimico, con la depolimerizzazione del materiale in monomeri, per poi ottenere nuova materia prima con caratteristiche simili al vergine Dal punto di vista produttivo, i film CPP sono più tolleranti verso l’uso di rPP, poiché non necessitano di elevata omogeneità molecolare. I film BOPP, al contrario, richiedono una distribuzione molto precisa delle masse molari per consentire il biorientamento senza difetti: l’introduzione di rPP può causare problemi di resistenza o uniformità. Le strategie più promettenti includono: - Progetti monomateriale, in cui si accoppiano solo film in PP (CPP + BOPP), per facilitarne il riciclo in flussi omogenei - Certificazioni ambientali (ISCC+, RecyClass) che attestano la tracciabilità del contenuto riciclato - Trattamenti compatibili con il riciclo, come coating facilmente removibili Rimane però una barriera importante: l’utilizzo in settori regolamentati (alimentare, farmaceutico, cosmetico) richiede tracciabilità, certificazioni sanitarie e filiere “closed loop”, ovvero sistemi in cui il materiale post-industriale viene riutilizzato in condizioni controllate e sicure. Conclusioni: una scelta ingegneristica e ambientale Orientarsi tra PP, CPP e BOPP non è soltanto una questione di prestazioni meccaniche o trasparenza estetica: è un atto progettuale consapevole che tiene conto di molteplici fattori. Dalla natura del contenuto da imballare alle esigenze del confezionamento, dalla sostenibilità ambientale alla conformità normativa, la scelta del film rappresenta un bilanciamento tra performance tecniche, efficienza produttiva e impatto ambientale. Nel presente e soprattutto nel futuro, la vera sfida sarà coniugare innovazione e circolarità: film più sottili, facilmente separabili, prodotti con contenuto riciclato e in grado di affrontare con successo i test di barriera, saldabilità e compatibilità industriale. Solo un approccio integrato tra chimica dei materiali, ingegneria di processo e design sostenibile permetterà all’industria del packaging di evolvere in armonia con le esigenze del pianeta.© Riproduzione VietataVedi le pellicole da imballo 

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https://www.rmix.it/ - Effetti della reticolazione sulla resistenza meccanica e alla fatica degli elastomeri
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Effetti della reticolazione sulla resistenza meccanica e alla fatica degli elastomeri
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Analisi dei processi di crosslinking e della loro influenza sulle proprietà meccaniche e sulla durabilità a fatica dei materiali elastomericidi Marco ArezioLa scienza dei materiali polimerici, e in particolare lo studio degli elastomeri, trova uno dei suoi punti centrali nella comprensione del ruolo della reticolazione. Questo processo, che consiste nella creazione di legami chimici o fisici permanenti tra le catene polimeriche, è il fondamento stesso delle prestazioni degli elastomeri in applicazioni tecnologiche che spaziano dai pneumatici all’industria aerospaziale, passando per dispositivi biomedicali e guarnizioni industriali. La reticolazione non è un semplice fenomeno strutturale: è un meccanismo che ridefinisce profondamente la resistenza meccanica, la rigidità, la resilienza e, soprattutto, la resistenza a fatica dei materiali elastomerici. La natura della reticolazione negli elastomeri Gli elastomeri sono caratterizzati dalla loro capacità di subire grandi deformazioni elastiche e di ritornare alla forma originaria una volta rimosso lo sforzo. In assenza di reticolazione, le catene polimeriche tendono a scorrere l’una rispetto all’altra, riducendo la stabilità dimensionale e favorendo fenomeni di creep o rilassamento. La reticolazione introduce punti di ancoraggio chimici o fisici che limitano questo scorrimento, creando una rete tridimensionale capace di conferire stabilità e migliorare le proprietà meccaniche. Il grado di reticolazione è un parametro critico: una densità troppo bassa comporta un materiale eccessivamente morbido e vulnerabile all’usura, mentre un eccesso di legami incrociati può rendere il materiale fragile, riducendo l’elasticità e aumentando la probabilità di rottura sotto sollecitazioni cicliche. Proprietà meccaniche e resistenza statica La resistenza meccanica degli elastomeri dipende in larga misura dalla densità e dalla distribuzione dei punti di reticolazione. Una rete ben bilanciata garantisce una buona resistenza alla trazione, al taglio e alla compressione. L’aumento dei legami incrociati riduce la mobilità segmentale delle catene, incrementando il modulo elastico del materiale. In questo modo, l’elastomero diventa più resistente alla deformazione permanente e acquisisce una maggiore durezza superficiale. Tuttavia, esiste un compromesso tra resistenza e deformabilità. La resilienza tipica degli elastomeri, cioè la capacità di assorbire e rilasciare energia, diminuisce quando la densità di reticolazione è troppo elevata. Ciò richiede una progettazione mirata del grado di crosslinking in funzione dell’applicazione specifica, come accade nella formulazione dei compound per pneumatici ad alte prestazioni, dove si ricerca il bilanciamento tra grip, resistenza all’usura e stabilità dimensionale. Resistenza a fatica e comportamento sotto sollecitazioni cicliche La fatica rappresenta uno dei limiti più critici per gli elastomeri impiegati in applicazioni dinamiche. Durante l’esercizio, i materiali elastomerici sono soggetti a cicli ripetuti di carico e scarico che inducono microfratture localizzate, le quali, con il tempo, si propagano fino alla rottura macroscopica. La reticolazione influenza direttamente la resistenza a fatica attraverso due meccanismi principali: - Stabilizzazione delle catene polimeriche, che riduce la mobilità molecolare e limita l’accumulo di danno. - Distribuzione degli sforzi interni, che permette alla rete reticolata di dissipare l’energia applicata in maniera più uniforme. Tuttavia, un eccesso di reticolazione può avere un effetto controproducente. La rigidità indotta dai numerosi legami rende più difficile il riarrangiamento molecolare durante la deformazione ciclica, favorendo la nucleazione di microfessure. Per questo motivo, la progettazione delle formulazioni elastomeriche deve tener conto non solo delle condizioni statiche, ma soprattutto dei carichi ciclici che il materiale dovrà sostenere nel lungo periodo. Effetti microstrutturali e chimici della reticolazione Dal punto di vista chimico, la reticolazione può avvenire tramite processi di vulcanizzazione a base di zolfo, attraverso perossidi organici o per mezzo di radiazioni ionizzanti. Ciascun metodo genera morfologie di reticolazione differenti, che a loro volta influenzano le prestazioni finali. La vulcanizzazione solforica, ad esempio, produce legami polisolfurici, più flessibili ma anche più suscettibili a rottura termica e ossidativa; i perossidi, invece, formano legami carbonio-carbonio molto più stabili, ma conferiscono al materiale una maggiore rigidità. Questi aspetti si riflettono sulla resistenza a fatica: i sistemi a legami più flessibili garantiscono una migliore dissipazione delle sollecitazioni cicliche, mentre quelli più rigidi resistono meglio agli ambienti aggressivi, ma riducono la vita a fatica. L’ottimizzazione richiede quindi un compromesso tra stabilità chimica, resistenza all’invecchiamento e comportamento sotto stress ripetuto. La vita utile e la progettazione di materiali elastomerici Determinare e controllare la vita utile di un materiale elastomerico è una delle sfide più complesse nella scienza dei polimeri applicata. La vita utile non è un parametro assoluto, ma dipende da una molteplicità di fattori che vanno dalla formulazione chimica alla densità di reticolazione, dall’ambiente di esercizio alle modalità di sollecitazione. Ogni elastomero, in quanto materiale viscoelastico, combina caratteristiche elastiche tipiche dei solidi con proprietà dissipative proprie dei fluidi, e ciò implica che il suo comportamento nel tempo non è mai rigidamente prevedibile senza un’analisi dettagliata delle condizioni operative. Un pneumatico da competizione, ad esempio, è progettato per resistere a sollecitazioni cicliche estremamente intense per un arco temporale breve, mentre un giunto di tenuta per l’industria petrolchimica deve mantenere prestazioni stabili per anni in un ambiente aggressivo e variabile. In entrambi i casi, la progettazione della reticolazione diventa un vero e proprio strumento di “taratura funzionale”: la rete tridimensionale creata dai legami incrociati deve essere calibrata per rispondere in modo selettivo agli stimoli meccanici e chimici dell’ambiente operativo. La reticolazione ottimale permette non solo di incrementare la resistenza statica, ma soprattutto di modulare il comportamento a fatica. Un materiale elastomerico sottoposto a carichi ciclici accumula inevitabilmente micro danni localizzati: piccole fratture, zone di cavitazione e microvuoti che si propagano sotto l’azione delle sollecitazioni ripetute. La densità e la natura dei legami di reticolazione stabiliscono in che misura tali difetti vengono confinati o propagati. Una rete troppo rigida ostacola i movimenti di rilassamento delle catene polimeriche, favorendo la nucleazione di microfratture; una rete troppo debole, al contrario, non riesce a contenere la deformazione plastica, generando cedimenti prematuri. In questa prospettiva, la vita utile di un elastomero non può essere intesa unicamente come tempo alla rottura, ma come capacità di mantenere prestazioni funzionali entro margini accettabili lungo tutto il ciclo di utilizzo. Gli strumenti di progettazione moderna, basati su modelli di meccanica della frattura, analisi viscoelastica e simulazioni multiscala, consentono oggi di correlare parametri microstrutturali, come la distribuzione dei legami e la loro energia di dissociazione, a proprietà macroscopiche come resistenza a fatica, resilienza e stabilità dimensionale. Un’area di ricerca particolarmente promettente riguarda la reticolazione dinamica e reversibile. In contrasto con i legami covalenti permanenti tipici degli elastomeri tradizionali, i sistemi dinamici introducono legami “labili” che possono rompersi e riformarsi sotto specifici stimoli (temperatura, pH, campi elettrici). Questa caratteristica conferisce agli elastomeri proprietà di autoriparazione: microfessure e difetti che si formano durante l’esercizio vengono progressivamente sanati dal riarrangiamento delle catene polimeriche, ritardando il collasso macroscopico del materiale. Gli elastomeri vitrimici, ad esempio, si basano su reti covalenti adattive in cui i legami chimici, pur permanendo nella loro densità complessiva, possono scambiarsi in seguito a stimoli termici. Questo consente non solo la riparazione dei danni, ma anche la possibilità di riciclare e rielaborare materiali che tradizionalmente venivano considerati non recuperabili a fine vita. Allo stesso modo, gli elastomeri a base di legami idrogeno o di interazioni ioniche reversibili offrono un bilanciamento interessante tra resistenza meccanica e capacità di auto-rigenerazione. Dal punto di vista industriale, queste innovazioni rappresentano un potenziale cambio di paradigma. Se, in passato, la progettazione degli elastomeri era orientata a massimizzare la durata “statica” attraverso un compromesso tra densità di reticolazione e stabilità chimica, oggi la ricerca si orienta verso la creazione di materiali capaci di rigenerarsi e adattarsi dinamicamente al contesto operativo. Ciò significa ridurre i costi di sostituzione, allungare la vita dei prodotti e, soprattutto, aumentare la sostenibilità complessiva dei processi industriali. Non bisogna trascurare, inoltre, l’impatto ambientale legato alla fine vita degli elastomeri. La possibilità di modulare la reticolazione in modo che sia reversibile apre prospettive concrete per il riciclo chimico e meccanico di materiali che fino ad oggi erano considerati difficili da recuperare. In questo senso, la progettazione della reticolazione non è solo una leva tecnica per migliorare le prestazioni meccaniche, ma diventa una strategia chiave per coniugare durabilità e sostenibilità, elementi sempre più richiesti in settori che spaziano dall’automotive al biomedicale, fino all’edilizia e all’energia. In conclusione, la vita utile degli elastomeri non è un dato fisso, ma una variabile che può essere modulata attraverso un design intelligente della reticolazione. Il futuro dei materiali elastomerici si muove verso un approccio dinamico, dove i legami non sono soltanto vincoli strutturali, ma strumenti attivi di adattamento e rigenerazione. Questo apre la strada a una nuova generazione di elastomeri, non solo più resistenti, ma anche più “intelligenti” e sostenibili, capaci di estendere i confini delle loro applicazioni e di rispondere alle esigenze di una società sempre più attenta all’efficienza e all’impatto ambientale. Considerazioni finali Gli effetti della reticolazione sulla resistenza meccanica e alla fatica degli elastomeri rappresentano un campo di ricerca e sviluppo strategico. Il grado e la natura dei legami incrociati determinano non solo le proprietà statiche del materiale, ma soprattutto la sua capacità di sopportare carichi ciclici nel tempo. Un equilibrio tra densità di reticolazione, stabilità chimica e resilienza meccanica è la chiave per sviluppare elastomeri ad alte prestazioni, in grado di rispondere alle sfide della mobilità, dell’industria e della sostenibilità.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Gestione dei Pallets in un Magazzino con Bassa Rotazione. Quali Problemi?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Gestione dei Pallets in un Magazzino con Bassa Rotazione. Quali Problemi?
Management

Come influisce la scelta del pallet in legno o in plastica in un magazzino a bassa o bassissima  rotazionedi Marco ArezioIl manager della logistica aziendale ha ben presente i flussi dei materiali che arrivano dalla produzione o dai fornitori, e i tempi di sosta nei propri magazzini prima che vengano venduti.Conoscere il movimento delle merci in un magazzino non è fondamentale solo per l’ufficio acquisti, per programmare l’ingresso delle materie prime o dei semilavorati o dei materiali commercializzati, ma diventa importante anche per l’ufficio commerciale, per sapere quale prodotto è in pronto per la vendita e in quanto tempo il cliente potrà ricevere ciò che ha comprato. Inoltre, l’ufficio amministrativo vede i flussi di magazzino trasformati in liquidità circolante o non circolante, con conseguenza sugli impegni finanziari dell’azienda. Molte cose girano intorno alla logistica di un’azienda e la velocità di rotazione del magazzino implica alcune considerazioni importanti per chi si occupa di questa attività. Oggi vorrei analizzare un aspetto che riguarda la durabilità degli imballi dei prodotti in un magazzino a bassa e bassissima rotazione, specialmente per quelle aziende che devono produrre ampi stocks di merce, secondo campagne stabilite o per determinati impegni sugli impianti o per avere una gamma di prodotti disponibili molto ampia. Non potendo generalizzare, considerando la grandissima quantità di articoli imballati diversi tra loro, prendiamo in considerazione un bene durevole, contenuto in un Big Bag su bancale in legno. Supponiamo, inoltre, che il materiale prodotto o acquistato venga depositato in un’area esterna, non coperta, esposto agli agenti atmosferici. Per motivi economici spesso si prendono in considerazione i bancali in legno, nuovi o usati, per depositare in magazzino i big bags con la merce da vendere, senza preoccuparci troppo dell’origine del legno e della sua situazione fitosanitaria, a meno che non venga espressamente richiesta per spedizioni in determinati paesi. In un magazzino a media od alta rotazione, la qualità del legno che compone il bancale è normalmente controllata principalmente per una questione di resistenza meccanica del bancale. Si controlla la robustezza a discapito della durata, in quanto, in questa condizione di magazzino, è un parametro non totalmente necessario. Se, invece, il magazzino ha una bassa o bassissima rotazione delle merci, la durabilità del bancale in legno diventa un aspetto da controllare attentamente. Infatti, la permanenza dei pallets in magazzino, non solo sono soggetti agli agenti atmosferici, ma può succedere di dover anche considerare la presenza di funghi, batteri o insetti che potrebbero vivere all’interno del bancale, riducendone la qualità. Soprattutto è da tenere presente la dimensione del magazzino, espresso in numero di bancali depositati e la permanenza degli stessi nel tempo. Maggiori saranno questi due numeri e maggiori saranno i rischi sulla durabilità del legno. I bancali in legno sono soggetti all’attacco di numerosi elementi che tendono a nutrirsi del legno stesso, o a colonizzare la struttura con il pericolo di infettare i pallets ancora sani. I più comuni organismi e parassiti che possiamo incontrare sono: Lictidi Bostrichidi Buprestidi Nematodi Curculionidi Anobidi Siricidi Cerambicidi Edemeridi Isoptera Scolitidi L’acquisto di pallets non trattati dal punto di vista fitosanitario, comporta il rischio, con il tempo, di rendere possibile una contaminazione generale del magazzino, con un possibile aumento dei costi di stoccaggio e movimentazione per l’eventuale sostituzione dei bancali ammalorati, senza contare la probabilità di non poter garantire la stabilità del big bags al momento della sostituzione. Il problema si può risolvere acquistando, sempre, bancali a cui è stato effettuato il trattamento fitosanitario termico, o chimico (a spruzzo, ad immersione o a pressione), o la fumigazione o altri interventi previsti dalla certificazione IPPC. Se l’acquisto di bancali trattati dal punto di vista fitosanitario aiuta ad aumentare la loro durabilità rispetto ai parassiti e gli insetti, c’è anche da considerare la variabile della pioggia, della rugiada, del gelo o di tutte quelle condizioni atmosferiche che permettono al bancale in legno di assorbire l’acqua. In questi casi, in un magazzino a bassa o bassissima rotazione, può essere consigliabile prendere in considerazione un bancale di plastica, che non è soggetto alle problematiche meteorologiche, escludendo il gelo e il sole. Per ovviare a questi due inconvenienti è importante informarsi sulla qualità della plastica utilizzata per iniettare il bancale, che dovrà avere una sufficiente elasticità, oltre che una buona resistenza alla compressione e flessione. Inoltre, per questo tipo di magazzino, è consigliabile acquistare bancali in plastica che contengano un master anti U.V. di almeno 12 mesi, che si può ottenere inserendo, durante la produzione, specifici additivi o con aumentando il carbon black nell’impasto polimerico, se il bancale sarà nero.

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https://www.rmix.it/ - L’enigma della casa abbandonata di Foppolo. Capitolo 7.1: Il Geologo e la Casa dei Ravelli
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’enigma della casa abbandonata di Foppolo. Capitolo 7.1: Il Geologo e la Casa dei Ravelli
Racconti

L’enigma della casa abbandonata di Foppolo. Capitolo 7.1: Il Geologo e la Casa dei RavelliRacconti. L’enigma della casa abbandonata di Foppolo. Capitolo 7.1: Il Geologo e la Casa dei RavelliL’appuntamento era fissato per le dieci e trenta all’Albergo Monte Toro, il rifugio che Marina Ravelli aveva scelto come base dei suoi ritorni a Foppolo. Fuori, la neve cadeva lenta e fitta, in silenzio, coprendo ogni cosa con un candore ingannevole. Il paese sembrava sospeso tra due mondi: quello reale e quello dei ricordi. Marco Anselmi, nella piccola hall, fissava l’orologio del bancone con l’impazienza di chi sa che ogni minuto d’attesa pesa come un presagio. Giorgio avrebbe impiegato più di due ore per salire da Bellano, ma Marina non dubitava della sua puntualità. Conosceva quel tipo di uomini: metodici, testardi, incapaci di prendere la vita con leggerezza. Geologo di professione, amante delle montagne per vocazione, Giorgio aveva una reputazione solida nel mondo delle analisi ambientali e dei terreni. Alle dieci e ventotto, il ronzio di un motore in salita annunciò il suo arrivo. La Fiat Panda 4x4 verde scuro, impolverata, fischiava nelle curve come un vecchio aereo che si ostina a volare. Giorgio la trattava come un compagno di spedizioni: la carrozzeria segnava i ricordi di viaggi e campioni geologici, il sedile posteriore era pieno di mappe, martelli, corde e strumenti. Sopra i cento all’ora, la macchina tremava come un animale stanco, ma lui non se ne curava. “Quando un mezzo ti porta dove devi arrivare,” ripeteva, “non chiedergli di essere comodo.” Quando parcheggiò davanti all’albergo, scese avvolto nel suo giaccone grigio e nel berretto di lana tirato fino alle sopracciglia. L’aria di Foppolo, tagliente come una lama, gli fece arrossare le guance. Spense il motore con un gesto deciso, chiuse la portiera e sorrise vedendo Marina e Marco che lo attendevano sulla soglia. «Puntuale come un orologio svizzero,» commentò Marina. «La Panda non tradisce mai.» Entrarono insieme, scrollandosi la neve di dosso. Marina fece strada e si accomodarono nella piccola sala riunioni al piano superiore: un ambiente raccolto, con un grande tavolo in legno, due finestre che davano sul versante del Montebello e il profumo di cera e legna che saliva dal camino del piano di sotto. La luce che filtrava dalle tende sottili era lattiginosa, quasi irreale. Si sedettero accanto a una stufa in ghisa, ed ordinarono caffè e cappuccini. «Giorgio, ti presento Marco Anselmi,» disse lei, alzandosi. «È il giornalista di cui ti ho parlato. È lui che ha trovato… certe cose.» Si strinsero nuovamente la mano. Giorgio notò la stretta decisa di Marco, la stessa di chi vive più di dubbi che di certezze. Poi, sistematosi il cappotto sulla sedia, osservò l’ambiente con attenzione, come se fosse una sezione geologica da interpretare. Ogni scricchiolio del pavimento sembrava dirgli qualcosa. Marina prese la parola, indicando le tazze fumanti che aveva fatto portare poco prima. «Prima di entrare nei dettagli tecnici, vorrei che Marco riassumesse gli ultimi avvenimenti. Ti aiuterà a capire perché ti abbiamo chiamato.» Marco annuì e iniziò a parlare, con tono calmo ma intenso. «Tutto è cominciato con un vecchio articolo di cronaca e con quella casa maledetta, la casa dei Ravelli. Ci sono entrato, di notte. Non avrei dovuto, forse, ma l’ho fatto. Ho trovato un orologio da taschino inciso con le iniziali di Alberto Ravelli, tuo fratello, e un’immagine che ancora non riesco a spiegarmi: una figura, forse un’ombra, comparsa in una fotografia scattata al piano superiore.» Si fermò un attimo, osservando la reazione di Giorgio. Il geologo non parve stupito, ma incuriosito. I suoi occhi, chiari e attenti, si muovevano come se stessero scandagliando un terreno invisibile. Marina, invece, abbassò lo sguardo, serrando le labbra. Non era facile per lei sentire il nome del fratello pronunciato ad alta voce. Marco proseguì: «Nei giorni successivi, ho parlato con Gianni del Cervo Nero, con la signora Faustina e con altri paesani. Tutti raccontano la stessa storia, ma con un dettaglio ricorrente: un freddo innaturale, luci tra gli alberi e una figura con un cappotto lungo, apparsa la notte della scomparsa. Ho pensato che potesse esserci una spiegazione razionale, qualcosa legato al terreno, magari a gas sotterranei o fenomeni fisici che alterano la percezione. Ecco perché ho chiesto a Marina di contattarti.» Giorgio ascoltò in silenzio, tamburellando le dita sul tavolo. Poi inspirò lentamente. «Non credo ai fantasmi,» disse. «Ma credo nella memoria della terra. Se qualcosa di strano è accaduto, il terreno lo sa. Ogni frana, ogni smottamento, ogni infiltrazione lascia un segno, anche a distanza di decenni. Posso prelevare campioni vicino alla casa, verificare se ci sono cavità, gas, tracce di movimenti anomali. Se i Ravelli sono spariti davvero, forse la risposta non è nell’aria, ma nel suolo.» Marina annuì con un misto di sollievo e inquietudine. «E se invece… non fosse solo un fenomeno naturale?» Giorgio la guardò con la pazienza di chi ha visto molte paure nascere dal nulla. «Ogni leggenda parte da qualcosa di vero. Sta a noi capire cosa.» Fu allora che Marco posò sul tavolo due oggetti: l’orologio d’argento e una stampa della fotografia scattata nella casa. Giorgio prese l’orologio con rispetto, lo osservò controluce, poi lo accostò all’orecchio, come se potesse ancora pulsare. «1978…» mormorò. «Un regalo di laurea, forse.» «Sì,» disse Marina con un filo di voce. «Glielo diede nostro padre, poco prima di morire.» Il silenzio che seguì fu denso come la neve fuori dalle finestre. Solo il ticchettio dell’orologio da parete sembrava scandire la distanza tra passato e presente. Poi Giorgio tornò a parlare, pratico come sempre: «Bene. Voglio fare un sopralluogo sul posto, oggi stesso. Preleverò campioni di terreno e aria. E se possibile, vorrei che veniste entrambi. Non è solo questione di analisi: è importante capire come il luogo “parla”.» Marina esitò. «Tornare lì… non sarà facile.» «Niente che valga la pena è facile,» replicò Giorgio, asciutto ma non privo di compassione. «E poi, se davvero quella casa è una prigione, come dice il barista, qualcuno dovrà pur aprire le sbarre.» Marco sorrise, quasi sollevato. Per la prima volta da giorni, sentiva che qualcosa di concreto stava prendendo forma. La leggenda, forse, avrebbe ceduto il passo alla scienza. Ma fuori, mentre i tre si preparavano a uscire, la neve prese a cadere più fitta, cancellando i contorni delle cose. Foppolo, ancora una volta, sembrava chiudersi su se stessa, come una montagna che non vuole rivelare i propri segreti. E in quell’istante, mentre Giorgio avviava il motore della sua Panda e il rombo dell’auto si perdeva tra le valli, Marco ebbe una sensazione che non seppe spiegare: che qualcuno, da qualche finestra lontana, li stesse osservando muoversi — come pedine inconsapevoli su una scacchiera disegnata molti anni prima. © Riproduzione Vietata#marcoarezio

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https://www.rmix.it/ - Crisi Michelin: Sfide Attuali e Adattamento per il Futuro
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Crisi Michelin: Sfide Attuali e Adattamento per il Futuro
Notizie Brevi

Come Michelin sta cercando di superare una delle più grandi crisi della sua storiadi Marco ArezioMichelin, simbolo dell'industria francese e leader mondiale nella produzione di pneumatici, si trova oggi ad affrontare una delle sfide più dure della sua storia. La decisione di chiudere due stabilimenti produttivi in Francia, con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro, è solo l'ultimo capitolo di una crisi che riflette una realtà industriale in trasformazione. Dietro questa scelta ci sono fattori complessi, legati alla concorrenza globale, all'aumento dei costi di produzione e alla necessità di adattarsi a un mercato in rapida evoluzione. I Problemi Attuali di Michelin Michelin si è trovata costretta a rivedere la sua strategia industriale a causa di diversi elementi che stanno influenzando negativamente l'intero settore dei pneumatici. Tra questi, il principale è la concorrenza sempre più aggressiva da parte dei produttori del sud-est asiatico. Questi ultimi, grazie a costi di manodopera inferiori e a una maggiore flessibilità nei processi produttivi, sono in grado di offrire prodotti a prezzi notevolmente più bassi rispetto ai produttori europei. Ciò ha messo una forte pressione su Michelin, rendendo difficile mantenere competitivi gli stabilimenti francesi. L'aumento dei costi energetici e di produzione è un altro fattore determinante. In Francia, il costo del lavoro è significativamente più elevato rispetto a quello di molti paesi asiatici, rendendo le operazioni produttive meno redditizie. Inoltre, la crescente pressione per adottare pratiche produttive sostenibili e conformarsi a normative ambientali più stringenti ha richiesto a Michelin di fare ingenti investimenti, spesso difficili da sostenere in un contesto economico già fragile. La Concorrenza del Sud-Est Asiatico La competizione con i produttori del sud-est asiatico è una delle problematiche più ardue per Michelin. Paesi come Cina, Thailandia e Indonesia hanno saputo sviluppare una capacità produttiva che combina elevati volumi con costi molto bassi, ottenendo così un vantaggio competitivo difficilmente colmabile. Il supporto governativo sotto forma di sussidi e incentivi all'export ha permesso ai produttori asiatici di penetrare il mercato globale con pneumatici a basso costo, rendendo ancora più difficile per Michelin competere efficacemente sul prezzo. Nonostante la qualità superiore dei prodotti Michelin, il consumatore medio è spesso spinto verso alternative più economiche, specialmente in tempi di incertezza economica come quelli attuali. Questa situazione ha costretto l'azienda a rivedere le sue priorità strategiche, concentrando la produzione in aree dove i costi sono più contenuti e chiudendo quegli impianti che non possono più garantire una redditività sostenibile. Strategia di Ristrutturazione e Prospettive Future La chiusura degli stabilimenti è parte di una più ampia strategia di ristrutturazione volta a migliorare l'efficienza operativa e a garantire la sostenibilità finanziaria nel lungo termine. Michelin ha deciso di concentrare le proprie risorse sugli stabilimenti più moderni e produttivi, puntando al contempo a ridurre i costi e incrementare la propria presenza nei mercati in crescita. Un altro aspetto centrale della strategia di Michelin è l'investimento in ricerca e sviluppo. L'azienda sta investendo significativamente in nuove tecnologie per produrre pneumatici più sostenibili e a basso impatto ambientale. Questo approccio non solo risponde alle normative europee sempre più stringenti in materia di emissioni e sostenibilità, ma rappresenta anche una risposta diretta alla domanda di prodotti più ecologici da parte dei consumatori. Michelin punta così a differenziarsi non solo per la qualità dei propri pneumatici, ma anche per il loro impatto ambientale. Innovazione e Sostenibilità come Chiave per il Futuro Per superare la crisi, Michelin sta cercando di riposizionarsi come leader nella produzione sostenibile di pneumatici. L'azienda sta lavorando a progetti innovativi come pneumatici riciclabili al 100% e soluzioni che riducano l'impronta di carbonio dell'intero ciclo produttivo. La scommessa sulla sostenibilità è cruciale per mantenere un vantaggio competitivo su una concorrenza che basa gran parte della sua strategia sui costi bassi. Inoltre, Michelin sta esplorando nuove partnership strategiche e alleanze internazionali per condividere know-how e sviluppare soluzioni congiunte, puntando anche a una maggiore automazione per ridurre i costi di produzione. Queste iniziative sono tutte mirate a rendere l'azienda più agile e reattiva ai cambiamenti del mercato, assicurandosi al contempo di continuare a prosperare in un settore in rapida evoluzione. Conclusione La situazione attuale di Michelin è rappresentativa di una più ampia sfida che l'industria europea deve affrontare: competere con produttori internazionali che beneficiano di costi di produzione più bassi e condizioni operative più favorevoli. La chiusura degli stabilimenti in Francia è un passo doloroso ma necessario per garantire la competitività dell'azienda. Guardando al futuro, Michelin sta puntando su innovazione, sostenibilità e automazione per rimanere rilevante e continuare a essere un punto di riferimento nel mercato globale dei pneumatici.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Il vetro nell’economia circolare.
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il vetro nell’economia circolare.
Economia circolare

L’incremento dell’uso del vetro si vede al supermercato. di Marco ArezioIl trend di crescita del fatturato degli imballi di vetro nelle catene di supermercati per prodotti alimentari, come evidenziato dal report di Assovetro, riflette un cambiamento significativo nei comportamenti di consumo e nelle politiche ambientali. Questo interesse rinnovato verso il vetro, anziché altri materiali come la plastica, può essere analizzato attraverso diverse lenti: ambientale, economica, e di percezione del consumatore. Contesto Ambientale e Regolamentare Il vetro, essendo completamente riciclabile, si inserisce perfettamente nella narrativa dell'economia circolare, un principio fondamentale per ridurre l'impronta ecologica e migliorare la sostenibilità. L'Europa, in particolare, ha messo in atto numerose direttive volte a ridurre la produzione di rifiuti e aumentare le quote di riciclaggio. La strategia europea per la plastica nel 2018 ha spinto molte aziende a riconsiderare le loro opzioni di imballaggio, promuovendo materiali sostenibili come il vetro. L'obiettivo dell'industria europea di raggiungere un tasso di raccolta del vetro per il riciclo del 90% entro il 2030 è un'espressione di queste politiche ambientali aggressive. Dinamiche di Mercato del VetroI dati presentati da Assovetro mostrano un incremento significativo nel fatturato di prodotti imballati in vetro in categorie diverse, da alimenti base come i sughi a prodotti più voluttuari come il vino e la birra. Questo può essere interpretato come un indicatore di una crescente preferenza dei consumatori per il vetro, visto come più sicuro, riciclabile e meno impattante rispetto alla plastica. Le aziende che operano nei settori alimentare e delle bevande stanno rispondendo a questo cambiamento con investimenti in linee di produzione per imballaggi in vetro e iniziative di marketing che sottolineano la sostenibilità del vetro.Percezione dei Consumatori sulla sostenibilità degli imballi di vetroIl rapporto sottolinea una crescente sensibilità dei consumatori verso la sostenibilità e l'impatto ambientale dei materiali di imballaggio. Anche se la preferenza per il vetro può derivare da una percezione non completamente informata dell'impatto ambientale della plastica, rappresenta comunque una spinta positiva verso materiali considerati più "puliti" e "naturali". Inoltre, il vetro è spesso percepito come un materiale che migliora l'esperienza di consumo, mantenendo meglio le proprietà organolettiche dei prodotti, soprattutto nel settore alimentare e delle bevande. Implicazioni per il Settore Retail e Produttivo I supermercati e i produttori stanno adattando le loro strategie per capitalizzare su queste tendenze. Questo include non solo l'adattamento delle linee di prodotti ma anche l'implementazione di strategie di raccolta e riciclo del vetro per ridurre i costi e migliorare l'efficienza operativa. Il successo in questi sforzi può anche essere un forte punto di differenziazione nel mercato, attrattivo per i consumatori che sono sempre più consapevoli delle questioni ambientali. Conclusione In conclusione, l'aumento del fatturato degli imballi di vetro nei supermercati riflette una trasformazione significativa nelle preferenze dei consumatori e nelle pratiche aziendali. Questo non solo cambia il panorama dei materiali di imballaggio ma segna anche un punto di svolta verso pratiche più sostenibili e responsabili. Tuttavia, affrontare la sfida di aumentare le quote di raccolta e riciclo del vetro sarà cruciale per realizzare appieno i benefici ambientali promessi da questo cambiamento.Categoria: notizie - vetro - economia circolare - rifiuti - rottameVedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - ENEL: Produzione di Idrogeno da impianti Eolici in Cile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare ENEL: Produzione di Idrogeno da impianti Eolici in Cile
Notizie Brevi

Il Cile avrà il suo primo impianto per la produzione di Idrogeno attraverso un elettrolizzatore alimentato ad energia eolica.Sebbene oggi la produzione di idrogeno, attraverso le energie rinnovabili non sia ancora competitiva in termini di costo Kw, rispetto alla produzione con gas naturale o con il carbone, non c'è dubbio che la progressiva diminuzione dei costi della produzione di elettricità da fonti rinnovabili, nei prossimi anni, permetterà l'apertura di un mercato molto interessante in termini di dislocazione della produzione energetica totalmente verde.Come si può leggere dal rapporto di Enel sull'impianto di produzione di Idrogeno in Cile, attraverso l'uso di energia eolica, la decarbonizzazione dei sistemi industriali e civili passa anche per questa strada.Enel Green Power Chile (EGP Chile), controllata di Enel Chile, prevede di partecipare con la società elettrica cilena AME e i futuri partner ENAP, Siemens Energy e Porsche, all’installazione di un impianto pilota per la produzione di idrogeno verde attraverso un elettrolizzatore alimentato da energia eolica a Cabo Negro, a nord di Punta Arenas, nella regione di Magallanes, soggetto all’approvazione da parte delle autorità locali e alla finalizzazione della struttura di finanziamento. L’entrata in esercizio dell’impianto è prevista per il 2022, rendendolo così il primo progetto di questo tipo che produrrà idrogeno in Cile, oltre ad uno dei più grandi in America Latina. L’annuncio è avvenuto durante un evento a cui ha partecipato il ministro cileno dell'Energia Juan Carlos Jobet. Salvatore Bernabei, recentemente nominato CEO globale di Enel Green Power nonché responsabile della linea di business Global Power Generation di Enel ha dichiarato: “L'idrogeno verde può davvero svolgere un ruolo importante nella transizione energetica supportando la decarbonizzazione di settori le cui emissioni sono più difficili da abbattere, e nei quali l'elettrificazione degli usi finali non è una soluzione semplice. Enel punta su questo tipo di idrogeno, che viene prodotto tramite elettrolizzatori, alimentati al 100% da elettricità rinnovabile. Questo progetto, che è una pietra miliare per il Gruppo a livello globale, può mettere in pratica la nostra visione; nello specifico, un impianto come questo può consentirci di analizzare le migliori soluzioni tecnologiche per produrre in modo efficiente idrogeno sfruttando la ricchezza di risorse e le solide infrastrutture della regione di Magallanes. Come stiamo facendo in Cile, continueremo a cercare altri Paesi in tutto il mondo nei quali è possibile lanciare iniziative simili ".  Un progetto in Patagonia In un Paese con risorse naturali straordinarie, la Patagonia si distingue per avere alcune delle migliori condizioni del vento sulla terraferma al mondo grazie alla sua vicinanza all’Antartide, come dimostra uno studio sulle risorse eoliche condotto da EGP Chile negli ultimi due anni. Queste caratteristiche uniche permettono alla Patagonia di avere una produzione costante di energia eolica, che rappresenta un elemento chiave per consentire alla regione di posizionarsi come polo di sviluppo dell’idrogeno verde. In particolare, la regione di Magallanes ha la necessità di diversificare il suo mix energetico che era storicamente improntato su petrolio e gas, facendo leva sulle infrastrutture esistenti per accelerare la decarbonizzazione attraverso l’idrogeno verde generato dall’energia eolica.  Idrogeno verde in Cile Il Cile si sta affermando come uno dei Paesi con il maggior potenziale per la produzione e l’esportazione di idrogeno verde al mondo. Stando al Ministero dell’Energia cileno, grazie all’idrogeno verde a basso costo, entro il 2050, sarà resa possibile una riduzione del livello di CO2 accumulato del Paese fino al 20%. L’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che il Cile sia in grado di produrre 160 milioni di tonnellate di idrogeno verde all’anno, raddoppiando l’attuale domanda di idrogeno e, secondo le proiezioni di Bloomberg, il prezzo dell’idrogeno verde sarà competitivo con il diesel in meno di 10 anni circa. Enel in Cile è la più grande azienda elettrica per capacità installata con oltre 7.200 MW di cui oltre 4.700 MW di energia rinnovabile, nello specifico: oltre 3.500 MW di energia idroelettrica, oltre 600 MW di energia eolica, circa 500 MW di energia solare e circa 40 MW di energia geotermica. Il Gruppo opera anche nel settore della distribuzione attraverso Enel Distribución Chile, che serve circa 2 milioni di clienti, e nel business delle soluzioni energetiche avanzate attraverso Enel X Chile. Enel Green Power, all’interno del Gruppo Enel, è dedicata allo sviluppo e alla gestione di rinnovabili in tutto il mondo, con una presenza in Europa, Americhe, Asia, Africa e Oceania. Leader mondiale nel settore dell’energia rinnovabile, con una capacità gestita di oltre 46,4 GW e un mix di generazione che include l’energia eolica, l’energia solare, l’energia geotermica e l’energia idroelettrica, Enel Green Power è all’avanguardia nell’integrazione di tecnologie innovative in impianti rinnovabili. 

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