Nell’era del boom economico, il 1963 segna una data importante per un’azienda lungimirante che pensava fuori dagli schemidi Marco ArezioI primi anni ’60 la plastica iniziava a compiere i primi e decisivi passi che avrebbero poi caratterizzato lo sviluppo economico e sociale del secolo scorso. Pochi anni prima Giulio Natta aveva ottenuto il Nobel per la chimica per le sue ricerche che lo portarono alla scoperta del polipropilene. I Caroselli nella TV in bianco e nero di allora magnificavano i molteplici usi del Moplen, con il quale si potevano realizzare contenitori leggeri, resistenti e colorati, perfettamente in grado si sostituire quelli fatti in lamiera verniciata, pesanti e che potevano arrugginirsi. Nella sale cinematografiche, intanto, gli italiani si appassionavano al Gattopardo. È infatti nel 1963, come abbiamo detto, in pieno boom economico, che grazie all’intuizione e ad una visione illuminata di Innocente Caldara e del cognato Mario Pontiggia, nasce la “Pontiggia & Caldara” che sessant’anni più tardi sarebbe diventata la Caldara Plast che conosciamo oggi. Il Sig. Innocente girava instancabilmente l’Italia con il suo camion, un OM Tigrotto, in un periodo di grandi innovazioni in tutti i settori. È in questo scenario, in un’Italia in grande fermento, in cui tutti gli scantinati di Milano erano occupati da qualche laboratorio dove si produceva “qualcosa”, che Innocente Caldara vide due residui plastici che molte industrie eliminavano, una risorsa da riutilizzare e riportare a nuova vita. Erano solo gli anni Sessanta ma questa è l’idea che oggi sta alla base dell’economia circolare. In quei primi faticosi ma emozionanti anni, l’azienda faceva trasporti per varie società situate nella provincia di Lecco, operanti nella distillazione del metacrilato, portando il monomero ai clienti di queste ditte. Il modus operandi era semplice ma efficace: da queste ditte che producevano lastre di metacrilato venivano ritirati gli scarti prodotti e, successivamente, gli stessi venivano venduti alle aziende che si occupavano di distillazione. Con l’evoluzione del mercato e dei materiali, (erano anni di gran fermento nell’industria dei polimeri), al metacrilato trattato inizialmente si aggiunsero presto anche gli scarti di Policarbonato, dell’ABS, della Poliammide e del Polistirolo. Così, anche l’azienda, come il mercato, stava cambiando. Negli anni Settanta venne costruito, non con pochi sacrifici, il capannone di Caslino d’Erba, paese d’origine della famiglia Caldara, necessario ormai per contenere tutti gli scarti ritirati. Qui vennero posizionati i primi mulini acquistati per macinare le diverse tipologia di materiali, e stoccare il macinato pronto da rivendere in Italia ma anche all’estero. Giungono in fretta gli anni Novanta e la ditta diventa “Innocente Caldara snc”. Accanto al Sig. Innocente inizia a lavorare a 17 anni il figlio Attilio, il secondo dei suoi figli, che si occupa della macinazione degli scarti. Anche Massimiliano, il figlio maggiore, lascia la società in cui lavorava ed entra nell’azienda di famiglia. Avendo la patente per guidare il camion si alterna al papà nella guida del nuovo Iveco 190, anche lui girando l’Italia recuperando scarti di polimeri da avviare alla macinazione. Nel 1994, il terzo figlio, Alessandro, si unisce ai fratelli e al padre occupandosi anche lui di trasporti e macinazione. A supportare tutto questo gran lavoro negli uffici arriva Ester, che si occupa di amministrazione e contabilità e che affianca la Sig.ra Angela, moglie del Sig. Innocente, che da sempre, con costanza e rigore, tiene le fila della parte amministrativa dell’azienda. Ora, che la quantità di scarti aumenta, sorge un dubbio ai Caldara “ma che ce ne facciamo di tutti questi scarti acquistati e macinati? Sono belli, colorati, perfino simpatici, gli ambientalisti non sono ancora intervenuti gridando che la plastica è uno dei mali del mondo, ma nel nostro magazzino incominciano a diventare un po' troppi.” E allora? Internet e il web ancora non esistevano... così si incominciò con il telefono e le pagine gialle a trovare potenziali clienti a cui interessassero le plastiche macinate, e altri potenziali fornitori da cui acquistare scarti di lavorazione. Massimiliano, approfittando di uno stop forzato a seguito di un incidente in moto, iniziò a stare al telefono e ad occuparsi in prima persona della ricerca di clienti e dei rapporti con i fornitori. Siamo negli anni Novanta e in Caldara è già iniziata l’era dell’economia circolare. Continua… Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.Fonte: Caldara
SCOPRI DI PIU'Scopri come le nazioni più virtuose stanno trasformando la sostenibilità in realtà attraverso energie rinnovabili, economia circolare e politiche ambientali all’avanguardiadi Marco ArezioIn un’epoca segnata dall’urgente necessità di affrontare le sfide ambientali, come il cambiamento climatico, l'inquinamento e l’esaurimento delle risorse naturali, alcuni Paesi si ergono come esempi virtuosi di sostenibilità. Queste nazioni non si limitano a gestire le emergenze ambientali, ma adottano un approccio proattivo e integrato, dimostrando che è possibile coniugare sviluppo economico, benessere sociale e tutela dell’ambiente. Essere leader in sostenibilità non significa semplicemente avere aria pulita e acqua cristallina. Significa adottare un sistema di gestione che coinvolga l’intera società, dai governi ai cittadini, e che abbracci una visione a lungo termine. Questi Paesi hanno compreso che la sostenibilità non è un lusso o un’opzione, ma una necessità per garantire il futuro delle prossime generazioni. Attraverso un mix di innovazione tecnologica, educazione ambientale e politiche rigorose, hanno trasformato le sfide ambientali in opportunità di crescita. L’importanza di adottare misure concrete non è mai stata così evidente come oggi. Eventi climatici estremi, perdita di biodiversità, innalzamento del livello del mare e inquinamento diffuso rappresentano problemi globali che richiedono risposte immediate. Tuttavia, i Paesi virtuosi dimostrano che affrontare queste questioni non deve significare sacrificare lo sviluppo o la qualità della vita. Al contrario, molti di loro hanno visto migliorare la salute pubblica, l'economia locale e il turismo grazie a un ambiente più pulito e vivibile. Un aspetto cruciale è la capacità di coinvolgere tutti i settori della società. Non si tratta solo di emanare leggi, ma di promuovere una cultura della sostenibilità. Le scuole insegnano ai bambini l’importanza del rispetto per l’ambiente, le aziende adottano modelli di economia circolare per ridurre gli sprechi e i cittadini sono incentivati ad adottare stili di vita più consapevoli, come l’uso di mezzi di trasporto pubblici o l’energia rinnovabile. L’utilizzo di indicatori come l’Environmental Performance Index (EPI) è un ulteriore punto di forza. Questi strumenti analizzano numerosi parametri, come la qualità dell’aria, la gestione dei rifiuti, la conservazione delle risorse naturali e l’accesso a fonti di energia sostenibili, fornendo una visione chiara dello stato di salute ambientale di una nazione. Attraverso questi dati, i Paesi sono in grado di valutare i progressi fatti, identificare le aree di miglioramento e pianificare nuove strategie. Ma cosa rende questi Paesi dei modelli? Non è solo la tecnologia, né soltanto la geografia favorevole: è la combinazione di visione politica, coinvolgimento sociale e innovazione. Ogni nazione virtuosa ha trovato un proprio equilibrio, sviluppando soluzioni che riflettono le sue risorse naturali, il contesto culturale e le sfide specifiche. Alcuni puntano sull’energia rinnovabile, altri sulla protezione della biodiversità, altri ancora su sistemi avanzati di gestione dei rifiuti. Questi esempi di eccellenza dimostrano che la sostenibilità non è un’utopia, ma una strada percorribile. Ogni Paese che aspira a migliorare la propria qualità ambientale può trarre ispirazione da questi modelli, adattando le soluzioni migliori alle proprie realtà. E mentre affrontiamo un futuro incerto, le storie di successo di queste nazioni ci ricordano che il cambiamento positivo è possibile, a patto che ci sia la volontà di agire e un impegno collettivo per preservare il nostro pianeta. Nei paragrafi successivi analizzeremo le caratteristiche distintive di ciascuno di questi Paesi, evidenziando le strategie che li hanno portati a essere tra i leader mondiali nella tutela dell’ambiente. Danimarca: L’Avanguardia della Sostenibilità La Danimarca è leader mondiale grazie a politiche innovative e una visione a lungo termine. La sua energia deriva in gran parte dal vento, con enormi parchi eolici sia sulla terraferma che offshore. Copenaghen, capitale della sostenibilità, è un modello di mobilità urbana, con piste ciclabili integrate e trasporti pubblici elettrici che riducono l’uso delle automobili. Anche le infrastrutture urbane riflettono un design attento alla riduzione dell’impatto ambientale, con soluzioni per il riciclo dell’acqua e spazi verdi rigeneranti. Regno Unito: Innovazione e Foreste Rinnovabili Nel Regno Unito, la transizione verso l’energia pulita è guidata da una crescente dipendenza da fonti rinnovabili come l’eolico e il solare. Il governo ha investito in programmi per ampliare le foreste nazionali, che svolgono un ruolo cruciale nel contrastare le emissioni di CO₂. Inoltre, le città britanniche stanno adottando infrastrutture verdi, con particolare attenzione alla qualità dell’aria nelle aree urbane. Finlandia: La Perfezione nella Gestione delle Risorse La Finlandia eccelle grazie alla sua gestione responsabile delle risorse naturali, come acqua e foreste. La qualità dell’aria e dell’acqua è tra le migliori al mondo, grazie a un controllo rigoroso delle attività industriali e a un sistema energetico orientato verso fonti rinnovabili. La cultura ambientale è radicata nel sistema educativo, incoraggiando uno stile di vita consapevole sin dalla giovane età. Malta: Piccola ma Potente Nonostante le sue ridotte dimensioni, Malta ha fatto notevoli progressi nel miglioramento della gestione dei rifiuti e delle risorse idriche. L’isola punta a un turismo sostenibile e alla riduzione dell’inquinamento industriale, investendo in tecnologie che migliorano la qualità dell’ambiente. Svezia: Economia Circolare e Biodiversità La Svezia è un esempio di economia circolare. Con oltre il 50% dei rifiuti riciclati, il Paese utilizza energia geotermica e idroelettrica per alimentare gran parte delle sue attività. Le foreste, che coprono gran parte del territorio, sono gestite in modo sostenibile per garantire la biodiversità e fornire risorse senza compromettere l’ambiente. Lussemburgo: Mobilità Sostenibile Il Lussemburgo si distingue per il trasporto pubblico gratuito, alimentato in gran parte da energia rinnovabile. Nonostante le sue dimensioni, il Paese ha dedicato ampie risorse alla protezione delle aree verdi e alla promozione dell’agricoltura biologica, riducendo l’impatto dei pesticidi. Slovenia: La Fusione tra Natura e Innovazione Con oltre metà del territorio coperto da foreste, la Slovenia è una delle nazioni più verdi d’Europa. Lubiana, la capitale, è un simbolo di sostenibilità urbana, grazie a un sistema avanzato di gestione dei rifiuti e una mobilità dolce che riduce l’uso dei veicoli privati. Svizzera: Precisione ed Efficienza Ecologica La Svizzera è sinonimo di eccellenza nella gestione delle risorse naturali. Grazie all’uso diffuso delle energie rinnovabili e a un rigoroso controllo dell’inquinamento, il Paese ha raggiunto standard elevatissimi nella qualità della vita e nella tutela ambientale. Austria: Città Verdi e Agricoltura Biologica L’Austria bilancia perfettamente modernità e rispetto per la natura. Le città, come Vienna, vantano una combinazione di infrastrutture tecnologiche e ampie aree verdi. Il Paese promuove attivamente l’agricoltura biologica e l’uso sostenibile delle risorse. Islanda: Il Paradiso dell’Energia Pulita Grazie alla sua posizione geografica unica, l’Islanda utilizza risorse geotermiche e idroelettriche per alimentare l’intero Paese. La natura incontaminata e la tutela degli habitat sono priorità nazionali, rendendo l’Islanda un modello globale per la gestione sostenibile dell’energia. Questi Paesi dimostrano che un cambiamento positivo è possibile con una visione chiara, politiche mirate e il coinvolgimento collettivo. Ogni nazione ha trovato il proprio equilibrio, adattando soluzioni innovative alle proprie risorse e realtà locali. I loro successi offrono una guida per affrontare le sfide globali, mostrando che sostenibilità e progresso possono andare di pari passo.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Scopri l'origine dei rifiuti metallici, le tecnologie di recupero e come i metalli riciclati possono essere riutilizzati per un’economia circolaredi Marco ArezioIl riciclo dei metalli rappresenta una delle soluzioni più efficaci per ridurre l’impatto ambientale dell’estrazione mineraria e per garantire un uso sostenibile delle risorse naturali. Tuttavia, non tutti i metalli vengono riciclati con la stessa efficienza. Le percentuali di recupero variano da un sorprendente 86% per l’oro a meno dello 0,5% per il litio, sollevando interrogativi sulla gestione dei rifiuti metallici e sulle opportunità future. Per comprendere le ragioni di queste disparità, è necessario esplorare l'origine dei rifiuti metallici, le tecnologie di recupero e il loro utilizzo successivo. Da Dove Provengono i Rifiuti Metallici? I metalli utilizzati nell’industria moderna provengono da prodotti complessi e ampiamente diffusi, spesso alla fine del loro ciclo di vita. Nel settore dell’elettronica, per esempio, smartphone, computer e televisori contengono una grande varietà di metalli, tra cui oro, argento, platino e terre rare. Questi dispositivi, una volta dismessi, diventano una fonte preziosa di materiali riciclabili, anche se il loro recupero richiede processi tecnologicamente avanzati. L’industria automobilistica è un’altra grande produttrice di rifiuti metallici. I veicoli fuori uso contengono rame, alluminio, acciaio e batterie al litio-ionico, che rappresentano una risorsa essenziale per il recupero di metalli strategici come il litio e il cobalto. Anche l’edilizia contribuisce in modo significativo, fornendo materiali come zinco, rame e acciaio da infrastrutture e edifici demoliti. Infine, gli imballaggi in alluminio, come lattine e involucri alimentari, costituiscono una fonte importante di materiali riciclabili, se adeguatamente raccolti. Perché Le Percentuali di Riciclo Sono Così Diverse? Le differenze nelle percentuali di riciclo dei metalli dipendono da diversi fattori, tra cui il valore economico del materiale, la disponibilità di tecnologie per il recupero e l’efficienza dei sistemi di raccolta. Metalli preziosi come l’oro, con un tasso di riciclo dell’86%, beneficiano di un alto valore economico che incentiva gli investimenti in tecnologie avanzate. Allo stesso modo, platino e palladio raggiungono un 60% di riciclo grazie alla loro importanza nell’industria automobilistica e nei dispositivi elettronici. Dall’altra parte dello spettro, metalli come il litio (0,5%) e le terre rare (0,2%) soffrono di percentuali estremamente basse. Questo è dovuto alla complessità tecnica del loro recupero, spesso integrati in dispositivi di piccole dimensioni e difficili da separare. Anche metalli più comuni, come l’alluminio (42%) e il rame (33%), hanno percentuali di riciclo limitate nonostante la loro ampia disponibilità, a causa di una gestione inefficiente dei rifiuti in molte regioni del mondo. Come Funziona il Riciclo dei Metalli? Il riciclo dei metalli richiede processi tecnologicamente avanzati che variano a seconda del materiale da recuperare. I metalli preziosi, come oro, argento e platino, vengono recuperati attraverso metodi chimici, come la lisciviazione con acidi, o fisici, come l’elettrolisi. Questi processi permettono di separare i metalli puri dai materiali di scarto, rendendoli pronti per nuovi utilizzi. Per i metalli di base, come alluminio e rame, il processo è spesso più semplice. Ad esempio, l’alluminio viene fuso e riformato, risparmiando fino al 95% dell’energia rispetto alla produzione primaria. Anche il rame, estratto da cavi e tubature, segue un processo simile, che prevede triturazione e fusione per ottenere materiale riciclato di alta qualità. Il riciclo dei metalli strategici, come litio e cobalto, è ancora in fase di sviluppo. Questi materiali, spesso recuperati da batterie esauste, richiedono tecnologie innovative come l’idrometallurgia, che utilizza solventi per separare i metalli, o processi pirometallurgici ad alta temperatura. Dove Avviene il Riciclo dei Metalli? La geografia del riciclo dei metalli è strettamente legata alla disponibilità di infrastrutture avanzate e alla domanda di materiali riciclati. In Europa, paesi come Germania e Belgio sono leader nel riciclo di metalli preziosi e strategici, grazie a normative rigorose e tecnologie di punta. L’Italia si distingue nel riciclo dell’alluminio, con consorzi come CIAL che promuovono una gestione sostenibile degli imballaggi. In Asia, la Cina domina il riciclo delle terre rare, mentre Giappone e Corea del Sud guidano gli sforzi per il riciclo delle batterie. Gli Stati Uniti, invece, si concentrano principalmente sul recupero di rame, alluminio e acciaio, ma stanno aumentando gli investimenti nel trattamento di batterie e terre rare. Quali Sono gli Impieghi dei Metalli Riciclati? I metalli riciclati trovano applicazione in molti settori chiave dell’economia globale. L’oro e l’argento vengono riutilizzati per circuiti elettronici, gioielli e contatti elettrici, mentre l’alluminio trova impiego in imballaggi, componenti automobilistici e costruzioni leggere. Il rame riciclato è essenziale per cavi elettrici e tubature, e metalli strategici come litio e cobalto sono reintegrati in nuove batterie per veicoli elettrici e sistemi di accumulo energetico. Le terre rare, nonostante le basse percentuali di riciclo, sono cruciali per la produzione di magneti permanenti utilizzati in turbine eoliche, motori elettrici e dispositivi elettronici avanzati, contribuendo a una transizione energetica sostenibile. Sfide e Opportunità per il Futuro del Riciclo dei Metalli Nonostante i progressi, il riciclo dei metalli presenta sfide importanti. I costi elevati e la complessità tecnica del recupero, soprattutto per metalli strategici, rappresentano ostacoli significativi. Inoltre, la mancanza di infrastrutture adeguate nei paesi in via di sviluppo limita la raccolta e il trattamento dei rifiuti metallici. Tuttavia, le opportunità sono enormi. L’innovazione tecnologica può ridurre i costi di recupero e migliorare l’efficienza dei processi, mentre politiche di incentivazione possono favorire la creazione di una filiera globale del riciclo più robusta. La sensibilizzazione dei consumatori e delle aziende è fondamentale per aumentare la quantità di materiali avviati al riciclo, trasformando le percentuali attuali in un modello virtuoso per l’economia circolare. Conclusioni: Verso un Futuro Sostenibile Il riciclo dei metalli è una componente essenziale di un’economia sostenibile. Aumentare le percentuali di recupero, sviluppare tecnologie più efficienti e migliorare i sistemi di raccolta sono passi indispensabili per ridurre l’impatto ambientale e garantire un uso responsabile delle risorse naturali. Il futuro del riciclo dei metalli dipende dalla nostra capacità di investire nell’innovazione e di adottare un approccio sistematico che valorizzi ogni risorsa disponibile.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Aziende, università e organizzazioni che offrono finanziamenti per formare la nuova generazione di esperti in sostenibilità e innovazione circolare: condizioni di accesso e opportunitàdi Marco ArezioL’economia circolare è diventata una priorità strategica per l'Unione Europea e numerose aziende e università stanno investendo in formazione avanzata per preparare la prossima generazione di professionisti in questo campo. In particolare, l'accesso a borse di studio per corsi di specializzazione rappresenta una grande opportunità per gli studenti e i professionisti che desiderano ampliare le loro competenze e contribuire attivamente alla transizione verso modelli di produzione e consumo più sostenibili. Di seguito, una panoramica di alcune delle principali aziende e università in Europa che offrono borse di studio per corsi di specializzazione sull’economia circolare, e le condizioni per accedervi. Università o istituti di istruzione superiore Università di Cambridge (Regno Unito) Il Centre for Industrial Sustainability dell'Università di Cambridge è uno dei principali centri di ricerca nel campo dell'economia circolare. L'università offre borse di studio, come la Cambridge Trust Scholarship, per studenti internazionali che vogliono partecipare a programmi di ricerca e specializzazione legati all’economia circolare. Le borse sono generalmente destinate a studenti di dottorato o post-laurea e coprono parzialmente o totalmente le tasse universitarie e i costi di soggiorno. Tra le condizioni per l’accesso alla borsa vi è l’obbligo di dimostrare eccellenza accademica e, in alcuni casi, esperienza pregressa in ambiti correlati alla sostenibilità. Università di Wageningen (Paesi Bassi) L'Università di Wageningen è nota per la sua specializzazione nelle scienze ambientali e agrarie, con un forte focus sull’economia circolare. Offre vari programmi di master e dottorato nel settore della gestione delle risorse e dei rifiuti, nonché modelli economici sostenibili. Le borse di studio sono disponibili attraverso il programma Holland Scholarship, il quale sostiene studenti internazionali non appartenenti allo Spazio Economico Europeo (SEE). Le borse coprono parzialmente le spese universitarie e offrono supporto per i costi di vita. Le condizioni richiedono un alto rendimento accademico e una dichiarazione di motivazione che dimostri un forte impegno per l'economia circolare. Università di Lund (Svezia) La Lund University offre un programma di master in "Environmental Management and Policy", che comprende corsi di specializzazione sull’economia circolare. I candidati possono accedere a borse di studio fornite dal Swedish Institute, che finanzia studenti non europei provenienti da paesi in via di sviluppo. Queste borse coprono sia le tasse universitarie sia le spese di soggiorno. Le condizioni per ottenere una borsa includono il merito accademico e la provenienza da contesti con un forte potenziale per applicare i principi di economia circolare nel paese d'origine. Aziende private e fondazioni Fondazione Ellen MacArthur La Ellen MacArthur Foundation è una delle organizzazioni leader a livello mondiale nella promozione dell'economia circolare. Offre borse di studio e sovvenzioni attraverso programmi di ricerca per dottorandi e giovani professionisti che lavorano su progetti legati all’innovazione circolare. Le condizioni per ottenere una borsa includono la presentazione di un progetto innovativo che risponda a specifiche esigenze di transizione verso l'economia circolare, nonché l’adesione a valori di sostenibilità e collaborazione internazionale. Schneider Electric Schneider Electric, un'azienda globale che si occupa di gestione energetica e automazione, è impegnata attivamente nel supporto di iniziative legate all'economia circolare. La società offre borse di studio attraverso il programma Schneider Electric Global Scholarship, in collaborazione con diverse università europee. Il programma è rivolto a studenti di ingegneria e gestione, con un particolare focus su progetti di economia circolare e sostenibilità ambientale. Le condizioni per l'accesso includono la presentazione di un progetto o di un caso studio inerente l'economia circolare, nonché il mantenimento di un alto rendimento accademico. Unilever Unilever è un’altra azienda leader nell’adozione di pratiche di economia circolare e sostenibilità. L’azienda ha lanciato il programma di borse di studio "Unilever Sustainable Living Young Entrepreneur Awards", volto a supportare giovani imprenditori che lavorano su progetti innovativi per la sostenibilità e l’economia circolare. Le borse sono aperte a studenti e giovani professionisti di tutto il mondo e comprendono finanziamenti per la formazione e il mentoring da parte di esperti. Le condizioni per accedere alla borsa includono la presentazione di un’idea imprenditoriale o di un progetto che abbia un impatto concreto in termini di economia circolare. Organizzazioni internazionali e iniziative pubbliche Programma Erasmus+ Il programma Erasmus+ è uno degli strumenti più accessibili per studenti europei e internazionali che desiderano partecipare a corsi di specializzazione sull’economia circolare. Erasmus+ offre borse di studio per mobilità internazionale e formazione post-laurea, che possono essere utilizzate per frequentare corsi brevi, programmi di master o dottorati in università che offrono specializzazioni in economia circolare. Le condizioni per accedere a queste borse includono l’iscrizione a un programma di studio accreditato e la disponibilità a partecipare a scambi o progetti di cooperazione transnazionale. Climate-KIC (Knowledge and Innovation Community) Climate-KIC, una comunità europea di innovazione climatica, offre borse di studio per studenti e ricercatori interessati a lavorare su soluzioni circolari per affrontare la crisi climatica. Le borse di studio sono parte del programma Pioneers into Practice, che include anche corsi di formazione, stage in aziende europee e mentoring. Le condizioni per ottenere una borsa di studio attraverso Climate-KIC includono un forte impegno per la sostenibilità, esperienza pratica o accademica nel settore dell’economia circolare, e la partecipazione a progetti collaborativi internazionali. Circular Economy Initiative Germany Questa iniziativa, promossa dal Ministero dell’Economia tedesco, offre borse di studio e fondi per la ricerca sull’economia circolare, in particolare per progetti che mirano a migliorare la gestione delle risorse, il riciclo e la riduzione dei rifiuti industriali. Le borse sono destinate principalmente a ricercatori e professionisti che lavorano in settori ad alta intensità di risorse e prevedono un finanziamento per corsi di specializzazione, ricerca e progetti pilota. Le condizioni includono la presentazione di un progetto di ricerca innovativo e il coinvolgimento di partner industriali o accademici. Conclusione L'accesso a borse di studio per corsi di specializzazione sull’economia circolare è sempre più frequente in Europa, grazie all’interesse crescente per questo approccio economico. Università, aziende e organizzazioni pubbliche offrono opportunità di finanziamento che variano a seconda del programma di studio, del background del candidato e dell’impegno nel settore della sostenibilità. I candidati interessati dovrebbero considerare attentamente le condizioni di accesso, che spesso richiedono eccellenza accademica, esperienza pregressa e un forte orientamento verso soluzioni innovative e sostenibili.
SCOPRI DI PIU'Perché le risate, l'amore e le esperienze genuine valgono più di qualsiasi bene materialedi Marco ArezioIn un mondo che spesso sembra ossessionato dall'ostentazione e dal possesso materiale, è facile perdere di vista ciò che costituisce veramente il lusso. Gli slogan pubblicitari e i social media bombardano costantemente le nostre vite con immagini di orologi scintillanti, bracciali preziosi e feste sontuose. Tuttavia, c'è una dimensione del lusso che va oltre il tangibile, che risiede nelle esperienze emotive e nelle connessioni umane che non possono essere acquistate. Questa riflessione ci invita a riscoprire il vero significato del lusso, un lusso che non si trova nei negozi né nei regali, ma nella semplicità e nella bellezza delle relazioni e delle esperienze quotidiane. Il Lusso delle Risate e degli Amici Le risate condivise con amici sinceri sono una delle forme più pure di lusso. Non esiste un prezzo che possa essere attribuito a un momento di gioia spontanea, a una battuta che ci fa ridere fino alle lacrime, o a una serata passata a chiacchierare senza fine. Questi sono momenti che costruiscono legami duraturi e creano ricordi indelebili. Le amicizie autentiche ci forniscono un senso di appartenenza e comprensione che nessun bene materiale può eguagliare. Nel tumulto delle nostre vite frenetiche, è facile dimenticare quanto sia prezioso avere qualcuno con cui condividere risate genuine. Il Lusso della Natura: La Pioggia sul Viso C'è una bellezza incommensurabile nel vivere in sintonia con la natura. Sentire la pioggia sul viso, ascoltare il fruscio delle foglie o osservare un tramonto mozzafiato sono esperienze che ci riconnettono con la nostra essenza più profonda. Questi momenti di connessione con la natura ci ricordano che il lusso non risiede nel controllo o nella conquista, ma nella capacità di apprezzare la semplicità e la maestosità del mondo naturale. Essere immersi nella natura può portare una serenità e una consapevolezza che difficilmente si trovano nelle città affollate o negli ambienti artificiali. Il Lusso degli Abbracci e dei Baci Il contatto umano è una delle necessità fondamentali della nostra esistenza. Gli abbracci e i baci non solo rappresentano affetto, ma sono anche manifestazioni fisiche di amore e sostegno. Questi gesti semplici hanno il potere di rassicurare, di confortare e di rinforzare i legami emotivi. Nella frenesia del quotidiano, un abbraccio sincero può essere un balsamo per l'anima, un momento di pausa e di connessione autentica con un altro essere umano. Il Lusso dell'Amore e del Rispetto Essere amati e rispettati è forse il lusso più grande di tutti. Il rispetto e l'amore non possono essere comprati né forzati; devono essere guadagnati e nutriti nel tempo. La sensazione di essere apprezzati per chi siamo veramente, e non per ciò che possediamo, è una fonte di sicurezza e autostima ineguagliabile. Le relazioni basate sull'amore e sul rispetto reciproco sono pilastri di una vita soddisfacente e significativa. Il Lusso della Famiglia: Genitori e Nipoti Avere i propri genitori vivi e poter giocare con i nipotini sono doni inestimabili. La famiglia rappresenta le nostre radici e il nostro futuro, un ponte tra passato e presente che ci offre continuità e stabilità. La presenza dei genitori ci ricorda le nostre origini e le lezioni apprese, mentre la gioia di vedere i nipotini crescere e scoprire il mondo è una fonte di felicità pura. Questi legami familiari sono fondamentali per il nostro benessere emotivo e rappresentano un lusso che nessuna somma di denaro può comprare. Il Lusso delle Esperienze Inestimabili Le esperienze che arricchiscono la nostra vita vanno ben oltre il valore monetario. Un viaggio indimenticabile, una conversazione profonda, un momento di riflessione solitaria o un attimo di pura felicità sono tesori che compongono la nostra storia personale. Ogni esperienza vissuta ci forma e ci arricchisce in modi che i beni materiali non potranno mai fare. Il vero lusso risiede nella capacità di vivere appieno questi momenti, di essere presenti e di apprezzare le piccole gioie della vita. Conclusione Riscoprire il vero significato del lusso ci invita a rivalutare le nostre priorità e a trovare valore nelle cose che realmente contano. Le risate, gli amici, la natura, gli abbracci, l'amore, la famiglia e le esperienze vissute sono i veri tesori della nostra esistenza. Questi sono i lussi che il denaro non può comprare, ma che arricchiscono la nostra vita in modi profondi e duraturi. Nell'inseguire queste forme di lusso, possiamo trovare © Vietata la Riproduzione
SCOPRI DI PIU'Cosa c’è nel tuo Bagno? Il programma delle Nazioni Unite per sensibilizzare il problema sanitari Seguendo le indicazioni delle Nazioni Unite che hanno istituito nel mese di Novembre una settimana di sensibilizzazione internazionale sulle microplastiche nei cosmetici, esortando i vari stati a prendere seri provvedimenti per questi prodotti, a partire dal 2020 saranno banditi in Italia alcuni cosmetici come gli scarb o le creme esfolianti che contengono microplastiche. Ma quali sono i meccanismi che creano inquinamento? Le creme esfolianti e gli scrub, ma si trovano anche negli shampoo e persino nei dentifrici, utilizzano micro parti di plastiche come il PET o il PP o il PE o il PMMA che hanno un’aziona leggermente abrasiva sulla pelle, innescando il processo di micro esfoliazione della pelle morta. Una volta spalmate sul corpo, attraverso l’acqua di risciacquo, queste micro parti di plastica vengono scaricate nella rete fognaria che comunque non ha la capacità di filtrare questi piccoli residui plastici, dalla dimensione di pochi micron, in quanto passano dai filtri. Purtroppo pochi paesi hanno messo al bando questi prodotti, ed ancor più importante sapere che nell’ambito della cosmesi, le micro plastiche continuano a vivere per esempio nei trucchi per il corpo. Una nota positiva è il fatto che, in linea generale, le aziende produttrici di scrub ed esfolianti non hanno aspettato imposizioni governative circa l’abolizione delle micro plastiche nelle ricette ma si sono mosse per la sostituzione di queste parti plastiche con altri prodotti biodegradabili, venendo incontro ad una esigenza generale del consumatore in fatto di tutela ambientale. Quali sono gli additivi abrasivi nelle creme in sostituzione delle microplastiche? Ci sono molte alternative, sia sotto forma di prodotto finito come i micro granuli di pomice o di zucchero o di sale marino oppure di scarto come i gusci di noci, semi di albicocca o di altri frutti, come per esempio il lampone rosso. Come posso sapere se una crema contiene micro plastiche? Bisogna controllare l’etichetta apposta sulla confezione del prodotto nella quale non deve essere scritto, tra gli ingredienti, prodotti come il PE, Il PP, il PET o il PMMA.Vedi maggiori informazioni sull'argomento
SCOPRI DI PIU'Tossicologia delle Materie Plastiche: gli Ftalati nei Plastificanti. Cosa dobbiamo sapere per una corretta gestionedi Marco ArezioCon l’avvento del polipropilene sul mercato, a seguito della scoperta fatta da Giulio Natta negli anni ’50 del secolo scorso, che gli valse il Nobel, i tradizionali prodotti da imballo in vetro e metallo, vennero rapidamente sostituiti dalle materie plastiche per maggiore leggerezza, sicurezza, gradevolezza ed economicità. L’industria del packaging alimentare sperimentò diversi polimeri, tra i quali anche il PVC, usato sia nelle strutture rigide che nei film di protezione per la realizzazione degli imballi. I polimeri, tra cui anche il PVC, hanno bisogno di additivi per poterli modellare nella produzione, per renderli flessibili e, alle alte temperature, per evitarne la degradazione. La scelta dell’additivo da impiegare dipende dal polimero a cui si deve legare e dall’applicazione finale del prodotto che si intende realizzare. Il plastificante è un additivo largamente usato per realizzare gli imballi alimentari e deve avere caratteristiche precise e normate:• Chimicamente inerte • Facilmente miscelabile con il polimero • Non deve creare l’effetto essudazione, cioè la migrazione verso la superficie • Deve essere termosaldabile • Deve essere foto saldabile • Non deve essere volatile Tra i più comuni plastificanti troviamo gli Ftalati, famiglia di prodotti che sposa in modo egregio le richieste della catena produttiva e distributiva richieste ad un imballo. Gli Ftalati non si legano chimicamente al PVC ma agiscono da additivi creando le migliori condizioni affinché il polimero assuma una maggiore flessibilità. Le maggiori famiglie di Ftalati utilizzati nel PVC per la realizzazione degli imballi rientrano nelle sigle DEHP, DIDP e DINP, racchiudendo in esse diverse proprietà fisico-chimiche a seconda delle lunghezze delle catene alchiliche del gruppo funzionale estere. Le caratteristiche principali degli Ftalati sono:• Liposolubili • Poco solubili all’acqua • Inodori • Incolori • Volatili Gli Ftalati non li troviamo solamente negli imballi alimentari ma in moltissimi prodotti di uso comune come i giocattoli, gli indumenti impermeabili, gli interni delle auto, nei rivestimenti delle case, nelle gomme, negli adesivi, nei sigillanti, nelle vernici, nelle tende esterne, nei cavi, nei cosmetici, nei profumi, nei dispositivi medici come cateteri, sacche per trasfusioni e in molti altri prodotti. Proprio per la loro larghissima diffusione è importante sapere quali effetti sull’uomo potrebbe avere la diffusione non regolamentata degli ftalati nell’ambiente, in quanto sono prodotti che persistono nell’acqua, nell’aria e nel suolo, introducendosi nella catena alimentare animale e, di conseguenza, dell’uomo. I danni che posso causare all’uomo riguardano l’azione che gli Ftalati hanno come interferenti endocrini, che sono stati studiati già nel 2009 dalla Endocrine Society, che ha confermato gli effetti nocivi di questi interferenti endocrini nei sistemi fisiologicamente sensibili agli ormoni, quali:• Cervello • Testicoli e prostata nei maschi • Ovaie e utero per le femmine • Ghiandola pituitaria • Tiroide • Sistema cardiovascolare • Pancreas • Tessuto adiposo • Ghiandole mammarie • Sistema neuroendocrino dell’ippotalamo L’EFSA (European Food Safety Authority) nel 2019 ha ridefinito i limiti massimi di utilizzo di quattro dei cinque Ftalati più usati nei polimeri (DBP, BBP, DEHP e DINP) indicando la dose giornaliera massima tollerabile dall’uomo che corrisponde a 0,05 mg./Kg. corporeo. Questi dati tengono in considerazione l’utilizzo di polimeri vergini ma, in considerazione del ciclo di vita delle plastiche a fine vita nell’ambiente, con la possibilità che gli Ftalati possano trasferirsi nelle catene alimentari, sarebbe doveroso creare una catena di controllo sulla filiera. Per quanto riguarda la plastica riciclata, vista la facile diffusione di questi agenti chimici nell’ambiente, una maggiore perfomance in termini quantitativi del riciclo rispetto alla plastica vergine prodotta sarebbe un doveroso obbiettivo anche ambientale. Inoltre la trasformazione dello scarto plastico in una nuova materia prima, imporrebbe un controllo analitico delle sostanze chimiche all’interno della stessa, attraverso uno strumento di analisi come un gascromatografo abbinato ad uno spettrometro a mobilità ionica, che ne caratterizzi i componenti chimici che andranno sul mercato. Cosa comunque raccomandata anche nell’utilizzo di materia prima vergine ad uso alimentare, anche non direttamente correlata al packaging, per esempio i tubi in materia plastica per il trasporto dell’acqua potabile, prodotti secondo la norma UNI 1622, che riguarda odori e sapori del liquido trasportato, che potrebbero nel tempo rilasciare sostanze incompatibili con la salute dell’uomo.Categoria: notizie - tecnica - plastica - tossicologia - ftalati - imballi - packaging Vedi maggiori informazioni sulle materie plastiche
SCOPRI DI PIU'REACH, RoHS, TSCA, SDWTA: la Legislazione sui Prodotti Chimicidi Marco ArezioOgni oggetto che compriamo, utilizziamo e poi, a fine vita gettiamo, è un composto di sostanze chimiche che, legate tra loro, offrono le caratteristiche estetiche, fisiche e di utilizzo che gli richiediamo.Il contenuto chimico del prodotto è la somma di una lunga catena di attività, che arriva a monte attraverso la catena di produzione. La fabbricazione di un oggetto può coinvolgere molti elementi, da poche sostanze chimiche comuni, fino a centinaia di sostanze chimiche sintetiche. Prendiamo per esempio un tipico prodotto per la pulizia della casa che può contenere una dozzina di sostanze chimiche diverse, oppure un gadget elettronico che potrebbe essere il risultato di diverse centinaia di sostanze utilizzate durante la sua fabbricazione. Alcuni composti chimici finiscono nel prodotto finale mentre altri servono come intermedi nella catena di produzione. Molto probabilmente alcune sostanze chimiche tossiche potrebbero far parte della miscela che serve per la sua produzione, infatti, le sostanze chimiche con attributi speciali vengono utilizzate per ottenere alcune proprietà del prodotto come durata, consistenza, colore o fragranze, ecc. Non è un caso che le sostanze chimiche con proprietà tossiche possano essere abbondanti tra queste sostanze chimiche speciali, ad esempio, lo sforzo di creare proprietà "durevoli" (come i tessuti idrorepellenti) tende a favorire le sostanze chimiche che sono più difficili da riconoscere e da abbattere per i sistemi biologici e viventi, infatti, possono resistere alla dissoluzione e possono raggiungere alti livelli nocivi in natura. Quindi si può presumere che anche le sostanze tossiche possano far parte di alcuni prodotti che potremmo utilizzare. Vediamo alcune famiglie di prodotti chimici: Plastica Le materie plastiche sono un ampio gruppo di materiali a base di polimeri. I polimeri comunemente usati sono polietilene (PE), polipropilene (PP), polivinilcloruro (PVC), polistirene (PS) e poliuretano (PU o PUR). Tuttavia, l'elenco dei polimeri è molto più lungo e vengono associate costantemente nuove ricette ed additivi.Anche la miscelazione di polimeri diversi (come i materiali multistrato) è un processo normale che serve per migliorare il funzionamento delle materie plastiche. La scelta del polimero da utilizzare nella produzione dipende dalla funzione desiderata. Quasi tutti i polimeri sono prodotti dalla materia prima fossile di derivazione petrolifera. I polimeri a base biologica, come il PLA ottenuto da materie prime agricole, vengono sempre più utilizzati sebbene abbiano ancora una quota di mercato molto marginale. Alcune limitazione del loro sviluppo dipendono da un non trascurabile impatto ecologico nella loro produzione. La maggior parte dei materiali plastici contiene numerosi additivi (sostanze chimiche funzionali) per migliorare le prestazioni. La quantità di additivi applicati può variare dallo 0 al 95% a seconda del polimero e del tipo di prodotto. Molte delle proprietà negative delle plastiche derivano spesso dagli additivi piuttosto che dai polimeri stessi. Plastificanti Questi sono usati normalmente per ammorbidire la plastica, Infatti, mentre alcuni polimeri sono intrinsecamente "morbidi", altri polimeri richiedono notevoli quantità di plastificanti per diventare flessibili. Il PVC è il tipico polimero dove si fa un uso importante dei plastificanti. Gli ftalati sono un gruppo comune di plastificanti che vengono utilizzati in grandi quantità, spesso circa il 30-60% della composizione totale della plastica. Diversi ftalati hanno proprietà pericolose, come abbiamo visto in un articolo recente. Poiché gli ftalati non sono legati chimicamente al materiale plastico e possono fuoriuscire dal prodotto, è probabile che gli utilizzatori finali ne siano esposti durante il suo uso o addirittura attraverso la catena alimentare, in quanto gli ftalati possono essere assorbiti nell’ambiente. Ritardanti di fiamma I ritardanti di fiamma vengono utilizzati per rendere un prodotto meno infiammabile e, in base alle caratteristiche tecniche del prodotto da realizzare, può essere richiesto l’impegno di questi additivi. Esempi di tali utilizzi li possiamo trovare, per esempio, negli indumenti protettivi, nelle tende e nei tessuti utilizzati nei mobili, per citarne solo alcuni. Alcuni ritardanti di fiamma attualmente utilizzati, in particolare i composti alogenati, hanno dimostrato di avere proprietà pericolose, e, alcuni, sono soggetti a normative internazionali e / o nazionali. Storicamente, i ritardanti di fiamma bromurati (BFR) sono stati ampiamente utilizzati, dimostrandosi tossici in quanto avviene un bio accumulo e persistono nell'ambiente. La regolamentazione delle sostanze chimiche nei prodotti è una conquista relativamente recente, infatti non è stato sempre così. Per decenni, le sostanze chimiche sono state poco o per nulla normate, con alcune esenzioni specifiche, mentre la stragrande maggioranza delle sostanze chimiche poteva essere utilizzata senza la necessità di fornire prove della loro sicurezza. Se una sostanza era stata identificata come un inquinante tossico grave, lo si era scoperto più in seguito ad una coincidenza piuttosto che sulla base di un esame sistematico. Non era stato richiesto normalmente alcun test generale delle sostanze chimiche per le proprietà nocive. Questo è leggermente cambiato negli ultimi anni. L'UE ha applicato il REACH (registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche), un quadro giuridico completo che si occupa di tutte le sostanze chimiche in uso, richiedendo alle aziende che commercializzano sostanze chimiche di presentare una serie di dati di prova. L'equivalente statunitense, TSCA (Toxic Substances Control Act), stabilisce alcuni requisiti di base ma ha una portata molto più limitata. Cosa è il REACH Nel 2007 l'Unione Europea ha introdotto una legislazione quadro completa per le sostanze chimiche, chiamata Reach. Questo richiede che le aziende, che producono o importano sostanze chimiche, le registrino presso un'agenzia centrale (ECHA , con sede in Finlandia). Con la registrazione, le aziende devono anche riportare le proprietà di base della sostanza chimica e, se prodotta / importata in volumi maggiori, anche le informazioni che indicano se la sostanza è pericolosa. Lo scopo è rendere i produttori e gli importatori responsabili dei prodotti che mettono sul mercato e migliorare la conoscenza delle sostanze chimiche utilizzate. Il regolamento Reach contiene anche un sistema per il "solo uso autorizzato" di sostanze chimiche altamente pericolose per la salute e l'ambiente. Cosa è il TSCA Il Toxic Substances Control Act (TSCA) è un regolamento statunitense che riguarda la produzione, la lavorazione, la distribuzione, l'uso e lo smaltimento di prodotti chimici commerciali e industriali. Introdotto nel 1976, si concentra principalmente sulle nuove sostanze introdotte dopo il riconoscimento del TSCA. Cosa è il RoHS RoHS è una direttiva dell'Unione europea introdotta nel 2006 per limitare l'uso di alcune sostanze chimiche pericolose nella produzione di apparecchiature elettroniche ed elettriche. Attualmente vieta o limita dieci sostanze / gruppi di sostanze; 4 metalli pesanti, 4 ftalati e 2 gruppi di ritardanti di fiamma bromurati. Cosa è il California “Proposition 65”. Nel 1986, lo Stato della California ha introdotto il "Safe Drinking Water and Toxic Enforcement Act", ma più spesso indicato come "Proposition 65". Richiede allo Stato di pubblicare un elenco di sostanze chimiche note che possono causare il cancro o difetti alla nascita o altri danni riproduttivi. L'elenco viene aggiornato frequentemente e attualmente comprende circa 800 sostanze chimiche. La legge impone alle aziende di notificare ai californiani, quantità significative di sostanze chimiche nei prodotti che acquistano, nelle loro case o nei luoghi di lavoro o che vengono rilasciate nell'ambiente. La Proposition 65 vieta inoltre alle aziende californiane di scaricare consapevolmente quantità significative di sostanze chimiche elencate in presenza di falde d’acqua potabile.Categoria: notizie - tecnica - REACH - ROHS - SDWTA Vedi maggiori informazioni sulla chimica applicataFonti chemsec
SCOPRI DI PIU'Un composto polimerico di estrema importanza per gli usi più disparati a cui è destinato, ma con un complicato rapporto con il riciclo di Marco ArezioUna resina epossidica è un tipo di polimero termoindurente che, una volta miscelato con un indurente, subisce una reazione chimica chiamata "reticolazione". Questo processo trasforma la resina da uno stato liquido o viscoso a uno stato solido e rigido. Le principali caratteristiche e aspetti delle resine epossidiche:Struttura Molecolare Le resine epossidiche contengono gruppi epossidici (un atomo di ossigeno legato a due atomi di carbonio adiacenti in una catena) che sono reattivi e permettono la reticolazione con vari indurenti. Indurenti Perché una resina epossidica si indurisca, deve essere miscelata con un indurente (o agente di reticolazione). Questo indurente reagisce con i gruppi epossidici della resina, formando una struttura tridimensionale solida. Proprietà Una volta reticolate, le resine epossidiche hanno eccellenti proprietà meccaniche, resistenza chimica e adesione. Sono anche elettricamente isolanti. Applicazioni A causa delle loro ottime proprietà, le resine epossidiche sono utilizzate in una vasta gamma di applicazioni, come adesivi, rivestimenti, compositi rinforzati con fibre, circuiti stampati e molto altro. Manipolazione Le resine epossidiche possono essere modificate per avere proprietà specifiche. Ad esempio, possono essere formulate per avere tempi di indurimento rapidi o lenti, o per resistere a temperature estreme. Estetica Esistono resine epossidiche trasparenti che sono utilizzate in applicazioni artistiche e decorative, come rivestimenti per tavoli o creazioni di gioielli. È importante notare che, una volta che una resina epossidica è completamente reticolata, diventa termoindurente. Ciò significa che, a differenza dei polimeri termoplastici, non può essere rifusa o modellata con l'applicazione di calore. Le resine epossidiche riciclate La ricerca sulle resine epossidiche riciclabili è al centro di grandi interessi negli ultimi anni. Questi tipi di polimeri, come abbiamo detto, sono termoindurenti, il che significa che una volta reticolate o indurite, non possono essere facilmente riciclate o riprocessate. Tuttavia, ci sono studi volti a sviluppare resine epossidiche "riciclabili" o "riproducibili" che possono quindi essere depolimerizzate o riportate a uno stato liquido dopo il processo di reticolazione. Alcune di queste resine epossidiche riciclabili sono state progettate per depolimerizzarsi attraverso specifici stimoli, come il calore o l'esposizione a certi prodotti chimici. L'idea dietro questi materiali è che, una volta depolimerizzati, possano essere riciclati. Ricerche sulle resine episodiche riciclate Le resine epossidiche sono ampiamente utilizzate in una varietà di applicazioni industriali in virtù delle loro ottime proprietà meccaniche di adesione e di resistenza chimica. Tuttavia, una delle principali sfide associate a queste resine è la difficoltà nel loro riciclo a causa della loro natura termoindurente. Diverse soluzioni di riciclo sono state proposte per risolvere il problema: Depolimerizzazione chimica Questo processo coinvolge l'uso di agenti chimici per rompere i legami crociati nella rete epossidica. Una volta depolimerizzate, le resine possono essere potenzialmente riprocessate. Reticolazione dinamica Alcune resine epossidiche sono state modificate per avere legami crociati dinamici che possono scambiarsi sotto determinate condizioni. Ciò significa che possono essere reticolate (indurite) e poi "de-reticolate" quando esposte a determinati stimoli come calore o luce. Riciclo meccanico Invece di cercare di depolimerizzare la resina, questo approccio si concentra sul triturare o frantumare il materiale epossidico indurito in particelle, che possono poi essere riutilizzate come riempitivi o rinforzi in nuovi compositi. Recupero di riempitivi e rinforzi In molti compositi epossidici, la matrice epossidica è solo una componente. Altri componenti, come fibre di carbonio o vetro, possono essere recuperati dal composto e riutilizzati. La ricerca in questo campo è in continua evoluzione. Mentre alcune di queste tecniche sono ancora in fase di sviluppo e potrebbero non essere commercialmente pronte o economicamente fattibili su larga scala, rappresentano comunque importanti passi avanti verso una maggiore sostenibilità nel campo dei materiali epossidici. Storia delle resine epossidiche Le resine epossidiche sono polimeri che sono diventati fondamentali in molte industrie per le loro eccezionali proprietà meccaniche, di adesione e di resistenza chimica. Ecco una breve storia delle resine epossidiche: Primi anni (1930-1940) Le resine epossidiche furono sviluppate per la prima volta negli anni '30. Il chimico svizzero Paul Schlack è spesso accreditato per aver realizzato la prima resina epossidica mentre lavorava per la società tedesca IG Farben. Poco dopo, negli Stati Uniti, la Devoe & Raynolds Company iniziò a sviluppare resine epossidiche basate su bisfenolo A e epossicloridrina. Seconda guerra mondiale Durante la seconda guerra mondiale, c'era un crescente bisogno di materiali ad alte prestazioni, e le resine epossidiche iniziarono a essere utilizzate in applicazioni militari. Anni '50 e '60 Dopo la guerra, la produzione e l'utilizzo delle resine epossidiche si espansero notevolmente. Furono sviluppati nuovi tipi di resine e indurenti, portando a una vasta gamma di proprietà e applicazioni. Durante questo periodo, le resine epossidiche divennero popolari come adesivi strutturali e come matrici per compositi rinforzati con fibra. Anni '70 La crescente consapevolezza ambientale portò alla ricerca di sistemi epossidici senza solventi e a basso contenuto di composti organici volatili (COV). Durante questo periodo, le resine epossidiche divennero anche fondamentali nella produzione di circuiti stampati. Anni '80 e '90 L'industria aerospaziale ha iniziato a utilizzare in modo significativo le resine epossidiche per compositi leggeri e ad alte prestazioni. La ricerca si concentrò anche sul miglioramento delle proprietà termiche e sulla riduzione delle tensioni interne durante la reticolazione. 2000 – Oggi Con la crescente necessità di materiali sostenibili, c'è stato un interesse nella ricerca di resine epossidiche riciclabili o biodegradabili. La tendenza alla miniaturizzazione in elettronica ha anche portato a resine epossidiche con proprietà specifiche per applicazioni come l'incapsulamento di semiconduttori. Oggi, le resine epossidiche sono onnipresenti in molte industrie, da quelle edilizie e navali, all'elettronica, all'aerospaziale, e oltre. Le continue innovazioni e la ricerca in questo campo continuano a espandere le potenzialità e le applicazioni di questi versatili materiali. Dove vengono impiegate le tesine epossidiche Le resine epossidiche sono utilizzate in una vasta gamma di applicazioni. Ecco alcune delle principali applicazioni delle resine epossidiche: Adesivi Questi polimeri sono notevolmente adesivi e sono utilizzati come collanti strutturali per molte applicazioni industriali. Possono aderire a una vasta gamma di materiali, compresi metalli, plastica, legno e ceramica. Rivestimenti Le resine epossidiche sono utilizzate per rivestire pavimenti industriali e commerciali, offrendo resistenza all'abrasione, resistenza chimica e una facile pulizia. Compositi Questi polimeri sono spesso utilizzati come matrice in compositi rinforzati con fibre, come quelli con fibre di carbonio o fibra di vetro. Queste applicazioni sono comuni in settori come l'aerospaziale, l'automotive e lo sport. Circuiti stampati Le resine epossidiche sono un componente fondamentale nella produzione di circuiti stampati utilizzati in elettronica. Protezione Le resine epossidiche sono utilizzate per proteggere componenti elettronici sensibili, isolandoli dall'ambiente esterno. Strutture marine Grazie alla loro resistenza chimica, le resine epossidiche sono utilizzate per la riparazione e la protezione di strutture marine, come scafi di barche. Riparazioni A causa della loro forte adesione e delle loro proprietà strutturali, le resine epossidiche sono spesso utilizzate per la riparazione di una varietà di oggetti, compresi quelli fatti di metallo, ceramica e legno. Attività dentistiche Alcuni tipi di resine epossidiche sono utilizzati in odontoiatria per riempimenti e adesivi. Arte e artigianato Le resine epossidiche trasparenti sono diventate popolari nell'arte e nell'artigianato, utilizzate per creare gioielli, mobili, opere d'arte e altri oggetti artistici. Strutture in calcestruzzo Le resine epossidiche sono utilizzate per la riparazione, il rafforzamento e la protezione delle strutture in calcestruzzo.
SCOPRI DI PIU'Marketing di prodotto. Aspettative elevate sui prodotti fatti in plastica riciclata minano l’economia circolaredi Marco ArezioNon ci siamo mai chiesti come mai molti prodotti, specialmente nel campo dell’imballaggio, continuano a essere prodotti con materia prima vergine? Esistono delle esigenze estetiche, apparentemente non derogabili, stabilite dai protocolli di marketing che vogliono un prodotto dall’aspetto perfetto, nei colori, nella trama e nella finitura, figli di una produzione fatta con materie prime vergini, che hanno lo scopo di soddisfare l’occhio del cliente. Ma è proprio questo che il cliente chiede ad un prodotto per il packaging o altri prodotti addirittura che hanno una funzione tecnica e non estetica, come per esempio i tubi da interro o dei bancali in plastica, o altri prodotti simili? Non credo. Vediamo alcuni esempi in cui sui potrebbe usare il granulo riciclato da post consumo al 100% e invece si continua con la materia prima vergine o in alcuni casi più virtuosi si usa un compound misto. – Tubi per irrigazione in HDPE e LDPE: spesso accade che un prodotto destinato al campo, che verrà, nel corso del tempo, aggredito dal sole con conseguente peggioramento della struttura esterna, riduzione di colore e ricopertura di ampie porzioni da parte della terra o del fango, possa diventare oggetto di una contestazione perché il granulo da post consumo, che potrebbe avere all’interno un po’ di gas o umidità residua, porta a creare piccole bollicine sulla superficie del tubo. Questo non comporta difetti qualitativi del manufatto, ma solo estetici, ma sufficienti a spingere il produttore a fare compounds con il vergine o con granuli post indutriali. – Cassette industriali in HDPE e PP: le casette vengono usate per la logistica di movimento o all’interno di magazzini di attività produttive, quindi non hanno lo scopo di essere messe sul mercato della vendita, ma rimangono un mezzo di lavoro all’interno delle aziende. Sono fatte normalmente in HDPE o PP in vari colori. I più diffusi sono il rosso, il blu e il grigio. L’uso del granulo da post consumo, colorato, potrebbe portare con sé, piccole imperfezioni estetiche che si manifestano in leggere sfiammature sul colore, possibili saltuari puntini neri sulla superficie o piccole zone opacizzate. Facile incorrere nel rifiuto da parte del produttore di cassette, del granulo post consumo come se l’estetica perfetta sia importante per la funzione della cassetta che rimane in un magazzino. Normalmente si preferisce usare una materia prima proveniente da scarti post industriali o un compound misto con materie prime vergini. – Flaconi per il detersivo o liquidi industriali e agricoli: la materia prima normalmente utilizzata è l’HDPE, il PP o il PET. Sul mercato del soffiaggio possiamo dire che una timida apertura al riciclato da post consumo sta avvenendo negli ultimi anni, sulla spinta dei movimenti per l’ambiente, che vedono tutti i giorni i flaconi del detersivo in negozio. L’impressione è che questa attenzione per il riciclato da parte dei produttori di flaconi sia dettata da precise scelte compiacere i propri clienti piuttosto che un’attenzione all’ambiente. Sono comunque scelte un po’ zoppe, in quanto l’industria della produzione del granulo da post consumo ha raggiunto una qualità tale da poter offrire una materia prima che consente di produrre flaconi da 0,5 a 5 litri al 100%, ma ancora oggi si punta a compounds contenenti solo il 30% -50% di materiale riciclato. Questo vale solo su alcuni flaconi e con alcuni colori, perché la maggior parte vengono ancora fatti con il materiale vergine. La produzione dei flaconi con il granulo riciclato da post consumo, specialmente in HDPE, potrebbe a volte lasciare, sul flacone, piccole zone di opacità nel colore, l’assenza di brillantezza tipica dell’uso della materia prima vergine e una presenza di profumo di detersivo tipica del granulo da post consumo proveniente dalla raccolta differenziata. I produttori di flaconi, considerando i numeri generali di consumo delle materie prime, continuano a preferire il granulo vergine, specialmente in questo periodo in cui il costo di questo è inferiore al costo del granulo rigenerato, ma sono spinti dal mercato ad impegnarne una percentuale per questioni di immagine aziendale “green”. Potremmo andare avanti con molti altri esempi sulle opportunità perse di utilizzo della materia prima proveniente dai rifiuti domestici al posto del granulo vergine, ma i canoni estetici che gli esperti di marketing esigono per i loro prodotti a volte sono incompatibili con l’esigenza di utilizzo dei rifiuti plastici e di protezione dell’ambiente.
SCOPRI DI PIU'Biodegradabile, stampabile, adatto per la realizzazione di film plastici, il PLA è un polimero sorprendente di Marco ArezioIl polimero PLA, o più tecnicamente chiamato acido polilattico, è un poliestere biodegradabile che non troviamo in natura, ma che viene realizzato sinterizzando lo zucchero attraverso procedure industriali. Infatti, facendo fermentare lo zucchero, avviene una fase di trasformazione della materia prima in acido lattico e, nella fase intermedia del processo, si esegue la polimerizzato in PLA. Il polimero così ottenuto è trasparente, cristallino, rigido e presenta un’ottima resistenza meccanica, rendendolo adatto alla produzione di molti oggetti. Inoltre, il PLA è uno dei polimeri più utilizzati per la realizzazione di prodotti attraverso l’uso di stampanti 3D, utili non solo alla produzione in serie di oggetti identici, ma anche per i processi di prototipazione rapida in molti campi ingegneristici. Come avvengono le fasi produttive del PLA Per realizzare il polimero biodegradabile PLA sono necessarie le seguenti fasi di lavoro della materia prima, composta principalmente da zucchero, melasse e siero di latte e, in alternativa, utilizzando Bacillus Coagulans: - Lavorazione dell’amido attraverso la separazione delle fibre e del glutine - Saccarificazione e liquefazione dell’amido - Fermentazione della parte proteica dell’amido - Trattamento delle soluzioni di sale dell’acido lattico - Polimerizzazione Il polimero così ottenuto ha una densità di 1,25 g./c3, con una resistenza a trazione pari a 70 Mpa e un modulo elastico pari a 3600 Mpa. Quali sono le caratteristiche principali del polimero in PLA Le caratteristiche principali del polimero si possono riassumere in reologiche, meccaniche e di biodegradabilità. Le caratteristiche reologiche si esprimono in una elasticità del fuso inferiore a quella delle olefine. Le caratteristiche meccaniche sono comprese tra quelle di un polimero amorfo e uno semicristallino e, in particolare, si avvicinano a quelle comprese tra un PET e un Polistirene. Se parliamo di temperatura di transizione vetrose del PLA possiamo dire che è maggiore della temperatura ambiente. Permettendo di ottenere composti trasparenti. Per quanto riguarda la biodegradabilità è necessario fare attenzione al significato della parola “biodegradabile”, in quanto è importante sapere che, nonostante il PLA sia definito un polimero biodegradabile, esso non lo è se non si verificano alcune fondamentali condizioni. La biodegradabilità si innesca se il PLA è sottoposto a idrolisi, in presenza di temperature superiori a 60 °C e con un tasso di umidità maggiore del 20%. I tempi di biodegradazione sono molto variabili a seconda delle condizioni ambientali in cui l’oggetto prodotto con PLA si trova, in ogni caso possiamo indicarle in un tempo tra 1 e 4 anni, che, confrontato con la plastica tradizionale che impiega, in base alle condizioni in cui si trova, da 100 anni in su, è ritenuto breve. Quali sono i vantaggi del polimero in PLA? - Se venisse bruciato non rilascia fumi dannosi come gas tossici o metalli pesanti - Se disperso in mare in modo accidentale, la combinazione del sole, dell’acqua e del vento lo riducono in microplastiche. Queste non risulteranno tossiche né per i pesci né per l’uomo attraverso la catena alimentare - Riduce la dipendenza dal petrolio Quali sono gli svantaggi del polimero in PLA? - Contrariamente a quanto esprime la parola “biodegradabile” non può essere usato per fare il compost domestico, in quanto come citato in precedenza, ha bisogno di subire un processo industriale di biodegradazione. - Se buttato in una discarica miscelato ad altri rifiuti, non accelera i processi di decomposizione rispetto alla plastica tradizionale, in quanto non è supportato dalla luce solare, impiegando nella decomposizione gli stessi tempi delle altre tipologie di plastiche. - Non può essere mischiata con altre plastiche nelle fasi di riciclo, cosa molto importante durante la separazione dei rifiuti nella raccolta differenziata. Una piccola quantità di PLA può contaminare un flusso di rifiuti composte da plastiche tradizionali, compromettendo il loro riciclo. - Dal punto di vista ambientale, per produrre la materia prima del PLA, è necessario impiegare terreni che potrebbero essere sottratti alle coltivazioni per la catena alimentare o, peggio, si potrebbe incrementare la deforestazione per carcare di avere maggiori disponibilità di terre da coltivare. Come si ricicla il PLA Come abbiamo visto, il PLA è un polimero riciclabile, ma deve essere separato alla fonte dagli altri rifiuti plastici per questioni di incompatibilità dei materiali. Una volta creato il corretto flusso di scarti in PLA, il materiale segue le stesse attività operative di un rifiuto plastico che proviene dal post consumo, quindi dalla raccolta differenziata. Infatti, dopo un’attenta selezione, in cui siamo certi di trattare solo PLA, viene macinato, lavato in vasche di decantazione a lento flusso, asciugato e successivamente insaccato, se venduto come macinato, oppure passerà alla fase di estrusione se si volesse realizzare un PLA in granuli.
SCOPRI DI PIU'Lo scoprì inconsapevolmente lavorando l’olio olandese riscaldatodi Marco ArezioHenri Victor Regnault viene difficilmente associato alla scoperta del PVC la quale è stata attribuita nel 1872 al chimico tedesco Eugen Baumann riprendendo i suoi esperimenti. Lo scienziato francese nacque nacque il 21 luglio 1810 ad Aix-la-Chapelle, in Francia ed in tenera età perse entrambi i genitori. Lui e la sorella furono affidati ad una copia, amica dei genitori, che se ne prese cura e ne seguì le sorti scolastiche. Dopo gli studi universitari in chimica, Regnault decide di viaggiare in l’Europa per compiere studi ed esperimenti nei siti minerari della Svizzera, Germania e in Belgio tra gli anni 1834 e 1835. L’11 Dicembre del 1840 fu nominato dall’Accademia delle scienze Francesi professore di chimica, incarico che ricoprì per circa 30 anni. Lo scienziato si dedicò allo studio delle sostanze e delle loro miscele, creando in trent’anni una approfondita raccolta di dati relativi alle proprietà dei composti, come densità e compressibilità di gas e liquidi, capacità di calore e coefficienti di dilatazione di gas, pressioni di vapore e velocità del suono. Questi studi lo portano ad essere considerato come probabilmente il più grande sperimentatore del diciannovesimo secolo. Una tra le tante ricerche fatte, una in particolare riguardava lo studio di un liquido oleoso formato dalla clorazione dell’etilene (chiamato allora gas olefiante), che divenne famoso sotto il nome di liquore olandese. Questo composto venne per la prima volta scoperto dai chimici olandesi Johann Rudolph Deiman, Adrien Paets van Troostwijk, Nicolas Bondt e Anthoni Lauwerenburgh sulla quale in seguito ci lavorarono molti chimici del tempo. Regnault tentò di decomporre l’olio olandese riscaldandolo con una soluzione alcolica di idrossido di potassio, ottenendo il monomero di cloruro di vinile. Lo scienziato non aveva ancora ben chiaro dove i suoi studi lo stessero portando, quando annotava la realizzazione di una polvere bianca, che sarebbe stata successivamente identificata come polivinilcloruro (PVC), avendo lasciato il nuovo composto accidentalmente esposto alla luce solare. Nonostante la scoperta scientifica non fu attribuita allo scienziato Francese non vi è dubbio che questa posò le basi per le future ricerche e perfezione delle ricette del PVC.Categoria: notizie - tecnica - plastica - PVC - storia foto: Pollution chimique
SCOPRI DI PIU'Scopri i Benefici Ambientali, Tecnici ed Economici delle Coperture in Tegole Bituminose Riciclate di Marco ArezioNel panorama dell'edilizia moderna, l'attenzione verso soluzioni sostenibili e rispettose dell'ambiente ha portato alla riscoperta e innovazione di materiali e tecnologie tradizionali, tra cui spiccano le tegole bituminose realizzate con materiali riciclati. Questo articolo si propone di esplorare, attraverso cinque punti dedicati, le diverse facce di questa soluzione di copertura: dalla sua natura e processo produttivo, passando per le tecniche di montaggio, ai vantaggi tecnici, economici e ambientali, fino alle strategie di riciclo e gestione a fine vita. L'obiettivo è fornire una panoramica completa che evidenzi non solo l'importanza delle tegole bituminose riciclate nell'edilizia sostenibile ma anche come queste si inseriscono in un più ampio contesto di economia circolare e rispetto ambientale. Cosa Sono le Tegole Bituminose Realizzate con Materiali Riciclati Le tegole bituminose ricavate da materiali riciclati costituiscono una soluzione innovativa nel panorama delle coperture edilizie, offrendo una risposta efficace alle crescenti esigenze di sostenibilità ambientale. Queste tegole mantengono le proprietà di resistenza e durabilità tipiche delle tegole bituminose tradizionali, ma si distinguono per l'impiego di materiali recuperati, contribuendo significativamente alla riduzione dei rifiuti e all'uso efficiente delle risorse.Composizione e Materiali Le tegole bituminose sono composte principalmente da bitume, un derivato del petrolio, rinforzato con fibre di vetro o cellulosa, e ricoperte da granuli minerali che forniscono colore e ulteriore protezione. Nella versione eco-sostenibile, parte dei componenti tradizionali viene sostituita con materiali riciclati: plastica, gomma da pneumatici fuori uso, scarti di asfalto, e vetro. Questi materiali, altrimenti destinati alla discarica, vengono trattati e riutilizzati, riducendo l'impatto ambientale associato alla produzione delle tegole.Vantaggi Ambientali L'utilizzo di materiali riciclati nelle tegole bituminose presenta diversi benefici ambientali: Riduzione dei Rifiuti: L'incorporazione di materiali riciclati contribuisce a diminuire la quantità di rifiuti inviati alle discariche. Conservazione delle Risorse: Diminuisce la necessità di estrarre e processare materie prime, preservando le risorse naturali. Riduzione delle Emissioni: Il processo produttivo delle tegole riciclate, in genere, richiede meno energia rispetto alla produzione di tegole tradizionali, contribuendo alla riduzione delle emissioni di gas serra.Processo di RicicloIl processo di riciclo per la produzione di tegole bituminose include diverse fasi: Raccolta e Selezione: I materiali destinati al riciclo, come pneumatici fuori uso e plastica, vengono raccolti e accuratamente selezionati per eliminare impurità. Trattamento: I materiali selezionati vengono poi triturati o fusi, a seconda della loro natura, per ottenere una forma utilizzabile nella produzione delle tegole. Integrazione nel Processo Produttivo: I materiali riciclati trattati vengono miscelati con bitume e altri componenti per formare la massa da cui saranno ricavate le tegole.Contributo alla Sostenibilità L'adozione di tegole bituminose realizzate con materiali riciclati rappresenta un importante passo avanti verso la sostenibilità nel settore delle coperture. Queste soluzioni non solo rispondono alle esigenze funzionali ed estetiche ma promuovono anche un modello di economia circolare, in cui i materiali mantengono il loro valore attraverso cicli successivi di uso e riutilizzo, riducendo l'impatto ambientale complessivo. In conclusione, le tegole bituminose ricavate da materiali riciclati incarnano un esempio emblematico di come le pratiche di sostenibilità possano essere integrate efficacemente nel settore dell'edilizia, offrendo prodotti che sono al contempo ecologici, funzionali, e duraturi. La loro diffusione rappresenta una strategia vincente per contribuire alla protezione dell'ambiente, promuovendo al contempo l'innovazione e la resilienza nel settore delle costruzioni. Processo Produttivo delle Tegole Bituminose con Materiali Riciclati Il processo produttivo delle tegole bituminose realizzate con materiali riciclati rappresenta un'eccellente dimostrazione di come l'innovazione tecnologica possa incontrare la sostenibilità. Questo processo non solo mira a produrre un materiale da costruzione resistente e affidabile ma si impegna anche a ridurre l'impatto ambientale attraverso l'uso efficiente di risorse riciclate.Selezione e Preparazione dei Materiali Riciclati Il punto di partenza è la selezione accurata dei materiali riciclati, che devono rispondere a criteri di qualità ben definiti per garantire la performance del prodotto finale. Materiali come plastica, gomma da pneumatici e scarti di asfalto vengono raccolti da centri di riciclaggio certificati. Plastica: Viene triturata in piccoli pezzi e pulita per rimuovere contaminanti. Gomma dagli Pneumatici: Dopo essere stata triturata, la gomma subisce un processo di liberazione dalle fibre metalliche e tessili. Scarti di Asfalto: Vengono macinati fino a raggiungere la granulometria desiderata.Miscelazione con Bitume I materiali preparati vengono quindi miscelati con il bitume. Questa fase richiede un controllo preciso della temperatura per assicurare che il bitume e i materiali riciclati si legano efficacemente, formando una miscela omogenea. La proporzione tra bitume e materiali riciclati varia a seconda delle specifiche tecniche desiderate per la tegola finale.Formazione della Tegola La miscela ottenuta viene poi trasferita su una linea di produzione dove avviene il processo di formazione della tegola: Impregnazione del Rinforzo: Un tappeto di fibre di vetro o cellulosa passa attraverso un bagno di miscela bituminosa, assorbendola e garantendo la struttura portante della tegola. Stratificazione: Vengono aggiunti strati successivi di miscela per aumentare lo spessore e le proprietà fisiche della tegola. Raffreddamento e Taglio: Dopo la stratificazione, la tegola viene raffreddata e tagliata nelle dimensioni desiderate.Aggiunta di Granuli Minerali Una volta formata la base della tegola, sulla superficie viene applicato uno strato di granuli minerali. Questi non solo conferiscono colore e estetica alla tegola ma migliorano anche la resistenza agli UV e alle intemperie. In alcune varianti, i granuli possono essere sostituiti o integrati con materiali riciclati finemente macinati.Controllo Qualità Ogni fase del processo produttivo è sottoposta a rigorosi controlli di qualità per assicurare che le tegole soddisfino gli standard richiesti in termini di resistenza, durabilità, e prestazioni. Vengono eseguiti test per verificare l'aderenza, la flessibilità, e la resistenza agli agenti atmosferici.Impatto Ambientale del Processo Produttivo Il processo produttivo delle tegole bituminose con materiali riciclati è progettato per minimizzare l'impatto ambientale. L'uso di materiali riciclati riduce la dipendenza dalle risorse naturali e diminuisce la quantità di rifiuti destinati alle discariche. Inoltre, l'ottimizzazione energetica delle fasi produttive contribuisce a ridurre le emissioni di CO2, rendendo il processo più sostenibile. Montaggio delle Tegole Bituminose Realizzate con Materiali Riciclati Il montaggio delle tegole bituminose riciclate rappresenta una fase critica che determina la funzionalità, l'estetica e la durabilità della copertura. Questo capitolo esplora le pratiche ottimali di installazione, integrando considerazioni architettoniche che influenzano la scelta e l'applicazione di questi materiali.Preparazione della Superficie Prima di procedere con il montaggio delle tegole, è essenziale preparare adeguatamente la superficie di copertura. Questo include: Pulizia: Rimozione di detriti, vecchie tegole, o altri materiali dalla superficie di copertura. Ispezione: Verifica dell'integrità della struttura portante e dell'eventuale presenza di aree danneggiate che necessitano di riparazione. Impermeabilizzazione: Applicazione di uno strato di sottocopertura impermeabile per proteggere ulteriormente l'edificio da infiltrazioni d'acqua.Linee Guida per il Montaggio Il montaggio delle tegole bituminose riciclate segue procedure specifiche che garantiscono la massima efficacia: Posizionamento Iniziale: Le tegole devono essere posizionate partendo dal bordo inferiore del tetto, procedendo verso l'alto. Questo assicura una sovrapposizione ottimale che favorisce il deflusso dell'acqua. Fissaggio: Le tegole vengono fissate alla superficie di copertura mediante chiodi o adesivi specifici. È importante seguire le indicazioni del produttore per il numero e la disposizione dei punti di fissaggio. Allineamento: Mantenere un allineamento preciso delle tegole è cruciale per l'aspetto estetico e la funzionalità del tetto. L'uso di linee guida o di strumenti di misurazione può aiutare a garantire l'uniformità dell'installazione.Considerazioni Architettoniche Durante il montaggio delle tegole bituminose riciclate, diverse considerazioni architettoniche devono essere prese in conto: Design del Tetto: La forma e la pendenza del tetto influenzano la scelta delle tegole e delle tecniche di installazione. Tetti con pendenze elevate o con molte interruzioni (camini, lucernari, ecc.) richiedono una pianificazione dettagliata per assicurare l'integrità della copertura. Estetica: La varietà di colori e texture disponibili permette di integrare le tegole con l'architettura dell'edificio, contribuendo all'armonia estetica complessiva. La selezione deve considerare il contesto ambientale e le normative locali, se presenti. Ventilazione del Tetto: Una corretta ventilazione sotto la superficie di copertura è fondamentale per prevenire l'accumulo di umidità e prolungare la vita delle tegole. La progettazione architettonica deve includere soluzioni per la ventilazione adeguata. Vantaggi delle Tegole Bituminose Riciclate Rispetto ad Altre Coperture Le tegole bituminose realizzate con materiali riciclati offrono numerosi vantaggi rispetto ad altre soluzioni di copertura, sia da un punto di vista tecnico ed economico che ambientale. La comparazione con altre tipologie di coperture impermeabili evidenzia l'efficacia di questa soluzione innovativa nel contesto dell'edilizia sostenibile. Vantaggi Tecnici Durabilità: Le tegole bituminose riciclate sono estremamente resistenti agli agenti atmosferici, tra cui pioggia, neve, e raggi UV, garantendo una lunga vita utile della copertura. Facilità di Installazione: La leggerezza e la flessibilità delle tegole bituminose facilitano il montaggio su una vasta gamma di strutture edilizie, riducendo i tempi e i costi di installazione. Versatilità Estetica: Disponibili in vari colori e texture, permettono una facile integrazione con l'architettura dell'edificio. Comparazione con Altre CopertureTegole in Ceramica o Cemento: Pur offrendo un'estetica tradizionale e una buona durabilità, sono generalmente più pesanti e costose, sia in termini di materiale che di installazione. Coperture Metalliche: Anche se resistenti e leggere, possono essere più costose e richiedere una manutenzione specifica per prevenire la corrosione. Membrane EPDM (Etilene Propilene Diene Monomero): Sebbene offrano una buona impermeabilizzazione, non forniscono la stessa varietà estetica delle tegole bituminose e possono essere più impegnative da installare su tetti con molte interruzioni. Vantaggi Economici Costo-Efficienza: Le tegole bituminose riciclate sono spesso più economiche rispetto ad altre soluzioni di copertura, grazie ai minori costi di materiale e alla facilità di installazione. Manutenzione: Richiedono una manutenzione limitata, contribuendo a ridurre i costi nel lungo termine. Vantaggi Ambientali Riduzione dei Rifiuti: L'uso di materiali riciclati nel loro processo produttivo contribuisce significativamente alla riduzione della quantità di rifiuti destinati alle discariche. Minore Impatto Ambientale: La produzione di tegole bituminose riciclate comporta, in genere, un consumo energetico inferiore e minori emissioni di CO2 rispetto alla produzione di tegole tradizionali o di altri materiali da copertura. Comparazione Ambientale Tegole in Ceramica o Cemento: Sebbene possano avere una lunga vita utile, il loro processo produttivo è energivoro e produce un'impronta di carbonio significativamente più alta. Coperture Metalliche: Possono essere riciclate al termine della loro vita utile, ma la loro produzione richiede grande quantità di energia e risorse. Membrane EPDM: Nonostante siano durevoli, la produzione di EPDM è basata su idrocarburi, e il materiale è meno facilmente riciclabile alla fine della vita utile rispetto alle tegole bituminose riciclate. Riciclo e Fine Vita delle Tegole Bituminose Realizzate con Materiali Riciclati Il ciclo di vita delle tegole bituminose non termina con la loro rimozione dal tetto. Queste possono essere riciclate e riutilizzate in vari modi, contribuendo significativamente alla riduzione dell'impatto ambientale del settore delle costruzioni. Il processo di riciclo è articolato in diverse fasi, ciascuna delle quali svolge un ruolo cruciale nel trasformare le tegole usate in risorse preziose per nuovi utilizzi. Raccolta e Trasporto Il processo inizia con la raccolta delle tegole bituminose rimosse durante lavori di ristrutturazione o demolizione. Queste vengono quindi trasportate a impianti di riciclaggio specializzati. È importante che il trasporto sia organizzato in modo efficiente per minimizzare l'impatto ambientale e i costi associati. Selezione e Pulizia All'arrivo all'impianto di riciclaggio, le tegole sono soggette a un processo di selezione per separare eventuali materiali non riciclabili o contaminanti. Successivamente, vengono pulite per rimuovere chiodi, residui di adesivo e altri detriti. Triturazione Una volta pulite, le tegole vengono triturate in piccoli pezzi o granuli. Questo processo è fondamentale per facilitare la successiva fase di trasformazione. La dimensione dei frammenti è attentamente controllata per soddisfare i requisiti specifici dei vari utilizzi finali. Ulteriore Elaborazione I frammenti di tegola possono subire ulteriori processi di elaborazione, a seconda delle necessità. Questo può includere la separazione di ulteriori materiali, come la fibra di vetro dal bitume, o trattamenti per modificare le proprietà chimico-fisiche dei materiali riciclati. Riutilizzo I materiali riciclati trovano impiego in una varietà di applicazioni, che includono: Asfalto per le Strade: I granuli di tegola bituminosa riciclata possono essere integrati nell'asfalto utilizzato per la pavimentazione stradale, migliorando la resistenza e la durata del manto stradale. Nuove Coperture: Parte del materiale riciclato può essere riutilizzato nella produzione di nuove tegole bituminose, contribuendo a ridurre il consumo di risorse vergini. Sottofondi per Pavimentazioni: I frammenti di tegola possono essere usati come materiale per sottofondi in progetti di pavimentazione, offrendo una soluzione economica e sostenibile. Libri e Manuali Tecnici "Materiali da costruzione sostenibili" di Paolo Fumagalli. Questo testo, disponibile in italiano, offre una panoramica completa sui materiali da costruzione eco-compatibili, con un focus particolare sul riciclo e sul riutilizzo dei materiali nel settore edile, inclusa una sezione sulle tegole bituminose riciclate. "Sustainable Construction: Green Building Design and Delivery" di Charles J. Kibert. Benché in inglese, questo libro è una risorsa chiave per comprendere i principi della costruzione sostenibile, inclusi i materiali riciclati per le coperture e le loro implicazioni ambientali. "Recycling of Roofing Materials", articolo presente sul Journal of Green Building. Questo studio, sebbene in inglese, approfondisce il processo di riciclaggio delle tegole bituminose e il loro impatto ambientale, fornendo dati e analisi dettagliate. "L'impiego di materiali riciclati nell'edilizia: normative, prestazioni e casi studio" – Un articolo disponibile attraverso le risorse universitarie italiane, che esplora le normative italiane ed europee relative all'utilizzo di materiali riciclati in edilizia, inclusi i casi studio sulle tegole bituminose.
SCOPRI DI PIU'Le indicazioni della EU per un’agricoltura più sostenibile di Marco ArezioIl progressivo innalzamento delle temperature terrestri, l’aumento della popolazione, un carente sistema di trasporto, che causa perdite ingenti dalle reti distributive e uno scorretto mix di coltivazioni, molto proteso alla produzione di foraggio per l’industria mondiale della carne, porterà probabilmente entro al 2050 ad una situazione insostenibile per la mancanza di acqua, identificato dagli esperti come stress idrico. Secondo i dati elaborati dal Stockholm International Water Institute (SIWI), che punta il dito sull’enorme fenomeno dello spreco di acqua a tutti i livelli, il consumo dell’oro blu nel mondo vede una distribuzione così espressa: 70% ad uso agricolo 20% ad uso industriale 10% ad uso domestico L’Istituto SIWI entra nel dettaglio dei numeri, indicando alcuni punti estremamente critici sull’uso dell’acqua, sottolineando, tra gli altri, che una scorretta alimentazione mondiale basata sulla carne richiede circa 8-10 volte in più di acqua rispetto alla coltivazione di cereali. Inoltre la continua crescita demografica porta ad un incremento di richiesta di cibo, che si traduce in una maggiore richiesta di acqua da parte dell’agricoltura, a fronte di una riduzione costante di precipitazioni a causa dei cambiamenti climatici. C’è da notare anche che, secondo i dati elaborati dalla ricerca, un quarto dell’acqua che viene impiegata nell’agricoltura mondiale serve per produrre circa 1 miliardo di tonnellate di cibo che verranno poi buttate. SIWI sottolinea anche la sperequazione tra il consumo di acqua di una persona che vive in aree sviluppate del pianeta rispetto a un’altra che vive in aree in via di sviluppo, la quale esprime una differenza che è superiore, per il primo soggetto, di 30-50 volte rispetto al secondo. Tuttavia, proprio a causa della tendenza demografica del pianeta, le aree in via di sviluppo avranno una richiesta di acqua superiore del 50% rispetto ai consumi attuali, creando una situazione per cui il 47% della popolazione mondiale vivrà in aree con problematiche idriche. Per chiudere il cerchio poco rassicurante possiamo citare un altro importante problema, che riguarda lo spreco di acqua causato dalla vetustà degli acquedotti, su cui si fa poca manutenzione in quanto forse, si ha l’errato concetto, che una perdita di acqua non sia un fatto così grave. Ma quanta acqua abbiamo a disposizione e chi ne usufruisce? Sul pianeta abbiamo circa 1,4 miliardi di Km3 di acqua, ma solo il 2,5% è costituito da acqua dolce, che si può conteggiare in 35 milioni di Km3, ma il 70% di questa quantità è espressa in ghiacci o nevai permanenti sulle montagne, nelle zone antartiche e artiche. Quindi, possiamo disporre facilmente di solo l’1% di tutta l’acqua presente sul pianeta sotto forme di riserve idriche nel sottosuolo e in superficie. Dobbiamo inoltre considerare che sul pianeta circa 1 miliardo di persone non ha accesso all’acqua e che circa 2,5 miliardi non dispongono di adeguati servizi igienico-sanitari. Questa situazione, secondo l’OMS, causa colera, malaria e malattie intestinali che sono la maggior causa della mortalità infantile. Come uscire da questa situazione? In un’ottica di economia circolare anche l’agricoltura, che ricordiamo consuma il 70% circa dell’acqua disponibile sulla terra, deve utilizzare le acque reflue urbane che provengono da impianti di depurazione, in modo da risparmiare l’acqua potabile. Secondo le regole emanate dalla Comunità Europea in materia di irrigazione agricola, si vogliono sensibilizzare gli agricoltori ad un uso sostenibile dell’acqua attraverso l’impiego delle acque non potabili. In base alle indicazioni del commissario per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, Karmenu Vella, esistono dei parametri minimi per l’utilizzo delle acque reflue urbane provenienti dagli impianti di trattamento e depurazione, che riguardano sia valori microbiologici sia i processi di controllo degli impianti. La stessa Commissione Europea indica come sotto sfruttato il sistema di riutilizzo di queste acque per fini agricoli e che l’utilizzo di acqua potabile, oltre ad un impiego enorme di energia per la sua estrazione e il suo trasporto, crea un impatto ambientale importante che si deve tenere in considerazione. Indica poi la presenza, in un terzo del territorio Europeo, di una situazione di stress idrico, che sarà ulteriormente aggravato dalla diminuzione tendenziale delle precipitazioni e dall’aumento delle temperature.Categoria: notizie - acqua - economia circolare - rifiutiVedi maggiori informazioni sul riciclo delle acque
SCOPRI DI PIU'I Tempi di Decomposizione dei Rifiuti in Discarica ci Fanno Rifletteredi Marco ArezioPer secoli, fino a quando si è cominciato a parlare di economia circolare, i rifiuti venivano bruciati o accatastati nelle discariche. Ma se da una parte si era e, si è a volte ancora oggi, trovato un mezzo sbrigativo per disfarsi di ciò che non serviva più, dall’altro non ci siamo mai posti in modo serio il problema dell’evoluzione dei rifiuti nella discarica. Nonostante oggi le attività di riciclo siano al centro dell’attenzione della classe politica e dell’opinione pubblica, stride in modo fastidioso come la percentuale della massa di rifiuti che ricicliamo raggiunga circa il 10-12 per cento, a livello mondiale, rispetto ai prodotti che scartiamo ogni anno. I motivi di una quota così bassa sono di natura economica, culturale, gestionale e a volte anche criminale, con eccellenze in alcuni paesi che raggiungono il 70-80% dei materiali riciclati raccolti, fino a posizioni in cui la raccolta differenziata non è nel vocabolario della vita quotidiana. Ma è forse importante sapere cosa succede ai rifiuti che finiscono in discarica o nei fiumi, che poi sfociano in mare, per rendersi conto che quell’enorme massa di scarto potrebbe costituire un propellente per ridurre l’impronta carbonica e risparmiare risorse naturali, se solo il tasso di riciclo fosse più alto. La permanenza in termini di tempo dei rifiuti sotterrati è diversa da quelli che rimangono esposti agli agenti atmosferici o quelli che finiscono nei mari, questo perché il sole, l’acqua e le temperature agiscono, nel tempo sui di essi. Quindi un’esposizione o meno agli agenti atmosferici cambia i tempi di decomposizione medi dei materiali. Ma se consideriamo i soli rifiuti che finiscono in una discarica non selettiva, possiamo abbozzare alcuni dati che ci possono far riflettere: La plastica I rifiuti plastici che finiscono oggi nelle discariche sono tra i più variegati, specialmente in quei paesi dove la raccolta differenziata non viene applicata. La loro disgregazione, non biodegradabilità, come abbiamo visto dipende in modo importante dagli agenti atmosferici, dalla loro composizione e dagli spessori costruttivi, ma possiamo dire che i tempi per l’autodistruzione di un prodotto plastico si contano mediamente in centinaia di anni. Pannolini usa e Getta Quando si parla di questo prodotto dobbiamo considerare che i volumi che genera come rifiuto quotidianamente sono davvero importanti. Negli Stati Uniti nel 2018 sono stati raccolti circa 3,3 milioni di tonnellate di pannolini usa e getta e, per la loro composizione di plastiche miste, la loro permanenza in discarica oscilla tra 250 e 500 anni prima che si decompongano. Alluminio L’industria del packaging fa largo uso delle confezioni di alluminio per contenere liquidi e cibi, infatti i dati di riciclo di questi imballi in America nel 2019 hanno toccato le 42,7 miliardi di lattine. Volumi impressionanti che ci fanno ben sperare ma, ancora molte lattine di alluminio vanno a finire nelle discariche Americane con un ritmo di circa 10 miliardi all’anno nel 2018. Il tempo di decomposizione di una lattina mediamente è di 80-100 anni. Vetro Il vetro è l’elemento naturale per eccellenza il cui riciclo è davvero semplice ma, nonostante questo, la quantità di oggetti in vetro e ceramica che finiscono nelle discariche è molto alto. Di contro i tempi di decomposizione dei prodotti e tra i più alti e possiamo considerarlo in diverse centinaia di anni, ma secondo alcuni è un elemento che non si decompone affatto. La Carta Per quanto si possa pensare che la carta abbia un ciclo di decomposizione breve in virtù dei componenti che la caratterizzano, oggi troviamo, specialmente della carta per gli imballi alimentari, rifiuti composti da carta e plastica, che, solidarizzandosi, allungano i tempi di decomposizione in modo estremamente lungo. La carta è uno tra i prodotti più importanti della raccolta differenziata e il suo riciclo impatta in modo diretto sull’ambiente perché l’utilizzo di cellulosa riciclata riduce l’approvvigionamento di quella vergine e di conseguenza l’abbattimento degli alberi. I tempi di decomposizione di un prodotto in carta non accoppiato vanno dalle 2 alle 6 settimane in funzione dal grado di umidità che interessa il prodotto ma passa a decine di anni se il prodotto prevede degli accoppiati plastici. Per facilità di comprensione elenchiamo alcuni articoli che si trovano nelle discariche e i loro tempi di decomposizione:Mozziconi di sigaretta: 10-12 anni Lenza mono filamento: 600 anni Suole di gomma degli stivali: 50-80 anni Bicchieri di plastica espansa: 50 anni Scarpe di pelle: 25-40 anni Cartoni del latte: 5 anni Compensato: 1-3 anni Guanti di cotone: 3 mesi Cartone: 2 mesi Polistirene: Non biodegrada Tessuto in nylon: 30-40 anni Lattina: 80 anni Funi: 3-14 mesi Barattoli di alluminio: 80-100 anni Non esiste veramente un’alternativa alla discarica? Si esiste.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - discariche Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'Estrusori per materie plastiche: vediamo cosa succede all'interno durante il funzionamentodi Marco ArezioPer chiunque impieghi o faccia utilizzare gli estrusori per le materie plastiche, specialmente se usano polimeri riciclati, dovrebbe avere la conoscenza del comportamento del fuso all’interno del cilindro, delle fasi di trasformazione dallo stato solido a viscoso e delle implicazioni negative che possono nascere durante la lavorazione.Queste implicazioni possono generare difetti sul polimero che si sta producendo o sui manufatti che sono direttamente collegati all’estrusore. L’articolo non si dovrebbe rivolge agli addetti della produzione, che probabilmente conoscono bene i comportamenti del polimero in transito nell’estrusore, ma principalmente agli addetti alle vendite dei prodotti finiti in plastica o dei polimeri riciclati. Conoscere le fasi di produzione e la criticità che possono rappresentare, è un bagaglio culturale tecnico che permette di risolvere, più velocemente e più professionalmente possibile, i problemi con i clienti in merito alla qualità. Per fare un discorso generale possiamo prendere in considerazione gli elementi che entrano in gioco per portare a termine una fase di estrusione delle materie plastiche: • La materia prima • L’estrusore • Il filtro Materia Prima La materia prima, in base all’utilizzo che si vuole fare dell’estrusore, può essere sotto forma di macinato o di granulo. In entrambi i casi il materiale riciclato deve avere subito i corretti trattamenti di selezione, macinazione, deferrizazzione, lavaggio in vasca, lavaggio in centrifuga, asciugatura (eventuale densificazione per materiali leggeri). Più le fasi preliminari che portano il semilavorato all’estrusore sono fatte bene, migliore sarà la qualità del prodotto in uscita da esso, evitando che aumentino i problemi sui prodotti finiti da realizzare. Ogni fase preliminare non eseguita in modo corretto avrà dei risvolti negativi durante la fusione della plastica all’interno dell’estrusore, che possono essere impurità rappresentate da plastiche rigide non fondibili all’interno della massa, degradazione del materiale causata da una non corretta selezione, presenza di parti metalliche causate da un lavaggio non accurato o residui di materiali elastici non filtrabili. Maggiore sarà la qualità attesa per la fabbricazione del prodotto, maggiore saranno le attenzioni da impiegare nelle fasi di riciclo del semilavorato, minori saranno gli spessori da realizzare sul prodotto finito, per esempio un flacone, maggiore dovrà essere la pulizia e l’omogeneità della plastica. Estrusore Una linea di estrusione, per non entrare troppo nella tecnicità dell’argomento, è formata da una tramoggia di ingresso della materia prima, un cilindro di contenimento del polimero, una o più viti di movimento, un filtro (nella maggior parte dei casi) e una testa finale. Fin qui, ogni parte è visibile ed intuibile nel suo lavoro, ma cosa succede all’interno di queste parti? Partiamo dalla tramoggia di carico dei polimeri che alimenteranno l’estrusore, una sorte di grande imbuto di canalizzazione con il quale alimentare l’impianto, sia utilizzando i polimeri sotto forma di palline che di macinato o densificato. La discesa della materia prima all’interno del cilindro avviene normalmente per gravità, quindi il granulo viene attirato verso la parte bassa dell’imbuto in virtù del proprio peso, offrendo scarsa resistenza allo scivolamento. Non sempre succede la stessa cosa per il macinato e il densificato, in quando hanno forme più spigolose e per la loro natura tendono ad aggregarsi, specialmente se non sono ben asciutti, creando qualche difficoltà nella discesa. Una volta che la materia prima arriva all’imbocco del cilindro, entra in contatto con una o più viti, composte da elementi elicoidali che hanno lo scopo di trascinare la materia prima ancora solida lungo il cilindro e restituire alla testa, alla fine del percorso, la massa fusa di plastica per realizzare il prodotto o per creare i granuli plastici. La zona d’ingresso dell’estrusore è sempre raffreddata con acqua, per evitare che il calore generato dalle resistenze che riscaldano il cilindro possano portare a fusione il polimero che staziona nella zona, quando l’estrusore è fermo. Il polimero, sceso dalla tramoggia, aderisce alle pareti tra le quali si trova, quelle del filetto, del nocciolo della vite e del cilindro. A questo punto, i granuli che aderiscono alla vite ruotano con essa e quindi non possono avanzare, mentre quelli che aderiscono al cilindro vengono spinti verso l’uscita dalla cresta del filetto che sfiora e raschia la superficie del cilindro stesso. La conclusione è che tanto più i granuli tendono ad aderire al cilindro, e quindi a non ruotare con la vite, tanto maggiore è la spinta in avanti esercitata dai filetti, che trasferiscono la forza motrice del motore al polimero per spingerlo fuori dal cilindro. La velocità massima di avanzamento del polimero si avrà a contatto con il cilindro sia per i granuli, in alimentazione, sia per le molecole di polimero dopo la fusione, mentre negli strati sottostanti la velocità sarà via via minore fino a essere zero a contatto con il nocciolo della vite. Una convinzione comune rispetto al lavoro dell’estrusore è che le resistenze termiche hanno lo scopo di sciogliere la materia prima, solida, lungo il percorso di attraversamento del cilindro fino alla sua uscita in testa. Questo non è del tutto vero, in quanto le resistenze intervengono principalmente nella fase iniziale del contatto tra la materia prima in ingresso dalla tramoggia con la vite. Nella fase successiva la forza che il motore imprime alla vite, la quale ruotando crea attrito tra la materia prima e il cilindro, realizzano il calore necessario alla fusione del materiale. Il comportamento del volume della massa plastica all’interno del cilindro, in corrispondenza della vite, cambia man mano che percorre l’estrusore. Infatti da quando inizia la fusione, la quantità di solido che si trova tra i due filetti è sempre inferiore a quella che c’è tra i due filetti precedenti. L’avanzamento del fuso è quindi determinato, sia dalla spinta meccanica dei filetti della vite, ma anche per differenza di pressione che si crea all’interno del cilindro, facilitando la spinta verso l’esterno del polimero fuso in virtù di una minore pressione. La zona di trasporto del fuso può assumere ulteriore importanza quando si richiedono all’estrusore anche delle diverse prestazioni, oltre a quella di fondere, come ad esempio la miscelazione del polimero. A tal fine il tratto finale della vite può essere modificato per migliorare la miscelazione dell’estruso. Filtro Lavorando con i polimeri riciclati non sempre si conosce la qualità di preparazione dei granuli che dovrebbero entrare nell’estrusore o dei macinati o dei densificati, quindi, inserire in un estrusore un polimero riciclato senza premunirsi di effettuare un’operazione di filtraggio può essere pericoloso. Un tempo i filtri erano costituiti da un disco forato sul quale si montavano delle reti in metallo, che avevano lo scopo di filtrare ed eliminare eventuali impurità presenti nel fuso. Le reti, in numero e con diametri delle maglie variabili, erano montate alla fine del cilindro su flange e costituivano un modo per migliorare la qualità del polimero. La presenza del filtro causa però un aumento della pressione alla fine della vite, pari alla perdita di carico che serve per far passare il fuso attraverso il filtro. La variazione di pressione è dovuta al fatto che man mano che le reti si intasano aumenta la pressione in testa e, quindi, sale il riflusso nella vite. L’aumento di pressione fa sì che la vite chieda più lavoro al motore per spingere la stessa quantità di materiale fuori dalla filiera e, poiché il maggiore lavoro della vite si trasforma in calore trasferito al polimero, la temperatura del fuso in uscita sarà maggiore e la viscosità minore di quando non c’è il filtro. L’aumento della temperatura per periodi prolungati può causare la degradazione del polimero, con conseguenze negative sulla produzione di prodotto. Ed è per questo motivo che oggi esistono nuovi cambia filtri automatici che regolano questa delicata fase. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - estrusione
SCOPRI DI PIU'La Storia delle Soffiatrici per le Materie Plastiche: dal Vetro alla Plasticadi Marco ArezioLa storia delle soffiatrici per le materie plastiche affonda le sue radici all’inizio del secolo scorso, quando si iniziò a pensare ad imballi per alimenti liquidi, come il latte, prodotti in materiali più leggeri rispetto al vetro.Non erano però ancora del tutto maturi i tempi in quanto il materiale plastico per eccellenza, l’HDPE, non aveva fatto ancora la sua presenza nel mondo della produzione dei flaconi. La possibilità di ottenere prodotti finiti in forma completamente cava, mediante soffiaggio di un materiale termoplastico, era nota fin dal 1920 ed applicata per alcuni oggetti di cellulosa e di vetro. Fu una vera rivoluzione, se pensiamo che il packaging era da sempre monopolizzato dalle bottiglie di vetro che risalgono, con certezza, al periodo dei Faraoni in Egitto, avendo trovato all’interno delle tombe, vasetti e contenitori funerari in vetro artigianale. Sebbene, la nascita del vetro soffiato, antesignano delle moderne bottiglie di vetro, la possiamo far risalire al I° secolo a.C., quando si sperimentò per la prima volta la soffiatura del vetro attraverso un tubo metallico cavo. Con la soffiatura a canna la produzione divenne più veloce ed economica dando la possibilità di produrre bottiglie, fiaschette, e recipienti adatti anche al popolo e non solo oggetti per i ricchi. Così, nel 1938, due inventori Americani, Enoch Ferngren e William Kopitke, pensarono a un modo per utilizzare i principi della soffiatura del vetro nell'industria della plastica. Crearono così la prima soffiatrice per plastica e la vendettero alla Hartford Empire Company. Ma bisogna arrivare agli anni ‘40 per vedere i primi successi di questa tecnologia, dovuti principalmente all’introduzione del polietilene. Questo materiale, e poi anche il PVC, consentirono la produzione su vasta scala di bottigliette soffiate. Il maggiore sviluppo di questa tecnologia risale però ai primi anni ‘60, quando vennero meno alcune limitazioni brevettuali. Il processo di soffiaggio è sostanzialmente analogo a quello della soffiatura del vetro, tant’è che molti dei primi operatori delle soffiatrici automatiche e robotizzate prevenivano da quel settore. La prima tecnologia di soffiaggio di corpi cavi fu quella di estrusione-soffiaggio, applicata prima per piccoli flaconi e in seguito per grossi contenitori da 5 litri; seguì la tecnologia dell’iniezione-soffiaggio, utilizzata soprattutto per flaconi e bottiglie per uso farmaceutico e cosmetico. I Pionieri Italiani La storia del soffiaggio di corpi cavi incominciò in Italia con Giuseppe Moi, un sardo che trasferitosi a Milano nel 1937 riuscì ad inserirsi con entusiasmo nell’attività industriale di questa città; dopo cinquant’anni di attività, nel 1987, Moi aveva costituito in Italia ed all’estero una trentina di società. La prima attività indipendente di questo straordinario personaggio fu lo stampaggio ad iniezione nel 1945-49 di articoli religiosi e giocattoli di materiale plastico. Nel 1950 fu fondata la G.Moi, che un anno più tardi fabbricò la prima soffiatrice italiana da mezzo litro, dotata di estrusori bivite, destinata alla produzione di bottigliette per detersivi. A questa soffiatrice seguirono macchine da 2, 10, 50 e 500 litri (1962); a partire dai modelli da 10 litri, gli impianti erano attrezzati con testa ad accumulo. L’attività della Moi cessò nel 1980 quando i brevetti e la tecnologia furono trasferiti alla Triulzi, che continuò la costruzione di queste soffiatrici destinate soprattutto alla produzione di grandi manufatti per l’industria automobilistica. Giuseppe Moi ha al suo attivo anche la costruzione delle prime macchine per l’estrusione di lastre e tubi di PE espanso, fornite anche negli Stati Uniti. La storia continua con due società un tempo separate ed oggi divisioni del gruppo americano Uniloy: la Moretti e la Co-Mec. La prima fu fondata nel 1957 dai fratelli Domenico e Giorgio Moretti ad Abbiategrasso, con la ragione sociale: "Officina meccanica per la costruzione di macchine e stampi per il soffiaggio di corpi cavi in materiale plastico". Oltre a queste macchine la società costruì estrusori, teste per l’estrusione, filiere e traini per tapparelle e piccole calandre. Una delle prime macchine soffiatrici, costruita nel 1959, era di tipo pneumatico ad estrusione continua per la produzione di contenitori da due litri per detergenti. Nel 1961 fu costruita la prima macchina per l’estrusione soffiaggio di contenitori fino a 30 litri e la società si impose come una delle principali costruttrici di macchine per il soffiaggio di pezzi tecnici. La Co-Mec, fondata nel 1960 da Herberto Hauda, operava inizialmente a Firenze come trasformatore di materiali plastici. In seguito la sede fu trasferita a Calenzano (FI) dove incominciò la costruzione anche di macchine. Fino al 1965 la Co-Mec costruiva soffiatrici pneumatiche con capacità massima di 5 litri; nel 1966 fu messa sul mercato la prima macchina idraulica, a testa doppia fino ad un litro ed a testa semplice per contenitori fino a 5 litri. Verso la metà degli anni ‘60 furono fabbricate teste speciali per bicomponenti (PVC e PE), con colorazione a strisce. E’ da citare l’azione promotrice in questo settore di Piero Giacobbe, noto anche perché nel 1954 fondò il Giornale delle materie plastiche ceduto poi alla SIR. Giacobbe, oggi titolare con il figlio Ferruccio del gruppo Magic, fondò nel 1960 la ASCO (Associazione costruttori macchine materie plastiche) che mise sul mercato impianti di soffiaggio corpi cavi. Il primo impianto di soffiaggio, chiamato Olimpia, risale al 1960, mentre un anno più tardi fu costruito il modello Mini Magic, che anticipa nel nome la futura società Magic MP. All’inizio degli anni ‘70 si affermò anche in Italia una forte industria costruttrice di macchine per il soffiaggio di corpi cavi, anche se la produzione era allora limitata all’estrusione-soffiaggio e non all’iniezione-soffiaggio. L’offerta copriva dalle piccole unità per contenitori farmaceutici sino agli impianti completi per fusti e contenitori di mille litri ed oltre. Risale a quegli anni lo sblocco dell’impiego del PVC atossico, stabilizzato ai raggi UV ed antiurto, per il soffiaggio di bottiglie destinate alle acque minerali non gasate. Quattro stabilimenti di imbottigliamento incominciarono ad adottare il PVC per questo impiego. Nel 1970 erano presenti in Italia undici costruttori, contro i quattro del 1960. La CoMec mise in commercio nel 1970 una soffiatrice con ugello di soffiaggio dall’alto e con calibrazione del collo. Nei primi anni ‘70 sviluppò l’estrusione-soffiaggio di corpi cavi di nylon ad elevata viscosità e nel 1973 propose la Serie CS anche per la coestrusione fino a tre strati. La Fratelli Moretti costruiva quattro modelli di soffiatrice Serie M, ad un gruppo, per contenitori di PVC fino a sei litri di capacità e quattro modelli MB a due gruppi con smaterozzamento ed espulsione automatici; inoltre proponeva la serie Compact, con cinque modelli per contenitori da 20 a 250 litri ed estrusori fino a 120 mm di diametro. La Omea forniva due modelli di soffiatrice automatica con estrusore verticale e quattro tipi con estrusore orizzontale (fino a cinquanta litri): la testa era del tipo ad accumulo con regolazione dello spessore del parison. La Beloit Italia di Pinerolo (TO) costruiva due diversi modelli a stazioni rotanti (fino a sei). Troviamo poi tre società: la Newpac di Zingonia (BG), la Costaplastik di Macherio (MI) e la Mossi e Ghisolfi di Tortona, che dopo un’attività di trasformazione, iniziarono la costruzione di alcuni tipi di soffiatrici. La Mossi & Ghisolfi si era specializzata nella costruzione di impianti completi per la produzione di bottiglie per latte; commercializzava inoltre le macchine della francese Sidel, destinate alla realizzazione di bottiglie di PVC per acqua minerale, vino ed olio. La Locati e Pavesi di Milano si era fatta un nome con il modello LP 200 per contenitori fino a 5 litri, caratterizzato da un sistema di chiusura delle piastre attuato mediante robuste ginocchiere. La Magic, fondata come è stato detto da Piero Giacobbe nel 1965, acquisì ben presto un posto importante nel panorama dei costruttori italiani di macchine per contenitori fino a 200 litri; in particolare si segnalano i modelli Miniblow per la lavorazione del PVC rigido per uso alimentare, con smaterozzamento automatico in produzione e calibratura dei colli e Maxiblow, quest’ultimo per corpi cavi sino a 50 litri, con testa ad accumulo e regolazione dello spessore e del peso del parison.Categoria: notizie - tecnica - plastica - soffiatrici - storia Foto Kautex Fonti: IQS-Donadini-Kautex
SCOPRI DI PIU'1980: Nasce lo Stile Alpino Himalayano e l’Ecologia in Alta Quotadi Marco ArezioLa storia dei movimenti ecologisti la possiamo posizionare temporalmente all’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso quando, sia in Australia che in Gran Bretagna a cavallo tra il 1972 e il 1973, si fecero avanti i primi collettivi organizzati che rivendicavano una politica di tutela dell’ambiente.Benchè già nel 1962, attraverso la pubblicazione del libro Silence Spring di Rachael Carson, che metteva in evidenza il pericolo dell’uso indiscriminato dei pesticidi nell’agricoltura iniziando a considerare che esisteva di fatto un problema di inquinamento, si dovette però arrivare fino agli anni ’80 per vedere la nascita di movimenti politici specifici in Europa. I verdi, così erano chiamati gli ambientalisti, non godevano di grande considerazione e rispetto da parte delle autorità in quanto erano visti come un freno all’industria, ai consumi e al benessere. Non era facile sensibilizzare l’opinione pubblica ai problemi ambientali crescenti, in quanto erano temi di cui si parlava poco , non potendo disporre di informazioni certe su cui discutere e valutarne i rischi. Il movimento ecologista sembrava un remake del movimento Hippy della fine degli anni ’60 ma, in realtà, i verdi o ambientalisti erano focalizzati sulla tutela ecologica del mondo quanto gli Hippy lo erano su loro stessi e sul loro diritto rivendicato alea libertà personali. Si era quindi passati ad un impegno socio-politico di tutela della terra e non ad una forma di rivolta, fine a se stessa, verso i costumi dell’epoca e al modo di vivere conformista. Come il movimento Hippy aveva avuto i propri paladini, specialmente nell’ambito musicale e cinematografico, anche il movimento ambientalista inizia ad affermarsi sulla spinta di icone che facevano della natura la loro area di interesse. Nel campo dell’alpinismo abbiamo visto una certa similitudine all’evoluzione dei comportamenti sociali, con i primi anni ’60 del secolo scorso in cui le grandi montagne erano viste come terra di conquiste nazionali, con spedizioni dal carattere militare, organizzate, ben sovvenzionate e con l’intento di raggiungere le più altre vette del pianeta a qualsiasi costo e con ogni mezzo. L’impatto di queste spedizioni sul territorio era del tutto secondario per gli organizzatori e, i mezzi usati per facilitare la scalata non erano valutati invadenti dall’opinione pubblica, che aspettava solo il trofeo della conquista come fosse una medaglia olimpica. In questa ottica alpinistica però, iniziarono a distinguersi alcuni scalatori che misero in discussione questo metodo di approccio invasivo all’ambiente alpino, ponendo le basi per un alpinismo più rispettoso delle regole naturali e più leale, tra le capacità dell’uomo di scalare la montagna senza incidere su di essa e la montagna stessa. Il portavoce indiscusso negli anni ’80 fu Reinhold Messner, che raggiunse la vetta dell’Everest in stile alpino e senza ossigeno, dimostrando al mondo che la sfida non era verso la montagna, ma verso le proprie fragilità e i propri limiti e che l’ambiente doveva essere tutelato, cancellando il modello inquinante delle spedizioni di tipo “industriale”. Il concetto dello stile alpino per salire gli 8000 prevede un gruppo molto ristretto di alpinisti, senza portatori in quota, con l’utilizzo minimale dell’attrezzatura alpinistica e con l’impegno di non lasciare stracce del proprio passaggio sulle montagne. Con questo rivoluzionario sistema di scalata Reinhold Messner riuscirà a scalare per primo tutti gli 8000 della terra lanciando una sfida alla società sulla tutela dell’ambiente alpino in tutte le forme possibili, come sancito dal manifesto programmatico di Biella nel 1987. Purtroppo, se da una parte gli alpinisti professionistici negli anni successivi seguirono l’esempio di Messner, dall’altra parte, a cavallo tra la dine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 cominciò a fiorire un alpinismo commerciale, fatto di spedizioni organizzate e vendute, come pacchetti turistici, ad alpinisti che erano spesso privi di etica e di esperienza sul campo. Questo impulso commerciale portò ad un’invasione sulle pareti degli 8000 con grave pericolo per le persone, un aumento dell’inquinamento e dei rifiuti e la distruzione delle fatiche di molti alpinisti venuti dopo Messner, che vedevano le altre montagne come l’ultimo luogo incontaminato sulla terra. Vedi i libri di Reinhold Messner Foto copertina: LaPresse
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