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https://www.rmix.it/ - Gli Elastomeri Termoplastici Riciclati - TPE: Quali sono e Come si Utilizzano
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Gli Elastomeri Termoplastici Riciclati - TPE: Quali sono e Come si Utilizzano
Informazioni Tecniche

Le giuste ricette portano alla creazione di miscele di TPE riciclabili dalle caratteristiche sorprendentidi Marco ArezioGli elastomeri termoplastici (TPE) sono degli elementi costituiti da famiglie differenti di materiali che si associano per creare un composto con caratteristiche migliorative. Chiamati anche gomme termoplastiche, sono, appunto, l’unione tra una plastica e una gomma, questo matrimonio permette di sfruttare le caratteristiche elastiche delle gomme, che si esprimono nella capacità di essere deformate in base ad una forza applicata, sia in lunghezze che in larghezza, per poi riprendere la forma originaria quando verrà meno la forza, e dall’altra la possibilità, come tutti i polimeri termoplastici, di essere lavorati e riciclati. Gli elastomeri termoplastici, quindi, possono essere facilmente impiegati nello stampaggio ad iniezione e nell’estrusione dei manufatti. I primi TPE furono messi sul mercato negli anni ’50 del secolo scorso, attraverso la produzione del polimero poliuretanico termoplastico, per poi allargare la gamma delle miscele, nei decenni successivi, ad altre tipologie di elastomeri termoplastici. I vantaggi dei TPE - Innanzitutto le miscele di TPE possono essere riciclate attraverso il sistema di riciclo meccanico e riutilizzati come nuova materia prima- Facilità di lavorazione rispetto alle gomme vulcanizzate, quindi con tempi di processo più veloci e costi minori dei prodotti finali - Ottima resistenza agli oli anche superiore alle gomme - Saldabilità e trasparenza in alcune formulazioni - Ottima resistenze sia alle basse temperature che a quelle alte - Possibilità di realizzare prodotti finiti più leggeri rispetto alle gomme vulcanizzate Quali sono i principali TPE - Compound poliolefinici come il TPO - Compound stirenici come l’SBS e SEBS - Compound poliuretanici - Compound a base Copoliestere - Compound vulcanizzati come il TPV Dove vengono impiegati gli Elastomeri Termoplastici - Settore medicale e farmaceutico per guarnizioni, valvole, tubi e oggetti che vanno in autoclave - Settore delle calzature per la produzione di suole, tacchi, sotto tacchi e scarpe antinfortunistiche - Settore alimentare ed agricolo come i supporti per i codici a barre, tubi da irrigazione, erba sintetica, cavi di blocco, separatori per frutta e verdura, supporti di marchiatura. - Edilizia come i rivestimenti tubi in acciaio, ingredienti per la modifica di bitumi stradali, elementi fonoassorbenti e antivibranti - Articoli sportivi come il rivestimento rigido per gli scarponi da sci, punte e code degli sci, tavole da snowboard, abbigliamento sportivo e per il nuoto - Automotive come i cruscotti, alcune parti della carrozzeria e del cambio, guarnizioni, coperture delle zone degli airbags, pannelli di portiere e rivestimenti vari. Come si riciclano i TPE La maggior parte dei prodotti fatti in TPE sono riciclabili attraverso gli impianti di riciclo meccanico, quindi, le operazioni che si effettueranno riguarderanno, la selezione del materiale, dividendo le varie tipologie di elastomeri termoplastici, la macinazione, il lavaggio se necessario, e la granulazione del materiale per riutilizzarlo in produzione. Una fase importante del processo riguarda sicuramente la selezione degli scarti in quanto, a volte, è possibile trovare rifiuti di TPE sui quali rimangono quantità anche apprezzabili di altri materiali di natura diversa, come per esempio le schiume poliuretaniche o i polietileni reticolati, che possono inquinare il prodotto finale.

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https://www.rmix.it/ - Il Packaging del Vino Francese Vira sulle Bottiglie in rPET?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Packaging del Vino Francese Vira sulle Bottiglie in rPET?
Economia circolare

Un accordo storico tra due società per aiutare il settore vitivinicolo Francese ad affrontare la mancanza di vetroIl vino ha provato in passato ad uscire dalle solite bottiglie in vetro da 75 cc., entrando nel cartone per esempio, ma con risultati non eccelsi. Un imballo troppo diverso, anche visivamente, che non è piaciuto ai degustatori del nettare degli Dei, sollevando anche alcuni dubbi sulla qualità e durata del vino all’interno di questo packaging in cartone. Ora la Francia, famosa nazione per quantità e qualità del vino, vive la difficoltà nel reperire il vetro per le bottiglie tradizionali e, anche a causa dei costi saliti alle stelle, si è domandata come poter risolvere il problema. Così, due società specializzate nel packaging per il settore vitivinicolo e nelle soluzioni sostenibili per l’industria dell’imbottigliamento, hanno unito i loro sforzi per andare incontro alle aziende agricole Francesi che producono vino. La collaborazione tra Vinventios, azienda specializzata nella produzione di chiusure sostenibili per bottiglie, inserita nella filiera della produzione del vino in molti paesi del mondo e Packamama, azienda specializzata nella produzione di bottiglie per il vino in rPET, ha dato i suoi frutti sul mercato Francese. Le nuove bottiglie in rPET andranno a sostituire le classiche cilindriche in vetro, che tutti conosciamo, apportando, non solo una novità stilistica nella bottiglia, in quanto ovalizzata e non cilindrica, ma anche un messaggio forte dal punto di vista ambientale, utilizzando l’rPET, riciclato al 100%, che secondo Packamama, aiuterà le cantine ad abbattere la loro impronta di CO2. Inoltre, il PET riciclato per alimenti è certificato in Europa e negli USA, non reagisce ai cibi e alle bevande, non ha alcun impatto sul gusto ed è privo di PBA. Il vantaggio della bottiglia riciclata in rPET non è solo espresso nel miglioramento del marketing dell’imballo e nel vantaggio ambientale, passando dal vetro alla plastica, ma ha anche un grande vantaggio economico nei trasporti e, quindi, nel risparmio di costi e di carburante bruciato per la logistica. Infatti, secondo Packamama, la bottiglia in rPET, del tutto simile a quella in vetro, anche nel colore, pesa solo 63 gr. che corrisponde all’87% in meno di una di vetro, con risvolti evidenti sull’impronta carbonica nella logistica. Secondo Packamama la Francia sta vivendo una serie di coincidenze negative nel settore del vino, come la mancanza di bottiglie in vetro, i loro prezzi molto più altri che in passato e la disaffezione al vino da parte delle generazioni più giovani. Con la nuova bottiglia in rPET i prezzi del packaging saranno più competitivi, più stabili, il prodotto più sostenibile e più innovativo, andando incontro anche alle esigenze rivendicate dai giovani in termini di tutela ambientale. La carenza di bottiglie in vetro, che ha afflitto la Francia negli ultimi anni, è stata innescata dal fermo dei forni a causa del Covid 19, ma è poi proseguita per la ridotta produzione generale, anche a seguito del costo improponibile, per alcune aziende, dell’energia. Resiste, tuttavia, un certo disappunto da parte dei consumatori di vino meno giovani al cambio del vetro come materia prima per le bottiglie, essendo convinti che il vetro sia, nel suo complesso, più sostenibile e circolare della plastica.

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https://www.rmix.it/ - La Poliammide Italiana Festeggia 25 anni in Brasile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Poliammide Italiana Festeggia 25 anni in Brasile
Notizie Brevi

L'internazionalizzazione della produzione della poliammide Italiana festeggia quest'anno i 25 anni in Sud America L'occasione è la fiera Plasticos Brasil, che si svolge al San Paolo in Brasile, per fare il punto degli obbiettivi raggiunti dal gruppo Italiano attivo nella produzione delle poliammide. Dallo stabilimento brasiliano non si guarda solo all'area nazionale, ma è un trampolino di lancio per i servizi e per i prodotti, utile per tutte le realtà del sud America, con l'obbiettivo di essere vicini ai clienti del settore delle materie plastiche. Un mercato molto ampio quello dei compounds di poliammide, che intercetta molti mercati maturi e sviluppati, diversi tra loro, realizzando un mix settoriale molto importante per l'azienda. A Plasticos Brasil, infatti, il gruppo conferma l’importanza strategica del sito produttivo brasiliano, punto di riferimento per tutto il Sud America «E’ oggi una presenza consolidata e strategica quella di RadiciGroup in Sud America – dice con orgoglio Jane Campos, South America Country Manager di RadiciGroup High Performance Polymers – Risale al 1998 il primo insediamento del gruppo, con un sito produttivo di proprietà in Brasile, vicino a San Paolo, che in questi 25 anni è cresciuto per competenza, know-how e capacità produttiva».RadiciGroup partecipa a Plasticos Brasil (stand K038) - fiera locale di riferimento per il settore dei materiali polimerici che si svolge dal 27 al 31 marzo a San Paolo - confermando dunque l’importanza strategica del mercato brasiliano e sud americano per la sua attività di produzione e commercializzazione dei tecnopolimeri a uso ingegneristico.«Nel corso degli anni – prosegue Jane Campos – la famiglia Radici ha continuato a investire nel nostro Paese, credendo fortemente nelle sue prospettive di sviluppo nei mercati automotive, elettrico/elettronico, beni di consumo e industriali.Da “outsider” siamo diventati fornitori di riferimento di questi settori, con numerosi clienti che hanno riconosciuto l’alta qualità dei nostri prodotti e l’affidabilità nel servizio. Questo è stato possibile grazie a un forte commitment della proprietà e al supporto della struttura centrale di High Performance Polymers, oltre che a un graduale e significativo piano di investimenti per garantire la crescita, la sostenibilità e l’innovazione nel business».L’attività in Brasile e Sud America è altamente strategica per la Business Area High Performance Polymers - ha detto Maurizio Radici, Vice Presidente e COO di RadiciGroup – e può contare su una struttura globale contraddistinta da un network di unità produttive e commerciali in Europa, Nord e Sud America e Asia, che consente di soddisfare clienti globali e locali con un’offerta completa, innovativa e sostenibile. Ecco perché anche qui abbiamo deciso man mano di rinforzare la nostra presenza attraverso nuove e moderne linee di produzione, incrementando la capacità produttiva e quindi il nostro livello di efficienza».Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.Fonte: Gruppo Radici

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https://www.rmix.it/ - Nuovi Impianti Eolici Offshore al Largo della Sardegna e del Lazio
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Nuovi Impianti Eolici Offshore al Largo della Sardegna e del Lazio
Ambiente

Tre impianti eolici offshore da quasi 2 GW per produrre elettricità in modo sostenibiledi Marco ArezioUna nuova partnership di società specializzate nelle energie rinnovabili, in particolare nel campo dell’eolico offshore, è stata costituita per realizzare tre parchi eolici galleggianti al largo delle coste Sarde e Laziali, a quasi 30 Km. dalle coste con circa 2 GW di potenza. Con minori vincoli ambientali dei parchi eolici sulla terraferma, quelli galleggianti possono dare una risposta più veloce in termini di procedure autorizzative e permettono di sfruttare meglio i venti che si muovono sulla superficie del mare. Con questo accordo il consorzio diventa uno dei maggiori operatori del settore in Italia con progetti per una capacità totale di circa 3 GW.La nuova partnership è composta da GreenIT, la joint venture italiana per le energie rinnovabili tra Plenitude (Eni) e CDP Equity (Gruppo CDP), e Copenhagen Infrastructure Partners (CIP attraverso i suoi Flagship Funds), che hanno firmato un accordo per lo sviluppo di tre parchi eolici offshore galleggianti nel Lazio e in Sardegna. L'intesa prevede lo sviluppo di un parco eolico nel Lazio, al largo di Civitavecchia, per una capacità complessiva fino a 540 MW e di altri due impianti situati al largo di Olbia (Sardegna), con una potenza di circa 500 MW e 1.000 MW. I tre progetti dovrebbero generare circa 5 TWh/anno e saranno operativi tra il 2028 e il 2031, una volta completato l'iter autorizzativo e la successiva fase di costruzione. L’intero portafoglio eolico offshore italiano della partnership raggiungerà una potenza di quasi 3 GW con una produzione annua di circa 7 TWh di energia rinnovabile, in grado di soddisfare i consumi elettrici di quasi 2,5 milioni di famiglie, contribuendo così agli obiettivi di decarbonizzazione del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima 2030. I tre parchi eolici offshore utilizzeranno fondazioni galleggianti e soluzioni tecniche innovative volte a minimizzare l'impatto ambientale e visivo e beneficeranno di sinergie tecnologiche e logistiche con le altre iniziative eoliche offshore gestite nell'ambito della stessa partnership. Gli impianti verranno sviluppati da un team di lavoro congiunto, affiancato da Copenhagen Offshore Partners, fornitore esclusivo di CIP per l’implementazione dell'eolico offshore, e da NiceTechnology e 7 Seas Wind Power, società italiane con provata esperienza nel comparto offshore, che hanno già collaborato con GreenIT e CIP allo sviluppo di altri due progetti in Sicilia e Sardegna. Questo nuovo accordo rappresenta un ulteriore tassello strategico e un impegno preciso per il rafforzamento del settore eolico offshore galleggiante in Italia, fornendo un contributo significativo verso un futuro a basse emissioni di carbonio e incoraggiando la crescita della filiera produttiva locale.Fonte ENI

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https://www.rmix.it/ - Il Riciclo dei Tappeti e della Moquette: A che punto Siamo?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Riciclo dei Tappeti e della Moquette: A che punto Siamo?
Economia circolare

Due famiglie di rifiuti ancora di difficile riciclo che continuano a riempire le discariche in tutto il mondodi Marco ArezioIl riciclo dei tappeti e delle moquette rimane un punto non risolto nell’agenda della circolarità dei prodotti, infatti, se guardiamo freddamente i numeri, rappresentati dalle tonnellate di prodotto che vengono portati in discarica rispetto a quelli che vengono riciclati o recuperati, possiamo dire che i conti non tornano. Se vogliamo parlare di tonnellate di rifiuto, secondo la Comunità Europea, in un anno vengono avviate alla discarica o all’incenerimento circa 1,6 milioni di tonnellate rappresentati da tappeti e moquette. Questo significa una quota rilevante di rifiuti che non viene minimamente riciclata per via della loro complicata composizione, fatta di polimeri, lana, carbonato di calcio e additivi chimici, che rappresentano, nell’insieme, una barriera al riciclo meccanico tradizionale. Infatti, i sistemi di riciclo dei rifiuti che rappresentano queste due famiglie di prodotti sono:- chimico, come illustrato nell’articolo “La Moquette si può riciclare grazie alla tecnologia molecolare”, - la produzione di energia tramite l’incenerimento, quindi l’utilizzo dei rifiuti infiammabili come propellente - il riusoSe il riciclo chimico non ha ancora raggiunto una diffusione importante, anche a causa dei costi per la produzione di nuovi polimeri, attraverso la scomposizione degli elementi costituenti i tappeti e le moquettes, la scelta dell’uso di questi rifiuti per produrre energia termica da impiegare, per esempio, nei forni delle cementerie, sembra una scelta apparentemente obbligata, visto che il riciclo meccanico non è in grado di fare la sua parte. Ma. in realtà, in alcuni paesi come l’Inghilterra, si è sviluppata da alcuni anni una terza strada che permette il riciclo di questi scarti complicati, attraverso il loro riuso sotto forma di prodotti nuovi in modo che non finiscano più in discarica o all’incenerimento. La moquette e i tappeti avviati al riuso vengono puliti, separati e ridotti in piastrelle di diverse dimensioni adatte al loro riutilizzo come pavimentazioni, feltri o accoppiati ad altri materiali fono-isolanti. In Inghilterra è nata l’associazione Carpet Recycling UK (CRUK), di cui fanno parte alcuni produttori di moquette e di tappeti, alcuni riciclatori ed esperti del riciclo, con lo scopo di migliorare la circolarità della filiera. Ma anche negli Stati Uniti qualche cosa si sta muovendo, infatti, lo stato della California ha implementato una legge sulla responsabilità del produttore di tappeti e, a partire dal 2026, lo stato di New York richiede ai produttori di istituire un programma per la raccolta e il riciclaggio dei tappeti scartati e inutilizzati. In termini quantitativi stiamo parlando di numeri ancora contenuti, considerando che nel settore tessile i rifiuti che vengono generati ogni anno hanno un tasso di riciclo molto basso, intorno al 13%, e di questi il loro riutilizzo, per ora, vede un riuso di bassa qualità, come stracci, imbottiture o isolanti. Inoltre la circolarità espressa dal sistema tessile vede un ampio uso di polimeri riciclati che non derivano dalla propria filiera, come per esempio il poliestere che deriva dal riciclo delle bottiglie dell’acqua e delle bibite, bottiglie che sono sempre più necessarie per la produzione del packaging riciclato. Questa abitudine di dichiarare circolare un prodotto tessile per via della sua produzione con materiali riciclati, anche se non provengono dal settore tessile, è un elemento fuorviante e che non aiuta alla circolarità della filiera.

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https://www.rmix.it/ - Slow Trekking: I Panorami del Lago di Como in un Ambiente Incantato
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Slow Trekking: I Panorami del Lago di Como in un Ambiente Incantato
Slow Life

Passeggiare lentamente sulle rive del lago tra ambienti storici, uliveti, montagne, isole e scorci bucolicidi Marco ArezioPensare al lago di Como viene subito in mente la bellezza degli ambienti, il turismo internazionale, le ville storiche che in primavera si riempiono di fiori, ricordi di una storia elegante, splendidi scorci tra chiese antiche e castelli medioevali, la cucina a base di pesce e le tradizioni delle sagre di paese. Ma il lago di Como ha anche un fascino fatto dalle montagne che aggettano su di esso, dando la possibilità agli amanti dello slow trekking di fare innumerevoli passeggiate, godendo la tranquillità dell’ambiente e la bellezza dei luoghi storici. Ce ne sono tante, che si possono fare con tappe di più giorni, o altre che si possono fare in giornata, tutte panoramiche, più o meno impegnative per quanto riguarda il dislivello, ma ognuna con un fascino particolare, unico, che vi ricorderete per molto tempo. Ogni camminatore può scegliere la passeggiata che soddisfarà le proprie aspettative, ma ognuna vi darà la sensazione di vivere all’interno di un film perché, passo dopo passo, i panorami splendidi vi accompagneranno costantemente. Tra le tante passeggiate che vi possiamo consigliare citerei la Greenway del Lago di Como, che parte sulla sponda occidentale del lago, nel paese di Colonno e finisce a Menaggio, con un susseguirsi di emozionanti paesi affacciati sul lago. La lunghezza della Greenway è di circa 10 Km., frazionandola in varie tappe se si desidera, snodandosi su sentieri battuti, strade interne dei paesi, vecchie mulattiere. Si passeranno abitati come Sala Comacina, Ossuccio, Lenno, Mezzegra, Tremezzo, Griante e Menaggio. Per chi conosce un po' questa sponda del lago, possiamo dire che ci troviamo al cospetto delle ville storiche come la villa Balbianello, La Quiete, Carlotta, Palazzo Rosati e molte altre che punteggiano, con la loro eleganza architettonica e la bellezza dei loro giardini fioriti, questo ramo del lago. Il percorso a piedi è caratterizzato da un saliscendi non impegnativo, considerato che su tutto il percorso possiamo registrate di circa 220 metri di dislivello, il terreno dove si cammina è sempre ben curato e non necessita di particolari attrezzature, se non un paio di scarpe comode da trekking, uno zainetto con l’acqua da bere e la macchina fotografica sempre a portata di mano. Si incontreranno in ogni caso, lungo la Greenway, alcuni punti di ristoro e, in caso di stanchezza, facilmente si può scende verso il lago, in cui è possibile trovare una fermata della corriera o un battello per tornare al punto di partenza. Molti i punti storici da ammirare e visitare, alcuni dei quali risalgono al periodo medioevale, come il borgo di Sala Comacina, la torre di Villa e molte chiese antiche che caratterizzano i paesi che si incontrano camminando. Più che il racconto, sono le fotografie che possono far capire all’appassionato della camminata lenta quanto sia splendido il percorso, che può essere percorso 3-4 ore, ed è per questo che le riportiamo in fondo all’articolo, con l’auspicio di avervi dato lo spunto per una giornata rilassante sul lago di Como.

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https://www.rmix.it/ - Slow Life: Quale è il Paese più Felice del Mondo Secondo l’WHR
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Slow Life: Quale è il Paese più Felice del Mondo Secondo l’WHR
Slow Life

Il nuovo rapporto del World Happiness Report ratifica che un gruppo di paesi del nord Europa si contende lo scettrodi Marco ArezioParlare di felicità e di benessere psico-sociale potrebbe essere un po' azzardato in questi ultimi anni, visto la pandemia che abbiamo passato, la crisi energetica che ci ha colpiti, la guerra tra la Russia e l’Ucraina e le crescenti tensioni tra l’occidente e la Cina. Tutte queste difficoltà farebbero pensare che solo lavorare ad una classifica mondiale per catalogare i paesi, tra i più felici e i più infelici del mondo, potrebbe essere anche anacronistico e fuori luogo. In realtà, come la storia ci ha insegnato, il mondo va avanti nonostante il genere umano si sforzi, giorno e notte, di pensare come arrivare all’apocalisse, in quanto esiste un flusso di positività che non si esaurisce, che lavora, nonostante tutte le forze siano avverse, per cercare la felicità. E, probabilmente, partendo da queste irriducibili correnti positive, che il World Happiness Report 2023 ha redatto l’ultima classifica sulla felicità dei paesi del mondo. La raccolta dei dati è stata fatta sulla base di interviste in 137 paesi, coinvolgendo più di 100.000 persone, alle quali è stato chiesto di esprimere un punteggio da 1 a 10 in merito alla propria soddisfazione, rispetto ad alcuni parametri cardini, come il sostegno sociale, il reddito, la salute, la libertà, la generosità e l'assenza di corruzione. Ovviamente la felicità e la sua percezione sono parametri soggettivi, ma la miscelazione dei dati su un’utenza ampia e il confronto con i valori espressi gli anni precedenti alle medesime domande, ha dato ai ricercatori un quadro interessante. Nei paesi che sono rientrati all’interno dei primi 20 classificati si è potuto notare come la benevolenza, quel sentimento condiviso da molte popolazioni, che si traduce in azioni singole od espresse tramite il volontariato, nell’assistenza a vari livelli del prossimo, esprimendo l’attenzione ai bisogni degli altri, gratuitamente e senza scopi differenti che non siano quello di aiutare e sostenere chi ha bisogno, sia aumentata. Da qui si può cominciare ad intuire dalle interviste fatte, cosa possa essere per alcune persone la felicità, infatti, molti hanno identificato la felicità come la possibilità di poter contare sull’aiuto di qualcuno e, visto, che in alcuni paesi circa l’80% della popolazione dichiara che può contare su altre persone al bisogno, si può trarre alcune interessanti indicazioni dei gradi di felicità che compongono il paniere. In questa speciale classifica che, come abbiamo detto, comprende molti parametri, al primo posto troviamo, ancora una volta, la Finlandia, seguita da un gruppetto di paesi nordici come fa Danimarca e l’Islanda, poi Israele, per poi ricominciare con le latitudini nordiche, trovando la Svezia, la Norvegia, la Svizzera, il Lussemburgo e la Nuova Zelanda. Restando sempre al nord buoni progressi li ha fatti, per esempio la Lituania, che è entrata tra i primi venti in classifica, recuperando dal 52° posto, ma anche altri paesi baltici come l’Estonia e la Lettonia hanno avuto ottimi progressi. Parlando dei paesi in cui, più che esprimere un grado di felicità, si può parlare di paesi più infelici, troviamo al primo posto l’Afganistan dei talebani, seguito dal Libano, entrambi paesi dilaniati da guerre intestine e condizioni di vita molto difficili. Questa classifica ha rimarcato quanto la popolazione mondiale sia, comunque, resiliente, e che una buona parte della popolazione vive con animo aperto e lavora per migliorare la propria vita, adoperandosi per migliorare, in qualche modo, anche il contesto sociale in cui vive, nonostante le pandemie, le guerre, la corruzione e le disuguaglianze socio-economiche. I dati sono anche supportati dall’indice di disponibilità al volontariato in netto aumento in molti paesi presi in esame, e dall’aumento delle donazioni materiali che, nonostante l’incertezza del momento, non vede flessioni. Per parlare di numeri vediamo i paesi considerati dal World Happiness Report tra i più felici e tra i più infelici: La Top 20 dei paesi più felici del mondo 1. Finlandia 2. Danimarca 3. Islanda 4. Israele 5. Paesi Bassi 6. Svezia 7. Norvegia 8. Svizzera 9. Lussemburgo 10. Nuova Zelanda 11. Austria 12. Australia 13. Canada 14. Irlanda 15. Stati Uniti 16. Germania 17. Belgio 18. Repubblica Ceca 19. Regno Unito 20. Lituania La Top 20 dei paesi più infelici del mondo 1. Afghanistan 2. Lebanon 3. Sierra Leone 4. Zimbabwe 5. Congo 6. Botswana 7. Malawi 8. Comoros 9. Tanzania 10. Zambia 11. Madagascar 12. India 13. Liberia 14. Etiopia 15. Jordan 16. Togo 17. Egitto 18. Mali 19. Gambia 20. Bangladesh Categoria: Slow life - vita lenta - felicità

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https://www.rmix.it/ - Joint Venture nel Campo del Packaging Farmaceutico in Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Joint Venture nel Campo del Packaging Farmaceutico in Plastica
Notizie Brevi

Due aziende unite per migliorare l’offerta commerciale e produttiva degli imballi in plastica Non si è mai grandi abbastanza quando si vuole migliorare se stessi e la propria azienda, non si è mai abbastanza efficienti se si vuole dare un servizio alla clientela di primo piano, non si è mai abbastanza capillari quando si vuole essere vicino, in ogni parte del mondo, ai propri clienti, non si finisce mai di affinare le performaces sulla sostenibilità, quando si vuole ridurre al massimo l’impatto ambientale della propria azienda. Da questi e da altri impegni ed obbiettivi, che possiamo pensare sia nata la joint venture che un gruppo internazionale, specializzato nella produzione di plastica riciclata in granuli e leader di mercato degli imballi in HDPE e PET, con un’azienda focalizzata nel settore degli imballi farmaceutici a respiro internazionale.L’obbiettivo della joint venture è la produzione, già nel 2023, di 800 milioni di prodotti per l’imballaggio e di triplicarli all’interno del nuovo piano di sviluppo quinquennale. Le società che partecipano a questo accordo sono ALPLA, che sta espandendo la sua presenza nel mercato globale del packaging farmaceutico e la spagnola Inden Pharma. ALPLA, lo specialista internazionale degli imballaggi e del riciclaggio in plastica, e l'azienda spagnola di imballaggi farmaceutici di fama internazionale Inden Pharma, stanno, come detto, avviando una partnership a lungo termine per la produzione certificata di flaconi, contenitori e chiusure in camere bianche. La joint venture comprende due siti produttivi di ALPLApharma in Grecia (Koropi) e Polonia (Żyrardów) e i due stabilimenti spagnoli di Inden Pharma a Ibi, a nord di Alicante, nonché un quinto stabilimento in Germania (Markdorf) costruito congiuntamente, che è previsto iniziare la produzione a giugno. “Uniamo la presenza globale con standard elevati e leadership tecnologica. Insieme, siamo ancora più vicini ai nostri clienti e stiamo ampliando la nostra gamma di soluzioni di imballaggio di alta qualità, convenienti e sostenibili", afferma Philipp Lehner, CEO di ALPLA. Da quando è entrata nel mercato in rapida crescita del packaging farmaceutico nel 2016, ALPLA si è continuamente espansa in nuovi paesi, tecnologie e categorie di prodotti. Anche Inden Pharma è focalizzata su una forte crescita. Negli ultimi quattro anni, l'azienda ha triplicato le sue vendite per raggiungere i 30,5 milioni di euro nel 2022. Inden Pharma vende ogni anno più di 550 milioni di contenitori in 35 paesi nei 5 continenti. Vantaggio tecnologico e aumento della capacità Nei cinque impianti gestiti congiuntamente nel primo anno verranno prodotti circa 800 milioni di imballaggi. I prodotti standard offerti da Inden Pharma saranno integrati nel catalogo congiunto dei prodotti ALPLApharma e Inden Pharma, raggiungendo un'offerta di oltre 150 articoli. Si prevede inoltre di espandere in futuro l'attività in altri luoghi al di fuori dell'Europa, come l'India, gli Stati Uniti o il Centro e Sud America. “I nostri clienti internazionali beneficiano di una maggiore varietà di impianti, vicinanza, elevata flessibilità, nonché del servizio e della qualità nelle consegne che è stato abituale negli ultimi anni. È una vera sfida, non solo per Inden Pharma, ma per l'intera organizzazione della joint venture, poiché il nostro obiettivo è raggiungere la leadership nel mercato degli imballaggi in plastica farmaceutica nei prossimi cinque anni.Walter Knes, amministratore delegato di ALPLApharma, sottolinea l'importanza del trasferimento di tecnologia e know-how: “Uniamo i nostri punti di forza e le nostre reti di distribuzione, utilizziamo le più moderne tecniche di soffiaggio a iniezione ed estrusione e possiamo contare sulla nostra lunga esperienza nel riciclaggio per futuri sviluppi”. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano. Fonte: Alpla

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https://www.rmix.it/ - Accordo per il Riciclo di 15.000 Ton Anno di Film Plastico a Circuito Chiuso
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Accordo per il Riciclo di 15.000 Ton Anno di Film Plastico a Circuito Chiuso
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Due società francesi hanno sviluppato un accordo per la gestione degli scarti dei film plastici attraverso un canale dedicatoSelezionare il rifiuto post consumo, in modo che non venga contaminato da altre plastiche o da altri agenti inquinanti, è sempre stato l’obbiettivo più alto nel campo del riciclo delle materie plastiche derivanti dalla raccolta differenziata. Si sono fatti molti passi avanti nel settore del PET, dove gli sforzi che si sono compiuti e si stanno ancora compiendo per creare una raccolta monoprodotto, quindi delle sole bottiglie separate dagli altri rifiuti, sta portando a buoni risultati. Risultati che si possono toccare con mano, in termini di qualità del rifiuto in PET che si può riciclare, in quanto la raccolta delle sole bottiglie di PET riduce di molto gli inquinanti tipici presenti nella raccolta differenziata. Ora, in Francia, si è esteso questo principio di raccolta, monocanale, anche per gli imballi flessibili del packaging, creando una circolazione del prodotto-rifiuto a circuito chiuso, raccogliendo e lavorando solo lo scarto del film, creando un processo di riciclo dedicato che non comporti la contaminazione dello stesso con altre plastiche. Infatti, TotalEnergies e Paprec, leader nel riciclaggio della plastica in Francia, hanno firmato un accordo commerciale a lungo termine per sviluppare una catena del valore francese per il riciclaggio avanzato dei rifiuti di film plastici. L'accordo assicurerà la fornitura del futuro impianto avanzato di riciclaggio della plastica di TotalEnergies a Grandpuits. In base ai termini di questo accordo, Citeo, la principale organizzazione francese responsabile degli imballaggi domestici a fine vita, fornirà un flusso di rifiuti di plastica flessibile selezionati dagli imballaggi post-consumo. Questo flusso sarà consegnato allo stabilimento Paprec Plastiques 80 di Amiens (Francia), dove verrà costruita una linea di selezione e preparazione unica nel suo genere. TotalEnergies utilizzerà questi rifiuti di origine francese nel suo impianto di riciclaggio avanzato, presso la piattaforma zero-greggio di Grandpuits, e produrrà plastica riciclata con le stesse proprietà della plastica vergine per uso alimentare. L'impianto di riciclaggio avanzato, realizzato da TotalEnergies (60%) e Plastic Energy (40%), sarà in grado di trattare 15.000 tonnellate di rifiuti all'anno e dovrebbe essere operativo nel 2024. "Questo accordo a lungo termine è un'importante pietra miliare per il nostro impianto di riciclaggio avanzato a Grandpuits, in quanto garantisce una fornitura di rifiuti di origine francese", ha dichiarato Valérie Goff, vicepresidente senior per i combustibili rinnovabili e i prodotti chimici di TotalEnergies. "È un esempio tangibile dell'impegno di TotalEnergies nello sviluppo di un'economia circolare per la plastica e contribuisce pienamente alla nostra ambizione di produrre il 30% di polimeri circolari entro il 2030". "Il nostro compito è fornire ai nostri clienti e partner imballaggi circolari che consentano di riportare il materiale al suo utilizzo originale e ottenere risparmi di carbonio. Stiamo adottando un approccio aggressivo e innovativo alle resine monostrato come PET, HDPE e PVC. Questa innovazione con TotalEnergies integra il riciclaggio meccanico o "a basse emissioni di carbonio", che non può offrire la stessa circolarità per la plastica che non è così eco-progettata o che è troppo sporca. Sostenere e sviluppare l'eccellenza industriale francese è una delle nostre missioni ", ha affermato Sébastien Petithuguenin, Presidente e Amministratore Delegato di Paprec Plastiques. Informazioni su TotalEnergies e Polimeri TotalEnergies sviluppa, produce e commercializza polimeri - polietilene, polipropilene, polistirene, loro equivalenti riciclati e biopolimeri - che possono essere incorporati nel processo di produzione della plastica. Più leggeri di molti materiali alternativi, aiutano a ridurre l'impronta di carbonio delle applicazioni finali attraverso una maggiore efficienza energetica. Gli esperti di polimeri di TotalEnergies in Europa, Asia e Stati Uniti d'America stanno lavorando a fianco di tutti i professionisti, compresi i produttori di plastica, i centri di ricerca, le società di raccolta e selezione dei rifiuti e i loro clienti per accelerare nell'economia circolare. L'azienda sta sviluppando diversi processi di riciclaggio della plastica e utilizzando materie prime rinnovabili, con l'ambizione di commercializzare il 30% di polimeri circolari entro il 2030.  A proposito di Paprec Il gruppo è stato fondato dalla famiglia Petithuguenin nel 1994 ed è stato gestito dalla famiglia sin dalla sua creazione. Paprec è il leader francese nel riciclaggio e uno dei principali attori europei del trattamento dei rifiuti e dell'energia dal recupero dei rifiuti. Il gruppo è passato da 45 dipendenti a 13.000, distribuiti su più di 300 siti nei paesi din. Nel 2022 il gruppo ha gestito 16 milioni di tonnellate di rifiuti e il fatturato ha superato i 2,5 miliardi di euro. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.Fonte TotalEnergy

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https://www.rmix.it/ - Un Nuovo Impianto per Energia Elettrica Rinnovabile dalle Onde Marine
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Un Nuovo Impianto per Energia Elettrica Rinnovabile dalle Onde Marine
Ambiente

Le onde sono sempre in movimento e per questo sono un’ottima opportunità per produrre energia rinnovabiledi Marco ArezioA volte le cose le abbiamo sotto gli occhi ma non le vediamo, così come il mare lo abbiamo sempre visto in una chiave un po' ristretta, utilizzato per la navigazione, la pesca, le vacanze, ma quasi mai l’abbiamo visto come fonte di energia. Se l’energia rinnovabile prodotta dal vento o dal sole può avere dei cali produttivi, a causa di periodi di assenza di correnti ventose, o a causa della copertura del cielo, che riduce l’irraggiamento solare, quella del moto ondoso è, tra quelle citate, la più costante e continuativa. Da qualche anno si stanno facendo esperimenti su come poter creare energia rinnovabile elettrica dal mare, minimizzando l’impatto ambientale e dando autonomia energetica anche alle piccole isole, lontane dalla rete elettrica che si produce sulla terraferma.La crisi energetica scaturita, prima dalla pandemia di Covid e successivamente dalla guerra Russo-Ucraina, ha dato una potente accelerazione sullo sfruttamento e sullo studio di nuovi sistemi sostenibili per produrre energie rinnovabili.  Infatti, il mare rappresenta una delle principali fonti di energia rinnovabile non valorizzate del Pianeta: ENEA e RSE hanno calcolato che se si riuscisse a sfruttare l’energia fornita dagli oceani (moto ondoso, maree, salinità e gradiente termico) si otterrebbero ben 80 mila TWh, vale a dire circa cinque volte il fabbisogno annuale di energia elettrica del mondo intero. Altre stime pongono questo valore addirittura a 130 mila TWh. La sola componente del moto ondoso, nelle stime più prudenziali, è di circa 2 TW a livello globale, corrispondenti a circa 18 mila TWh all’anno, pari a quasi la domanda annuale di elettricità del pianeta. Il nostro sistema ISWEC (Inertial Sea Wave Energy Converter) fa esattamente questo: converte l’energia delle onde marine in energia elettrica, rendendola immediatamente disponibile per impianti offshore o immettendola nella rete elettrica per dare corrente a comunità costiere e piccole isole. ISWEC è stato sviluppato insieme a Wave for Energy S.r.l., spin-off del Politecnico di Torino. Il sistema è costituito da uno scafo galleggiante sigillato con al suo interno una coppia di sistemi giroscopici collegati ad altrettanti generatori. I giroscopi, grandi volani continuamente in rotazione, tendono a mantenere fisso il proprio asse di rotazione generando una forza perpendicolare all’asse per opporsi a forze esterne che tendono a modificarlo. Questo fenomeno è noto come precessione giroscopica. Le onde provocano il beccheggio dell’unità, ancorata al fondale, ma libera di muoversi e oscillare. Il beccheggio dello scafo viene intercettato dai due sistemi giroscopici: questi sono collegati ad altrettanti generatori che producono energia elettrica. Una soluzione semplice, con un cuore d’alta tecnologia. Dall’impianto pilota all’applicazione di ISWEC per l'isola di Pantelleria ISWEC è perfetto per fornire energia elettrica a isole minori non connesse alla rete elettrica principale, comunità costiere e infrastrutture offshore, come piattaforme Oil&Gas. ll primo impianto pilota è stato installato a Ravenna a marzo 2019, collegato alla nostra piattaforma PC80 e integrato con un impianto fotovoltaico. Al termine della campagna sperimentale, l’impianto è stato poi dismesso a settembre 2022. Questo tipo di applicazioni aumenta l’autosufficienza energetica di strutture situate in ambiente offshore, e magari in contesti geografici in cui l’approvvigionamento elettrico non è scontato. A febbraio 2023 Eni ha completato l’installazione del primo dispositivo ISWEC nel mar Mediterraneo, a 800 metri dalla costa di Pantelleria. I numeri di ISWEC a Pantelleria Il modello ISWEC installato al largo di Pantelleria consiste in uno scafo in acciaio, di dimensioni 8x15m che ospita il sistema di conversione dell’energia, costituito da due unità giroscopiche di più di 2 m di diametro ciascuna. Il dispositivo è mantenuto in posizione, in un fondale di 35 m, da uno speciale ormeggio di tipo autoallineante in base alle condizioni meteo-marine, composto da tre linee di ormeggio e uno swivel (giunto rotante), mentre l’energia elettrica prodotta è portata a terra mediante un cavo elettrico sottomarino. Il dispositivo potrà raggiungere i 260 kW di picco di produzione di energia da moto ondoso e avrà anche lo scopo di acquisire dati per ottimizzare la progettazione di nuovi dispositivi. Oltre che dalle onde, il mare può fornire energia pulita in molti altri modiPer studiare ed utilizzare al meglio il potenziale energetico dei mari e oceani, in collaborazione con il Politecnico di Torino, abbiamo creato MORE – Marine Offshore Renewable Energy Lab: un laboratorio interamente dedicato allo sviluppo di tecnologie per sfruttare il moto ondoso, ma anche le correnti oceaniche, le maree e il gradiente salino, oltre che per migliorare l’eolico e il solare offshore. Il nostro impegno nello sviluppo del settore delle energie rinnovabili marine è stato rafforzato dall’ingresso, come lead partner, nell’Ocean Energy Europe (OEE), la più grande organizzazione europea per lo sviluppo delle energie oceaniche. Un incarico che ci permette di contribuire alla definizione delle linee strategiche per lo sviluppo e la commercializzazione di soluzioni tecnologiche di produzione di energia rinnovabile in ambiente offshore. La sfida tecnica L’energia del moto ondoso è la più costante tra quelle rinnovabili: a differenza del sole e del vento, il mare agisce con continuità. Quest’energia è anche la più “densa” perché concentra quella prodotta dal vento e quella derivante dal riscaldamento dell’atmosfera dovuto al sole. Gli aspetti principali da risolvere associati a ISWEC erano due: la corrosione a causa della salsedine e l’ottimizzazione del funzionamento del dispositivo al variare dell’intensità delle onde. Entrambi sono stati superati poiché le parti mobili e delicate sono all’interno dello scafo sigillato, completamente isolate dall’acqua salata, mentre il funzionamento dei sistemi giroscopici che alimentano i due generatori è ottimizzato mediante un sistema che risponde alle diverse condizioni meteomarine. ISWEC presenta una componente attiva nel processo di cattura dell’energia, che viene regolata dalla velocità di rotazione del volano e dalla coppia del generatore e consente di adattare l’inerzia dello scafo alla lunghezza d’onda marina che lo investe. Questa caratteristica, implementata per la prima volta al mondo da Eni su un prototipo di larga scala, è il vero punto di discontinuità rispetto agli altri sistemi di cattura, infatti, è possibile variare l’inerzia del dispositivo come se ne modificassimo le dimensioni, ottenendo di fatto un sistema a geometria variabile virtuale. Integrazione su larga scala ISWEC è un esempio del lavoro di squadra che genera ogni nostra tecnologia proprietaria. In questo caso, una delle sfide tecnologiche più delicate da risolvere era il dimensionamento del sistema giroscopico per ottimizzarne la risposta alle condizioni locali del mare, passaggio fondamentale per sfruttare quella disponibilità costante che costituisce la caratteristica più interessante del moto ondoso. Si trattava di analizzare e incrociare fra loro grandi quantità di dati da fonti diverse, quelli metereologici e quelli relativi al funzionamento della macchina. L’aiuto è arrivato da HPC4 e HPC5, i nostri supercomputer: grazie alla loro potenza di calcolo utilizziamo modelli matematici avanzati per elaborare formule di risposta adatte a ogni situazione meteomarina. Una ulteriore aggiunta tecnologica ad ISWEC è stata quella dell’installazione di pannelli fotovoltaici sulla coperta dello scafo i quali offrono un’ampia superficie di cattura della risorsa solare. Particolarmente profonda e diversificata, inoltre, è l’integrazione fra le nostre persone e strutture e il MORE Lab. Il laboratorio, infatti, ha sede presso il Politecnico e impiega infrastrutture di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale e si interfaccia con il Marine Virtual Lab nel Green Data Center di Ferrera Erbognone, che utilizza il supercomputer HPC5. Il MORE Lab, inoltre, fa rete anche con il sito di Pantelleria, dove ISWEC è collegato alla rete elettrica dell’isola. L’ISWEC di Pantelleria contribuisce all’obiettivo di autonomia energetica dell’isola e all’azzeramento dell’impatto paesaggistico potenzialmente causato da eventuali strutture industriali sull’isola. A pieno regime, il MORE Lab impiega circa 50 ricercatori che collaborano con nostre persone, per una rapida crescita del know-how specifico e per la finalizzazione industriale delle tecnologie. Il centro, inoltre, dispone di una vasca di prova navale e di laboratori all’avanguardia. Il Politecnico di Torino, parallelamente, ha attivato una cattedra specifica sulla “Energia dal Mare” per formare ingegneri specializzati nella progettazione, realizzazione e utilizzo delle nuove tecnologie che saranno sviluppate proprio nel laboratorio. L’impatto sull’ambiente Seppur diversi, tutti gli insediamenti marittimi si assomigliano perché hanno esigenze simili. Una piccola isola abitata non è tanto differente da una piattaforma. Per questo è possibile fornire energia elettrica da fonte rinnovabile a comunità che vivono su piccole isole. Per di più, ISWEC si può integrare perfettamente con altre soluzioni di produzione di energia rinnovabile in ambito offshore, come ad esempio l’eolico, in termini sia di valorizzazione dei sistemi di connessione alla rete elettrica sia di integrazione all’interno di un’area di mare, massimizzando la conversione di energia disponibile. Un ulteriore vantaggio di questa tecnologia è la notevole riduzione dell'impatto paesaggistico in quanto il dispositivo emerge solamente per circa 1 metro sopra il livello dell’acqua. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in ItalianoFonte Eni

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https://www.rmix.it/ - L'Influenza che le Donne Possono Avere sulle Questioni Maschili
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L'Influenza che le Donne Possono Avere sulle Questioni Maschili
Slow Life

In azienda, in famiglia e nella vita sociale la figura della donna è vista con sfaccettature diverse, ad uso di chi le guardaIn un mondo maschilista, ancora oggi, per quanto si facciano pubbliche negazioni sulla condizione di disparità tra l'uomo e la donna, si tende a considerarla un figura fragile, se non debole, pavida e sottomessa.Considerata necessaria per la vita dell'uomo ma senza ruoli ufficialmente di prestigio, tenuta in considerazione quanto basta per delimitarne il cammino, imprimere l'influenza su di essa attraverso il bisogno, il denaro e i figli.La si fa parlare e partecipare alla vita sociale, nelle nazioni occidentali, ma quanto basta, non troppo e si lavora per caricarla di impegni, che generano sensi di colpa se non può eseguirli, un'arma psicologica silenziosa che non lascia segni.Ma la donna è altro, anche gli uomini non riescono a comprenderne la sua natura, se non quella che fa comodo a loro, nonostante la dominino, non capiscono che potrebbero essere loro, in futuro, i domati.Vorrei ricordare le parole di  Gandhi sulle donne:Se soltanto le donne si dimenticassero di appartenere al sesso debole,non ho dubbio che potrebbero opporsi alla guerrainfinitamente meglio degli uomini.Dite voi cosa farebbero i vostri grandi generali e soldati, se le loro mogli, figlie,e madri si rifiutassero di approvare la loro partecipazione o tipo di militarismo.Se per forza si intende la forza morale, allora la donna è infinitamente superiore all'uomo.Non ha maggiore intuizione, maggiore abnegazione, maggiore forza di sopportazione, maggiore coraggio?Senza di lei l'uomo non potrebbe essere.Se la non violenza è la legge della nostra esistenza, il futuro è con la donna.Chi può fare appello al cuore più efficacemente di una donna?

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https://www.rmix.it/ - Quali sono i Parallelismi tra ChatGPT e l’Intelligenza Umana?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Quali sono i Parallelismi tra ChatGPT e l’Intelligenza Umana?
Management

I computers erano considerate macchine da lavoro, efficienti ma stupide, ora forse dobbiamo ricredercidi Marco ArezioI sistemi di apprendimento predittivo non sono nati di recente, anzi sono allo studio da decenni e applicati in molte forme di apparecchi elettronici. Ma il sistema di istruzione di ChatGPT e la quantità di dati a disposizione che può utilizzare e far interagire tra di loro, lo portano ad avvicinarsi al cervello umano, attraverso alcune somiglianze di apprendimento delle informazioni e di come vengono usate per svolgere alcuni compiti. Certamente ChatGPT non ha un’anima, un carattere, non sogna, non ama, ma simula il comportamento umano in base a quello che ha appreso attraverso la rete, nel bene e nel male.Cosa è ChatGPT e come si avvicina al cervello umano? Come ci racconta Corrie Picul, ChatGPT è una nuova tecnologia sviluppata da OpenAI, così straordinariamente abile nell'imitare la comunicazione umana che presto conquisterà il mondo e tutti i posti di lavoro in esso contenuti. O almeno questo è ciò che i titoli dei giornali farebbero credere al mondo. In una conversazione organizzata dal Carney Institute for Brain Science della Brown University, due studiosi della Brown provenienti da diversi campi di studio hanno discusso i parallelismi tra intelligenza artificiale e intelligenza umana. La discussione sulle neuroscienze di ChatGPT ha offerto ai partecipanti una sbirciatina dietro il cofano del modello di machine learning del momento. Ellie Pavlick è un assistente professore di informatica e ricercatrice presso Google AI che studia come funziona il linguaggio e come far capire ai computer il linguaggio come fanno gli umani. Thomas Serre è un professore di scienze cognitive, linguistiche, psicologiche e di informatica che studia i calcoli neurali a supporto della percezione visiva, concentrandosi sull'intersezione tra visione biologica e visione artificiale. Insieme a loro, come moderatori, c'erano rispettivamente il direttore del Carney Institute e il direttore associato Diane Lipscombe e Christopher Moore. Pavlick e Serre hanno offerto spiegazioni complementari su come funziona ChatGPT rispetto al cervello umano e cosa rivela ciò che la tecnologia può e non può fare. Nonostante tutte le chiacchiere sulla nuova tecnologia, il modello non è così complicato e non è nemmeno nuovo, ha detto Pavlick. Al suo livello più elementare, ha spiegato, ChatGPT è un modello di apprendimento automatico progettato per prevedere la parola successiva in una frase, la parola successiva e così via. Questo tipo di modello di apprendimento predittivo esiste da decenni, ha affermato Pavlick, specializzato nell'elaborazione del linguaggio naturale. Gli informatici hanno cercato a lungo di costruire modelli che mostrino questo comportamento e possano parlare con gli umani in linguaggio naturale. Per fare ciò, un modello ha bisogno di accedere a un database di componenti informatici tradizionali che gli consentano di "ragionare" idee eccessivamente complesse.La novità è il modo in cui ChatGPT viene addestrato o sviluppato. Ha accesso a quantità di dati insondabilmente grandi, come ha detto Pavlick, "tutte le sentenze su Internet". "ChatGPT, di per sé, non è il punto di svolta", ha detto Pavlick. “Il punto di svolta è stato che negli ultimi cinque anni c'è stato questo aumento nella costruzione di modelli che sono fondamentalmente gli stessi, ma sono diventati più grandi. E quello che sta succedendo è che man mano che diventano sempre più grandi, si comportano meglio". Un'altra novità è il modo in cui ChatGPT e i suoi concorrenti sono disponibili per uso pubblico gratuito. Per interagire con un sistema come ChatGPT anche solo un anno fa, ha affermato Pavlick, una persona avrebbe avuto bisogno di accedere a un sistema come Brown's Compute Grid, uno strumento specializzato disponibile per studenti, docenti e personale solo con determinate autorizzazioni, e richiederebbe anche una giusta quantità di esperienza tecnologica. Ma ora chiunque, con qualsiasi abilità tecnologica, può giocare con l'interfaccia elegante e semplificata di ChatGPT. ChatGPT pensa davvero come un essere umano? Pavlick ha affermato che il risultato dell'addestramento di un sistema informatico con un set di dati così vasto, dà l'impressione di essere in grado di generare articoli, storie, poesie, dialoghi, opere teatrali e altro ancora in modo molto realistico. Può generare rapporti di notizie false, false scoperte scientifiche e produrre ogni sorta di risultati sorprendentemente efficaci. L'efficacia dei loro risultati ha spinto molte persone a credere che i modelli di apprendimento automatico abbiano la capacità di pensare come gli umani. Ma lo fanno? ChatGPT è un tipo di rete neurale artificiale, ha spiegato Serre, il cui background è in neuroscienze, informatica e ingegneria. Ciò significa che l'hardware e la programmazione si basano su un gruppo interconnesso di nodi ispirato da una semplificazione dei neuroni in un cervello. Serre ha detto che ci sono davvero una serie di affascinanti somiglianze nel modo in cui il cervello del computer e il cervello umano apprendono nuove informazioni e le usano per svolgere compiti. "Ci sono lavori che iniziano a suggerire che, almeno superficialmente, potrebbero esserci alcune connessioni tra i tipi di rappresentazioni di parole e frasi che algoritmi come ChatGPT usano e sfruttano per elaborare le informazioni linguistiche, rispetto a ciò che il cervello sembra fare", ha detto Serre. Ad esempio, ha affermato, la spina dorsale di ChatGPT è un tipo di rete neurale artificiale all'avanguardia chiamata rete di trasformazione. Queste reti, nate dallo studio dell'elaborazione del linguaggio naturale, sono arrivate recentemente a dominare l'intero campo dell'intelligenza artificiale. Le reti di trasformazione hanno un particolare meccanismo che gli informatici chiamano "auto-attenzione", che è correlato ai meccanismi attenzionali che si sa hanno luogo nel cervello umano. Un'altra somiglianza con il cervello umano è un aspetto chiave di ciò che ha permesso alla tecnologia di diventare così avanzata, ha detto Serre. In passato, ha spiegato, l'addestramento delle reti neurali artificiali di un computer, per apprendere e utilizzare il linguaggio o eseguire il riconoscimento di immagini, richiedeva agli scienziati di eseguire attività manuali noiose e dispendiose in termini di tempo, come la creazione di database e l'etichettatura di categorie di oggetti. I moderni modelli di linguaggio di grandi dimensioni, come quelli utilizzati in ChatGPT, vengono addestrati senza la necessità di questa esplicita supervisione umana. E questo sembra essere correlato a ciò che Serre ha definito un'influente teoria del cervello nota come teoria della codifica predittiva. Questo è il presupposto che quando un essere umano sente qualcuno parlare, il cervello fa costantemente previsioni e sviluppa aspettative su ciò che verrà detto dopo. Sebbene la teoria sia stata postulata decenni fa, Serre ha affermato che non è stata completamente testata nelle neuroscienze. Tuttavia, al momento sta guidando molto lavoro sperimentale. "Direi che il livello dei meccanismi di attenzione al motore centrale di queste reti che fanno costantemente previsioni su ciò che verrà detto, che sembra essere, a un livello molto grossolano, coerente con idee legate alle neuroscienze”, ha detto Serre durante l'evento. C'è stata una ricerca recente che mette in relazione le strategie utilizzate dai modelli di linguaggio di grandi dimensioni con i processi cerebrali effettivi, ha osservato: "C'è ancora molto che dobbiamo capire, ma c'è un crescente corpo di ricerca nelle neuroscienze che suggerisce che ciò che questi i modelli fanno [nei computer], non è del tutto disconnesso dal tipo di cose che il nostro cervello fa quando elaboriamo il linguaggio naturale. Ci possono anche essere dei pericoli, infatti, nello stesso modo in cui il processo di apprendimento umano è suscettibile di pregiudizi o corruzione, lo sono anche i modelli di intelligenza artificiale. Questi sistemi apprendono per associazione statistica, ha affermato Serre. Qualunque cosa sia dominante nel set di dati prenderà il sopravvento e spingerà fuori altre informazioni. "Questa è un'area di grande preoccupazione per l'intelligenza artificiale", ha affermato Serre. Ha citato a supporto di questa tesi, come la rappresentazione di uomini caucasici su Internet abbia prevenuto alcuni sistemi di riconoscimento facciale al punto in cui non sono riusciti a riconoscere volti che non sembrano essere bianchi o maschi. L'ultima iterazione di ChatCPT, ha affermato Pavlick, include livelli di apprendimento di rinforzo che fungono da divisorio e aiutano a prevenire la produzione di contenuti dannosi o odiosi. Ma questi sono ancora un work in progress. "Parte della sfida è che... non puoi dare una regola al modello, non puoi semplicemente dire 'non generare mai questo e quello'", ha detto Pavlick. “Impara con l'esempio, quindi gli dai molti esempi di cose e dici: 'Non fare cose del genere. Fai cose come questa.' E quindi sarà sempre possibile trovare qualche piccolo trucco per fargli fare la cosa brutta. Fonte: Brown University

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https://www.rmix.it/ - La Storia dei Polimeri Attraverso lo Sviluppo della Chimica Industriale
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Storia dei Polimeri Attraverso lo Sviluppo della Chimica Industriale
Informazioni Tecniche

I polimeri sembrano materiali recenti ma la loro origine è più lontana di quanto non sembridi Marco ArezioLa storia della nascita dei polimeri è molto meno lineare di quanto si possa pensare, con le intuizioni di alcuni precursori che, a volte, rimanevano ferme in laboratorio per decenni, in quanto la conoscenza delle reazioni chimiche o il limitato progresso tecnologico impiantistico ne inficiavano lo sviluppo. E’ interessante notare che, per alcune combinazioni chimiche che hanno poi portato alla nascita di una determinata famiglia di polimeri, la casualità poteva aver giocato anche un ruolo primario, creando situazioni inaspettate, frutto di reazioni chimiche non cercate ma subito capite e sfruttate. Sicuramente il secolo scorso è stato fondamentale per lo sviluppo dei polimeri di base, in quanto si sono verificate due situazioni formidabili: - la prima era la progressione continua della conoscenza della chimica industriale, i cui albori si possono indentificare nel XIX° secolo, - la seconda è il grande progresso industriale che ha potuto mettere a disposizione dei chimici, sia in laboratorio che nelle sedi industriali, efficienti ed innovative macchine che assecondassero le idee degli scienziati. Come ci racconta, Michele Seppe, già negli anni 30 del secolo scorso, la moderna industria della gomma aveva già quasi cento anni, la celluloide era disponibile in commercio da oltre mezzo secolo e i fenoli erano una forza dominante in un'ampia varietà di industrie. Con poche eccezioni, tutti gli sviluppi significativi nella tecnologia dei polimeri fino a quel momento sono stati i sistemi dei reticolati, noti anche come materiali termoindurenti. Oggi l'industria ha un aspetto molto diverso, i termoplastici sono i materiali dominanti e, all'interno di questo gruppo, il polipropilene, il polietilene, il polistirene e il PVC sono le quattro materie prime che rappresentano la maggior parte del volume consumato a livello mondiale. Ma i materiali termoplastici che possono davvero competere con le prestazioni, alle temperature elevate dei metalli e dei polimeri reticolati, sono materiali come le poliammidi (nylon), i policarbonati e il PEEK. Tracciare lo sviluppo storico dei termoplastici può essere impegnativo, perché molte volte la scoperta di un materiale in laboratorio non ha avuto un percorso rapido verso la sua commercializzazione. Il polistirene fu scoperto per la prima volta nel 1839, ma fu prodotto commercialmente solo nel 1931, a causa di problemi con il controllo della reazione esotermica di polimerizzazione. Il PVC è stato scoperto nel 1872, ma i tentativi di utilizzarlo commercialmente all'inizio del XX° secolo sono stati ostacolati dalla limitata stabilità termica del materiale. Infatti, la temperatura richiesta per convertire il materiale in una massa fusa, era superiore alla temperatura alla quale il polimero iniziava a decomporsi termicamente. Questo fu risolto nel 1926 da Waldo Semon, presso BF Goodrich, infatti, mentre cercava di deidroalogenare il PVC in un solvente per creare una sostanza che legasse la gomma al metallo, scoprì che il solvente aveva plastificato il PVC. Ciò abbassò la sua temperatura di rammollimento e aprì una finestra per la lavorazione alla fusione. Il polietilene fu creato per la prima volta in laboratorio nel 1898 dal chimico tedesco Hans von Pechmann scomponendo il diazometano, una sostanza che aveva scoperto quattro anni prima. Ma il diazometano è un gas tossico con proprietà esplosive, quindi, non sarebbe mai stata un'opzione commerciale praticabile per la produzione su larga scala di un polimero, che ora è utilizzato in volumi annuali incredibilmente alti. Il materiale fu riscoperto nel 1933 da Eric Fawcett e Reginald Gibson mentre lavoravano all'ICI in Inghilterra. Sperimentarono il posizionamento di vari gas ad alta pressione, e quando misero una miscela di gas etilene e benzaldeide sotto un'enorme pressione, produssero una sostanza bianca e cerosa che oggi conosciamo come polietilene a bassa densità. La reazione fu inizialmente difficile da riprodurre, solo due anni dopo un altro chimico dell'ICI, Michael Perrin, sviluppò controlli che resero la reazione abbastanza affidabile da portare alla commercializzazione nel 1939, più di quarant'anni dopo che il polimero fu prodotto per la prima volta. Il polietilene ad alta densità è stato sintetizzato con l'introduzione di nuovi catalizzatori nei primi anni 1950. Nel 1951, mentre J. Paul Hogan e Robert Banks lavoravano alla Phillips Petroleum, svilupparono un sistema basato sull'ossido di cromo. I brevetti furono depositati nel 1953 e il processo fu commercializzato nel 1957, ed ancora oggi il sistema è noto come catalizzatore Phillips. Nel 1953, Karl Ziegler introdusse un sistema che utilizzava alogenuri di titanio combinati con composti di organoalluminio e, più o meno nello stesso periodo, un chimico italiano, Giulio Natta, apportò modifiche alla chimica di Ziegler. Entrambi i sistemi hanno consentito una riduzione sia della temperatura che della pressione necessarie per produrre l'LDPE altamente ramificato e hanno prodotto un polimero lineare molto più forte, più rigido e più resistente al calore rispetto all'LDPE. Questi sviluppi illustrano come di diversi gruppi di chimici, che lavorarono in modo indipendente sugli stessi problemi, arrivarono a sviluppare soluzioni quasi contemporaneamente. I nuovi catalizzatori hanno anche permesso di produrre versioni commercialmente utili del quarto membro della famiglia dei polimeri di base, il polipropilene. Questo era stato prodotto da Fawcett e Gibson a metà degli anni 1930. Dopo i loro esperimenti di successo con il polietilene, hanno naturalmente ampliato il loro lavoro per includere altri gas, ma i loro risultati con il polipropilene furono deludenti. Invece di produrre un materiale che fosse solido a temperatura ambiente e mostrasse utili proprietà meccaniche, la reazione produsse una massa appiccicosa interessante solo come adesivo. Fawcett e Gibson avevano prodotto quello che in seguito sarebbe stato conosciuto come polipropilene atattico. A differenza del polietilene, in cui tutti i gruppi attaccati allo scheletro di carbonio sono atomi di idrogeno, ciascuna unità di propilene nello scheletro di polipropilene contiene tre atomi di idrogeno e un gruppo metilico molto più grande. Nel polipropilene atattico, il gruppo metilico può apparire in una qualsiasi delle quattro possibili posizioni all'interno dell'unità di ripetizione, impedendo la cristallizzazione del materiale. I nuovi catalizzatori crearono una struttura in cui il gruppo metilico si trovava nella stessa posizione in ogni unità ripetuta. La regolarità strutturale ha portato a un materiale in grado di cristallizzare, infatti questa forma cristallina di polipropilene aveva forza, rigidità e un punto di fusione persino superiore all'HDPE. Questo rapido sviluppo ha creato due materiali che rappresentano oggi oltre il 50% della produzione mondiale annuale di polimeri. È interessante notare che la moglie di Giulio Natta, Rosita Beati, che non era un chimico, ha coniato i termini atattico, isotattico e sindiotattico per descrivere le diverse strutture che si potevano creare polimerizzando il polipropilene. Oggi usiamo questi termini per riferirci in generale alle strutture isomeriche che si possono formare quando i polimeri vengono prodotti utilizzando vari tipi di catalizzatori. .

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https://www.rmix.it/ - Coltivazioni in Aree Degradate per la Produzione di Olio Vegetale per i Biocarburanti
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Coltivazioni in Aree Degradate per la Produzione di Olio Vegetale per i Biocarburanti
Ambiente

Impegnare risorse e conoscenze per far rendere in modo sostenibile i terreni abbandonati dal sistema agricolo Si è parlato molto dell'utilizzo dei terreni fertili, specialmente in Brasile, per la produzione di coltivazioni che possono essere impiegate per trasformazione in biocarburanti. Il tema è molto attuale in quanto questo sistema è frequentemente additato, insieme all'allevamento intensivo degli animali da carne e alle relative superfici da destinare alla produzione di foraggio per il loro sostentamento, tra maggiori fattori di inquinamento, di deforestazione, di consumo delle risorse idriche e al negativo impatto ambientale dei prodotti chimici necessari ai vari processi. L'agricoltura, necessaria per il sostentamento della popolazione mondiale, sta già facendo i conti con i cambiamenti climatici che stanno causando diffuse desertificazioni, siccità, improvvise alluvioni e migrazioni epocali, quindi, l'idea di un incremento dell'utilizzo dei terreni fertili per la produzione di carburanti verdi sarebbe davvero pericoloso. In questa situazione si inserisce un sistema produttivo di biocarburanti, da distribuire nelle stazioni di rifornimenti, proveniente dai rifiuti e oli vegetali con un'attenzione alle problematiche sopra esposti. Il nuovo carburante in distribuzione si chiama HVOlution, ed è già disponibile in 50 Eni Live Station in Italia, ed entro fine marzo lo sarà in 150. Prodotto da materie prime di scarto e residui vegetali, e da olii generati da colture non in competizione con la filiera alimentare, è già utilizzabile dalle motorizzazioni omologate. HVOlution, il primo diesel di Eni Sustainable Mobility prodotto con 100% di materie prime rinnovabili (ai sensi della Direttiva (UE) 2018/2001 “REDII”), è in vendita in 50 stazioni di servizio Eni e sarà disponibile a breve, entro marzo 2023, in 150 punti vendita in Italia. HVOlution è un biocarburante che viene prodotto da materie prime di scarto e residui vegetali, e da olii generati da colture non in competizione con la filiera alimentare. HVOlution può contribuire all’immediata decarbonizzazione del settore dei trasporti anche pesanti, tenuto conto delle emissioni allo scarico, perché utilizzabile con le attuali infrastrutture e in tutte le motorizzazioni omologate, di cui mantiene invariate le prestazioni. Eni è in grado di offrire ai propri clienti questo innovativo biocarburante grazie all’investimento realizzato sin dal 2014 con la trasformazione delle raffinerie di Venezia e Gela in bioraffinerie, che dalla fine del 2022 sono palm oil free. La tecnologia proprietaria Ecofining™ consente, infatti, di trattare materie prime vegetali di scarto e olii non edibili per produrre biocarburante HVO (Hydrotreated Vegetable Oil, olio vegetale idrogenato) di cui Eni Sustainable Mobility è il secondo produttore in Europa. HVOlution è un biocarburante composto al 100% da HVO puro. Prima della commercializzazione nelle stazioni di servizio Eni, l’HVO in purezza è stato utilizzato da diversi clienti, i quali hanno movimentato dai mezzi per la movimentazione dei passeggeri a ridotta mobilità in ambito aeroportuale fino ai veicoli commerciali della logistica; inoltre, addizionato al gasolio, dal 2016 il biocarburante HVO è presente al 15% nel prodotto Eni Diesel +, disponibile in oltre 3.500 stazioni di servizio in Italia. Stefano Ballista, amministratore delegato di Eni Sustainable Mobility, ha dichiarato: “Il biocarburante puro HVOlution ha un ruolo fondamentale perché già da oggi può dare un contributo importante alla decarbonizzazione della mobilità, anche del trasporto pesante. Questo prodotto arricchisce l’offerta nelle stazioni di servizio, affiancandosi all’attuale proposta di prodotti low-carbon, come le ricariche elettriche, e di servizi per le persone in mobilità: obiettivo di Eni Sustainable Mobility è integrare gli asset industriali e commerciali lungo tutta la catena del valore, dalla disponibilità della materia prima fino alla vendita di prodotti decarbonizzati al cliente finale.” Eni ha siglato accordi e partnership che permettono di valorizzare gli scarti e i rifiuti utilizzandoli come feedstock per la produzione di biocarburanti come HVOlution. In diversi paesi dell’Africa tra i quali Kenya, Mozambico e Congo, Eni sta sviluppando una rete di agri-hub in cui verranno prodotti olii vegetali in grado di crescere in terreni marginali e aree degradate e non in competizione con la filiera alimentare e, al tempo stesso, di creare opportunità di lavoro sul territorio. Recentemente, dal Kenya è arrivato nella bioraffineria di Gela il primo carico di olio vegetale prodotto nell’agri-hub di Makueni, mentre a Venezia è arrivato il primo carico di olii di frittura esausti. L’obiettivo è di coprire il 35% dell’approvvigionamento delle bioraffinerie Eni entro il 2025. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano. Fonte: ENI

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https://www.rmix.it/ - Accordo per la Fornitura di Biocarburanti nel Trasporto Marittimo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Accordo per la Fornitura di Biocarburanti nel Trasporto Marittimo
Ambiente

La decarbonizzazione del trasporto marittimo è uno tra i molti punti da affrontare se si vuole, in modo definitivo e programmato, arrivare alla totale mobilità sostenibiledi Marco ArezioLa fotografia attuale del trasporto marittimo, sia commerciale che civile, vede il costante transito dei cargo, tra un continente e l'altro, che consumano migliaia di tonnellate di carburante per viaggio, quota di consumo che si deve moltiplicare per le migliaia di navi presenti costantemente sui mari, e moltiplicati per centinaia di migliaia di viaggi all'anno. Questa enorme, incredibile, quantità di carburanti fossili, potrebbe venire sostituita da biocarburanti che provengono dalla lavorazione degli scarti della raccolta differenziata, dagli scarti animali e vegetali. Un progetto in questo senso è stato iniziato attraverso l'impegno di una società operante nel settore dei biocarburanti, che ha firmato un contratto di fornitura di propellenti verdi per la navigazione marittima.Infatti, Eni Sustainable Mobility e Saipem hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) con l’obiettivo di utilizzare carburanti di natura biogenica sui mezzi navali di perforazione e costruzione di Saipem, con particolare riferimento alle operazioni nell’area del Mare Mediterraneo. Saipem ha una flotta che opera in tutto il mondo che è composta da 45 mezzi navali per la costruzione e la perforazione. Il MoU rappresenta un'importante pietra miliare per Eni e Saipem, a conferma dell'impegno reciproco nella diversificazione delle fonti energetiche e nella riduzione dell'impronta carbonica nelle operazioni offshore. Eni produce biocarburanti sin dal 2014, grazie alla riconversione delle raffinerie di Venezia e Gela in bioraffinerie, che dalla fine del 2022 sono olio di palme free. Tramite la tecnologia proprietaria Ecofining™ vengono trattate materie prime vegetali o di scarti animali e prodotti biocarburanti HVO (Hydrotreated Vegetable Oil, olio vegetale idrogenato). I biocarburanti sono uno dei pilastri del piano strategico Eni per il raggiungimento della carbon neutrality al 2050, attraverso un percorso di decarbonizzazione che punta all’abbattimento delle emissioni di processi industriali e prodotti. Tale accordo, in particolare, si inscrive nell’ambito della realizzazione della strategia di Saipem per la riduzione delle emissioni GHG ed implementa, insieme alle altre iniziative e agli investimenti previsti dal piano strategico del Gruppo, il percorso per la riduzione delle proprie emissioni di scopo 1 e scopo 2 entro il 2035 e il raggiungimento dell’obiettivo di Net Zero (incluso scopo 3) al 2050. L’accordo farà leva sull'esperienza e sulle competenze di entrambi i partner. Eni Sustainable Mobility, tra i primi produttori di biocarburanti in Europa, mette a disposizione le proprie conoscenze nel fornire soluzioni per la riduzione delle emissioni di carbonio. Saipem, attraverso il suo impegno nella transizione energetica, mira ad aumentare l'uso di carburanti alternativi sui propri mezzi per ridurre le proprie emissioni e quelle dei suoi clienti. Grazie all’utilizzo di combustibili di origine biogenica, Saipem punta a ridurre l’emissione di circa 550.000 Tonnellate di CO2eq per anno, pari a circa il 60% delle sue emissioni di scopo 1 totali annue. Fonte ENI

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https://www.rmix.it/ - Nuovo Progetto per la Produzione di Energia Elettrica Rinnovabile in Sud Africa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Nuovo Progetto per la Produzione di Energia Elettrica Rinnovabile in Sud Africa
Ambiente

Un nuovo impianto misto, solare ed eolico, per ridurre la dipendenza dal carbone nella la produzione di energia elettrica di Marco ArezioLa produzione industriale in Sud Africa, oltre alle esigenze civili, richiede sempre maggiore disponibilità di energia elettrica, che il paese deve fornire bruciando, prevalentemente il carbone. Il Sud Africa dipende ancora per circa l'80% dal carbone per la produzione di energia elettrica e non riesce ad avere un efficiente sistema di fornitura, tanto che le interruzioni di energie sono all'ordine del giorno. Un' altro aspetto da considerare è l'elevato inquinamento che si produce bruciando il carbone, nonostante sia stato, fino ad ora, una difficile scelta, da parte del governo,  quella di ridurre l'uso di una materia prima di produzione locale. Inoltre il carbone ha un costo idrico pesantissimo: per l’estrazione sono necessari oltre 10mila litri d’acqua per ogni tonnellata estratta.Per queste ragioni le società Sasol e Air Liquid Large Industries South Africa, hanno firmato un Corporate Power Purchase Agreements (CPPA) con TotalEnergies per la fornitura di 260 MW di elettricità rinnovabile in 20 anni. TotalEnergies svilupperà un impianto solare da 120 MW e un parco eolico da 140 MW nella provincia del Capo Occidentale per fornire circa 850 GWh di elettricità verde all'anno al sito di Secunda di Sasol, situato 700 chilometri più a nord-est, dove Air Liquide gestisce la maggiore produzione di ossigeno sito nel mondo. I due progetti forniranno elettricità rinnovabile competitiva e disponibile per decarbonizzare la produzione di Sasol e Air Liquide. Questi accordi dimostrano la posizione di TotalEnergies per contribuire all'evoluzione del mix energetico in Sud Africa. I progetti avranno un impatto diretto sulla comunità locale attraverso la creazione di posti di lavoro. “La produzione di energia in Sud Africa è ancora basata per l'80% sul carbone e le interruzioni di corrente si verificano quotidianamente. Con questi sviluppi siamo orgogliosi di supportare Air Liquide e Sasol per la loro fornitura di elettricità verde. Nel frattempo, siamo lieti di contribuire alla transizione energetica del Sudafrica, che consiste nell'aumentare la sua quota di energie rinnovabili e gas come alternativa al carbone” ha affermato Vincent Stoquart, Senior Vice President, Renewables di TotalEnergies. "Esiste un mercato dinamico per i PPA aziendali in Sud Africa e vogliamo che TotalEnergies assuma una forte posizione di leadership". I due progetti dovrebbero essere operativi nel 2025. I CPPA con SASOL e Air Liquide sono stati firmati con un consorzio di TotalEnergies Marketing South Africa 1 (70%), il suo partner Mulilo (17%) e un B- Partner BBEE (13%).Info: TotalEnergies

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https://www.rmix.it/ - La Conoscenza della Chimica di Base Può Influenzare le Vendite nel Settore della Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Conoscenza della Chimica di Base Può Influenzare le Vendite nel Settore della Plastica
Management

Nonostante si pensi che i polimeri siano una commodity, conoscere un po' di chimica aiuterebbe il tuo lavorodi Marco ArezioIl settore della plastica è composto da molte ramificazioni, dalle macchine ai polimeri, dai prodotti finiti alla ricerca e sviluppo, dagli additivi alla tecnologia di controllo dei processi, solo per citarne alcune.Servizi, prodotti e macchine sono indirizzati tutti all’uso della plastica riciclata o vergine, per realizzare, nel modo migliore, al prezzo più basso e nel minor tempo, un mercato che possa sostenere l’azienda. Le attività di vendita sono solo la parte finale di un processo svolto dall’azienda per portare sul mercato una serie di prodotti, creando profitto e permettendo la continuità produttiva o distributiva. Ma se è vero che le risorse umane destinate a realizzare un prodotto in plastica devono avere competenze anche tecniche, in merito ai processi e ai materiali impiegati, si tende a non considerare la qualità delle conoscenze tecniche di chi è addetto al settore commerciale. Le competenze per la vendita di un prodotto o di un servizio sono spesso associate, ancora, alla qualità caratteriale dei venditori, alla loro intraprendenza, alle loro doti di convincimento, alla loro empatia, cortesia, simpatia e al carisma che il carattere di ognuno riesce a produrre sul cliente finale. In realtà, molto di quanto sopra descritto è vero ed aiuta sicuramente nel proprio lavoro, ma il mondo dei prodotti che ruotano intorno alle materie plastiche, ha l’esigenza di essere gestito da personale che possa avere una conoscenza della chimica di base e della meccanica di produzione. E se, per quanto riguarda la parte di approfondimento sui sistemi di produzione della propria azienda possono, attraverso un’infarinatura, migliorare la professionalità del venditore o dell’addetto post vendita, la conoscenza della chimica di base può rendere più efficace l’azione di vendita e permette di gestire in modo più competente l’insorgere di eventuali problemi. Tuttavia, la conoscenza della chimica di base non è utile solo per le materie prime plastiche, ma anche per migliorare la conoscenza delle reazioni termiche, oleodinamiche ed elettriche degli impianti che l’azienda usa. L’intento non è quello di spiegare, qui, i concetti della chimica di base, ma dare degli spunti di approfondimento su argomenti che potrebbero essere utili per la propria professione nelle vendite o nel post vendita. Parlando di chimica di base possiamo accennare all’importanza degli atomi e delle molecole, infatti un atomo non è che la parte più piccola di una sostanza, che può essere solida, alla temperatura della superficie terrestre, liquida o gassosa. Gli elementi possono avere differenti quantità di particelle e hanno posizioni fisiche differenti, infatti, i protoni e i neutroni sono nel nucleo dell'atomo, mentre gli elettroni girano intorno al nucleo respingendosi a vicenda. Le molecole sono le combinazioni di elementi semplici che troviamo in natura o che possiamo sintetizzare. Possono essere diversi elementi come acqua o anidride carbonica ed, alcuni, non sono così semplici. Inoltre, l'ossigeno e gli altri gas reattivi girano in coppia finché non trovano qualcosa con cui reagire: l'ossigeno nell'aria che respiriamo, ad esempio, reagisce con i nutrienti che mangiamo e digeriamo. Questa introduzione sugli atomi e i loro composti, porta a comprendere come nasce l’elettricità che è costituita dal movimento di elettroni in eccesso su una superficie, infatti, l’energia elettrica si basa sul movimento degli elettroni attraverso i conduttori (solitamente metalli) e richiede energia per spingere quegli elettroni attraverso la resistenza del conduttore. Nel lavoro utilizziamo frequentamene l’acqua che, nello specifico non è un elemento ma un composto, la combinazione magistrale tra due idrogeni e un ossigeno, così come può essere interessante approfondire la conoscenza dei metalli che si usano nelle lavorazioni delle materie plastiche. Infatti, molti metalli sono elementi, come il ferro, il rame, l’oro, il piombo e alluminio, ma alcuni sono leghe (zinco + rame = ottone, stagno + rame = bronzo) e alcuni sono un elemento che è stato lavorato, in particolare il ferro con l'acciaio. Alcuni si trovano in natura come elementi, ma la maggior parte si trova come composti (minerali) e alcuni, come il sodio e il calcio, sono così reattivi che non si trovano mai non combinati, come, per esempio, il cloruro di sodio o sale comune. Gli elementi come il carbonio e il silicio sono estremamente abbondanti, solitamente legati con altri elementi. Le combinazioni di carbonio sono la base della chimica organica e formano le molecole degli esseri viventi così come la maggior parte delle materie plastiche. Per arrivare fino alla fine di questa carrellata, capire come questi elementi di chimica di base, da approfondire a vostro piacimento, possano avere un nesso con le materie plastiche, dobbiamo parlare dell’ultima voce importante che è l’aria, che non è un elemento, ma una miscela di 78% di azoto, 21% di ossigeno, 1% di argon (inerte), e un po' di anidride carbonica e acqua (non inerte e molto importante nonostante le loro basse percentuali). Tornando al mondo delle materie plastiche possiamo dire che i polimeri sono formati da molecole differenti, i cui legami e le cui ramificazioni possono far mutare il polimero stesso sotto diversi punti di vista. Per esempio, le molecole di etilene e cloruro di vinile (PVC), la parti costituenti di due famiglie di plastiche molto comuni, possono avere un doppio legame, possibile perché un atomo di carbonio ha quattro braccia e può trattenere un altro carbonio con due di essi, lasciando che gli altri due contengano idrogeni, ossigeni, cloro o altro. Questi doppi legami sono reattivi, quindi uno può rompersi mentre l'altro rimane stabile, in questo modo, è possibile creare lunghe catene se l'etilene (o il cloruro di vinile) viene mantenuto alla giusta temperatura e pressione per un tempo sufficiente. Le molecole possono diventare molto più complicate, con ramificazioni e/o più di un monomero, e alcune plastiche estrudibili, come PET, PC e nylon, sono diverse, ma seguono comunque la stessa idea. Piccole molecole si uniscono per formarne di grandi e lunghe. L’approfondimento degli spunti sulla chimica di base, qui citati, può essere accoppiato ad una conoscenza dei flussi dinamici nelle macchine per la plastica e al comportamento del fuso plastico nei diversi mezzi di conformazioni negli stampi. Inoltre, un approfondimento a parte riguarda la tecnologia delle materie plastiche riciclate, che vede la necessità di una conoscenza importante inerente ai sistemi di separazione degli scarti, la macinazione, il lavaggio, la densificazione, l’essicazione, la granulazione, l’insaccamento e l’utilizzo della nuova materia prima nelle fasi di stampaggio o estrusione o soffiaggio o termoformatura.

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https://www.rmix.it/ - Plastiche e Microplastiche nei Mari: Chi Pulisce, Quando e Come?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Plastiche e Microplastiche nei Mari: Chi Pulisce, Quando e Come?
Ambiente

Sappiamo chi le genera, da dove partono e come risolvere il problema. Ma i soldi e la politica fanno sempre la differenzadi Marco ArezioSi è molto parlato, negli anni scorsi, dei rifiuti plastici e delle microplastiche nei mari e negli oceani, tanto che il problema ha impegnato per molto tempo i canali di informazione tradizionali e via web. Si sono mobilitati ambientalisti, aziende che cavalcavano l’onda emotiva della gente con campagne dal vago sapore di greenwashing, studiosi, scienziati, personaggi dello spettacolo, leader religiosi, nutrizionisti, sociologi, veggenti e catastrofici personaggi dell’ultima ora. Da quando sono comparse le isole galleggianti di rifiuti plastici negli oceani, come la Great Pacific Garbage Pacth, il mondo si è attivato per capire il fenomeno, da dove nascesse, come si formavano queste isole e come si sarebbe potuto intervenire per ripulire gli oceani e interrompere le nuove formazioni di rifiuti. Durante questo ciclo di attenzione mediatico-scientifico, è emerso anche il fenomeno, più subdolo, delle microplastiche, frazioni di prodotto inferiori a 5 mm., che sono spesso scambiate dai pesci per cibo, rientrando pericolosamente nella catena alimentare anche umana. Da dove vengono i rifiuti plastici che troviamo nei mari e negli oceani? Secondo studi recenti ogni anno l’uomo scarica nei mari circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, il che significa oltre 250 Kg. al secondo, creando una presenza di circa 5.000 miliardi di pezzi, di varie dimensioni, nell’ecosistema marino. Le macro plastiche, cioè rifiuti di dimensioni come una bottiglia di acqua, provengono principalmente dalle azioni deliberate dell’uomo di scaricare, attraverso i fiumi, i rifiuti domestici o quelli che provengono dalle aziende di riciclo poste in paesi poco sviluppati, dove l’attenzione per l’ambiente e la legislazione non punitiva, in materia ambientale, è inesistente o lassista, permettendo o tollerando questi comportamenti. Per quanto riguarda le microplastiche la loro origine si può far risalire a tre fattori principali, la decomposizione delle macro plastiche già presenti in mare sotto l’azione del sole e dell’acqua, i rifiuti del settore tessile e della cosmetica. Inoltre le microplastiche possono provenire anche dagli scarichi di paesi industrializzati, in cui le normative ambientali non hanno ancora risolto il problema della captazione e dell’eliminazione delle particelle più piccole di plastica. Come risolvere tecnicamente il problema Evidentemente ci sono due fattori temporali che devono essere presi inconsiderazione quando si parla di operare per trovare le giuste soluzioni da applicare. In primo luogo bisogna intervenire a monte, cioè fermare lo scarico dei rifiuti plastici nei fiumi, come fossero una fogna legalizzata, aiutando i paesi meno sviluppati a dotarsi di normative ambientali severe e soprattutto a farle rispettare, evitando che fenomeni corruttivi ne decapitino l’efficacia. Secondo, è necessario intercettare i rifiuti plastici prima che raggiungano il mare, utilizzando le reti di contenimento dei rifiuti in prossimità di restringimenti, anse o alla foce dei fiumi. Ogni soluzione di intercettazione dei rifiuti plastici galleggianti deve essere customizzata in base alle esigenze locali, quali il traffico dei natanti, la vita dei pesci, le correnti e via dicendo. Esistono poi delle piccole imbarcazioni dotate di sistemi per raccogliere i rifiuti in superficie, che percorrono i tratti di fiume dove maggiore è la presenza dei rifiuti, così da aiutare e sostenere il lavoro delle reti. Terzo riguarda le isole galleggianti, compito per assurdo, teoricamente più semplice, in quanto esiste un’area delimitata e circoscritta in cui sarebbe possibile raccogliere la plastica galleggiante, ma, di contro, le dimensioni di queste isole sono così estese che il lavoro è sicuramente problematico ed impegnativo. L’unione delle tre attività, contrasto all’immissione nei fiumi di nuove quantità di rifiuti plastici galleggianti, migliori sistemi di filtraggio degli scarichi civili ed industriali per intercettare le microplastiche e, infine, un’azione internazionale, coordinata e continuativa, per pulire i rifiuti presenti nei mari e negli oceani, porterebbe a grandi risultati per la salute dei mari e degli oceani. Chi deve farlo e chi deve finanziarlo Questo tema è stato di proposito lasciato per ultimo, in quanto, come sempre, quando c’è di mezzo la politica e il denaro, diventa difficile trovare azioni condivise, addirittura a volte non si riesce nemmeno ad affrontare il problema ai tavoli internazionali. Credo che si debba creare un nuovo approccio alla visione dei deficit ambientali, vedere la terra come un ambiente condiviso, considerando che l’azione di un paese può influenzare negativamente la vita di tutti, come lo è, in buona parte, quello di scaricare a monte, nei fiumi, i rifiuti che poi, vanno ad interessare gli oceani e i mari in tutto il mondo. Un problema sovranazionale va gestito da un consesso di paesi alleati, che si uniscono per trovare soluzioni e finanziamenti condivisi, che abbiano l’autorità per prendere delle decisione per il bene di tutti ed abbiamo anche gli strumenti per farle rispettare. Ma, in primis, ci vuole la volontà politica per farlo, non bastano le menti, le tecnologie e il denaro se manca la volontà e la lungimiranza di un consesso politico internazionale. Soldi e potere fin dai tempi bui della storia dell'uomo hanno governato le menti degli uomini, ma oggi, se non operiamo quello scatto che ci possa garantire la sopravvivenza in armonia con l’ambiente, non ci sarà più motivo di parlarne e di agire. Ah, dimenticavo, non è eliminando la produzione di plastica o credendo ai proclami di correnti di pensiero come quella della “Plastic free” che si risolvono i problemi.. Traduzione automatica, Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.

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