Strategie di pulizia sostenibile delle cisterne navali e tracciabilità dei reflui secondo le normative internazionalidi Marco ArezioIl mare non è soltanto la via di trasporto principale per merci e materie prime: è anche un ecosistema complesso da proteggere con tutte le risorse disponibili. In questo scenario, la bonifica delle cisterne navali diventa un tassello cruciale sia per la tutela ambientale sia per la sicurezza degli operatori di bordo. Quando petroliere, navi per il trasporto di prodotti chimici o altre navi da trasporto vengono svuotate del carico — che può includere sostanze oleose, prodotti chimici, residui biologici o fanghi industriali — le pareti interne conservano tracce potenzialmente inquinanti o pericolose. Pulire queste superfici e smaltire i liquidi di risulta in modo conforme alle disposizioni di legge non è un lusso, ma un dovere. Le normative internazionali, tra cui la Convenzione MARPOL 73/78 dell’IMO, regolano con rigore il trattamento dei rifiuti di bordo, imponendo procedure severe per ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente marino. Ai sensi degli Annessi I e II di MARPOL, l’armatore e gli operatori hanno l’obbligo di seguire standard precisi per la bonifica delle stive e delle cisterne, oltre a garantire che i reflui derivanti dalla pulizia vengano tracciati e smaltiti correttamente. Parallelamente, ogni Stato può dettare regole aggiuntive in linea con le direttive europee e nazionali sulla gestione dei rifiuti pericolosi, inclusi i sistemi di codifica (CER) e gli adempimenti documentali. Caratteristiche dei residui e valutazione dei rischi All’interno delle cisterne, persino dopo lo scarico completo del carico, possono rimanere incrostazioni e residui di diversa natura: petrolio o oli combustibili, solventi chimici, emulsioni acquose contaminate e fanghi solidi. Questi materiali pongono rischi specifici per la salute (vapori tossici, sostanze irritanti), per la sicurezza (possibili atmosfere esplosive) e per l’ambiente (minaccia alla biodiversità marina in caso di sversamento). Prima di avviare qualunque attività di bonifica, si valuta il tipo di sostanza e la pericolosità associata, raccogliendo schede di sicurezza e dati tecnici sul carico precedente. Questa fase preliminare determina la scelta del metodo di pulizia e dei dispositivi di protezione da impiegare. Inoltre, si effettua un monitoraggio dell’aria in cisterna, misurando le concentrazioni di ossigeno e di eventuali gas infiammabili o tossici (es. H₂S, benzene). Preparazione dell’intervento: ventilazione, inertizzazione e sicurezza Una delle operazioni più delicate è la messa in sicurezza dell’ambiente di lavoro. Poiché le cisterne navali sono spazi confinati, prima dell’ingresso del personale si procede a una ventilazione forzata che riduca i vapori pericolosi e porti i livelli di ossigeno su valori conformi. In situazioni di alto rischio, si effettua anche la cosiddetta inertizzazione, ossia l’immissione di un gas inerte (solitamente azoto) per allontanare il pericolo di esplosioni. Contemporaneamente, gli operatori si preparano con Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) adeguati: maschere respiratorie con filtri specifici o autorespiratori (SCBA), tute monouso resistenti a sostanze chimiche aggressive, guanti idonei e calzature antiscivolo e antistatiche. Questa attenzione ai dettagli riduce drasticamente il rischio di intossicazioni, ustioni chimiche o incidenti collegati all’esalazione di vapori infiammabili. Metodi di pulizia: acqua calda, detergenti e tecnologie robotiche La scelta della tecnologia di pulizia si basa sulla natura dei residui e sulla grandezza della cisterna. L’utilizzo di acqua calda ad alta pressione rappresenta la soluzione più comune per rimuovere incrostazioni oleose e depositi superficiali. Talvolta, si impiegano detergenti o solventi emulsionanti, capaci di sciogliere sostanze molto persistenti che l’acqua da sola non eliminerebbe. In alcune operazioni, soprattutto nelle petroliere con ampie cisterne, si montano testine rotanti che distribuiscono getti pressurizzati in modo uniforme, mentre in altri contesti ci si avvale di sistemi robotici o bracci meccanici. Queste soluzioni automatizzate hanno il vantaggio di limitare l’esposizione diretta degli operatori, incrementando al contempo la rapidità e la precisione della bonifica. Gestione dei rifiuti liquidi e solidi: stoccaggio, trasporto e smaltimento La fase più cruciale, in termini di impatto ambientale e conformità alle norme, è la gestione dei reflui. L’acqua di lavaggio miscelata a residui di idrocarburi o di sostanze chimiche diventa un rifiuto liquido potenzialmente pericoloso, classificato secondo i codici CER o gli Annessi MARPOL. Dopo la pulizia, tale miscela viene raccolta in serbatoi temporanei o fusti omologati, etichettati con il contenuto e la data di prelievo. Se la nave dispone di separatori acqua/olio, parte del lavoro di distinzione tra frazione acquosa e componente oleosa avviene già a bordo, riducendo il volume di rifiuti da inviare agli impianti a terra. Tuttavia, il passo determinante arriva in porto, dove ditte specializzate prendono in carico il trasporto del rifiuto verso centri di incenerimento o di recupero autorizzati. La frazione oleosa può talvolta essere rigenerata, trasformandosi in nuove basi lubrificanti o carburanti industriali. Parallelamente, le acque contaminate vengono trattate in depuratori fisico-chimici o biologici, fino a raggiungere parametri conformi per un eventuale riutilizzo. Analogamente, i rifiuti solidi (come incrostazioni asportate, panni assorbenti, filtri di protezione) seguono un percorso documentato di stoccaggio e smaltimento. Alcuni materiali, privati delle componenti più inquinanti, possono persino rientrare in processi di riciclo o recupero, alimentando una filiera di economia circolare. Tracciabilità e certificazioni: dal Garbage Record Book alle analisi finali Per scongiurare l’abbandono o lo sversamento illecito dei reflui in mare, la tracciabilità rimane un requisito fondamentale. Le navi soggette a MARPOL devono compilare il Garbage Record Book, documentando tipologia, quantità e destinazione di ogni rifiuto conferito. Ogni passaggio — dal prelievo in cisterna al conferimento in impianto di smaltimento — è formalizzato con formulari riconosciuti e controlli periodici delle autorità marittime e ambientali. Gli operatori specializzati e gli appaltatori forniscono poi certificati di corretto smaltimento ai proprietari della nave, attestando che il rifiuto è stato gestito in linea con gli obblighi di legge. In presenza di materiali particolarmente pericolosi, vengono eseguite analisi chimiche prima e dopo il processo di trattamento, in modo da garantire la massima sicurezza per l’ambiente. Conclusioni: economia circolare e prospettive innovative Adottare procedure di bonifica accurate e un sistema trasparente di gestione dei rifiuti marittimi non è solo una questione di conformità a normative stringenti, ma costituisce un impegno concreto per proteggere l’ecosistema marino. Oltre a minimizzare i rischi immediati per la salute degli operatori, si apre la prospettiva di valorizzare il rifiuto come risorsa, convertendo oli esausti in prodotti recuperati, trattando le acque contaminate per possibili riusi e reinserendo materiali solidi in un circuito di riciclo. Le tecnologie robotiche e l’uso di sensori avanzati per il controllo continuo dei gas e dei parametri ambientali permettono di ottimizzare i tempi di intervento e di ridurre l’esposizione umana. L’adozione di soluzioni innovative, unite a una formazione costante del personale di bordo, traccia un percorso di evoluzione sostenibile per l’intero settore marittimo. Solo così potremo garantirci un futuro in cui l’economia globale non gravi ulteriormente sulle risorse marine e su chi vi lavora quotidianamente.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Quali differenze esistono tra il processo di riciclo chimico e quello con l’acqua supercriticadi Marco ArezioL’affermazione ormai abbastanza consolidata che il solo riciclo meccanico sia diventato insufficiente e non completamente efficiente nella gestione dei rifiuti plastici, è una tesi sufficientemente realistica. Al netto di interventi a monte della filiera, che suggeriscono la riduzione dei consumi, il riuso, la riparazione e il miglioramento della vita utile degli oggetti, la questione della gestione dei rifiuti plastici che si producono ogni anno nel mondo, necessiterebbe di nuove tecnologie, nuove lungimiranze politiche ed imprenditorial, per sviluppare, combinate con il riciclo meccanico, altre forme di riciclo come quello chimico e quello con l’acqua supercritica. Cosa è l'acqua supercritica L'acqua supercritica è uno stato della materia in cui la pressione e la temperatura sono così elevate che le distinzioni tra liquido e gas diventano indistinte. In questo stato, l'acqua mostra proprietà uniche e viene utilizzata in vari settori, come l'estrazione di sostanze chimiche e la pulizia di materiali. Come si produce l'acqua supercritica Per produrre acqua supercritica, è necessario raggiungere una temperatura superiore a 374 gradi e una pressione di almeno 22,1 MPa, che corrisponde a circa 218 atmosfere. Queste condizioni estreme possono essere ottenute utilizzando apposite attrezzature chiamate reattori ad alta pressione. In genere, il processo coinvolge il riscaldamento dell'acqua a una temperatura superiore al suo punto critico e l'applicazione di una pressione sufficientemente elevata. Come si utilizza l'acqua supercritica nel riciclo dei rifiuti plastici L'acqua supercritica è utilizzata nel riciclo dei rifiuti plastici attraverso un processo noto come idrotrattamento supercritico. Con questo metodo, l'acqua supercritica viene impiegata per degradare e rimuovere contaminanti dai rifiuti plastici. Il processo coinvolge diverse fasi: Pre-trattamento I rifiuti plastici vengono preparati, rimuovendo eventuali contaminanti grossolani e separando i materiali plastici in base alla tipologia di appartenenza, ove possibile. Esposizione all'acqua supercritica Gli scarti preparati vengono quindi esposti all'acqua supercritica in condizioni di temperatura e pressione specifiche. In questo ambiente, l'acqua può penetrare nella struttura molecolare delle plastiche, facilitando la rimozione di contaminanti. Depolimerizzazione L'acqua supercritica può contribuire alla depolimerizzazione delle plastiche, rompendo le lunghe catene polimeriche in componenti più semplici o monomeri. Recupero dei prodotti I prodotti ottenuti dalla depolimerizzazione, come monomeri o oli, possono essere recuperati per essere riutilizzati nella produzione di nuovi materiali. Quali sono i prodotti finali realizzati dopo il processo di riciclo con l'acqua supercritica Il processo di riciclo dei rifiuti plastici con l'acqua supercritica può generare diversi prodotti finali, a seconda della composizione dei rifiuti trattati e delle condizioni specifiche del processo. Vediamo alcuni dei prodotti finali: Monomeri Le lunghe catene polimeriche delle plastiche possono essere frammentate durante il processo, producendo monomeri. Questi possono essere utilizzati per sintetizzare nuovi polimeri e materiali plastici. Oli La depolimerizzazione può anche generare oli o idrocarburi leggeri, che possono essere impiegati come materie prime in diversi settori industriali. Gas Il processo può liberare gas, come anidride carbonica, a seconda delle condizioni di trattamento. Il recupero e l'utilizzo di questi gas possono contribuire alla sostenibilità del processo. Materiali solidi riciclati Dopo il trattamento, è possibile ottenere materiali solidi riciclati che possono essere utilizzati in varie applicazioni. Questi materiali possono essere incorporati in processi di produzione per creare nuovi prodotti. L'obiettivo principale del riciclo con l'acqua supercritica è ridurre al minimo gli sprechi di plastica, recuperare risorse utili e diminuire l'impatto ambientale associato ai rifiuti plastici. La versatilità del processo consente di adattarsi a diverse tipologie di plastica, contribuendo così a una gestione più sostenibile dei rifiuti. Che differenza di processo esiste nel riciclo dei rifiuti plastici tra il riciclo chimico e quello con l'acqua supercritica Il riciclo chimico e quello con l'acqua supercritica sono due approcci distinti al trattamento dei rifiuti plastici, con differenze significative nei processi. Vediamone alcuni: Riciclo chimico Questo sistema di riciclo coinvolge processi chimici per rompere le catene polimeriche delle plastiche, trasformandole in monomeri o oli, spesso richiedendo l'uso di sostanze chimiche aggressive ed elevate temperature o pressioni. Riciclo con l'acqua supercritica Questo sistema utilizza l’acqua allo stato supercritico per trattare i rifiuti plastici, penetrando nella loro struttura e facilitando la depolimerizzazione. Per fare ciò è necessario raggiungere temperature e pressioni elevate, ma senza l'uso di sostanze chimiche aggressive come negli approcci tradizionali. Il processo può generare monomeri, oli e altri materiali utili, riducendo al minimo i residui tossici. Differenze chiave tra il processo chimico e quello con l’acqua supercritica Il riciclo chimico impiega reagenti chimici aggressivi, mentre l'acqua supercritica utilizza le proprietà uniche dell'acqua in uno stato supercritico per degradare le plastiche. Infatti, l'acqua supercritica può essere più ecocompatibile dal punto di vista chimico, poiché riduce la dipendenza da sostanze tossiche o pericolose. Entrambi i processi mirano a recuperare monomeri od oli per la produzione di nuovi materiali, ma i dettagli esatti del processo e i prodotti ottenuti possono variare. Entrambi gli approcci contribuiscono agli sforzi di gestione sostenibile dei rifiuti plastici, ma la scelta tra i due dipende dalle specifiche esigenze, tipologie di plastica e obiettivi ambientali di un dato processo di riciclo. Quali vantaggi economici esistono tra il riciclo chimico e quello con l'acqua supercritica I vantaggi economici tra il riciclo chimico e quello con l'acqua supercritica possono variare in base a diversi fattori, tra cui le condizioni di mercato, le materie prime coinvolte e la scala di produzione. Tuttavia, esistono alcune considerazioni generali: Costi di gestione delle sostanze chimiche Il riciclo chimico potrebbe richiedere l'uso di sostanze chimiche costose o particolarmente reattive, aumentando i costi di gestione e sicurezza. Consumo energetico Nel riciclo chimico i processi possono richiedere notevoli quantità di energia, influenzando i costi operativi complessivi. Mentre nel riciclo con l’acqua supercritica, anche se il processo richiede temperature e pressioni elevate, il riciclo può essere più efficiente dal punto di vista energetico in confronto a processi chimici tradizionali. Residui e gestione ambientale Nel riciclo chimico si possono utilizzare alcuni processi chimici che possono generare sottoprodotti indesiderati o residui tossici, aumentando i costi di gestione ambientale. Con l’utilizzo dell’acqua supercritica, il processo risulta più pulito e meno tossico, riducendo i costi associati alla gestione ambientale e alla conformità normativa. Adattabilità ai tipi di plastica Con il riciclo chimico si riscontra una maggiore adattabilità di processo ad una gamma più ampia di tipologie di plastica, mentre l’utilizzo dell’acqua supercritica potrebbe essere più selettivo o efficace per determinate tipologie di plastica.
SCOPRI DI PIU'Analisi tecnica del polimero PEEK riciclato, dalle fonti di scarto alle miscele funzionali, fino alle metodologie di riciclo per applicazioni nei settori più avanzatidi Marco ArezioIl polyetheretherketone, conosciuto con l’acronimo PEEK, è uno dei polimeri termoplastici più performanti mai sviluppati dall’industria chimica. Appartenente alla famiglia dei poliarileterchetoni (PAEK), questo materiale deve le sue caratteristiche straordinarie a una struttura molecolare rigida e regolare, formata da anelli aromatici alternati a gruppi funzionali etere (–O–) e chetonici (–CO–). La sua sintesi avviene per reazione di policondensazione tra due monomeri aromatici: idrochinone (1,4-diidrossibenzene) e 4,4’-difluorobenzofenone. Il processo richiede condizioni severe: l’ambiente è anidro, il solvente deve resistere ad alte temperature (spesso si usa difenilsolfossido), e l’intervento di una base forte come il carbonato di sodio è indispensabile. Il risultato è una catena polimerica in cui ogni segmento conferisce resistenza chimica, stabilità termica e tenacità meccanica. Il PEEK vergine, prodotto su scala industriale a partire dalla fine degli anni ’70, è oggi considerato il materiale di riferimento nei settori ad alta tecnologia. Con un punto di fusione di circa 343 °C, un’eccellente stabilità dimensionale e una resistenza a carichi meccanici e termici prolungati, è utilizzato in componenti critici per l’industria aerospaziale, automotive, elettronica, oil & gas, biomedicale e perfino per la stampa 3D ad alte prestazioni. Tuttavia, la sua sintesi è costosa e ad alta intensità energetica. Il PEEK ha infatti un costo molto elevato (oltre i 400 €/kg) e richiede impianti specializzati per la sua produzione, che comporta anche un’impronta ambientale importante. Per questo, il riciclo del PEEK sta diventando un’opportunità sempre più interessante per coniugare sostenibilità ed efficienza industriale. Dove nascono gli scarti: origine e tipologie del PEEK da recuperare Non tutti i rifiuti plastici hanno lo stesso valore. Nel caso del PEEK, gli scarti sono spesso veri e propri residui pregiati, che derivano da tre canali principali. Il primo e più comune è rappresentato dalle lavorazioni industriali: sfridi, trucioli di tornitura, pezzi non conformi o residui di stampaggio. Si tratta di materiali tecnicamente puri, facili da identificare e da reinserire nel ciclo produttivo. Un secondo flusso proviene da componenti a fine vita, provenienti ad esempio da valvole, pompe, ingranaggi o supporti strutturali utilizzati in ambiti critici. In questo caso, la difficoltà non è solo nella raccolta, ma anche nella decontaminazione del materiale, che può aver subito stress chimici o meccanici significativi. Infine, con la crescente diffusione del PEEK nella stampa 3D, si generano scarti sotto forma di polveri esauste, supporti inutilizzati, filamenti mal formati o oggetti di test, che rappresentano una nuova frontiera del recupero in ambienti prototipali e manifattura additiva. Dallo scarto al compound: processi di lavorazione del PEEK riciclato Trasformare il PEEK da scarto a risorsa richiede un processo meticoloso. La prima fase consiste in una selezione e pulizia approfondita, volta a eliminare eventuali contaminazioni metalliche, organiche o polimeriche incompatibili. Segue poi una macinazione controllata, che riduce il materiale a una granulometria adatta all’estrusione. Prima di essere fuso, il PEEK riciclato viene sottoposto a una essiccazione profonda, solitamente sotto vuoto o in atmosfera inerte, per rimuovere ogni traccia d’umidità. Anche una minima presenza di acqua, infatti, potrebbe danneggiare la struttura del polimero durante la lavorazione ad alta temperatura. Il passaggio successivo è l’estrusione, eseguita a temperature superiori ai 340 °C. Qui il materiale viene trasformato in compound, ovvero miscele polimeriche arricchite con rinforzi o additivi funzionali. Spesso viene aggiunta una percentuale di PEEK vergine per compensare eventuali perdite di prestazione dovute al primo ciclo di utilizzo. Miscele tecniche e performance elevate I compounds di PEEK riciclato possono essere progettati per rispondere a esigenze molto diverse, a seconda delle applicazioni finali. Una delle formulazioni più diffuse è quella rinforzata con fibre di vetro, che offre rigidità e stabilità dimensionale superiori, rendendola adatta per componenti strutturali in ambienti termicamente critici. Per applicazioni che richiedono leggerezza, conduttività elettrica e resistenza alla fatica, si opta per miscele caricate con fibre di carbonio, che trasformano il PEEK riciclato in un materiale d’élite per elettronica e aerospazio. Al contrario, in presenza di esigenze tribologiche (basso attrito e usura), si impiegano additivi solidi lubrificanti come PTFE o grafite. Infine, alcuni sviluppatori stanno sperimentando blend tra PEEK riciclato e altri membri della famiglia PAEK, come PEKK e PEK, per calibrare al meglio le proprietà del materiale finale in funzione della lavorabilità e del profilo prestazionale richiesto. Tecnologie e prospettive del riciclo del PEEK A oggi, il riciclo meccanico del PEEK è il metodo più diffuso e accessibile: si basa su macinazione, essiccazione, rifusione ed estrusione. Ma richiede macchinari in grado di operare in modo preciso a temperature molto elevate, e spesso prevede il lavoro in atmosfera controllata. Il riciclo chimico, che mira a riportare il PEEK ai suoi precursori monomerici, è oggetto di studi ma ancora lontano da una vera industrializzazione, a causa dell’elevata stabilità molecolare del materiale. Più promettente è invece il riutilizzo diretto: componenti poco usurati vengono rilavorati o reintrodotti nel mercato in forma rigenerata, soprattutto nei settori industriali meno sensibili alle specifiche di purezza assoluta. Un’opportunità circolare nei materiali high-tech Il valore ambientale del PEEK riciclato è evidente. La sua produzione da monomero è energivora e ad alta intensità di carbonio; per contro, la rigenerazione consente un risparmio energetico notevole, una drastica riduzione dei rifiuti tecnici e un impatto positivo sul bilancio di sostenibilità aziendale. Inoltre, l’integrazione del PEEK rigenerato nelle filiere dei materiali avanzati rappresenta un cambio di paradigma importante: la possibilità di unire alte prestazioni e responsabilità ambientale non è più un’opzione futura, ma una realtà già attiva nei laboratori e negli impianti di produzione più evoluti. Conclusione Il riciclo del PEEK dimostra che anche i polimeri più sofisticati possono entrare a pieno titolo nel modello dell’economia circolare, se sostenuti da una filiera tecnologica all’altezza. Attraverso una conoscenza profonda della sua origine chimica, delle tecniche di recupero e delle potenzialità applicative, il PEEK riciclato si afferma come una risorsa strategica per il futuro della manifattura avanzata, dove sostenibilità e prestazione non sono più in conflitto, ma parte della stessa visione industriale.Immagine simbolica© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Scopri cosa rende unica Interzum rispetto alle altre grandi fiere del settore, perché è fondamentale per chi produce, progetta o innova nell’arredamento e nell’interior designdi Marco ArezioNel mondo del mobile, delle superfici e dei componenti per l’arredamento, poche manifestazioni riescono a racchiudere la complessità, la visione internazionale e la spinta innovativa di Interzum. Entrare nei suoi padiglioni è come percorrere un laboratorio a cielo aperto: qui convergono materiali, soluzioni, tecnologie e idee che determinano la direzione dell’intero settore, anticipando i trend che vedremo nelle case, negli uffici e negli spazi pubblici di domani. Interzum, che si svolge a cadenza biennale nel centro espositivo Koelnmesse di Colonia, in Germania, si rivolge a una platea che spazia dai produttori di materie prime alle grandi aziende del mobile, dai designer agli architetti, passando per i buyer e le startup più dinamiche. La fiera abbraccia tre grandi mondi che spesso si intrecciano: la ricerca sui materiali e sulle superfici, l’evoluzione dei componenti funzionali, le nuove frontiere del tessile e dell’imbottito. Ogni edizione si trasforma così in una mappa delle possibilità: superfici antibatteriche, laminati eco-compatibili, sistemi intelligenti di illuminazione, cerniere invisibili, tessuti tecnici ricavati da riciclo, schiume performanti, finiture bio-based. Non si tratta solo di vedere nuovi prodotti, ma di cogliere il senso di una filiera che cambia pelle, spinta dall’esigenza di coniugare sostenibilità, estetica e performance. Perché esporre: visibilità, business e contaminazione internazionale Esporre a Interzum significa entrare in un contesto dove innovazione e creatività sono le vere monete di scambio. Qui si incontrano i grandi player globali, ma anche le piccole aziende di nicchia che spesso lanciano le idee più sorprendenti. Chi sceglie di partecipare come espositore sa che ogni contatto può tradursi in collaborazioni internazionali, accesso a nuovi mercati e possibilità di confrontarsi con le esigenze reali di una platea trasversale, che va dal mondo contract al residenziale, fino alle soluzioni per la mobilità e l’ospitalità. Interzum è una piattaforma che valorizza l’identità di ogni brand: la possibilità di mostrare nuovi materiali, brevetti, tecnologie e collezioni trova qui un palcoscenico globale, dove l’attenzione di visitatori e media si concentra sulle idee più fresche e disruptive. La contaminazione tra aziende di settori diversi – dal tessile tecnico al legno, dai polimeri ai sistemi elettronici – permette di superare i confini tradizionali e favorisce lo sviluppo di partnership trasversali e innovazioni di prodotto. Perché visitare: formazione, ispirazione e visione sul futuro Per chi visita Interzum, l’esperienza è un’immersione totale nelle tendenze che ridisegnano l’abitare. Non è raro vedere designer che tracciano schizzi davanti a un nuovo materiale, responsabili acquisti che programmano partnership strategiche, architetti che cercano ispirazione tra tecnologie smart e finiture sensoriali. La fiera, più che una semplice esposizione, diventa un luogo di formazione continua: workshop, aree tematiche e installazioni sperimentali stimolano la riflessione e il confronto. Partecipare come visitatori significa poter toccare con mano materiali, soluzioni, prototipi e tecnologie che spesso saranno disponibili sul mercato solo dopo mesi. Interzum è un acceleratore di conoscenza e di tendenze: chi vuole essere aggiornato e mantenere un vantaggio competitivo non può ignorare l’appuntamento. Interzum e le altre grandi fiere del settore: analogie, differenze e unicità Ma cosa rende Interzum davvero diversa rispetto ad altre fiere di riferimento a livello globale, come il Salone del Mobile di Milano, SICAM a Pordenone, Ligna ad Hannover o la spagnola FIMMA-Maderalia a Valencia? La forza di Interzum sta nell’essere il cuore della subfornitura e dell’innovazione di processo. Se il Salone di Milano è la vetrina mondiale del prodotto finito e del design, Interzum ne rappresenta la fucina nascosta: qui nascono le soluzioni che designer e brand mostreranno un anno dopo al grande pubblico. SICAM, molto apprezzata per l’accessibilità e il focus sul business immediato, resta più raccolta e specializzata, mentre Interzum ha un respiro globale e una vocazione alla ricerca trasversale. Ligna invece punta principalmente sulle tecnologie per la lavorazione del legno e le macchine industriali, e FIMMA-Maderalia si concentra soprattutto sul mercato iberico e sulle lavorazioni dei materiali lignei, pur avendo una presenza internazionale. Interzum si distingue per l’ampiezza della visione, la presenza di tendenze trasversali (dal green building ai materiali smart), l’internazionalità degli espositori e dei visitatori, la capacità di fare scouting di novità che spesso anticipano le scelte di mercato. In poche altre fiere si percepisce così chiaramente l’accelerazione verso la sostenibilità e la circolarità, temi che emergono ovunque: dai biopolimeri ai rivestimenti eco-compatibili, dai sistemi per il risparmio energetico ai processi di riciclo avanzato. Conclusione: Interzum come esperienza e laboratorio del futuro In conclusione, Interzum non è solo una fiera, ma un’esperienza che ridisegna i confini di ciò che sarà possibile realizzare nel mondo del mobile, delle superfici, del tessile e dei componenti. È il luogo dove la filiera si confronta, innova, si reinventa e costruisce le basi del futuro abitare, tra design, funzione e responsabilità ambientale. Parteciparvi, da visitatore o da espositore, significa decidere di non essere spettatori, ma protagonisti dell’evoluzione di un settore che oggi più che mai deve saper rispondere alle sfide del mondo reale. © Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Nuova tecnologia per una produzione più efficiente ed economica: il futuro del grafene è sempre più vicinodi Marco ArezioIl grafene è da anni considerato il materiale del futuro, grazie alla sua resistenza 100 volte superiore all’acciaio e alla sua incredibile leggerezza. Tuttavia, la sua produzione su larga scala è stata a lungo un ostacolo, con costi elevati e processi complessi. EsaNanoTech, una startup innovativa, ha sviluppato una tecnologia brevettata per abbattere i costi e rendere il grafene più accessibile alle industrie, accelerando il suo impiego in settori chiave come batterie, elettronica, riscaldamento e mobilità sostenibile. Produzione avanzata: la nuova tecnologia di EsaNanoTech Il principale punto di forza della tecnologia EsaNanoTech è un processo innovativo per la “stampa” di fogli di grafene a partire da materie plastiche. Questo metodo riduce drasticamente i consumi energetici rispetto alle tecniche tradizionali, rendendo la produzione più sostenibile ed economicamente vantaggiosa. Grazie a questa svolta, il grafene può finalmente uscire dai laboratori e trovare applicazione su scala industriale, con un impatto significativo su diversi settori tecnologici. Applicazioni del grafene: energia, batterie ed elettronica Le prime soluzioni commerciali basate sulla tecnologia EsaNanoTech sono già in fase di lancio. Tra queste spiccano: - Sistemi di riscaldamento a grafene → Innovativi dispositivi in grado di ridurre fino al 60% il consumo energetico, rivoluzionando il settore della climatizzazione domestica e industriale. - Batterie al grafene per auto elettriche → Possibile aumento della capacità fino a 10 volte rispetto alle attuali batterie agli ioni di litio, con tempi di ricarica più rapidi e maggiore autonomia. - Sensori indossabili e materiali per l’aerospazio → Il grafene permette la creazione di sensori altamente precisi e materiali ultraleggeri per l’industria aerospaziale, aumentando l’efficienza e riducendo il peso dei componenti. Il futuro del grafene: una rivoluzione industriale imminente EsaNanoTech ha già avviato collaborazioni con aziende e istituti di ricerca per testare le potenzialità del suo grafene innovativo. La startup punta a scalare rapidamente la produzione e a portare sul mercato prodotti basati su questo materiale rivoluzionario. Se la tecnologia di EsaNanoTech manterrà le sue promesse, il grafene potrebbe finalmente diventare una realtà industriale concreta, trasformando settori strategici e aprendo la strada a nuove innovazioni tecnologiche. Il grafene non è più solo il materiale del futuro, ma sta diventando una soluzione concreta per un'industria più efficiente, sostenibile e tecnologicamente avanzata. © Riproduzione VietataFoto EsaNanotech
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