Globalizzazione del Marcato della Plastica Riciclata: Il Dado è Tratto (Alea iacta est)di Marco ArezioC’era bisogno di scomodare Giulio Cesare per dare l’idea che non c’è un momento più propizio come questo per agire? Forse si.Non è solo la Plastic Tax che spinge l’Europa a riconsiderare i polimeri riciclati, ma una serie di movimenti dal basso in cui i consumatori, preoccupati dalle condizioni ambientali del pianeta, richiedono produzioni più sostenibili anche nel mondo della plastica. Anche molti altri paesi, fuori dal confine Europeo, stanno adottando politiche restrittive per disincentivare l’uso della plastica vergine nelle produzioni massive, con lo scopo di aumentare il riciclo e diminuire i rifiuti plastici. La società S&P Global Platts Analytics prevede che la plastica riciclata, prodotta attraverso il sistema di riciclo meccanico, sostituirà oltre 1,7 milioni di tonnellate di polimeri plastici vergini entro il 2030, rispetto alle 688.000 tonnellate del 2020. Come sostituire la plastica vergine con quella riciclata a livello globale C’è ancora molta diffidenza sui polimeri plastici riciclati, specialmente nei paesi meno industrializzati, dove troppo spesso l’acquisto di questa materia prima è visto come un affare economico, volto a ridurre il costo di produzione. Questa richiesta di realizzare un’importante differenza di prezzo, rispetto a quella vergine, diventa per alcuni acquirenti l’unico metro di valutazione per l’impiego di un polimero riciclato. Ma come abbiamo visto nell’articolo pubblicato nel portale Arezio, anno dopo anno il prezzo dei polimeri riciclati si sposteranno verso il prezzo di quelli vergini e, in molti casi lo supereranno, questo per ragioni di carattere economico, ambientale e industriale. La globalizzazione del marcato dei polimeri riciclati deve passare verso una standardizzazione dei processi produttivi, in cui la filiera di trasformazione offra a tutti i clienti e in tutti i continenti dei processi di trattamento del rifiuto plastico comparabili dal punto di vista qualitativo. Oggi, in molte parti del mondo, la produzione di polimeri riciclati è un’attività localizzata dove non vengono sempre espressi valori di qualità, ma principalmente la necessità più o meno impellente del riuso del rifiuto in entrata. Bisogna acquisire la consapevolezza che l’utilizzo dei polimeri riciclati deve essere prioritario rispetto a quelli vergini, indipendentemente dal loro costo, in quanto il risparmio delle risorse del pianeta e la riduzione dei rifiuti che vengono prodotti giornalmente sono di gran lunga il fattore principale. La pressione dei governi Come abbiamo visto molti stati stanno applicando legislazioni disincentivanti all’uso della plastica vergine, attraverso una serie di tasse o imposizioni di utilizzo nelle miscele di percentuali variabili di plastica riciclata. In Gran Bretagna, per esempio, la produzione di un articolo che non contenga il 30% di plastica riciclata, per i prodotti rientranti in alcune categorie, subisce una tassa di 200 GBP/Ton, rendendo meno vantaggioso il costo finale del prodotto fatto solo con plastica vergine. Queste normative devono, da una parte disincentivare l’acquisto non deferibile della plastica vergine ma, nello stesso tempo, devono tendere, non solo ad aumentare la quota di produzione dei polimeri riciclati a livello mondiale, in modo da compensare la diminuzione dell’uso del vergine, ma devono anche portare a una filiera produttiva più uniforme per creare similitudini nei polimeri riciclati esportabili. Queste attività legislative stanno aumentando la richiesta di plastica riciclata che spesso, come in Europa, non corrisponde all’aumento dei volumi offerti. Principio di standardizzazione dei polimeri riciclati Quando si acquista un Polimero vergine con una specifica caratteristica da un fornitore è possibile, se le condizioni di mercato lo rendessero necessario, acquistarne uno molto simile prodotto da un altro fornitore, senza avere grandi differenze sui valori tecnici o di colore. Nel campo dei polimeri riciclati, non sempre questa alternanza esiste, in quanto ci possono essere delle differenze che potrebbero rendere un elemento diverso da un altro. Vediamo come: • Differenti fonti di approvvigionamento • Differente ciclo di vita del prodotto da riciclare • Differente di sostanze contenute nel prodotto se è un imballo • Differenti tecniche e metodi di riciclo nella filiera • Differenti macchinari utilizzati • Differente qualità della filiera del riciclo • Differenti mix di input per la creazione delle ricette • Differenti tecniche per il controllo di qualità dei polimeri Queste sono solo alcune alternative che possono implicare ad un polimero riciclato di essere differente da un suo simile. La standardizzazione non è sempre facile, in quanto il materiale in entrata può avere caratteristiche, a volte, più vicino al rifiuto che alla materia prima, ma lo sforzo comune di caratterizzare sempre meglio i polimeri finali permetterà una maggiore diffusione degli stessi. Nel mercato Europeo il lavoro di standardizzazione di alcuni polimeri come rPET o il PVC ha portato buoni risultati, conferendo a queste due famiglie regole qualitative, all’interno delle quali il prodotto è normato e di più facile diffusione nel mondo, potendo ripetere, lotto per lotto gli stessi valori. Anche l’rPET riciclato negli Stati Uniti sta diventando più uniforme e mostra riduzioni dei livelli di contaminanti. Questa spinta è guidata dalla California, dove dal 2022 si applicherà un contenuto minimo di plastica riciclata nelle bottiglie in PET, a partire dal 15%. Ma le produzioni di macinati trasparenti rPET della California sono in gran parte dominate da materiali con un livello di contaminanti in PVC fino a 100 ppm, questo significa che il settore dell’rPET statunitense è orientato verso mercati finali di qualità inferiore, come i mercati delle fibre e dei tessuti. I grandi marchi internazionali delle bibite stanno installando produzione di rPET nei paesi dove trovano fonti di approvvigionamento abbondanti e continuative, creando una spinta alla standardizzazione del polimero nel mondo. L’inquinamento globale procurato della plastica abbandonata a causa di comportamenti scellerati dell’uomo può essere risolto, dando valore al prodotto da riciclare in tutto il modo.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - business - internazionalizzazioneVedi maggiori informazioni sull'argomento
SCOPRI DI PIU'Già nel 1965 all’amministrazione Lyndon B. Johnson venne presentato un rapporto scientifico sull’inquinamento da C02A partire dalla metà degli anni 60 gli americani si accorsero che la combustione dei carburanti fossili riversava in atmosfera miliardi di tonnellate di CO2, ed avevano capito che questo fattore poteva realmente interferire con l’ambiente. Jimmy Carter, il presidente degli Stati Uniti a metà degli anni 70 del secolo scorso, fu forse il primo a cominciare ad interessarsi dei problemi ambientali, tanto che aveva fatto istallare sul tetto della casa bianca i primi pannelli solari per la produzione di energia elettrica rinnovabile. In un discorso ai propri elettori, in quel periodo, disse "dobbiamo iniziare ora a sviluppare le nuove fonti di energia non convenzionali su cui faremo affidamento nel prossimo secolo". Fu così che incaricò Frank Press, consigliere scientifico per il presidente, di redigere un memorandum sul clima e Carter lo ricevette pochi giorni dopo la celebrazione della festa del 4 Luglio del 1977. Press scrisse che l’utilizzo dei combustibili fossili era aumentato in modo esponenziale dall’inizio del 900 e, questo, aveva portato a riversare in atmosfera una quantità di CO2 oltre il 12% rispetto al periodo preindustriale, prevedendo un incremento da 1,5 a 2 volte nei successivi 60 anni. Lo scienziato aveva già previsto la correlazione della quantità di CO2 in atmosfera con l’aumento della temperatura della terra, che avrebbe portato a cambiamenti climatici catastrofici, con conseguenze in molti settori, mettendo in ginocchio non solo le città, ma anche il sistema produttivo industriale ed agricolo. Lo studio aveva centrato esattamente il risultato, infatti, la mancata riduzione delle emissioni di CO2 nell’ambiente sta generando, oggi, problemi climatici che sono sotto gli occhi di tutti. Ma cosa successe dopo la presentazione del memorandum di Press? Lo studio sul tavolo del presidente, non solo descriveva in modo preciso quali fossero le cause che generavano un’emissione in atmosfera di CO2 così drammatica, ma raccontava nel dettaglio che se nel 1977 si fosse interrotto questo fenomeno di rilascio, la C02 non sarebbe diminuita ma solo stabilizzata. Press spiegò che per ridurre la concentrazione nell’aria di questo veleno ci sarebbero voluti migliaia di anni e che se, sempre ipoteticamente, le emissioni si fossero congelata al 1977, la temperatura della terra, per un lungo periodo non sarebbe scesa sostanzialmente, ma solo stabilizzata. Jimmy Carter non era uno sprovveduto e, sebbene fosse uno tra i primi politici ad interessarsi dell’ambiente, capì quali implicazioni politiche potevano esserci nella riduzione dell’uso del petrolio. Nel suo staff, James Schlesinger, il primo segretario all'energia americano, bollò lo studio di Press come inopportuno in quel periodo, esprimendo la sua opinione al presidente, sottolineando che le implicazioni politiche di questo problema erano ancora troppo incerte per giustificare il coinvolgimento presidenziale e iniziative politiche. Il dualismo che viveva Carter era incentrato sul riconoscimento della necessità di incoraggiare la produzione di energie rinnovabili, ma nello stesso tempo il petrolio divenne un elemento strategico della sicurezza nazionale. Infatti, dopo la crisi petrolifera internazionale del 1973, il presidente capì che gli Stati Uniti non potevano dipendere dal petrolio estero, specialmente se le fonti erano in territori instabili, politicamente e socialmente, quindi diede vita ad una politica di incremento delle estrazioni nazionali, per rendere autosufficiente il paese dal punto di vista energetico. La presidenza di Carter finì nel 1981 con la vittoria di Reagan alle elezioni e con lui finirono i progetti per spingere la produzione di energia pulita, in quanto il nuovo presidente, non solo fece subito togliere i pannelli solari dalla casa bianca, ma investi soldi pubblici per creare discredito sugli studi relativi al cambiamento climatico.
SCOPRI DI PIU'Come dai rifiuti si può ottenere un carburante ecologico contribuendo all’indipendenza energeticadi Marco ArezioPetrolio e gas sono diventati ormai l’incubo della popolazione Europea, che li usa massicciamente per la mobilità e per la produzione di energia elettrica, alimentando le case, le fabbriche, gli ospedali, l’illuminazione stradale, le ricariche dei nostri cellulari, i condizionatori e ogni altro ambito in cui abbiamo bisogno di luce e del funzionamento di un elettrodomestico. Inoltre, la crisi climatica in corso, ci impone un cambiamento radicale basato sull'abbandono graduale delle fonti fossili per arrivare all'utilizzo di fonti rinnovabili ed energia pulita. Nel suo nuovo Green Deal l'Europa si è posta l'obiettivo di diventare carbon neutral nel 2050 e di abbattere le emissioni climalteranti del 40% entro i prossimi dieci anni. Da tanto tempo, quindi, si sta parlando di trovare soluzioni alternative alle fonti fossili per la produzione di energia, prima un po' per snobbismo, poi per questioni ambientali palesi, ed adesso per una questione di sopravvivenza ed economia. Se da una parte c’è stata una recente forte spinta, seppur con molti ritardi, sulle energie rinnovabili tramite l’eolico e il solare, nel campo dei biocarburanti si stanno studiando e testando nuove forme di combustibili ecosostenibili che derivano dai rifiuti. Fino ad oggi conoscevamo i biocarburanti di derivazione agricola, che venivano prodotti attraverso il trattamento degli zuccheri o dagli amidi che, impiegando il processo si sintetizzazione, permetteva di ottenere il bioetanolo. Esiste anche una produzione di biocarburante che parte dal trattamento dei grassi esausti per ottenere il biodiesel. Per chiudere il cerchio delle fonti green usate nelle bioraffinerie, possiamo annoverare anche i rifiuti delle attività legate al legno che, producendo la biomassa, possono essere utilizzate per le attività di bioraffinazione. Un nuovo filone, molto promettente dei biocarburanti, è la loro produzione attraverso l’utilizzo degli scarti alimentari, il cosiddetto FORSU, che ha indubbi vantaggi ambientali, in quanto riduce la presenza dei rifiuti prodotti giornalmente, non impiega i terreni agricoli, ha un impatto modesto sui costi produttivi rispetto ad altri biocarburanti e, altro punto importante, ha un approvvigionamento di materia prima sempre disponibile. Ma come avviene il processo di produzione del bio-olio dagli scarti alimentari? Gli scarti alimentari, quello che definiamo umido, vengono lavorati attraverso un processo chiamato di termoliquefazione, trasformando la massa dei rifiuti e dell’acqua in esso contenuta, in bio-olio a basso contenuto di zolfo. In questa fase del processo produttivo è possibile l’uso del bio-olio per la navigazione marittima, mentre attraverso un successivo passaggio di raffinazione è possibile produrre un bio carburante ad alte prestazioni. Per parlare di numeri e fare un esempio, si può dire che da circa 100 Kg. di rifiuto umido (FORSU) si può ottenere circa 16 kg. di bio-olio e, considerando che solo in Italia vengono raccolte circa 7 milioni di tonnellate di FORSU, si potrebbe auspicare che attraverso una maggiore attenzione nella differenziazione dei rifiuti e una maggiore diffusione degli impianti Waste to Fuel, su tutto il territorio nazionale, potremmo idealmente ricavare ogni anno circa un miliardo di litri di bio-olio. Con questi volumi, che equivarrebbero a circa 6 milioni di barili di greggio all’anno, sarebbe come scoprire un piccolo giacimento senza, però, dover perforare pozzi e senza, soprattutto, emettere ulteriore CO2 nell'ambiente. Attraverso il processo di termoliquefazione possiamo accelerare in poche ore, i processi chimici che il pianeta ha compito in milioni anni creando i depositi fossili, avendo l’opportunità di produrre il bio-olio senza impatti ambientali negativi. Il primo vantaggio della termoliquefazione, rispetto ad altri processi di trattamento dei rifiuti, si concretizza nel non dover rimuovere l’acqua, infatti, in tutti gli altri processi l’acqua viene fatta evaporare riscaldando la biomassa con evidenti costi energetici. Qui, invece, l’acqua viene utilizzata nella reazione stessa, sfruttandone le proprietà ad alta temperatura. Inoltre, si utilizzano temperature più basse: 250-310 °C invece dei 400-500 °C della pirolisi e degli 800-1000 °C della gassificazione. Risulta vantaggiosa anche la resa energetica della termoliquefazione, che raggiunge l'80%.
SCOPRI DI PIU'Total comunica al mercato di aver siglato un accordo per la fornitura di 500.000 tonnellate annue di gas naturale liquefatto (LNG) fino al 2026 con l'azienda ArcelorMittal Nippon Steel (AMNS) per le attività industriali in india. I'LNG verrà scaricato al terminal LNG di Dahej o Hazira, sulla costa occidentale dell'India.“Siamo lieti di collaborare con AMNS e di soddisfare la crescente domanda industriale di GNL in India, un Paese che mira a più che raddoppiare la quota di gas naturale nel suo mix energetico entro il 2030 rispetto ad oggi”, ha affermato Thomas Maurisse, Senior Vice President GNL al totale. "La fornitura di GNL contribuirà alla riduzione delle emissioni di carbonio di AMNS, in linea con l'ambizione di Total di offrire ai propri clienti prodotti energetici che emettono meno CO2 e di supportarli nelle proprie strategie a basse emissioni di carbonio".Vedi maggiori informazioni sull'operazione Total Accessori per il gas liquefatto LNG
SCOPRI DI PIU'Nuove Tecnologie Raggiungono Temperature Superiori ai 1.000 Gradi Celsius, Riducendo l'Impronta di Carbonio di Acciaio e Cementodi Marco Arezio L'energia solare sta dimostrando un potenziale straordinario per alimentare i processi industriali ad alta temperatura, che storicamente dipendono dai combustibili fossili. Recenti progressi tecnologici hanno permesso di raggiungere temperature superiori ai 1.000 gradi Celsius utilizzando la concentrazione solare, aprendo nuove possibilità per la produzione di acciaio e cemento, settori notoriamente difficili da decarbonizzare. La Sfida delle Alte Temperature nella Produzione di Acciaio e CementoLa produzione di acciaio e cemento richiede temperature estremamente elevate, spesso superiori ai 1.400 gradi Celsius. Questi processi, attualmente alimentati da combustibili fossili, sono tra i maggiori contributori di emissioni di CO2 a livello globale. Pertanto, trovare modi per raggiungere tali temperature senza combustibili fossili è essenziale per ridurre le emissioni di gas serra. Innovazioni nella Concentrazione Solare Un notevole progresso è stato raggiunto con lo sviluppo di una tecnologia di concentrazione solare che utilizza un sistema avanzato di visione artificiale per allineare con precisione una vasta serie di specchi, concentrando la luce solare su un unico punto focale. Questo metodo permette di raggiungere temperature superiori ai 1.000 gradi Celsius, sufficienti per molti processi industriali. I sistemi solari termici commerciali precedenti raggiungevano solo circa 565 gradi Celsius, insufficienti per la maggior parte delle applicazioni industriali (MaterialDistrict). Dettagli Tecnici e Risultati dei Test di Concentrazione SolareIl processo di concentrazione solare utilizza specchi parabolici o eliotermici, che riflettono e concentrano i raggi solari su un ricevitore. In uno studio, una combinazione di una barra di quarzo sintetico e un disco di silicio opaco ha raggiunto temperature di 1.050 gradi Celsius quando esposto a una concentrazione solare equivalente a 136 soli. I test hanno mostrato che un ricevitore schermato da quarzo può raggiungere un'efficienza del 70% a 1.200 gradi Celsius con una concentrazione di 500 soli, rispetto al 40% di un ricevitore non protetto. Questa efficienza è ottenuta grazie alla capacità del quarzo sintetico di intrappolare il calore e ridurre le perdite termiche, migliorando significativamente il trasferimento di calore rispetto ai ricevitori solari tradizionali. Gli studi hanno anche simulato vari scenari per ottimizzare l'effetto di trapping termico, esplorando materiali come fluidi e gas per raggiungere temperature ancora più elevate. Applicazioni e Benefici della Concentrazione SolareQuesta tecnologia ha applicazioni potenziali in diversi settori. Oltre alla produzione di acciaio e cemento, può essere utilizzata per processi come la scissione del CO2 e dell'acqua, per produrre carburanti fossili come l'idrogeno e il syngas. Questi sviluppi potrebbero ridurre drasticamente le emissioni di CO2 associate a questi processi industriali, offrendo un percorso verso una produzione più sostenibile. Problematiche e Prospettive Future Nonostante i promettenti risultati iniziali, ci sono ancora problematiche significative da affrontare. La scalabilità di questa tecnologia e la sua integrazione nei processi industriali esistenti richiederanno ulteriori ricerche e investimenti. Inoltre, è necessario migliorare ulteriormente l'efficienza della conversione dell'energia solare in calore ad altissime temperature. Le prospettive future, tuttavia, sono molto positive. Gli sviluppi recenti indicano che l'energia solare può effettivamente fornire le alte temperature necessarie per i processi industriali, riducendo l'uso di combustibili fossili e le emissioni di gas serra. Questa transizione potrebbe rappresentare un passo fondamentale verso una produzione industriale più sostenibile e a basse emissioni di carbonio.Conclusione L'uso dell'energia solare per generare alte temperature è una svolta significativa nella lotta contro il cambiamento climatico. Le innovazioni nella tecnologia di concentrazione solare offrono una soluzione promettente per decarbonizzare i processi industriali ad alta temperatura, aprendo la strada a un futuro più sostenibile e a basse emissioni di carbonio. La dimostrazione di questa capacità tecnologica è un passo cruciale verso la riduzione dell'impronta di carbonio globale e l'adozione di fonti di energia rinnovabile su larga scala.
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