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https://www.rmix.it/ - Polimeri da Fonti Rinnovabili Rinforzati con Grafene: Innovazione, Applicazioni e Sostenibilità
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Polimeri da Fonti Rinnovabili Rinforzati con Grafene: Innovazione, Applicazioni e Sostenibilità
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Scopri come la sintesi avanzata e la caratterizzazione di materiali compositi a base di grafene aprano nuove frontiere tecnologiche e sostenibilidi Marco ArezioNegli ultimi anni, l’attenzione verso materiali sostenibili derivati da fonti rinnovabili è cresciuta notevolmente. Tra questi materiali spiccano i polimeri biodegradabili come l'acido polilattico (PLA), i poliidrossialcanoati (PHA) e vari derivati della cellulosa. Questi polimeri rappresentano una valida alternativa ai materiali tradizionali derivati da fonti fossili, grazie al ridotto impatto ambientale e alla loro biodegradabilità. Tuttavia, presentano alcune limitazioni intrinseche, come la bassa resistenza meccanica, una limitata conducibilità termica ed elettrica e una scarsa stabilità termica, che ne limitano significativamente le applicazioni industriali avanzate. Grafene come Rinforzo Innovativo nei Materiali Compositi Il grafene, un materiale composto da uno strato bidimensionale di atomi di carbonio disposti in una struttura esagonale, si distingue per proprietà eccezionali di resistenza meccanica, superiore persino a quella dell'acciaio, e per elevate conducibilità termica ed elettrica. Queste proprietà lo rendono ideale per rinforzare matrici polimeriche, migliorando in maniera significativa le prestazioni dei materiali compositi derivati da fonti rinnovabili. L'integrazione del grafene consente di realizzare materiali compositi sostenibili con proprietà comparabili o superiori rispetto ai materiali convenzionali, aprendo nuove opportunità applicative. Tecniche di Sintesi dei Compositi Polimerici Rinforzati con Grafene La realizzazione di compositi polimerici rinforzati con grafene richiede tecniche di sintesi specifiche e avanzate, volte a ottenere una dispersione omogenea e stabile del rinforzo nella matrice polimerica. Tra queste tecniche si distinguono la sonificazione ultrasonica, efficace nel separare uniformemente le lamelle di grafene, la miscelazione meccanica ad alta energia, capace di miscelare fisicamente i componenti in modo uniforme, e l’utilizzo di solventi ecocompatibili, che migliorano la dispersione senza comprometterne la sostenibilità. Una dispersione efficace previene l'agglomerazione, ottimizzando le proprietà meccaniche e termiche del materiale finale. Tecniche di Caratterizzazione Avanzata dei Compositi Per garantire la qualità e l’efficacia dei compositi polimero-grafene, sono necessarie tecniche avanzate di caratterizzazione. La spettroscopia Raman consente di analizzare le interazioni molecolari tra grafene e matrice polimerica, evidenziando il grado di adesione interfaciale. La microscopia elettronica a scansione (SEM) e la microscopia a forza atomica (AFM) offrono informazioni dettagliate sulla morfologia della dispersione, identificando eventuali irregolarità o agglomerati. Infine, l'analisi termogravimetrica (TGA) valuta la stabilità termica e la resistenza del materiale composito in condizioni operative ad alta temperatura. Risultati Tecnici e Applicazioni Industriali L’impiego di grafene nei polimeri sostenibili ha mostrato miglioramenti significativi nelle proprietà meccaniche, conducendo a materiali compositi dalle performance superiori rispetto ai polimeri non rinforzati. Le applicazioni emergenti riguardano l’elettronica flessibile, con polimeri conduttivi altamente resistenti; l'industria automobilistica, dove leggerezza e proprietà avanzate sono essenziali; il packaging alimentare, che richiede proprietà barriera migliorate; e il settore biomedicale, dove la biocompatibilità si combina con le performance offerte dal grafene. Prospettive Future e Sostenibilità I polimeri rinforzati con grafene rappresentano una promettente frontiera tecnologica per la sostenibilità ambientale e l’innovazione industriale. Tuttavia, restano sfide tecniche, come la scalabilità industriale, l’ottimizzazione continua delle tecniche di dispersione e la valutazione del ciclo di vita completo del materiale. Le future ricerche dovranno focalizzarsi su metodi produttivi ancora più ecocompatibili e scalabili. L'adozione crescente di questi materiali potrebbe favorire una significativa transizione verso modelli di produzione e consumo sostenibili, contribuendo agli obiettivi globali di sostenibilità ambientale ed economica. © Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Il tuo estrusore si lamenta? prova un cambia filtri in continuo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il tuo estrusore si lamenta? prova un cambia filtri in continuo
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Cambia filtri in continuo: la pulizia delle impurità nella produzione di granuli plastici da post consumo è diventata una sfida interessantedi Marco ArezioCome abbiamo avuto modo di affrontare in altri articoli, la qualità dell’input della plastica proveniente dalla raccolta differenziata, ha subito negli ultimi anni un generale peggioramento, anche a causa della chiusura delle importazioni sul mercato cinese della fine del 2017. L’aumento della presenza di plastiche miste, come i poli accoppiati, il PVC o le contaminazioni di altre plastiche all’interno della balla di scarti da post consumo che arriva agli impianti di lavorazione delle materie plastiche, mette in difficoltà il produttore di polimeri sul mantenimento di un’idonea qualità dei polimeri da produrre. Mai come in questi periodi la qualità degli impianti di lavaggio degli scarti, sono un fatto fondamentale per selezionare, pulire e limitare, parti non facilmente lavorabili negli estrusori. Meno materiale incompatibile con quello principale da lavorare, come l’HDPE, il PP l’LDPE, l’MDPE, il PS e altri, più ne guadagna la produzione, in termini di velocità, qualità e costi. Il processo di lavaggio deve essere ben progettato in funzione dell’input da lavorare e, il suo utilizzo, non deve essere spinto per massimizzare la produzione, in quanto il ciclo di lavorazione degli scarti all’interno delle vasche prevede corretti tempi di passaggio del materiale, di movimentazione e una lunghezza sufficiente del percorso in acqua per la giusta decantazione del materiale. Non sempre si può disporre di impianti di lavaggio corretti e, non sempre a monte di questi, si può disporre di moderni impianti di selezione ottica dei materiali plastici in entrata, che possono dividere le plastiche per famiglie omogenee di prodotti. Quando il binomio tecnico, selezione automatica efficiente e lavaggi correttamente dimensionati, non sono disponibili o sono sottodimensionati, l’utilizzo del materiale da post consumo per la produzione di granuli riciclati potrebbe comportare molte difficoltà di produzione dei granuli. Sul mercato esistono degli impianti di filtrazione delle impurità che si abbinano agli estrusori e che possono sostituire i tradizionali filtri a cassetta, permettendo di dare alla produzione un aiuto in termini di qualità del granulo realizzato, riduzione degli scarti e velocità di produzione. Stiamo parlando dei cambia filtri in continuo che prevedono un sistema di auto pulizia in continuo dei residui sui filtri, provvedendo all’espulsone delle parti di scarto, il mantenimento della pressione dell’estrusore, con perdite valutabili in 5-10 Bar e una modularità sulla capacità di filtrazione fino a 50 micron. I cambia filtri automatici possono essere impiegati anche per plastiche con instabilità di fluidità all’interno dell’estrusione, come il PET e il Naylon. Per quanto siano ottimi strumenti per migliorare il processo produttivo delle plastiche da post consumo, non bisogna dimenticare che questo tipo di rifiuti, in quanto provenienti da un mix eterogeneo di plastiche miste, avrebbero bisogno di un’attenta filiera di lavorazione che contempla tutti i passaggi inerenti al riciclo meccanico.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - filtri - estrusori

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https://www.rmix.it/ - Tubazioni Corrugate per Fognatura in HDPE e PP di Grande Diametro
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Tubazioni Corrugate per Fognatura in HDPE e PP di Grande Diametro
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Tubazioni Corrugate per Fognatura in HDPE e PP di Grande Diametro attraverso l'uso di granuli riciclatidi Marco ArezioLe linee di fognatura sono progettate in funzione del carico di lavoro che i centri abitati imprimono sul sistema di scarico e, in base ad altri parametri di tipo tecnico-progettuale, vengono stabilite le caratteristiche dei tubi di trasporto dei liquidi di scarico.Le tubazioni non a pressione composte di materiale plastico, specialmente quelle realizzate in Polietilene ad alta densità e in Polipropilene, sono largamente impiegate da decenni a seguito dei vantaggi che sono insiti nelle materie prime costituenti i tubi stessi.Possono essere utilizzati granuli in HDPE riciclati o vergini che abbiano un MFI 0,4-0,7  a 190°/5 Kg., oppure in PP con MFI 1,5-2 a 230°/2,16 Kg. con una corretta stabilità termica e la giusta quantità di carbon black.  Le caratteristiche richieste normalmente in fase di progettazione sono:• Resistenza ai carichi esterni • Resistenza alle aggressioni chimiche ed elettrochimiche • Tenuta bidirezionale delle giunzioni • Caratteristiche idrauliche costanti nel tempo • Ridotta aderenza alle incrostazioni • Facilità di assemblaggio e posa • Ridotto costo di posa e manutenzione I tubi in HDPE e PP possono essere corrugati, cioè presentare una ondulazione di rinforzo della parte esterna della struttura e una finitura liscia nella parte interna. In presenza di tubi di grandi dimensioni è possibile interporre una struttura metallica nell’intradosso della corrugazione con lo scopo di aumentare la resistenza del manufatto al fenomeno denominato “creep”, che si configura in un comportamento visco-elastico del materiale, con la conseguente deformabilità temporanea del tubo. Abbiamo accennato alla presenza dei due strati del tubo, quello esterno corrugato e quello interno liscio, elementi che hanno quindi due funzioni ben distinte. Lo strato interno, liscio, a diretto contatto con i fluidi trasportati, deve possedere una corretta resistenza chimica e meccanica nei confronti dei liquidi trasportati e una resistenza allo scorrimento basso. Lo strato esterno, corrugato, ha la funzione di contrapporsi agli sforzi di compressione che agiscono sul tubo posato, garantendone la durata e l’assenza di rotture. Nel caso di tubature armate, prodotto sviluppano in Giappone negli anni 90 del secolo scorso e successivamente largamente impiegati anche negli Stati Uniti, si associano le caratteristiche delle materie plastiche come la resistenza all’abrasione, la leggerezza, il coefficiente di scabrezza minimo, l’inerzia alle sostanze chimiche e la facilità di posa, alle caratteristiche dell’acciaio che presenta, per esempio, un modulo elastico molto più elevato del polietilene. L’utilizzo del PP anziché l’HDPE avviene in virtù di piccole differenze sui materiali:• Modulo elastico leggermente superiore • Migliore comportamento alle alte temperature (minore però a quelle basse) • Densità e peso specifico inferiore Tra le tre caratteristiche elencate sicuramente la differenza del modulo elastico è quella più importante, in quanto il modulo influenza la rigidità del tubo e quindi la resistenza ai carichi compressivi. Quindi, a parità di spessori, un modulo elastico superiore corrisponde una maggiore resistenza ai carichi e, nel caso dell’HDPE il modulo elastico istantaneo è normalmente > di 800 MPa, mentre nel PP è > di 1250 MPa. Come abbiamo detto, le tubazioni costituite in HDPE e PP hanno ottime caratteristiche idrauliche sia per quanto riguarda la scabrezza delle pareti a contatto con i fluidi, ma anche per quanto riguarda la resistenza all’abrasione, garantendo una costante portata idraulica e una grande durabilità della linea fognaria. Tra i concorrenti dei tubi in PP e HDPE, quali i tubi in cemento, in cemento rivestito, in vetroresina, in gres e in PVC, si è verificato, attraverso prove di laboratorio, che la resistenza all’abrasione interna risulta inferiore tra i concorrenti, quindi, questi, sono soggetti a un maggior logorio meccanico. Tra questi prodotti, quelli composti con PVC, hanno dato risultati vicini ai tubi in PP e HDPE. Per farci un’idea di cosa si intende per tubi fognari di grande diametro, possiamo dire che sul mercato esistono tubi con diametro esterno fino a 2500 mm. ed interno di 2400 mm. circa. Nella posa dei tubi in HDPE, PP e PVC in trincea è fondamentale il ruolo del sottofondo sul quale verrà posata la linea, in quanto questi manufatti sono soggetti al comportamento meccanico di tipo visco-elastico, quindi soggetti ad una costante deformazione nel tempo definito “creep”. In caso di sottofondi non estremamente compatti o soggetti a piccoli movimenti l’impiego di tubi corrugati con armatura in metallo nell’intradosso della corrugazione può aiutare a contenere questo fenomeno. Per quanto riguarda le caratteristiche chimiche dei tubi in HDPE e PP possiamo dire che i materiali costituenti hanno in sé caratteristiche di resistenza ai fenomeni di corrosione elettrochimica o per l’accoppiamento galvanico, in quanto non sono di per se elettricamente conduttivi. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - tubi - fognatura - HDPE - PP

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https://www.rmix.it/ - Effetti della reticolazione sulla resistenza meccanica e alla fatica degli elastomeri
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Effetti della reticolazione sulla resistenza meccanica e alla fatica degli elastomeri
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Analisi dei processi di crosslinking e della loro influenza sulle proprietà meccaniche e sulla durabilità a fatica dei materiali elastomericidi Marco ArezioLa scienza dei materiali polimerici, e in particolare lo studio degli elastomeri, trova uno dei suoi punti centrali nella comprensione del ruolo della reticolazione. Questo processo, che consiste nella creazione di legami chimici o fisici permanenti tra le catene polimeriche, è il fondamento stesso delle prestazioni degli elastomeri in applicazioni tecnologiche che spaziano dai pneumatici all’industria aerospaziale, passando per dispositivi biomedicali e guarnizioni industriali. La reticolazione non è un semplice fenomeno strutturale: è un meccanismo che ridefinisce profondamente la resistenza meccanica, la rigidità, la resilienza e, soprattutto, la resistenza a fatica dei materiali elastomerici. La natura della reticolazione negli elastomeri Gli elastomeri sono caratterizzati dalla loro capacità di subire grandi deformazioni elastiche e di ritornare alla forma originaria una volta rimosso lo sforzo. In assenza di reticolazione, le catene polimeriche tendono a scorrere l’una rispetto all’altra, riducendo la stabilità dimensionale e favorendo fenomeni di creep o rilassamento. La reticolazione introduce punti di ancoraggio chimici o fisici che limitano questo scorrimento, creando una rete tridimensionale capace di conferire stabilità e migliorare le proprietà meccaniche. Il grado di reticolazione è un parametro critico: una densità troppo bassa comporta un materiale eccessivamente morbido e vulnerabile all’usura, mentre un eccesso di legami incrociati può rendere il materiale fragile, riducendo l’elasticità e aumentando la probabilità di rottura sotto sollecitazioni cicliche. Proprietà meccaniche e resistenza statica La resistenza meccanica degli elastomeri dipende in larga misura dalla densità e dalla distribuzione dei punti di reticolazione. Una rete ben bilanciata garantisce una buona resistenza alla trazione, al taglio e alla compressione. L’aumento dei legami incrociati riduce la mobilità segmentale delle catene, incrementando il modulo elastico del materiale. In questo modo, l’elastomero diventa più resistente alla deformazione permanente e acquisisce una maggiore durezza superficiale. Tuttavia, esiste un compromesso tra resistenza e deformabilità. La resilienza tipica degli elastomeri, cioè la capacità di assorbire e rilasciare energia, diminuisce quando la densità di reticolazione è troppo elevata. Ciò richiede una progettazione mirata del grado di crosslinking in funzione dell’applicazione specifica, come accade nella formulazione dei compound per pneumatici ad alte prestazioni, dove si ricerca il bilanciamento tra grip, resistenza all’usura e stabilità dimensionale. Resistenza a fatica e comportamento sotto sollecitazioni cicliche La fatica rappresenta uno dei limiti più critici per gli elastomeri impiegati in applicazioni dinamiche. Durante l’esercizio, i materiali elastomerici sono soggetti a cicli ripetuti di carico e scarico che inducono microfratture localizzate, le quali, con il tempo, si propagano fino alla rottura macroscopica. La reticolazione influenza direttamente la resistenza a fatica attraverso due meccanismi principali: - Stabilizzazione delle catene polimeriche, che riduce la mobilità molecolare e limita l’accumulo di danno. - Distribuzione degli sforzi interni, che permette alla rete reticolata di dissipare l’energia applicata in maniera più uniforme. Tuttavia, un eccesso di reticolazione può avere un effetto controproducente. La rigidità indotta dai numerosi legami rende più difficile il riarrangiamento molecolare durante la deformazione ciclica, favorendo la nucleazione di microfessure. Per questo motivo, la progettazione delle formulazioni elastomeriche deve tener conto non solo delle condizioni statiche, ma soprattutto dei carichi ciclici che il materiale dovrà sostenere nel lungo periodo. Effetti microstrutturali e chimici della reticolazione Dal punto di vista chimico, la reticolazione può avvenire tramite processi di vulcanizzazione a base di zolfo, attraverso perossidi organici o per mezzo di radiazioni ionizzanti. Ciascun metodo genera morfologie di reticolazione differenti, che a loro volta influenzano le prestazioni finali. La vulcanizzazione solforica, ad esempio, produce legami polisolfurici, più flessibili ma anche più suscettibili a rottura termica e ossidativa; i perossidi, invece, formano legami carbonio-carbonio molto più stabili, ma conferiscono al materiale una maggiore rigidità. Questi aspetti si riflettono sulla resistenza a fatica: i sistemi a legami più flessibili garantiscono una migliore dissipazione delle sollecitazioni cicliche, mentre quelli più rigidi resistono meglio agli ambienti aggressivi, ma riducono la vita a fatica. L’ottimizzazione richiede quindi un compromesso tra stabilità chimica, resistenza all’invecchiamento e comportamento sotto stress ripetuto. La vita utile e la progettazione di materiali elastomerici Determinare e controllare la vita utile di un materiale elastomerico è una delle sfide più complesse nella scienza dei polimeri applicata. La vita utile non è un parametro assoluto, ma dipende da una molteplicità di fattori che vanno dalla formulazione chimica alla densità di reticolazione, dall’ambiente di esercizio alle modalità di sollecitazione. Ogni elastomero, in quanto materiale viscoelastico, combina caratteristiche elastiche tipiche dei solidi con proprietà dissipative proprie dei fluidi, e ciò implica che il suo comportamento nel tempo non è mai rigidamente prevedibile senza un’analisi dettagliata delle condizioni operative. Un pneumatico da competizione, ad esempio, è progettato per resistere a sollecitazioni cicliche estremamente intense per un arco temporale breve, mentre un giunto di tenuta per l’industria petrolchimica deve mantenere prestazioni stabili per anni in un ambiente aggressivo e variabile. In entrambi i casi, la progettazione della reticolazione diventa un vero e proprio strumento di “taratura funzionale”: la rete tridimensionale creata dai legami incrociati deve essere calibrata per rispondere in modo selettivo agli stimoli meccanici e chimici dell’ambiente operativo. La reticolazione ottimale permette non solo di incrementare la resistenza statica, ma soprattutto di modulare il comportamento a fatica. Un materiale elastomerico sottoposto a carichi ciclici accumula inevitabilmente micro danni localizzati: piccole fratture, zone di cavitazione e microvuoti che si propagano sotto l’azione delle sollecitazioni ripetute. La densità e la natura dei legami di reticolazione stabiliscono in che misura tali difetti vengono confinati o propagati. Una rete troppo rigida ostacola i movimenti di rilassamento delle catene polimeriche, favorendo la nucleazione di microfratture; una rete troppo debole, al contrario, non riesce a contenere la deformazione plastica, generando cedimenti prematuri. In questa prospettiva, la vita utile di un elastomero non può essere intesa unicamente come tempo alla rottura, ma come capacità di mantenere prestazioni funzionali entro margini accettabili lungo tutto il ciclo di utilizzo. Gli strumenti di progettazione moderna, basati su modelli di meccanica della frattura, analisi viscoelastica e simulazioni multiscala, consentono oggi di correlare parametri microstrutturali, come la distribuzione dei legami e la loro energia di dissociazione, a proprietà macroscopiche come resistenza a fatica, resilienza e stabilità dimensionale. Un’area di ricerca particolarmente promettente riguarda la reticolazione dinamica e reversibile. In contrasto con i legami covalenti permanenti tipici degli elastomeri tradizionali, i sistemi dinamici introducono legami “labili” che possono rompersi e riformarsi sotto specifici stimoli (temperatura, pH, campi elettrici). Questa caratteristica conferisce agli elastomeri proprietà di autoriparazione: microfessure e difetti che si formano durante l’esercizio vengono progressivamente sanati dal riarrangiamento delle catene polimeriche, ritardando il collasso macroscopico del materiale. Gli elastomeri vitrimici, ad esempio, si basano su reti covalenti adattive in cui i legami chimici, pur permanendo nella loro densità complessiva, possono scambiarsi in seguito a stimoli termici. Questo consente non solo la riparazione dei danni, ma anche la possibilità di riciclare e rielaborare materiali che tradizionalmente venivano considerati non recuperabili a fine vita. Allo stesso modo, gli elastomeri a base di legami idrogeno o di interazioni ioniche reversibili offrono un bilanciamento interessante tra resistenza meccanica e capacità di auto-rigenerazione. Dal punto di vista industriale, queste innovazioni rappresentano un potenziale cambio di paradigma. Se, in passato, la progettazione degli elastomeri era orientata a massimizzare la durata “statica” attraverso un compromesso tra densità di reticolazione e stabilità chimica, oggi la ricerca si orienta verso la creazione di materiali capaci di rigenerarsi e adattarsi dinamicamente al contesto operativo. Ciò significa ridurre i costi di sostituzione, allungare la vita dei prodotti e, soprattutto, aumentare la sostenibilità complessiva dei processi industriali. Non bisogna trascurare, inoltre, l’impatto ambientale legato alla fine vita degli elastomeri. La possibilità di modulare la reticolazione in modo che sia reversibile apre prospettive concrete per il riciclo chimico e meccanico di materiali che fino ad oggi erano considerati difficili da recuperare. In questo senso, la progettazione della reticolazione non è solo una leva tecnica per migliorare le prestazioni meccaniche, ma diventa una strategia chiave per coniugare durabilità e sostenibilità, elementi sempre più richiesti in settori che spaziano dall’automotive al biomedicale, fino all’edilizia e all’energia. In conclusione, la vita utile degli elastomeri non è un dato fisso, ma una variabile che può essere modulata attraverso un design intelligente della reticolazione. Il futuro dei materiali elastomerici si muove verso un approccio dinamico, dove i legami non sono soltanto vincoli strutturali, ma strumenti attivi di adattamento e rigenerazione. Questo apre la strada a una nuova generazione di elastomeri, non solo più resistenti, ma anche più “intelligenti” e sostenibili, capaci di estendere i confini delle loro applicazioni e di rispondere alle esigenze di una società sempre più attenta all’efficienza e all’impatto ambientale. Considerazioni finali Gli effetti della reticolazione sulla resistenza meccanica e alla fatica degli elastomeri rappresentano un campo di ricerca e sviluppo strategico. Il grado e la natura dei legami incrociati determinano non solo le proprietà statiche del materiale, ma soprattutto la sua capacità di sopportare carichi ciclici nel tempo. Un equilibrio tra densità di reticolazione, stabilità chimica e resilienza meccanica è la chiave per sviluppare elastomeri ad alte prestazioni, in grado di rispondere alle sfide della mobilità, dell’industria e della sostenibilità.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Produzione della carta: come scegliere le pompe industriali
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Produzione della carta: come scegliere le pompe industriali
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Strategie per affrontare le criticità, aumentare l'efficienza, la sostenibilità e la qualità della produzione cartaria attraverso una scelta corretta delle pompe industrialidi Marco ArezioLa produzione della carta rappresenta un processo industriale articolato, la cui efficienza e qualità sono fortemente influenzate dalla selezione accurata dei componenti utilizzati durante le diverse fasi operative. Tra questi, assumono particolare importanza le pompe industriali, che costituiscono elementi essenziali per garantire il funzionamento ottimale degli impianti e affrontare con successo le varie problematiche che caratterizzano il settore cartario.L'importanza strategica dei componenti industriali nella produzione della carta Il processo produttivo della carta prevede diverse tappe fondamentali, che includono la preparazione della pasta, la raffinazione, la formazione del foglio, la pressatura, l'essiccazione e la finitura. In ciascuna di queste fasi, l'affidabilità dei componenti industriali, con particolare riguardo alle pompe, è determinante per assicurare una produzione continua, l'ottimizzazione del consumo energetico e la qualità superiore del prodotto finale. Questi componenti devono operare in condizioni ambientali e operative complesse, come temperature elevate, ambienti corrosivi e abrasivi, presenza di solidi sospesi e fluidi ad alta viscosità. L'impiego di componenti inappropriati può generare frequenti interruzioni produttive, aumento dei costi di manutenzione e un peggioramento della qualità finale della carta. Il ruolo fondamentale delle pompe industriali nel settore cartario Le pompe industriali hanno il compito cruciale di trasportare e gestire fluidi fondamentali nei vari processi produttivi della carta. Tra questi fluidi si trovano paste di cellulosa, agenti chimici, acque reflue e fanghi derivanti dai processi di riciclo. Una selezione non adeguata delle pompe può causare inefficienze operative, incremento dei consumi energetici e seri rischi ambientali. Criticità specifiche nell'utilizzo delle pompe Le principali problematiche operative che le pompe industriali devono affrontare nel settore cartario sono: Usura e abrasione: provocate dalla presenza di fibre abrasive, come quelle della cellulosa non completamente raffinata, e di particelle solide, quali sabbia o altri contaminanti minerali, che vengono spesso introdotte accidentalmente o derivano dal processo stesso. Queste particelle abrasive generano un'usura progressiva delle superfici interne delle pompe, comportando una riduzione dell'efficienza e della durata operativa dei componenti, con conseguenti aumenti dei costi di manutenzione e sostituzione. Corrosione chimica: derivante dall'impiego di prodotti chimici altamente aggressivi come ipoclorito di sodio, biossido di cloro, perossido di idrogeno e acidi forti, utilizzati nei processi di trattamento, sbiancamento e pulizia della cellulosa. Queste sostanze chimiche possono deteriorare rapidamente i componenti metallici delle pompe, provocando danni strutturali e funzionali significativi, se non vengono adottati materiali e rivestimenti specificamente progettati per resistere a tali condizioni aggressive. Alte temperature operative: tipicamente nella fase di essiccazione e nel trattamento termico della pasta, durante le quali la temperatura può raggiungere livelli molto elevati, spesso superiori ai 150°C. Queste condizioni termiche estreme possono influire negativamente sulla durata e sull'efficienza dei componenti delle pompe, causando una rapida degradazione dei materiali costruttivi, riduzione della viscosità degli oli lubrificanti e perdita delle proprietà meccaniche di guarnizioni e rivestimenti. Pertanto, è essenziale utilizzare pompe progettate con materiali e tecnologie capaci di resistere efficacemente a tali condizioni operative. Gestione di fluidi viscosi: la movimentazione di fluidi con elevata viscosità, come paste concentrate di cellulosa o fanghi ricchi di fibre, rappresenta una sfida significativa nella produzione cartaria. Tali fluidi tendono a ridurre l'efficienza operativa delle pompe, causando un maggiore consumo energetico e aumentando il rischio di blocchi e malfunzionamenti. Per garantire una gestione efficace ed efficiente, è necessario adottare pompe progettate specificatamente con geometrie ottimizzate, sistemi di tenuta avanzati e capacità di autoregolazione, che assicurino una movimentazione regolare e stabile dei fluidi ad alta viscosità, riducendo contemporaneamente il consumo energetico e le esigenze manutentive. Selezione accurata delle pompe: criteri essenziali Per superare con efficacia queste problematiche, è cruciale scegliere pompe progettate appositamente per il settore cartario, considerando attentamente: Materiali costruttivi La selezione di materiali resistenti alla corrosione e all'abrasione riveste un'importanza critica per garantire l'affidabilità e la durabilità delle pompe nel settore cartario. Gli acciai inossidabili speciali, come quelli al cromo-nichel-molibdeno, offrono una resistenza elevata sia agli agenti chimici aggressivi che ai fenomeni corrosivi generati da ambienti umidi e da fluidi contenenti sostanze acide. I materiali ceramici, invece, presentano una resistenza eccezionale all'usura causata dalle particelle abrasive, riducendo significativamente la frequenza di sostituzione dei componenti interni. Infine, i rivestimenti elastomerici, quali poliuretano e gomma naturale o sintetica, garantiscono una protezione efficace delle superfici esposte all'abrasione e migliorano la capacità della pompa di operare in ambienti complessi e altamente sollecitati. Design tecnico delle pompe Un design accuratamente ottimizzato consente una gestione più efficace dei fluidi, riducendo significativamente fenomeni di turbolenza interna e cavitazione che possono causare usura precoce e compromissione delle prestazioni. Questo tipo di progettazione garantisce inoltre un funzionamento più efficiente dal punto di vista energetico, consentendo una riduzione dei costi operativi. Tra le pompe più frequentemente utilizzate nel settore cartario, si distinguono le pompe centrifughe, ideali per fluidi poco viscosi e con presenza limitata di particelle solide; le pompe peristaltiche, particolarmente adatte per fluidi ad alta viscosità e contenenti sostanze abrasive; e le pompe volumetriche, consigliate per fluidi altamente viscosi e che richiedono un flusso costante e preciso, come nel caso delle sospensioni di cellulosa particolarmente dense. Manutenzione e supporto tecnico Una manutenzione regolare e preventiva è essenziale per identificare tempestivamente potenziali problematiche tecniche, consentendo di intervenire prima che queste causino guasti significativi o interruzioni del processo produttivo. L'implementazione di tecniche avanzate di gestione predittiva, come il monitoraggio delle condizioni operative tramite sensori intelligenti e analisi predittiva dei dati, consente di prevedere in anticipo eventuali malfunzionamenti. Questo approccio permette non solo di ridurre drasticamente i tempi di fermo macchina, ma anche di pianificare con maggiore precisione le attività manutentive e le sostituzioni dei componenti. Infine, l'importanza di un supporto tecnico qualificato e costantemente aggiornato si traduce nella capacità di affrontare rapidamente eventuali emergenze, garantendo così un'elevata efficienza e ottimizzazione continua delle prestazioni degli impianti. Vantaggi derivanti dalla selezione ottimale dei componenti industriali Una scelta accurata e ponderata dei componenti, soprattutto delle pompe, genera benefici tangibili: - Incremento dell'affidabilità produttiva - Riduzione dei costi legati a manutenzione e fermo impianto - Miglioramento dell'efficienza energetica - Aumento della sostenibilità ambientale, tramite una gestione più efficiente delle risorse Investire in componenti di alta qualità rappresenta, dunque, una decisione strategica fondamentale per tutte le aziende che aspirano a ottenere risultati eccellenti nel settore della produzione cartaria. Conclusioni Nel contesto della produzione cartaria, la scelta dei componenti industriali e delle pompe non si limita ad essere una questione meramente tecnica, ma costituisce una scelta strategica determinante per la produttività, l'efficienza operativa e la sostenibilità dell'intero processo industriale. © Riproduzione VietataFonti Confederation of European Paper Industries (CEPI) Pump Industry Magazine Technical Association of the Pulp & Paper Industry (TAPPI)

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https://www.rmix.it/ - Il Comportamento Termo-Meccanico dei Polimeri Reticolati
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Comportamento Termo-Meccanico dei Polimeri Reticolati
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Come l’impatto delle temperature può influire sui valori prestazionali dei polimeri altamente reticolati di Marco ArezioNel campo dei polimeri plastici esistono quelli classificabili come reticolati e quelli definiti lineari o ramificati, i quali esprimono differenze sostanziali nella distribuzione e nel collegamento tra i punti delle molecole. Si può quindi definire un polimero “reticolato” se esistono due o più linee che collegano due punti qualsiasi della sua molecola, mentre si può definire un polimero “lineare” o “ramificato” se non esistono catene laterali intestate in due o più punti. La caratteristica delle catene reticolate è che sono unite tra loro da legami covalenti, aventi un'energia di legame pari a quella degli atomi sulle catene e non sono perciò indipendenti le une dalle altre. Per questo motivo un polimero reticolato è generalmente una plastica rigida, che a seguito di un’azione di riscaldamento, si decompone o brucia, anziché rammollirsi e fondere come un polimero lineare o ramificato. Infatti, mentre un elastomero, soggetto ad una normale temperatura ambiente esprime il punto di rammollimento, i polimeri reticolati rimangono rigidi in condizioni termiche ambientali, ma anche a temperature superiori, fino a giungere un livello termico che causa la sua degradazione. Di conseguenza, se si sottopone un polimero reticolato a temperature superiori ai 200 °C, è facile che si crei il fenomeno di degradazione che rende il polimero difficilmente utilizzabile, nello stesso tempo, si è notato che l’aggiunta di cariche migliora la resistenza termica del compound. L’influenza della temperatura agisce facilmente sui polimeri lineari, ma non trova grande riscontro su quelli reticolati, questo a causa della fitta reticolazione che caratterizza la struttura polimerica che impedisce qualunque movimento molecolare che possa coinvolgere grandi deformazioni. A temperatura elevata, i polimeri densamente reticolati possono accennare a mostrare fenomeni viscoelastici ma, allo stesso tempo si manifestano reazioni chimiche, che alterano la struttura del materiale. Il motivo per cui spesso si creano legami reticolati è che i polimeri lineari non sono abbastanza resistenti per alcune applicazioni che richiedono una speciale robustezza, o una grande elasticità. In questi casi vengono creati dei legami incrociati tra le catene per ottenere polimeri reticolati più forti, ma che non sono più rimodellabili per fusione. Per quanto riguarda i comportamenti meccanici di un polimero densamente reticolato, come può essere le resine fenoliche, questi avranno delle reazioni differenti ed opposte, per esempio, rispetto agli elastomeri. Il diagramma sforzo-deformazione a trazione dei polimeri densamente reticolati indica, quindi, sempre un comportamento fragile, con piccoli allungamenti a rottura e alti carichi a rottura. In realtà bisogna anche considerare che i polimeri densamente reticolati che sono in commercio, possono contenere anche quantità di cariche di varia tipologia, come la cellulosa, i cascami di cotone, la farina di legno, la fibra di vetro e molte altre, per cui lo studio del comportamento meccanico non è sempre di facile intuizione.

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https://www.rmix.it/ - Colorazione e Verniciatura dei Prodotti in Plastica
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Colorazione e Verniciatura dei Prodotti in Plastica
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Colorazione e Verniciatura dei Prodotti in Plastica di Marco ArezioI prodotti realizzati in plastica, oltre alle innumerevoli doti economiche-strutturali e di circolarità ambientale, hanno anche il pregio di poter accogliere, non solo colori nella massa fusa durante la produzione dell’elemento, ma possono anche essere verniciati superficialmente per attribuire all’oggetto effetti estetici elevati.La colorazione della massa fusa plastica durante la produzione dell’oggetto, attraverso l’utilizzo dei coloranti, avviene miscelando il granulo o le polveri colorate al polimero del prodotto, usufruendo dell’azione di fusione e di miscelazione che imprime l’estrusore dentro il quale passano i componenti. Al termine della produzione da parte della macchina il pezzo sarà uniformemente colorato in massa, risultato per cui il prodotto potrebbe essere idoneo all’impiego finale oppure potrebbe essere avviato all’impianto di verniciatura per finiture particolari. E’ possibile inoltre che i pezzi che devono essere avviati alla verniciatura vengano prodotti senza alcuna colorazione nella massa. Detto questo, gli strati di verniciatura sulle materie plastiche, devono tenere in considerazione la struttura su cui aderiscono e la caratteristica del polimero con cui l’oggetto viene fatto. Infatti, la durezza, il comportamento all’allungamento e la temperatura degli strati di vernice da stendere sul prodotto, devono tenere in considerazione una possibile reazione fisico-chimica della plastica di cui è composto. Un comportamento dinamico troppo rigido di uno strato di vernice applicato ad un oggetto di plastica potrebbe influenzare negativamente la durabilità dell’elemento, come il contatto con temperature e solventi che necessitano per il lavoro di stesura del colore. Alcune tonalità applicate alle materie plastiche hanno un effetto positivo sul rischio di decomposizione fotochimica, come per esempio il colore nero, che influisce positivamente sulla protezione dai raggi UV agendo come un filtro. Le vernici possono inglobare dei composti chimici che operano in modo mirato nella produzione di alcuni elementi, come per esempio le vernici conduttive resistenti all’abrasione, impiegate nei serbatoi della benzina, oppure caricate con Ag, Ni o Cu per realizzare la schermatura ad alta frequenza di apparecchiature elettroniche. Esistono inoltre vernici trasparenti che aumentano la resistenza alla graffiatura per il Policarbonato e per il PMMA, come le acriliche, silossaniche o poliuretaniche, applicate a spruzzo o ad immersione. Nelle colorazioni delle materie plastiche si possono impiegare anche le polveri, specialmente per i polimeri PA6 e PA66, che ricevono la colorazione attraverso un processo che permette di rendere il polimero conduttore, attraverso il metallo o delle microsfere di ceramica, specialmente nel settore sanitario.Categoria: notizie - tecnica - plastica - verniciatura - colorazione - produzione

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https://www.rmix.it/ - Come combinare la polvere del vetro e la polvere del pet in una materia prima
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come combinare la polvere del vetro e la polvere del pet in una materia prima
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Riutilizzo della polvere di vetro di scarto in un’ottica di economia circolare di Marco ArezioLa polvere di vetro è uno scarto che si genera nella filiera produttiva del riciclo del vetro che, per le sue quantità e per lo scarso campo applicativo in ricette che possono generare prodotti finiti, crea un problema di smaltimento e riuso. Tra le varie sperimentazioni che si sono fatte negli anni, forse quella dell’impiego come materiale inerte nelle miscele di malte e calcestruzzi ha trovato uno sbocco che permette la realizzazione di cordoli stradali, paratie di contenimento anche in virtù di una buona inerzia chimica e della bassa porosità del composto. Un altro campo di utilizzo da citare sono le miscele cementizie adatte alla creazione di pietre artificiali d’arredo. Si sono inoltre effettuati test, presso il dipartimento di Ingegneria dell’Università di Bologna, su malte polimeriche con frazioni di polvere di vetro e rottami di vetro, con granulometrie differenti, utilizzando come legante una resina di poliestere. Le prove sono state eseguite campionando ricette composte da sabbia e resina in poliestere e da ricette composte da poveri o rottami di vetro e resina di poliestere. La comparazione dei risultati delle prove a flessione e compressione dei provini ha sottolineato che le malte polimeriche composte scarti vetrosi hanno una resistenza a compressione superiore al 10% e a flessione del 22% rispetto ai campioni composti da malte polimeriche e sabbia. La polvere di vetro viene usata anche nel campo della ceramica, nei mattoni in laterizio e nelle vetro-schiume come elemento inerte dell’impasto in sostituzione degli inerti naturali con un risparmio in termini di consumo delle risorse naturali. Le caratteristiche del rottame di vetro, dal punto di vista della stabilità chimica, delle qualità ignifughe e della resistenza meccanica, permette l’uso come stabilizzante nelle ricette di tutela di elementi pericolosi come l’eternit, le ceneri volanti degli inceneritori, nelle polveri di abbattimento fumi, nelle scorie delle acciaierie, nei fanghi di levigatura, ecc.. al fine di creare un materiale vetroso inerte. Ma in un’ottica di economia circolare il passo più importante è stato compiuto attraverso la creazione di una miscela di elementi di scarto nelle lavorazioni industriali, di cui uno di questi si può proprio definire lo scarto dello scarto. Mi riferisco alla polvere del PET che si accumula nella fase di riciclo delle bottiglie per le bevande o altri involucri. L’idea vincente di miscelare polvere di vetro e polvere di PET permettendo di creare una nuova materia prima che, per caratteristiche fisico-chimiche, è adatta a replicare, sia per forma che per caratteristiche, le pietre naturali. Inoltre la termoplasticità del PET, che permette la creazione di disegni, rilievi e si adatta facilmente ai colori, rende idoneo questo composto alla creazione di top per le cucine e per i rivestimenti interni ed esterni. L’ingegno e la genialità delle persone ci danno una fotografia di come cammina la nostra società di fronte alle sfide che l’economia circolare ci pone: troviamo persone che non conoscono ancora come si deve effettuare la separazione dei rifiuti in casa, persone che continuano a gettare rifiuti nell’ambiente, persone che spingono la classe politica a investire maggiormente nel riciclo di plastica, vetro, metalli, carta, legno e scarti elettronici e altri materiali, e infine ci sono persone che sono un passo avanti e si occupano di trovare soluzioni per l’utilizzo dei rifiuti dei rifiuti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polvere di vetro - PET

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https://www.rmix.it/ - Progettazione e Costruzione di una Linea Fognaria con Tubi in Plastica Riciclata
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Progettazione e Costruzione di una Linea Fognaria con Tubi in Plastica Riciclata
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I tubi in plastica riciclata si sono dimostrati nel tempo affidabili, economici e duraturi di Marco ArezioLa costruzione di linee fognarie moderne deve tener conto di alcuni elementi imprescindibili, sia tecnici, come vedremo, ma anche ambientali, in modo da minimizzare l’impatto dei prodotti utilizzati per l’opera idraulica. In passato le canalizzazioni erano realizzate con tubi in metallo o in cemento, ma da quando l’industria delle materie plastiche è stata in grado di realizzare prodotti alternativi, la diffusione dei tubi corrugati in HDPE a doppia parete si è largamente diffusa. Il primo passo da compiere nella realizzazione di una linea fognaria è la sua progettazione, la quale deve tenere presente vari aspetti che influiscono sull’area di costruzione. Come si dimensiona una linea di fognatura che utilizza i tubi in plastica Come ogni buon progetto che si deve realizzare, la raccolta di informazioni, precise, dettagliate ed attendibili, sono la base del lavoro successivo. Possiamo elencare alcuni punti che entreranno nella valutazione progettuale: La stima la portata massima giornaliera che la fognatura dovrà gestire. Per far questo, sarà necessario considerare l'area di raccolta delle acque reflue, la densità abitativa, gli utilizzi industriali e altri fattori che potrebbero influenzare la quantità dei liquidi da raccogliere. Inoltre è importante determinare la pendenza disponibile o desiderata per la linea di fognatura e il suo diametro. Per queste informazioni potranno essere utili le formule idrauliche (ad es. formula di Manning) per calcolare la velocità di flusso in base al diametro del tubo in plastica riciclata, alla pendenza e alla rugosità del materiale. Sarà importante scegliere un diametro dei tubi in plastica che garantisca una velocità di flusso adeguata (ad es., tra 0,6 m/s e 3 m/s) in condizioni di flusso pieno o quasi pieno. Inoltre, sarà necessario assicurarsi che la profondità della fognatura sia sufficiente per prevenire il congelamento (in climi freddi) e per mantenere una copertura adeguata sopra il tubo in plastica riciclata. Dal punto di vista strutturale si dovrà verificare che il tubo in HDPE scelto possa sopportare i carichi esterni, come il peso del terreno sopra di esso e il traffico sovrastante (se applicabile). Si dovrà pensare agli elementi di raccordo dei tubi in plastica riciclata, verificando la corretta distanza tra i pozzetti di ispezione e che le connessioni tra i tubi e i pozzetti siano stagne. Nella progettazione della linea fognaria rientrano anche gli aspetti ambientali per cui sono da considerare e prevenire la possibilità di infiltrazioni o perdita di acque reflue della linea. Tuttavia, l’uso di tubi in HDPE, in quanto stagni, danno una buona sicurezza, considerando le giunzioni tra i vari tubi fatte a regola d’arte, anche in considerazione se nelle vicinanze si possa trovare una falda acquifera. Infine sarà necessario assicurarsi che la progettazione rispetti tutte le normative e le linee guida locali in materia di fognature. Quali caratteristiche tecniche deve avere un tubo corrugato in HDPE per fognatura I tubi corrugati in HDPE per fognatura devono soddisfare specifiche caratteristiche tecniche per garantire la loro idoneità all'uso e la loro durata nel tempo. - Il polimero riciclato con cui si costruisce il tubo corrugato deve essere di buona qualità e resistente ai raggi U.V. - Il tubo corrugato deve presentare una buona resistenza meccanica allo schiacciamento e alle deformazioni laterali sollecitate dal terreno senza che si possa rompere - Le giunzioni tra i tubi o tra tubo e raccordi devono garantire la tenuta stagna, evitando dispersioni delle acque reflue nel terreno - La parte interna dovrà essere sufficientemente liscia da permettere lo scorrimento dei liquidi così da facilitarne il deflusso - Il tubo in HDPE dovrà resistere alla corrosione da parte delle acque reflue e di altre sostanze chimiche presenti nella fognatura - Sotto l’effetto delle variazioni di temperature del terreno il tubo deve essere in grado di sopportarle senza perdere integrità strutturale Quali son i vantaggi nell’uso dei tubi corrugati in HDPE per fognatura rispetto al pvc, al cemento e al metallo I tubi corrugati in HDPE offrono diversi vantaggi, specialmente quando utilizzati in applicazioni fognarie: Durabilità e Resistenza alla Corrosione L'HDPE è intrinsecamente resistente alla corrosione, a differenza dei tubi metallici che possono arrugginirsi o corrodersi in presenza di acque reflue o terreni aggressivi, garantendone una maggiore durata. Flessibilità I tubi in HDPE sono flessibili, il che significa che possono adattarsi a movimenti del terreno, come assestamenti o sismi, senza rompersi. Un vantaggio particolarmente importante rispetto ai tubi in cemento, che sono rigidi e possono rompersi con movimenti del terreno. Leggerezza I tubi in plastica sono significativamente più leggeri rispetto a quelli in cemento o metallo. Ciò semplifica il trasporto, la movimentazione e la posa, riducendo i costi di manodopera e le esigenze di attrezzature pesanti. Saldature Stagne I tubi in HDPE possono essere saldati per creare giunzioni stagne, riducendo il rischio di perdite o infiltrazioni. Questo può essere un vantaggio rispetto ai tubi in PVC o cemento, dove le giunzioni potrebbero essere meno affidabili in termini di tenuta. Resistenza Chimica Il polimero in HDPE che costituisce i tubi, è resiste a molti agenti chimici, rendendolo ideale per applicazioni fognarie dove possono essere presenti sostanze chimiche aggressive. Costi Ridotti In molti casi, i costi complessivi di installazione dei tubi in HDPE possono essere inferiori rispetto ad altre opzioni. Ecocompatibilità L'HDPE è un materiale riciclato e riciclabile, il che può rendere i tubi in HDPE una scelta più sostenibile rispetto ad alcune alternative. Vita Utile Prolungata Con una corretta installazione e manutenzione, i tubi in HDPE possono avere una vita utile molto lunga, spesso superiore a 50 anni. Bassa Rugosità Interna La superficie interna liscia realizzata con l’impiego dell’HDPE, permette un flusso efficiente, riducendo il rischio di ostruzioni. Come si posa un tubo corrugato in HDPE per fognatura Entrando nella fase realizzativa la posa di un tubo corrugato in HDPE per fognatura segue una serie di passaggi chiave, al fine di garantire un'installazione sicura e duratura. Prima di tutto, sarà necessario scavare una trincea della profondità e larghezza adatte al tubo che si è deciso di installare, creando un fondo della trincea piatto e solido. Sul fondo di essa, si dovrebbe posizionare uno strato di sabbia o di ghiaia fine compattata per creare una base stabile per il tubo, il cui spessore dovrebbe avere uno spessore di almeno 10-15 cm. Creata la trincea e il fondo idoneo si passa alla posa del tubo corrugato HDPE, facendo attenzione a non danneggiarlo con le macchine per la posa. Assicurarsi, inoltre, che il tubo sia dritto e privo di piegature o tensioni. Una volta posato la linea di tubi, si inizierà a riempire la trincea con materiale come sabbia o ghiaia fine. Sarà necessario posizionare accuratamente il materiale di riempimento attorno al tubo per garantire una base solida e per evitare che il tubo si sposti. Dopo aver verificato che non ci siano perdite nella linea fognaria si potrà completare la trincea con il terreno scavato in precedenza, compattando il tutto dall’esterno. Come si saldano due tubi corrugati in HDPE per fognatura Molte materie plastiche, compreso l’HDPE, si prestano all’esecuzione di saldature durature ed efficaci tra tubi, pozzetti e raccordi. Ma per la saldatura due tubi corrugati in HDPE sono necessarie attrezzature speciali e una certa esperienza. Sarà necessario che le estremità dei tubi da saldare siano pulite e prive di sporco, grasso o altre impurità, per garantire una saldatura di alta qualità. Si posizioneranno poi i tubi in modo che le loro estremità siano perfettamente allineate e a contatto l'una con l'altra. A questo punto si impiegherà una macchina di saldatura per HDPE, assicurandosi che sia correttamente impostata secondo le specifiche del produttore dei tubi. La maggior parte delle saldature per l’HDPE vengono eseguite utilizzando un piatto riscaldante per portare le estremità dei tubi alla temperatura di fusione. Si inserirà il piatto riscaldante tra le estremità dei tubi e attendendo che raggiungano la temperatura adeguata. Una volta che le estremità dei tubi saranno adeguatamente riscaldate, si rimuoverà il piatto riscaldante e si avvicineranno le estremità dei tubi, permettendo loro di fondersi insieme. Si dovrà, nel contempo, mantenere una pressione uniforme durante questo processo per garantire una buona saldatura. Una volta saldati, i tubi devono essere lasciati raffreddare per un certo periodo di tempo, infatti, durante questo tempo, la saldatura si solidifica e si rinforza. Terminata la saldatura, si dovrà controllare visivamente la giunzione per assicurarti che non ci siano bolle d'aria, crepe o altri difetti. A seconda delle specifiche del progetto, potrebbe essere necessario eseguire test di pressione o altri test per verificare la qualità della saldatura. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in italiano

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https://www.rmix.it/ - Tubi da Irrigazione per Macchine Semoventi: Produzione Sostenibile ed Efficienza in Campo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Tubi da Irrigazione per Macchine Semoventi: Produzione Sostenibile ed Efficienza in Campo
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Materie Prime Riciclate e Tecnologie Avanzate per un'Irrigazione Agricola Ottimizzatadi Marco ArezioL'irrigazione è una delle attività più importanti nell'agricoltura moderna. Senza un'adeguata fornitura d'acqua, le colture non possono crescere in modo sano e produttivo. Oggi, una delle soluzioni più efficienti per l'irrigazione di grandi superfici agricole sono i tubi da irrigazione per macchine semoventi. In questo articolo esploreremo come vengono prodotti questi tubi, quali materiali vengono utilizzati, come funzionano le macchine porta bobine e come avviene l'irrigazione sul campo.Come Vengono Prodotti i Tubi da Irrigazione La produzione dei tubi da irrigazione è un processo complesso che coinvolge diverse fasi, ciascuna essenziale per garantire la qualità del prodotto finale. Tutto inizia con la selezione delle materie prime. Per i tubi da irrigazione si utilizzano principalmente polietilene (PE) e polivinilcloruro (PVC). Questi materiali sono scelti per la loro flessibilità, resistenza e durabilità. Le materie prime vengono poi miscelate con additivi specifici che migliorano le proprietà del materiale, come stabilizzanti UV e antiossidanti. Questo composto viene fuso ed estruso attraverso una matrice per formare il tubo. L'estrusione è un processo continuo che assicura un diametro uniforme e una superficie liscia. Dopo l'estrusione, il tubo passa attraverso un bagno d'acqua per raffreddarsi e solidificarsi. Successivamente, viene tagliato nelle lunghezze desiderate. Prima di essere immessi sul mercato, i tubi vengono sottoposti a rigorosi test di qualità per verificare la resistenza alla pressione, all'abrasione e la conformità alle specifiche dimensionali.Materie Prime: Vergini e Riciclate Un aspetto interessante della produzione dei tubi da irrigazione è l'uso delle materie prime. Mentre tradizionalmente si usano polimeri vergini come l'HDPE (polietilene ad alta densità) e il PVC, sempre più spesso si ricorre a materiali riciclati. L'uso di polimeri riciclati sta aumentando grazie alle avanzate tecnologie di riciclaggio che permettono di ottenere materiali di alta qualità. Questo è un passo importante verso la sostenibilità ambientale.Funzionamento delle Macchine Porta Bobine Le macchine porta bobine sono fondamentali per l'irrigazione semovente. Queste macchine sono progettate per svolgere e riavvolgere i tubi da irrigazione in modo efficiente, riducendo il lavoro manuale e migliorando la precisione dell'irrigazione. Componenti Principali delle Macchine Porta Bobine Bobina: Dove è avvolto il tubo. È robusta e resistente per sostenere il peso del tubo. Sistema di Svolgimento: Permette di estendere il tubo sul campo. Può essere manuale o automatizzato. Motore Semovente: Consente alla macchina di muoversi autonomamente lungo il campo. Sistema di Riavvolgimento: Riavvolge il tubo sulla bobina dopo l'irrigazione, pronto per il prossimo utilizzo. Come Funzionano Il funzionamento di queste macchine è abbastanza semplice. L'operatore posiziona la macchina all'inizio del campo e collega il tubo alla fonte d'acqua. La macchina si muove lungo il campo, svolgendo il tubo mentre irriga. Una volta completata l'irrigazione, la macchina riavvolge il tubo sulla bobina, pronta per il prossimo ciclo. Irrigazione in Campo L'irrigazione con macchine semoventi offre numerosi vantaggi. Permette un'irrigazione mirata, riducendo gli sprechi d'acqua, e garantisce una distribuzione uniforme su tutta la superficie del campo. Questo sistema riduce anche il tempo e la manodopera necessari, permettendo agli agricoltori di concentrarsi su altre attività. Vantaggi dell'Irrigazione Semovente Efficienza Idrica: Consente di utilizzare l'acqua in modo più efficiente, riducendo gli sprechi. Uniformità di Distribuzione: Garantisce che l'acqua venga distribuita uniformemente su tutto il campo. Risparmio di Tempo e Manodopera: Riduce la necessità di intervento manuale, rendendo l'irrigazione più facile e veloce.Conclusioni I tubi da irrigazione per macchine semoventi sono una soluzione avanzata e sostenibile per l'irrigazione agricola. La loro produzione coinvolge processi complessi e l'uso di materie prime sia vergini che riciclate, evidenziando l'importanza della sostenibilità nel settore agricolo. Le macchine porta bobine, con i loro sistemi automatizzati, migliorano l'efficienza e la precisione dell'irrigazione, contribuendo a una gestione ottimale delle risorse idriche. Con una corretta manutenzione e formazione, queste tecnologie possono rivoluzionare l'irrigazione agricola, garantendo al contempo la sostenibilità ambientale e la produttività delle colture.

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https://www.rmix.it/ - Disarmanti Biodegradabili: Innovazione Sostenibile per l'Industria delle Costruzioni
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Disarmanti Biodegradabili: Innovazione Sostenibile per l'Industria delle Costruzioni
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Come i disarmanti ecologici stanno riducendo l'impatto ambientale e migliorando la sicurezza dei lavoratori di Marco ArezioNegli ultimi anni, l'industria delle costruzioni sta cambiando volto, diventando sempre più attenta all'ambiente. Uno degli aspetti interessanti di questa trasformazione è l'introduzione dei disarmanti biodegradabili. Se non sei del settore, potresti chiederti: cosa sono esattamente e perché sono così importanti? Che cosa sono i disarmanti biodegradabili? In pratica, i disarmanti sono quei prodotti che si applicano sulle casseforme (le strutture temporanee che contengono il calcestruzzo fino a quando non si indurisce) per evitare che si attacchi. Immagina di fare un dolce e usare la carta forno per staccarlo facilmente dalla teglia: il concetto è lo stesso. Tradizionalmente, questi prodotti erano fatti con sostanze chimiche derivate dal petrolio. Tuttavia, questi disarmanti possono essere piuttosto dannosi per l'ambiente e non particolarmente sicuri per chi li maneggia. Ed è qui che entrano in gioco i disarmanti biodegradabili. Sono formulati con ingredienti naturali o sintetici che si decompongono rapidamente e completamente nell'ambiente, riducendo così il rischio di inquinamento. Perché scegliere i disarmanti biodegradabili? Minore impatto ambientale: I disarmanti biodegradabili si decompongono in sostanze innocue, riducendo il rischio di contaminazione del suolo e delle acque. Questo è fondamentale in un'epoca in cui la sostenibilità è sempre più importante. Sicurezza per i lavoratori: Senza solventi e additivi chimici nocivi, questi disarmanti sono molto più sicuri da maneggiare. Questo significa meno rischi per chi lavora nei cantieri. Prestazioni efficaci: Nonostante siano più eco-friendly, i disarmanti biodegradabili funzionano altrettanto bene dei loro omologhi tradizionali, garantendo una facile sformatura del calcestruzzo e preservando la qualità delle superfici. Certificazioni ambientali: Usare disarmanti biodegradabili può aiutare i progetti di costruzione a ottenere certificazioni come LEED o BREEAM, dimostrando un impegno verso pratiche di costruzione sostenibili. Tipi di disarmanti biodegradabili Ci sono diverse categorie di disarmanti biodegradabili: Oli vegetali: Derivati da piante come la soia, il girasole o il mais. Questi oli sono raffinati per migliorare le loro proprietà di sformatura e sono completamente biodegradabili. A base d'acqua: Utilizzano l'acqua come componente principale, eliminando la necessità di solventi chimici. Sono biodegradabili e sicuri per l'ambiente, ma possono richiedere applicazioni più frequenti. Polimeri biodegradabili: Utilizzano polimeri sintetici che si decompongono naturalmente. Offrono una protezione duratura e una buona facilità di sformatura. Cere naturali: Derivate da risorse naturali, creano una barriera efficace tra il calcestruzzo e le casseforme, facilitando la sformatura e migliorando la qualità delle superfici. Come funzionano i disarmanti biodegradabili? Il loro funzionamento è piuttosto semplice: creano una barriera sottile ma efficace tra il calcestruzzo e la cassaforma, impedendo al calcestruzzo di aderire alla superficie della cassaforma stessa. Questa barriera è sufficientemente resistente durante il processo di indurimento del calcestruzzo, ma si decompone rapidamente una volta esposta agli agenti ambientali. Dove si usano i disarmanti biodegradabili? Questi disarmanti possono essere utilizzati in moltissime situazioni diverse: Edilizia residenziale: Perfetti per progetti di case ecologiche. Edilizia commerciale: Utili in edifici commerciali che cercano certificazioni ambientali. Infrastrutture pubbliche: Adatti per ponti, strade e altre infrastrutture. Progetti in aree sensibili: Essenziali per cantieri vicino a corpi idrici o in aree protette. Ricerca e sviluppo La ricerca sui disarmanti biodegradabili è un campo in continua evoluzione. Le università e gli istituti di ricerca collaborano con le aziende del settore per sviluppare formulazioni sempre più efficaci e sicure. Alcuni degli obiettivi principali della ricerca includono il miglioramento delle prestazioni, l'analisi dell'impatto ambientale e la sicurezza per i lavoratori. Conclusioni L'adozione di disarmanti biodegradabili rappresenta un passo avanti significativo verso un'edilizia più sostenibile. Questi prodotti non solo riducono l'impatto ambientale, ma migliorano anche la sicurezza e le condizioni di lavoro. Con il mondo sempre più orientato verso la sostenibilità, l'uso di disarmanti biodegradabili è destinato a diventare sempre più diffuso, promuovendo pratiche di costruzione che rispettano l'ambiente e la salute umana.

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https://www.rmix.it/ - Composti Termoplastici per WPC con Fibre o Riempimenti Vegetali
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Composti Termoplastici per WPC con Fibre o Riempimenti Vegetali
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Quali differenze e caratteristiche hanno le cariche vegetali nei prodotti legno-plastica di Marco ArezioI polimeri termoplastici riciclati hanno una lunga storia di combinazioni con cariche e fibre, che permettono di migliorare le prestazioni fisico-meccaniche dei manufatti che sono realizzati attraverso questi compound. Le modificazioni che maggiormente possiamo notare dall’unione di un polimero termoplastico riciclato con le cariche, possono riguardare la resistenza alla flessione, alla compressione, all’urto, al taglio, all’abrasione, alla temperatura, all’invecchiamento, all’azione dei raggi U.V. e, certamente, alla riciclabilità dell’elemento. Cosa è un polimero termoplastico? Per polimero termoplastico riciclato, molto brevemente, si intende un elemento, di derivazione petrolifera, che rammollisce in presenza di una fonte di calore (estrusione, stampaggio, soffiaggio o altri metodi di lavorazione) e si solidifica raffreddandosi, avente una disposizione delle catene polimeriche lineari o ramificate. Il comportamento delle molecole e la loro forza ne determinano le caratteristiche che, a loro volta, sono influenzate dalle temperature di lavorazione od ambientali a cui il polimero viene sottoposto. Cosa è una fibra o un riempimento vegetale? Le fibre sono dei filamenti dotati di un rapporto preciso tra lunghezza e diametro, che permettono il miglioramento delle caratteristiche di un composto in cui sono inglobate, sostituendo il volume del materiale primario, così da aumentarne la tenacità e la flessibilità. Le fibre, in generale, possono essere di tre categorie: inorganiche, organiche o naturali. Le prime, tra le più comuni utilizzate nei composti polimerici, sono a base di vetro, carbonio, grafite, alluminio. Tra le fibre organiche possiamo citare le poliammidi e le poliolefiniche. Per quanto riguarda le fibre naturali possiamo dividerle in tre categorie: vegetali, animali e minerali. Lo scopo dell’utilizzo delle fibre è quello di migliorare le seguenti caratteristiche: - la resistenza meccanica - il modulo elastico - il comportamento elastico a rottura - la riduzione del peso specifico Le fibre sono poi classificate in base ad elementi fisici, come la lunghezza, lo spessore, la forma, la finitura e la distribuzione volumetrica. Per raggiungere un miglioramento delle prestazioni tecniche del composto, le superfici delle fibre dovranno aderire in modo completo con la matrice polimerica, così da creare una continuità di materiale. Tale è l’importanza di questa unione fibro-polimerica, che si sono studiati degli additivi che possano aumentare e facilitare il contatto superficiale di ogni singola fibra con la matrice polimerica. Anche la disposizione delle fibre risulta critica per le caratteristiche del composito. Le proprietà meccaniche di un composito con fibre continue ed allineate sono fortemente anisotrope. Il rinforzo e la conseguente resistenza, raggiungono il massimo valore nella direzione di allineamento ed il minimo nella direzione trasversale. Infatti, lungo questa direzione l'effetto di rinforzo delle fibre è praticamente nullo e, normalmente, si presentano delle fratture per valori di carichi di trazione relativamente bassi. Per altre orientazioni del carico, la resistenza globale del composito assume valori intermedi. Nella produzione del WPC (wood plastic composit), quindi, si utilizzano due elementi che sono rappresentati da un polimero plastico riciclato, come l’HDPE o l’LDPE o il PVC e la fibra vegetale composta dagli scarti delle lavorazioni del legno o fa fibre vegetali naturali. In base alla qualità, resistenza, colorazione e dimensioni dei manufatti da realizzare, è possibile utilizzare un semplice riempimento composto da segatura, piuttosto che farina di legno, fibra di legno o cellulosa. La scelta del polimero riciclato, invece, è influenzata anche dalle temperature di esercizio degli estrusori, che non dovranno rovinare termicamente le cariche vegetali e, nello stesso tempo, degradare il polimero che resterà il collante e la struttura portante del manufatto. La produzione del WPC avviene per estrusione o stampaggio, attraverso l’uso di un granulo plastico, che contiene la carica stabilita per la realizzazione di un determinato prodotto e nelle quantità programmate. Oltre alla fibra di legno costituita da segatura o farina di legno, è possibile realizzare compound più performanti utilizzando la fibra vegetale di canapa, normalmente disposta lungo la linea di direzione degli sforzi maggiori.Foto Gla pavimenti

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https://www.rmix.it/ - Odori nella Plastica: Controllare la Filiera per Evitare Contestazioni
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Odori nella Plastica: Controllare la Filiera per Evitare Contestazioni
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Odori nella Plastica: Controllare la Filiera per Evitare Contestazionidi Marco ArezioSe è risaputo che nei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata e quindi dal post consumo, la presenza degli odori può permanere in modo consistente, una volta trasformato in granulo, le aspettative sulle produzioni di materia prima dagli scarti post industriali o dai compounds post industriali + post consumo, dal punto di vista degli odori, sono decisamente più alte.Così alte, che ci si aspetta di non dover affrontare la problematica di consegnare al cliente, granuli plastici adatti a produrre articoli che fino a pochi anni fa erano fatti con materia prima vergine, che contengano un gradiente odoroso sgradevole. Le ambizioni qualitative di questi clienti che comprano la materia prima in plastica riciclata, rimangono elevate (quasi comprassero ancora una materia prima vergine), così da poter fregiarsi di produzioni green, ma nello stesso tempo non dover rischiare di perdere i loro clienti finali per una questione legata ad odori sgradevoli. Un binomio di richieste davvero difficile da sostenere, dove il produttore di materia prima plastica riciclata deve trovare soluzioni certe per controllare la sua filiera produttiva, con lo scopo di evitare di acquistare scarti e gestire processi che potrebbero incrementare il problema. Ma quali strumenti oggi abbiamo per poter creare una strategia di controllo che ci avverta quando uno scarto plastico in ingresso possa provocare odori nel granulo finale, con la conseguente possibile contestazione del cliente che lo compra, o quali strumenti abbiamo per capire se l’estrusione della materia prima crei dei processi di degradazione che potrebbero generare odori? Per prima cosa possiamo dire che lo strumento per il controllo degli odori in tutte le fasi della produzione esiste, ci dà una fotografia chimica dei nostri processi e ci indica dove può trovarsi l’errore che causerà la contestazione. Questa macchina da laboratorio, grande quanto una stampante da scrivania, è un gascromatografo unito ad uno spettrometro a mobilità ionica che, attraverso un’analisi veloce e senza una preparazione dei campioni particolare, ci dice quale sia, chimicamente, l’origine delle fragranze che il naso umano intercetta ma che non sa separarle e capirne la provenienza. Se pensate possa essere utile solo per dare una patente odorifera al granulo plastico che producete, siete solo a un terzo della strada, in quanto l’aiuto che questo tipo di analisi può dare all’azienda non è solo il controllo finale della materia prima, ma individuare le fasi critiche della produzione in modo da evitare che gli odori si formino. Le aree di impiego della tecnologia si possono qui riassumere: Acquisto degli scarti plastici per la produzioneChe siano post consumo o post industriali, un’azienda che produce granulo riciclato ha diversi fornitori di scarti plastici e, non tutti lo lavorano nello stesso modo: lavaggi con efficacia differenti, selezione del rifiuto con impianti e metodologie diverse, rischi di contaminazioni degli scarti con altre plastiche e molte altre situazioni simili. Quindi è necessario costruire un’anagrafica qualitativa dei fornitori, per quanto riguarda gli odori degli scarti, in modo che si possa, chimicamente, avere una fotografia di cosa lo scarto può contenere e come questo scarto potrebbe comportarsi nella sua trasformazione in granulo plastico. L’analisi chimica dei flussi in ingresso ci fa capire quale fornitore, per materia prima, possiamo utilizzare per creare le nostre ricette di granulo, senza che si possano generare spiacevoli inconvenienti odorosi in fase di produzione. Le analisi dei flussi creano una banca dati attraverso la quale si può attribuire un determinato scarto, di un determinato fornitore ad una nostra determinata ricetta. Se la fotografia chimica di un flusso di scarti plastici contempla la presenza di una serie di composti chimici in una determinata quantità, possiamo sapere con certezza quale impronta odorosa avrà il nostro granulo finale. Granulazione degli scarti plasticiIn questa fase può succedere che, senza una fotografia chimica dell’input che entra nell’estrusore, lo scarto possa essere utilizzato per la produzione di granulo, senza che possiamo intercettare un disturbo odoroso particolare, confidando quindi di produrre un granulo di buona qualità, confortati magari dal fatto che le analisi di laboratorio che normalmente si fanno, come la densità, il DSC, le ceneri e la fluidità, ci dicano che il materiale può essere idoneo. Ma durante la produzione ci possono essere frazioni molto piccole, in termini di quantità, di materiali estranee alla materia prima principale, che possono degradare creando segnali odorosi importanti che potrebbero far contestare il materiale. La fotografia chimica ci restituisce delle indicazioni che sono espresse in valori così piccoli che i composti chimici in ingresso nell’estrusore e quelli che si possono generare durante la lavorazione, siano precisamente intercettati e definiti analiticamente. Quindi anche il controllo della fase di estrusione delle materie plastiche riciclate ci restituisce un quadro preciso, non empirico degli odori, sui quali poter lavorare per un eventuale aggiustamento delle ricette. Controllo di qualità nella vendita e nel post venditaCome si può definire un odore di un polimero riciclato? Visto dal produttore in un modo, visto da un acquirente magari in un altro. Questa differenza di valutazione crea il maggior numero di contestazioni e di imbarazzi commerciali che, a volte, si chiude con una resa del produttore per mancanza di prove certe. Questa resa si trasforma quasi sempre in danni economici da riconoscere al cliente da parte del produttore di polimeri ma, nella maggior parte delle volte, subentra anche un’incertezza commerciale tra cliente e fornitore gestita in modo del tutto empirico attraverso la prova del naso. Il cliente ha i suoi uomini che annusano l’odore del granulo che ricevono e ne danno una valutazione, mentre il fornitore fornisce la sua squadra. In tutte e due i casi il naso umano, per quanto sofisticatissimo, può interpretare l’odore in modo differente. Per risolvere l’incertezza, le possibili contestazioni e la possibile perdita di fiducia da parte del cliente, fornire allo stesso una fotografia chimica di ciò che si sta vendendo è il miglior modo per dimostrare che il prodotto è formato da elementi chimici che possono generare gradienti di odori nei limiti che il cliente ha preventivamente accettato, non attraverso un naso opinabile ma attraverso la chimica. Infatti cliente e fornitore possono creare, in modo certo e analitico, un accordo che limiti certe sostanze chimiche che generano gli odori a dei valori accettati da entrambe le parti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - odori - post consumo - contestazioniVedi maggiori informazioni sulla gascromatografia

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https://www.rmix.it/ - ASTM D1693 B: La prova di stress cracking nei flaconi in HDPE riciclato
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare ASTM D1693 B: La prova di stress cracking nei flaconi in HDPE riciclato
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Un test tecnico-scientifico essenziale per la qualità e la sostenibilità del packaging plastico di Marco ArezioNegli ultimi decenni il polietilene ad alta densità (HDPE) è diventato uno dei materiali più diffusi per la produzione di flaconi destinati a contenere detergenti, cosmetici, prodotti alimentari e sostanze chimiche di largo consumo. L’affidabilità del materiale, unita alla sua economicità e alle buone proprietà di barriera, ne ha fatto il polimero di riferimento per numerosi segmenti industriali. Oggi, con la crescente pressione normativa e sociale per ridurre l’impatto ambientale delle plastiche, l’HDPE riciclato si è imposto come alternativa credibile alla resina vergine. Tuttavia, l’uso di materiale riciclato introduce alcune criticità che devono essere monitorate attraverso prove rigorose, fra cui spicca la ASTM D1693, con particolare attenzione al metodo B, che valuta la resistenza del materiale allo stress cracking ambientale. Questa prova non è soltanto una routine di laboratorio: rappresenta uno strumento fondamentale per comprendere la durabilità dei flaconi in condizioni reali e per stabilire se l’impiego di HDPE riciclato possa garantire prestazioni equivalenti a quelle dei materiali vergini. Analizzarne il funzionamento, i risultati e il significato tecnico permette di cogliere le ragioni per cui i produttori di packaging considerano questo test uno standard imprescindibile. Lo stress cracking ambientale: un fenomeno microstrutturale complesso Il cosiddetto stress cracking ambientale (ESC, Environmental Stress Cracking) è una forma di degrado che si manifesta nei polimeri semi-cristallini come l’HDPE. Non si tratta di un fenomeno macroscopico immediatamente visibile: la rottura avviene per effetto di microfratture che si propagano lungo la matrice del polimero, senza che il materiale mostri significative deformazioni plastiche. A livello molecolare, l’ESC nasce dall’interazione tra le zone amorfe e le regioni cristalline del polimero. L’HDPE, infatti, presenta una struttura semi-cristallina in cui coesistono domini ordinati (lamelle cristalline) e aree più disordinate (fasi amorfe). Quando il materiale è sottoposto a tensioni meccaniche, le regioni amorfe diventano i punti di maggiore vulnerabilità: in presenza di agenti chimici aggressivi, come tensioattivi o solventi, queste zone si indeboliscono e le microfratture possono propagarsi rapidamente. L’HDPE riciclato, rispetto a quello vergine, presenta generalmente una cristallinità meno omogenea a causa dei processi di degradazione termica e ossidativa avvenuti durante i cicli precedenti di utilizzo e rilavorazione. Ciò significa che i confini tra le fasi amorfe e quelle cristalline risultano più irregolari e quindi più suscettibili alla nucleazione di cricche. È questo uno dei motivi per cui i flaconi prodotti con HDPE riciclato devono essere sottoposti a controlli specifici di resistenza allo stress cracking. ASTM D1693 B: come funziona la prova La ASTM D1693 è lo standard internazionale più riconosciuto per la valutazione della resistenza allo stress cracking dei polietileni. La norma prevede due approcci, il metodo A e il metodo B. Quest’ultimo è quello di maggiore interesse per i produttori di flaconi, perché impone condizioni più severe e fornisce risultati più discriminanti. Il test consiste nel preparare provini ricavati dal materiale HDPE destinato alla produzione. Questi provini vengono intagliati e piegati in modo da concentrare le tensioni su punti specifici. Successivamente, vengono immersi in una soluzione di nonilfenolo etossilato o in un tensioattivo equivalente, sostanze che hanno la funzione di accelerare il fenomeno di ESC simulando l’esposizione a prodotti chimici reali. L’immersione avviene in un bagno termostatato, di solito mantenuto a 50 °C, che favorisce la propagazione delle cricche. I provini restano immersi fino alla rottura, e il parametro di interesse è il tempo medio di rottura (F50), calcolato sul 50% dei provini testati. Questo tempo, espresso in ore, rappresenta un indicatore diretto della resistenza allo stress cracking: più è elevato, maggiore sarà l’affidabilità del materiale. Un valore basso segnala invece un rischio concreto di rottura del flacone in condizioni reali di utilizzo. Interpretazione dei risultati: cosa ci dice l’F50 Il tempo medio di rottura non va interpretato come un semplice dato numerico, ma come un indice che condensa le proprietà microstrutturali del polimero. Ad esempio: - Un F50 alto segnala una buona distribuzione della cristallinità, catene polimeriche sufficientemente lunghe e un basso livello di contaminanti. In altre parole, il materiale, pur essendo riciclato, presenta caratteristiche vicine a quelle della resina vergine. - Un F50 basso evidenzia criticità: catene corte dovute a degradazione, presenza di inclusioni estranee, additivi incompatibili o una cattiva omogeneità di fusione. Per il produttore, questo dato diventa una guida concreta: se il valore è soddisfacente, il flacone può essere immesso sul mercato con buone garanzie di sicurezza. Se invece il risultato è deludente, occorre intervenire su più fronti: selezionare meglio il materiale riciclato, ottimizzare i parametri di processo o introdurre additivi specifici. Additivi anti-ESC e strategie di miglioramento Negli ultimi anni, per migliorare la resistenza allo stress cracking dell’HDPE riciclato, si è diffuso l’impiego di additivi anti-ESC. Si tratta di sostanze che agiscono principalmente su due livelli: stabilizzano la fase amorfa del polimero e riducono la penetrazione dei tensioattivi nelle zone vulnerabili. Fra i più utilizzati troviamo alcuni copolimeri etilenici e additivi compatibilizzanti che favoriscono una distribuzione più uniforme delle catene. Anche gli stabilizzanti antiossidanti giocano un ruolo importante, perché riducono la degradazione termica durante la lavorazione e mantengono più integra la lunghezza delle catene. Il ricorso a questi additivi deve però essere attentamente bilanciato: un eccesso può incidere negativamente sulla processabilità e sui costi. Per questo, la prova ASTM D1693 B diventa lo strumento di verifica che consente di valutare l’effettiva efficacia delle formulazioni sviluppate in laboratorio. ASTM D1693 e confronto con ISO 22088 La prova ASTM D1693 è la più diffusa a livello industriale, ma non è l’unico standard disponibile. La norma ISO 22088, ad esempio, descrive una serie di metodi per la valutazione della resistenza allo stress cracking dei materiali termoplastici. A differenza dell’ASTM D1693, che si concentra su condizioni accelerate in presenza di tensioattivi specifici, la ISO 22088 include diversi approcci, fra cui prove a carico costante, prove di trazione lenta e immersione in agenti ambientali più vari. Il confronto fra i due standard evidenzia un aspetto importante: mentre la ISO 22088 è più flessibile e adatta a studi comparativi su diversi materiali, l’ASTM D1693 B rimane il riferimento principale per i produttori di flaconi in HDPE riciclato, perché riproduce in modo efficace le condizioni di esercizio tipiche del packaging destinato a contenere detergenti e soluzioni tensioattive. Un test cruciale per i produttori di flaconi Dal punto di vista industriale, i motivi che rendono la prova ASTM D1693 B imprescindibile sono molteplici. Anzitutto, rappresenta una garanzia di affidabilità del prodotto: un flacone che resiste allo stress cracking riduce i rischi di perdite, rotture durante il trasporto e reclami da parte dei clienti. Inoltre, è spesso richiesta dai grandi brand del settore cosmetico, farmaceutico e alimentare come requisito minimo per accettare un fornitore. Infine, in un contesto in cui la sostenibilità è diventata un valore centrale, la prova costituisce un mezzo per certificare che un flacone in HDPE riciclato non solo risponde ai principi dell’economia circolare, ma è anche in grado di offrire prestazioni equivalenti a quelle dei materiali vergini. Questo consente ai produttori di differenziarsi sul mercato, valorizzando il riciclo non come un compromesso, ma come una scelta di qualità. Conclusione La prova ASTM D1693 B non è una semplice formalità tecnica: è il punto di incontro tra scienza dei materiali, sostenibilità ambientale e competitività industriale. Attraverso la valutazione del tempo medio di rottura, il test fornisce una misura oggettiva della resistenza allo stress cracking, traducendo in numeri le caratteristiche microstrutturali del polimero e la qualità del processo di riciclo. Per i produttori di flaconi in HDPE riciclato, saper leggere e interpretare questo risultato significa garantire un imballaggio sicuro, rispettare le richieste dei mercati più esigenti e dimostrare che la plastica riciclata non è un materiale di serie B, ma una risorsa affidabile per il futuro. In questo senso, l’ASTM D1693 B non rappresenta soltanto un test di laboratorio, ma un pilastro tecnico e strategico, capace di sostenere il passaggio verso un’economia più circolare e un packaging davvero sostenibile.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Efficienza Energetica nelle Macchine per la Lavorazione della Plastica: Strategie e Vantaggi per un Futuro Sostenibile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Efficienza Energetica nelle Macchine per la Lavorazione della Plastica: Strategie e Vantaggi per un Futuro Sostenibile
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Come ridurre i consumi ed ottimizzare i processi industriali della lavorazione della plastica attraverso tecnologie avanzate e pratiche d’innovazionedi Marco ArezioL’industria della lavorazione della plastica rappresenta una parte fondamentale della produzione manifatturiera mondiale, fornendo componenti essenziali per una vasta gamma di settori: dall’automotive all’elettronica di consumo, passando per il confezionamento alimentare. Tuttavia, negli ultimi anni, le crescenti preoccupazioni riguardo al cambiamento climatico e all’impatto ambientale hanno posto l’accento su un tema di estrema importanza: l’efficienza energetica lungo l’intero ciclo produttivo. Per le macchine che trattano e trasformano la plastica, la sfida principale consiste nel conciliare alte prestazioni, costi competitivi e riduzione delle emissioni nocive. Numerosi studi pubblicati sul “International Journal of Sustainable Engineering” mettono in luce come l’ottimizzazione energetica sia un fattore chiave, sia in termini di innovazione tecnologica sia come imperativo strategico per le aziende che mirano a un futuro sostenibile. Proprio per questo, sempre più imprese rivolgono l’attenzione a soluzioni che consentano di minimizzare i consumi durante la fase di fusione, trasformazione e gestione dei polimeri. L’articolo che segue intende offrire una panoramica sulle macchine per la lavorazione della plastica e sui principali fattori che ne condizionano l’efficienza energetica, per poi proporre strategie e soluzioni in grado di incidere positivamente non solo sulle performance aziendali, ma anche sull’ecosistema e sulla collettività. Verranno esaminate le dinamiche scientifiche e operative che guidano le scelte di progettazione e di gestione, con l’obiettivo di coniugare ricerca accademica e applicazione industriale. Panoramica sulle macchine per la lavorazione della plastica Le macchine impiegate per la trasformazione delle materie plastiche sono molto diverse tra loro, poiché progettate per soddisfare esigenze produttive e livelli di complessità differenti. Una prima distinzione può essere fatta tra: Macchine per stampaggio a iniezioneQueste apparecchiature funzionano spingendo il polimero fuso all’interno di uno stampo, dove il materiale si solidifica assumendo la forma desiderata. La fase di iniezione richiede precisione sia nella pressione sia nella gestione termica, per garantire uniformità e qualità del pezzo finale. EstrusoriUtili quando occorre produrre manufatti in modo continuo, come tubi, lastre o profili, gli estrusori si basano su una o più viti (monovite o bivite) che trasportano il materiale verso la testa d’estrusione. Qui il polimero, portato a una temperatura di fusione ottimale, viene sagomato e poi raffreddato. Macchine per soffiaggioSpecifiche per contenitori cavi, come bottiglie o flaconi, queste macchine combinano l’estrusione o l’iniezione con un sistema di soffiaggio che “gonfia” il materiale all’interno di uno stampo chiuso, creando la cavità necessaria. Macchine per termoformaturaIdeali per lavorare fogli di plastica, queste macchine scaldano il polimero fino al punto di rammollimento, per poi modellarlo tramite una combinazione di pressione, vuoto e stampo, ottenendo prodotti sagomati, come vaschette alimentari o imballaggi protettivi. Ciascuna tecnologia, pur condividendo l’obiettivo di dare forma al polimero, ha requisiti specifici di temperatura, pressione, velocità e tipologia di movimentazione. Questa varietà incide in maniera diretta sui consumi: una macchina mal configurata o con componenti obsoleti può disperdere grandi quantità di energia sotto forma di calore e forza motrice non sfruttata. È quindi essenziale comprendere come ogni tipologia di impianto possa essere ottimizzata sotto il profilo energetico, tenendo conto delle singole peculiarità. Fattori che influenzano l’efficienza energetica Per comprendere come intervenire sui consumi, è utile esaminare i principali fattori che determinano l’efficienza energetica di una macchina. Questi aspetti si dividono grosso modo in quattro categorie, spesso interconnesse: Aspetti meccanici La meccanica interna di una macchina riveste un ruolo cruciale nel computo dei consumi. Attriti eccessivi, ingranaggi usurati o cuscinetti poco lubrificati possono determinare un notevole spreco di energia. Inoltre, la corretta progettazione dei componenti in movimento – come viti e cilindri – incide sulla fluidità del processo e sull’entità della potenza richiesta. Aspetti termici Il riscaldamento è un processo primario nella fusione e nella trasformazione della plastica. Se le zone calde (cilindri, camere di plastificazione e resistenze di estrusione) non sono adeguatamente coibentate o regolate, si rischiano dispersioni considerevoli, con conseguente aumento delle ore di funzionamento e del relativo fabbisogno energetico. Controllo e automazione Disporre di sensori di ultima generazione, sistemi di regolazione avanzati e software di gestione intelligente permette di modulare con precisione i parametri di processo. Ciò include la temperatura, la velocità, la pressione e i tempi di riscaldamento/raffreddamento. Un sistema di controllo obsoleto o non calibrato produce sprechi, poiché l’energia viene erogata senza un adattamento costante alle reali esigenze produttive. Progettazione e materiali Infine, la scelta dei motori, degli azionamenti e degli stessi polimeri influisce sensibilmente sull’impronta energetica complessiva. Motori ad alta efficienza, azionamenti a velocità variabile e materiali con temperature di fusione più basse possono concorrere, sin dalla fase progettuale, a ridurre il dispendio di risorse. La combinazione di questi fattori rende evidente come l’efficienza non sia solamente una questione di “tagliare i consumi”, ma di operare una revisione sistemica dell’intero processo, dalle fasi di progettazione della macchina fino alle prassi operative di chi la utilizza. Strategie per la riduzione del consumo energetico Alla luce dei fattori esaminati, è possibile agire su più fronti per ottimizzare i consumi e contenere i costi. Tali strategie non si limitano a semplici modifiche tecniche, ma includono anche iniziative organizzative e formative. Efficientamento dei motori e dei sistemi di azionamento Uno dei principali interventi per ridurre gli sprechi riguarda i sistemi di azionamento della macchina. Migliorare l’efficienza dei motori, adottando classi di alto livello (IE3, IE4) o sfruttando soluzioni elettriche e ibride, consente di diminuire il fabbisogno energetico in modo tangibile. Le presse a iniezione full-electric, per esempio, operano con un dosaggio di potenza molto più preciso rispetto alle controparti puramente idrauliche, erogando energia solo quando necessario. Parimenti, l’impiego di inverter (azionamenti a velocità variabile) modula la velocità del motore in funzione del carico effettivo, evitando picchi di consumo nelle fasi di minore richiesta. Isolamento termico e recupero di calore Un altro ambito di grande rilievo riguarda la gestione termica. Le macchine per la plastificazione richiedono temperature di esercizio spesso elevate e sono soggette a dispersioni di calore lungo tutta la catena di lavorazione. L’applicazione di rivestimenti isolanti sulle fasce riscaldanti e sulle zone calde della vite permette di trattenere il calore, riducendo di conseguenza la potenza necessaria per il mantenimento della temperatura. Inoltre, il calore in eccesso può essere recuperato tramite scambiatori di calore e reimmesso nel processo, ad esempio per preriscaldare il materiale in ingresso. Questa soluzione, già impiegata con successo in vari stabilimenti, ha il vantaggio di ottimizzare le risorse energetiche ed evitare che l’energia termica venga dispersa inutilmente nell’ambiente. Automazione avanzata e controllo intelligente I sistemi di automazione di nuova generazione integrano sensori in grado di monitorare in tempo reale numerosi parametri: temperatura, pressione, portata di materiale, livelli di vibrazione e molto altro. Grazie all’intelligenza artificiale e ad algoritmi di machine learning, le macchine possono adattare automaticamente i parametri di funzionamento, riducendo il consumo di energia. Per esempio, se un estrusore rileva una diminuzione della domanda produttiva, può rallentare la vite e quindi limitare l’assorbimento di potenza, mantenendo al contempo la qualità del prodotto. Una gestione automatizzata contribuisce anche a ridurre l’errore umano e ad accelerare i tempi di settaggio, tradizionalmente causa di picchi di scarto e sprechi energetici nelle fasi di avvio. Riduzione degli sprechi di materiale e dei tempi di fermo La lotta agli sprechi non si esaurisce con l’efficienza elettrica o termica, ma comprende anche la minimizzazione degli scarti di produzione. Ogni pezzo difettoso rappresenta un dispendio di risorse: il polimero viene lavorato, riscaldato e poi smaltito o rilavorato, moltiplicando le ore macchina e i consumi ad esse associati. È dunque consigliabile operare settaggi iniziali accurati, mantenere gli impianti in buono stato con piani di manutenzione predittiva e reintrodurre, dove tecnicamente possibile, gli sfridi all’interno del ciclo produttivo. In questo modo, si riduce la quantità di materia vergine e si tagliano i costi connessi alla lavorazione di nuovi lotti di materiale. Formazione del personale e cultura aziendale Un aspetto spesso trascurato ma determinante è la formazione di chi opera sulle macchine. Anche la tecnologia più avanzata può essere utilizzata in modo inefficiente se il personale non è adeguatamente preparato. In quest’ottica, investire in corsi di formazione specifici sull’efficienza energetica, sulle tecniche di manutenzione e sugli aggiornamenti software può migliorare radicalmente la gestione dell’impianto. Inoltre, diffondere a tutti i livelli aziendali una cultura orientata alla sostenibilità – definendo obiettivi chiari, monitorando i progressi e premiando le buone pratiche – contribuisce a radicare comportamenti virtuosi nel quotidiano. Benefici e risvolti economici L’impegno profuso in queste strategie non è motivato soltanto da ragioni etiche o ambientali, ma ha ricadute concrete anche sul piano economico. Grazie a un uso più razionale dell’energia, diminuisce la bolletta energetica, liberando risorse che possono essere reinvestite in ricerca, innovazione o altre iniziative strategiche. Inoltre, un basso impatto ambientale migliora la reputazione aziendale, favorisce l’accesso a finanziamenti “verdi” e può fungere da elemento distintivo nella conquista di nuovi mercati. Le politiche europee e internazionali, sempre più orientate a incentivare la riduzione delle emissioni di CO₂, offrono inoltre sgravi fiscali e agevolazioni economiche a chi adotta soluzioni di efficienza energetica. Ciò si traduce in un vantaggio competitivo rispetto alle aziende che rimangono ancorate a sistemi tradizionali o non ottimizzati. Infine, la possibilità di monitorare e certificare i risparmi ottenuti consente di dare maggior trasparenza alla propria filiera, instaurando un rapporto di fiducia con clienti, partner e stakeholder istituzionali. Innovazione e prospettive future L’innovazione in questo campo corre veloce e coinvolge sia gli sviluppi tecnologici sia le modalità di gestione. Alcune tendenze emergenti: Digital twin La creazione di modelli virtuali della macchina e dei suoi processi produttivi permette di simulare vari scenari, ottimizzando i parametri energetici prima di implementare le modifiche nel sistema reale. Questo approccio riduce i tempi di test e i rischi di errori costosi. Materiali polimerici avanzati Ricercatori e aziende stanno sviluppando polimeri con temperature di fusione più basse, riducendo la quantità di energia necessaria per la lavorazione. Parallelamente, si studiano composti più facili da riciclare, favorendo l’economia circolare e limitando gli sprechi anche a fine vita. Integrazione con le energie rinnovabili L’installazione di pannelli fotovoltaici, impianti eolici o sistemi di accumulo all’interno del sito produttivo consente di alimentare una parte delle linee di lavorazione con energia pulita. Tale strategia diminuisce la dipendenza dalle fonti fossili e abbatte le emissioni, avvicinando l’azienda a modelli di sostenibilità già richiesti da clienti e normative. Manutenzione predittiva e intelligenza artificiale Software di machine learning e big data analytics possono analizzare in tempo reale le condizioni dell’impianto, identificando con largo anticipo guasti imminenti o anomalie di funzionamento. Intervenire tempestivamente evita fermi macchina imprevisti e sprechi di risorse che compromettono la stabilità produttiva. Il panorama futuro è destinato ad ampliarsi con l’avanzare della ricerca e con la condivisione delle migliori pratiche tra istituzioni, centri di ricerca e imprese. In questo senso, la sinergia tra competenze accademiche e know-how industriale riveste un’importanza cruciale, poiché permette di trasferire rapidamente i risultati di laboratorio all’interno dei processi produttivi. Conclusioni Migliorare l’efficienza energetica nelle macchine per la lavorazione della plastica non è soltanto un dovere morale nei confronti dell’ambiente, ma rappresenta una leva strategica per la competitività delle imprese. Dall’ottimizzazione dei motori e dei sistemi di azionamento all’isolamento termico, dalle tecniche avanzate di automazione alla manutenzione predittiva, ogni intervento consente di tagliare i costi operativi, ridurre gli sprechi e allinearsi alle nuove normative in materia di sostenibilità. La sfida si vince agendo su più fronti contemporaneamente: tecnologico, organizzativo e culturale. Il contributo della ricerca scientifica, documentato da riviste specializzate, testimonia che i risultati ottenuti in termini di riduzione dei consumi possono raggiungere percentuali significative, specialmente nelle realtà produttive disposte a investire in innovazione e formazione continua. In prospettiva, l’integrazione con fonti rinnovabili, l’uso di materiali sempre più performanti e l’automazione intelligente costituiscono la strada maestra verso un futuro in cui efficienza ed eco-sostenibilità diventino sinonimi di valore aggiunto, crescita economica e rispetto per l’ambiente.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Le Cause della Riduzione Qualitativa del Polipropilene Durante il Riciclo Meccanico
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le Cause della Riduzione Qualitativa del Polipropilene Durante il Riciclo Meccanico
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L’analisi dei flussi dei rifiuti in ingresso, la selezione, le miscele e l’impatto termico sulle prestazioni finalidi Marco ArezioIl polipropilene è una famiglia di polimeri molto utilizzata per la produzione di articoli nelle più svariate applicazioni, in quanto associa resistenza, facilità di colorazione e semplicità di impiego attraverso processi termici differenti come l’iniezione, il soffiaggio, l’estrusione e la termoformatura. È anche un polimero che si presta facilmente alle operazioni di compound, attraverso le quali si possono miscelare additivi che inducono modifiche alla struttura, incrementando così le prestazioni finali del prodotto, rendendolo più rigido o più flessibile o più performante agli sforzi di compressione, trazione o di taglio. In virtù della sua duttilità e della facilità di produzione, lo scarto che viene raccolto, per essere poi riciclato meccanicamente, presenta un’eterogeneità di composti che è importante conoscere, per poter prevenire eventuali errori qualitativi sulla materia prima seconda che si andrà a produrre. Innanzitutto vediamo come si svolge un normale processo di riciclo meccanico di un rifiuto in polipropilene.Lo scaro del polipropilene che viene avviato al riciclo si può presentare sotto forma di rifiuto rigido, per esempio le cassette dell’ortofrutta, i bancali, i paraurti, i flaconi, oppure sotto forma di rifiuto flessibile, come i sacchetti, i Big Bags, i teli e i film del settore del packaging. L’insieme di questi rifiuti dovranno preventivamente essere separati meccanicamente, in modo da creare un input di scarti dalla consistenza rigida e uno dalla consistenza flessibile, così da avviarli a processi di lavorazione differenti. Dopo avere fatto una prima sommaria cernita per macrocategorie, si cerca di separare i rifiuti in base alla tipologia di prodotto iniziale, per esempio i flaconi si separeranno dai secchi, i bancali dai prodotti farmaceutici, le cassette dell’ortofrutta dai tubi e così via. Anche per quanto riguarda i rifiuti flessibili si cercherà di separare le diverse tipologie di teli, in base alla tipologia di imballo per cui erano destinate, alle lavorazioni a cui sono state sottoposte e ai prodotti con cui sono stati in contatto. Questa seconda selezione è volta a creare una possibile omogeneità tra le famiglie di rifiuti selezionati, in modo da rendere il loro riciclo il più semplice e qualitativo possibile. Lo scarto ulteriormente selezionato verrà poi lavato, con processi a decantazione e meccanici, in modo da ridurre al minimo le contaminazioni presenti sulla scaglia, che potrebbero pregiudicarne le qualità meccaniche e l’aspetto estetico. Terminato il processo di lavaggio lo scarto rigido verrà asciugato, mentre quello flessibile passerà nel densificatore per agglomerare le parti leggere, in modo che sia maggiormente lavorabile nell’estrusione. Successivamente si utilizzerà questo semilavorato come alimentazione per gli estrusori nella preparazione delle ricette di nuovi granuli riciclati, ricreando il circolo virtuoso dell’economia circolare. Descritto brevemente il processo di riciclo meccanico del polipropilene vediamo quali possono essere i problemi più comuni da affrontare e come poterli risolvere. La prima cosa da verificare, nell’attività di riciclo meccanico del polipropilene, è la conoscenza tecnica delle differenze, nei flussi dei rifiuti in ingresso, sulle varie strutture molecolari del polimero. Infatti il peso molecolare, la sua cristallinità e la sua origine, tra omopimero e copolimero, possono influenzare le qualità fisico-meccaniche del prodotto finale. Ad esempio, i contenitori o i secchi per conservare lubrificanti o vernici sono comunemente realizzati in copolimero a blocchi, che ha un buon equilibrio tra proprietà di impatto e rigidità. Altri contenitori in polipropilene, come i flaconi per prodotti per l'igiene e la pulizia o i contenitori per latticini, possono anche essere realizzati in copolimero random o omopolimero, quindi, la differenza di temperatura di fusione varia tra omopolimeri (160-165 °C) e polipropilene copolimero (135-159 °C). Se queste differenti origini e caratteristiche del materiale venissero combinate fra loro durante il riciclo meccanico, ne scaturirebbe un granulo riciclato di qualità inferiore rispetto allo stesso prodotto attraverso una selezione del rifiuto più attenta. La seconda cosa da tenere presente è la possibile contaminazione del polipropilene con altre plastiche comuni come il PE. Tra i tanti polimeri, l’HDPE, è quello che crea più spesso una possibile contaminazione, se non separato precedentemente nel flusso di scarti in ingresso, infatti il PP e l’HDPE, entrambi della famiglia delle poliolefine, hanno una grande somiglianza nella loro struttura e hanno una densità inferiore a 1, galleggiano quindi nell’ acqua di lavaggio. Inoltre, durante le fasi di estrusione, il PP e l’HDPE hanno temperature di fusioni differenti, compresa tra 160 e 170 °C per il polipropilene e 130 °C per l’HDPE, portando quest’ultimo alla possibile degradazione termica, che si manifesta nella formazione di particelle nere che possono essere impresse sui prodotti finali, con carenze dal punto di vista estetiche. E’ quindi consigliabile limitare la presenza di HDPE sotto la soglia del 5%, per ridurre l’impatto negativo sui prodotti realizzati con la materia prima riciclata. La terza cosa da considerare, come abbiamo accennato prima, è il fatto che il PP si presta facilmente alle operazioni di compound, quindi lo scarto potrebbe contenere, cariche come il talco, il carbonato di calcio, la fibra di vetro, i metalli o colori particolarmente aggressivi. Sapendo che i vari additivi da compound hanno comportamenti fisici e meccanici diversi, sia in fase di trasformazione della materia prima che dal punto di vista estetico che prestazionale sul prodotto finito, è importante procedere all’analisi dei contenuti, con prove di laboratorio, per capire come utilizzare, durante le fasi di riciclo, lo scarto additivato. La quarta cosa che si deve tenere presente è il degrado del polimero, non solo quello di cui abbiamo accennato riguardante la fase termico-estrusiva per produrre il granulo, ma anche quella che possiamo definire foto-ossidativa, per cui un prodotto plastico esposto alla luce e al calore, genera un decadimento delle proprie prestazioni a causa dell’indebolimento e della modifica delle sue catene. Infatti, la degradazione ossidativa può essere generata non solo dalla degradazione termica, indotta dalla radiazione solare, ma anche da elevate sollecitazioni meccaniche. Quando il polimero si degrada, l'ossigeno presente nel materiale plastico disintegra le molecole e crea radicali liberi, che reagiscono rapidamente a catena con l'ossigeno. Si può quindi ricordare che il polipropilene, nell’ambito del riciclo meccanico, è un polimero con una spiccata proprietà di degradazione termica rispetto ad altre tipologie di plastica, sia durante il suo ciclo di vita (principalmente per foto-ossidazione), sia durante le fasi di lavorazione e riciclo. Il calore, le sollecitazioni meccaniche e le radiazioni ultraviolette modificano fortemente la struttura e la morfologia e, di conseguenza, le caratteristiche e le proprietà del polipropilene riciclato. Sia l'allungamento che la resistenza all'urto sono le proprietà maggiormente influenzate dal fenomeno del degrado, oltre a cedimenti di scolorimento e altri danni estetici che devono essere presi in considerazione. Come ultimo aspetto, tra molti altri che si possono illustrare, citerei la problematica dell’odore che può accompagnare i rifiuti in polipropilene da post consumo. L’odore nell’input del rifiuto può formarsi a causa della commistione tra plastiche che hanno contenuto liquidi o solidi aggressivi, o causati dalla fermentazione biologica degli scarti alimentari o dalla presenza di composti chimici, come i tensioattivi, che possono impregnare il polipropilene. Le fasi di lavaggio, anche molto accurate, generalmente possono ridurre l’impatto odorifero ma difficilmente sono risolutive del problema. Essendo la presenza dell’odore nelle plastiche riciclate da post consumo sgradevole per i prodotti finali, e non essendoci, ad oggi, un sistema di asportazione definitiva, si rende necessario dover separare i flussi di rifiuto in entrata, attraverso una verifica analitica, tra quelli che risultano contaminati da composti chimici sgradevoli. Questa operazione viene svolta velocemente, in modo preciso ed analitico, con un test sul campione di rifiuto in ingresso, impiegando la gascromatografia a mobilità ionica, che consiste nell’inserimento all’interno di una provetta di un piccolo frammento di rifiuto plastico, caricandolo poi nella macchina da laboratorio che ci darà la curva dei composti chimici odoriferi presenti nel rifiuto campionato. Così facendo, senza ombra di dubbio, avremo la piena conoscenza di quali odori e di quale intensità sarà composto il nostro granulo che andremo a produrre.

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Come i sistemi avanzati di spellatura e riciclo dei cavi elettrici stanno promuovendo l'economia circolare in Europadi Marco ArezioLa crescente domanda di materiali conduttivi e plastici, in particolare rame e polimeri, ha stimolato lo sviluppo di processi di recupero e riciclo efficaci e sostenibili. I cavi elettrici, che rappresentano una componente chiave in molte infrastrutture, sono composti principalmente da rame, alluminio e rivestimenti plastici. A fine vita, questi materiali rappresentano una preziosa risorsa per il recupero e il riciclo, riducendo la necessità di estrarre nuove risorse e minimizzando l'impatto ambientale. In questo articolo, esploreremo i principali sistemi di spellatura dei cavi elettrici, i processi di riciclo associati a rame e plastica, e le statistiche di riciclo in Europa. Infine, analizzeremo le destinazioni dei materiali riciclati e come vengono riutilizzati in diversi settori. Sistemi di Spellatura dei Cavi Elettrici Il processo di spellatura dei cavi elettrici è cruciale per separare i metalli conduttivi dai rivestimenti plastici o in gomma. Esistono diversi metodi e tecnologie per spellare i cavi, ognuno dei quali presenta vantaggi specifici in base alle dimensioni del cavo, alla quantità di materiale e alle esigenze dell'industria. Spellatura Manuale Questo metodo, seppur obsoleto per i grandi volumi, è ancora utilizzato in alcuni contesti per cavi di piccole dimensioni o situazioni dove i volumi non giustificano l'uso di tecnologie più avanzate. Si basa sull'uso di strumenti manuali come pinze e coltelli per separare il rame o l'alluminio dal rivestimento plastico. Tuttavia, questo processo è laborioso e poco efficiente, con un rischio maggiore di danneggiare il metallo durante la spellatura. Spellatrici Automatiche Le macchine spellatrici sono sistemi automatizzati in grado di processare grandi volumi di cavi. Funzionano tagliando e separando in modo preciso il rivestimento plastico dal metallo interno, minimizzando le perdite e aumentando l'efficienza. Le spellatrici possono variare in dimensioni e capacità, con modelli industriali in grado di gestire diverse tipologie di cavi, dai più piccoli fili ai cavi di grandi dimensioni utilizzati nelle infrastrutture energetiche. Triturazione e Separazione Un'alternativa al processo di spellatura consiste nella triturazione dei cavi. Questo metodo sminuzza l'intero cavo in frammenti di dimensioni ridotte, permettendo poi la separazione del rame (o dell'alluminio) dalla plastica mediante processi come la flottazione, l'elettrostatica o la separazione a gravità. Questo sistema è particolarmente utile per il trattamento di cavi che non possono essere spellati in modo efficiente, ma richiede tecnologie avanzate e una gestione accurata dei rifiuti. Processi Criogenici Nei sistemi criogenici, i cavi vengono raffreddati a temperature estremamente basse, rendendo fragile il rivestimento plastico. Questo consente di separare meccanicamente il rame dal materiale isolante con un impatto minimo sul metallo conduttivo. Sebbene più costoso, questo processo offre un'alta efficienza per particolari tipologie di cavi, soprattutto quelli con rivestimenti compositi difficili da trattare con altri metodi. Riciclo del Rame e della Plastica Una volta separati i materiali, si procede al riciclo vero e proprio, che varia a seconda del materiale trattato. Riciclo del Rame Il rame è uno dei materiali più preziosi da riciclare grazie alle sue caratteristiche conduttive e alla capacità di essere riutilizzato all'infinito senza perdere le sue proprietà. Dopo la spellatura o la triturazione, il rame viene generalmente fuso per rimuovere eventuali impurità e trasformato in lingotti o fili pronti per essere utilizzati in nuovi prodotti. Il rame riciclato è impiegato in una vasta gamma di settori, tra cui: Industria elettronica: per la produzione di componenti come fili, cavi e circuiti stampati. Costruzioni: utilizzato in tubature, cavi elettrici per edifici e altre applicazioni. Settore automobilistico: per la fabbricazione di componenti elettrici e cablaggi. In Europa, circa il 50% della domanda di rame è soddisfatta tramite materiali riciclati, un dato che sottolinea l'importanza del recupero di questo metallo nella catena di approvvigionamento. Riciclo della Plastica Il rivestimento plastico dei cavi, generalmente composto da polietilene, PVC o materiali termoplastici, viene trattato separatamente. A differenza del rame, il riciclo della plastica è più complesso a causa della degradazione delle proprietà del materiale nel tempo e della difficoltà di separare completamente le impurità. Esistono due principali metodi per il riciclo della plastica: Riciclo Meccanico La plastica viene lavata, macinata e trasformata in granuli, che possono essere utilizzati per la produzione di nuovi prodotti in plastica. Tuttavia, i materiali plastici riciclati possono presentare qualità inferiori rispetto ai polimeri vergini, limitando le applicazioni. Riciclo Chimico In alcuni casi, i polimeri possono essere trattati chimicamente per scomporli nei loro monomeri di base, che poi vengono riutilizzati per produrre nuova plastica con caratteristiche simili ai materiali originali. Questo processo è più costoso, ma consente di riciclare la plastica con una qualità superiore. Quantità di Riciclo in Europa In Europa, il riciclo dei cavi elettrici è un settore in crescita, con politiche sempre più orientate verso l'economia circolare e la riduzione dell'impatto ambientale. Secondo Eurostat, il tasso di riciclo dei rifiuti elettrici ed elettronici, che include i cavi, è cresciuto costantemente negli ultimi anni. Nel 2020, il tasso medio di riciclo di questi materiali in Europa ha raggiunto circa il 42%, con paesi come Germania e Paesi Bassi che superano il 50%. Per quanto riguarda il rame, l'Unione Europea recupera oltre 2,5 milioni di tonnellate di rame all'anno, con una percentuale di riciclo che supera il 40% della domanda complessiva. I principali paesi coinvolti nel riciclo del rame includono Germania, Italia, Francia e Spagna. Anche il riciclo della plastica è un settore in crescita, sebbene il tasso di recupero sia ancora inferiore rispetto ai metalli. Si stima che circa il 32% dei rifiuti plastici venga riciclato in Europa, con iniziative volte a migliorare la gestione dei rifiuti e l'efficienza dei processi di riciclo. Destinazione dei Materiali Riciclati I materiali riciclati provenienti dai cavi elettrici trovano nuove applicazioni in diversi settori: Rame: Il rame riciclato viene principalmente riutilizzato per la produzione di cavi elettrici, componenti elettronici e cablaggi per automobili. La sua alta conducibilità e la possibilità di essere riutilizzato senza perdita di qualità lo rendono uno dei materiali più versatili e preziosi nel ciclo produttivo. Plastica: La plastica riciclata viene spesso utilizzata per la produzione di materiali meno tecnici, come tubi, imballaggi o oggetti di uso quotidiano. Alcuni tipi di plastica riciclata possono essere trasformati in materiali per l'isolamento termico o acustico. Conclusione Il riciclo dei cavi elettrici rappresenta un elemento chiave nella transizione verso un'economia circolare, riducendo l'impatto ambientale e limitando la dipendenza da risorse naturali vergini. I sistemi di spellatura, combinati con le tecnologie avanzate di separazione e riciclo, permettono di recuperare materiali preziosi come il rame e la plastica, che vengono reintrodotti nei processi produttivi. Con politiche sempre più orientate verso la sostenibilità, l'Europa sta giocando un ruolo di primo piano nell'espansione di questi sistemi, ponendo le basi per un futuro più ecologico e a basso impatto ambientale.© Riproduzione Vietata

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