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https://www.rmix.it/ - L’energia solare ai tempi della sharing economy
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’energia solare ai tempi della sharing economy
Ambiente

Come installare i pannelli solari sulla propria casa senza spendere un soldo. Il concetto di condivisione dei beni, in alternativa al possesso, può essere applicato oggi anche alla produzione di energia solare, apportando significativi vantaggi all’ambiente e all’economia circolare. La Sharing Economy si basa sul principio di massimizzazione dell’uso del bene da parte di tante persone che non lo posseggono, invece di avere tanti beni sottoutilizzati. Questo comporta un impatto positivo sull’ambiente, in quanto si produce solo ciò che viene utilizzato in pieno e si risparmiano materie prime, energia ed emissioni, per beni in realtà sono superflui. La teoria della condivisione dei beni si afferma intorno al 2008, quando la recessione mondiale ha portato il ceto medio e medio-basso a doversi inventare un modo per arrotondare lo stipendio o per sostenersi economicamente per un certo periodo avendo perso il lavoro. La spinta che ha generato il nuovo business della condivisione dei beni è da identificare anche nello sviluppo della rete internet attraverso il miglioramento tecnologico degli smartphone, che hanno permesso una connessione planetaria tra le persone, scavalcando confini, dogane e barriere. Il concetto di condivisione ha portato anche ad un cambiamento epocale del modello consumista fino ad allora adottato, basato sul valore sociale della proprietà privata, sull’identificazione di uno status symbol che i beni posseduti potevano rappresentare. Nascono così alcune società come Uber o Airbnb che permettono, a chi ne avesse bisogno, una forma di micro impresa attraverso i beni posseduti. Una macchina, una stanza in casa messi in condivisione con i clienti, permettono di arrotondare le entrate famigliari e di abbattere il muro dell’inviolabilità dei beni posseduti. Il concetto di globalizzazione che internet ha permesso in questi anni, ha portato rapidamente ad un cambio delle usanze locali e un livellamento al ribasso delle condizioni economiche delle prestazioni, spingendo sul concetto di massima espansione delle opportunità per tutti indipendentemente dal tenore di vita nel paese. Per quanto riguarda l’economia circolare, il concetto di condivisione è stato correttamente sfruttato anche nel campo dell’energia solare, dove, a fronte della necessità di incrementare la produzione e l’utilizzo di fonti rinnovabili, esisteva il problema del finanziamento iniziale dei micro progetti casa per casa. Non tutte le famiglie possono accollarsi l’onere di finanziare la progettazione e l’istallazione dei pannelli solari sul proprio tetto, anche se il costo della corrente utilizzata tramite i pannelli solari potrebbe essere inferiore a quella prelevata nella rete. Nello stesso tempo le energie rinnovabili devono al più presto conoscere una diffusione di massa se si vogliono ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera. Oggi, esistono società che affittano i pannelli solari attraverso la vendita dell’energia prodotta dagli stessi istallati sulla tua casa. Il proprietario dell’immobile non deve pensare a niente, in quanto le aziende che offrono questo servizio fanno il rilevamento e la progettazione dell’impianto adatto alle tue esigenze in termini di consumi, si preoccupano della gestione burocratica della pratica di installazione e montano i pannelli solari, rimanendone proprietari e responsabili per le manutenzioni. A fronte di questo servizio, il proprietario della casa pagherà il consumo della corrente che utilizza ad un prezzo marcatamente inferiore a quello che prelevava dalla rete. Inoltre sono previsti ulteriori incentivi se la quantità non utilizzata di energia reimmessa nella rete fosse cospicua.Vedi maggiori informazioni sui prodotti

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https://www.rmix.it/ - rNEWS: Il Carburante Proveniente dall'Olio di Soia è Sostenibile?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare rNEWS: Il Carburante Proveniente dall'Olio di Soia è Sostenibile?
Ambiente

La produzione di biocarburanti basati prima sull'olio di palma e, oggi, anche sull'olio di soia, si scontra con la necessità di incrementare le superfici coltivabili per aumentarne la produzione in base alla crescente richiesta del marcato. Per fare questo, i coltivatori spingono sulla disponibilità di nuovi terreni con la conseguenza di incrementare la deforestazione in varie aree del pianeta. Questo, nonostante i divieti già presenti a livello mondiale, contribuisce in maniera importante ad aumentare l'impronta carbonica del pianeta. l'articolo che segue affronta il problema della sostenibilità di carburanti che si definiscono bio.Messo al bando l’olio di palma come biocombustibile entro il 2030, se non si interviene nuovamente sulla direttiva europea sulle energie rinnovabili, l’olio di soia potrebbe prenderne il posto. Con le stesse drammatiche conseguenze per l’ambiente, le foreste e le emissioni di CO2. Secondo la ricerca commissionata a Cerulogy dalla Ong Transport & Environment, la sete di gasolio di soia in Europa potrebbe aumentare da 2 a 4 volte entro il 2030. Causando la deforestazione in America Latina di un’area stimata tra i 2,4 e 4,2 milioni di ettari. Quanto la superficie di uno Stato europeo come la Slovenia o i Paesi Bassi. Con la possibile emissione in atmosfera di altri 38 milioni di tonnellate di CO2. Il consumo di olio di soia raddoppiato in un solo anno Solo nel 2019, l’Ue ha consumato circa 1,8 milioni di tonnellate di olio di soia in biodiesel, su un totale complessivo di 15 milioni di tonnellate di biocarburanti. Quantità che potrebbe raddoppiare quest’anno, secondo le stime della Ong. «Le importazioni di soia causeranno una deforestazione su scala epica se non cambiamo la legge europea sui carburanti verdi», ha dichiarato Cristina Mestre, responsabile per l’area biofuels di Transport & Environment. «La soluzione c’è ed è molto semplice. La Commissione europea ha già deciso che il diesel di palma non sarà più considerato verde, ora dovrebbe fare lo stesso per il diesel derivato dalla soia» La riforma della direttiva «Renewable Energy – Recast to 2030» ridefinisce la regolamentazione dei biocarburanti ad alto e basso rischio ILUC (Indirect land use change), che provocano cioè un cambiamento indiretto dell’uso del suolo ma ha finora escluso l’olio di soia. La Commissione, a oggi, ha deciso di eliminare gradualmente, tra il 2023 e il 2030, solo l’uso del diesel di palma. I dati elaborati da Cerulogy dimostrano che l’espansione della coltivazione di soia nelle aree del globo in grado di trattenere anidride carbonica potrebbe essere superiore a quanto stimato. Ben il 10,5% rispetto all’8% stimato all’inizio del 2019. Percentuale superiore alla soglia minima del 10% stabilita dalla Commissione UE proprio per definire un «biocarburante ad alto rischio ILUC». Se così fosse, ribadiscono da Transport & Environment, «l’Ue dovrebbe considerare già da ora la soia come materia prima ad alto rischio ILUC ed eliminare il suo uso al più tardi entro il 2030». I dati della Commissione europea sulla deforestazione sono sottostimati La normativa europea richiede che le materie prime dei biocarburanti siano certificate come coltivate in aree che non sono state disboscate dal 2008. Tuttavia, l’espansione indiretta, quella che cioè che non prende direttamente il posto di aree boschive e foreste, non è stata presa in considerazione. «Se si considerano anche tutte queste concause, la maggior parte dei biocarburanti utilizzati in Europa ha emissioni di gas serra molto elevate. A volte anche superiori a quelle dei combustibili fossili», affermano da Transport & Environment. La deforestazione in America Latina non si è fermata Dati alla mano, a dispetto delle dichiarazioni politiche dei vari governi, la deforestazione in America Latina è ripresa a crescere dal 2014, anche nell’Amazzonia brasiliana. Inoltre, l’espansione dei pascoli che si somma alle coltivazioni agricole a soia si è anche diffusa altrove, in aree ugualmente pregiate, ma meno protette. Come nel Chaco, area geografica compresa tra l’Argentina, Bolivia, Brasile e Paraguay e la grande savana tropicale brasiliana del Cerrado. Area che era stata già sottoposta alla valutazione preliminare della Commissione Europea sulle materie prime ad alto rischio ILUC nel 2019. Eppure proprio nel Cerrado si è concentrato il 60% dell’espansione della soia in Brasile, negli ultimi due anni. «La politica europea sui biocarburanti è un disastro completo e ha un disperato bisogno di un reset – ribadisce Cristina Mestre di Transport & Environment – bruciare le colture alimentari per alimentare i nostri veicoli è in realtà peggio che bruciare il diesel». Rosy Battaglia

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https://www.rmix.it/ - rNEWS: La Plastica è Caduta Vittima del suo Successo e dell’Ignoranza?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare rNEWS: La Plastica è Caduta Vittima del suo Successo e dell’Ignoranza?
Economia circolare

La plastica ha straordinarie doti che hanno reso la nostra vita, attraverso le sue applicazioni, decisamente più comoda, sicura ed economicadi Marco ArezioNon sono sensazioni ma dati chiari e inconfutabili quanto la plastica sia economica, resistente, durevole, adatta agli alimenti e al medicale, impermeabile, elettricamente neutra, malleabile, modellabile, leggera, colorabile e con un impatto carbonico in fase di produzione molto basso. Il polverone mediatico sollevato da più parti, a volte spinto da interessi non cristallini e da persone che non hanno conoscenza del settore, anche a livello politico, attribuisce alla plastica colpe che non ha, come quella di inquinare il pianeta. Il problema esiste, non si deve negare, ma la questione è da ridurre a due fattori: il principale è l’abitudine dell’uomo a sbarazzarsi comodamente dei propri rifiuti, qualsiasi, nell’ambiente e la seconda è che i tassi di riciclo della plastica, come per altri prodotti, sono ancora molto bassi, per svariate ragioni che vedremo in questo articolo realizzato dalla Basf. I temi sono trattati attraverso l’intervista al Prof. Dr. Helmut Maurer, Giurista principale presso l’Unità Gestione Rifiuti e Riciclo della Commissione Europea, Direzione Generale per l’Ambiente e a Patricia Vangheluwe, PhD, Direttore Affari Consumatori e Ambientali presso PlasticsEurope. Il successo della plastica è indiscusso, contemporaneamente i suoi aspetti negativi come lo smaltimento dei rifiuti sono oggetto di molte discussioni. Il Prof. Dr. Helmut Maurer e Patricia Vangheluwe, PhD, due esperti nel settore delle materie plastiche, discutono le loro idee su come affrontare questa sfida globale. Le materie plastiche interessano quasi ogni settore delle nostre vite, apportando miglioramenti, comodità e risparmi sui costi. Da oltre 100 anni questi materiali altamente versatili contribuiscono a plasmare il nostro mondo e nuove materie plastiche sono sempre in fase di sviluppo. Ma poiché i rifiuti plastici si accumulano nelle discariche e negli oceani, il loro smaltimento costituisce oggi un serio problema ambientale. Patricia Vangheluwe, PhD, di PlasticsEurope, e il Professor Dr. Helmut Maurer della Commissione Europea per la Gestione dei Rifiuti e il Riciclo, discutono del dilemma dinanzi al quale ci troviamo. Per alcuni la parola “plastica” è diventata sinonimo di cultura usa e getta, tuttavia il materiale fornisce un enorme contributo alle nostre vite quotidiane. Ritenete che la plastica abbia un problema di immagine? Helmut Maurer: La plastica è vittima della sua versatilità e del suo grande successo. Cosa non facciamo con la plastica? Ce l’abbiamo persino nei nostri corpi come parte delle applicazioni medicali. Non c’è motivo di demonizzare la plastica. Il problema, dal mio punto di vista, è che è ampiamente abusata. La commercializziamo e la produciamo il più possibile ma poi non disponiamo degli strumenti per gestirla adeguatamente. L’obsolescenza programmata è diventata un principio industriale. Patricia Vangheluwe: Concordo che le materie plastiche soffrano di un problema di immagine e che dobbiamo cambiare questa situazione. Ad esempio dobbiamo fare molto di più per utilizzare i rifiuti plastici post-consumo come risorsa e far capire alla gente che la plastica è un materiale prezioso. Come società dobbiamo affrontare questo problema perché la plastica offre enormi possibilità per affrontare le sfide sociali ed è uno dei materiali più eco-efficienti in circolazione. Il consumo crescente ha creato problemi poiché gli stati fanno ogni sforzo possibile per gestire grandi quantitativi di materiale plastico come rifiuto. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), tra il 22% e il 43% dei rifiuti plastici finisce nelle discariche di tutto in modo invece di essere riutilizzato o riciclato. Come possiamo risolvere questo problema? Maurer: Nei paesi in via di sviluppo, la plastica viene praticamente sempre buttata via, in discarica o nella natura. Anche in Europa circa il 50% finisce in discarica. È chiaro che dobbiamo intervenire urgentemente. Quello di cui abbiamo bisogno è un divieto globale di collocamento in discarica. E abbiamo milioni di tonnellate di plastica decomposte in microparticelle che galleggiano nei nostri oceani – un flusso di altri 10 - 15 milioni di tonnellate raggiunge l’ambiente marino ogni anno. Dobbiamo parlare a livello globale – gli oceani non hanno confini. Dobbiamo inoltre lavorare sulla composizione chimica dei materiali. È necessario realizzare prodotti con materiali progettati per essere riciclati ed evitare additivi tossici che ne rendano difficoltoso il recupero. È una grande sfida per l’industria della plastica. Vangheluwe: Condivido l’opinione di Helmut che dobbiamo incoraggiare un divieto di collocamento in discarica a livello globale. Quando si arriva ai rifiuti post-consumo, l’intera catena di valore – dalle aziende produttrici di materie plastiche ai produttori, rivenditori e consumatori finali dei prodotti – può fare di più. Dobbiamo progettare prodotti per garantire l’eco-efficienza, che non è esattamente la stessa cosa della progettazione per il riciclo, e nel fare questo dobbiamo tener conto di quello che succederà con il prodotto alla fine della sua vita. Le società produttrici hanno sempre preso molto sul serio i rifiuti, perché dal punto di vista economico ha senso usare le risorse all’interno della produzione nel modo più efficiente possibile. Tutti gli sviluppi di prodotti e di applicazioni che stanno portando avanti sono destinati a rendere i prodotti più leggeri, più duraturi e più funzionali. Questo contribuisce a risparmiare risorse, il che ha effetti positivi simili alla prevenzione dei rifiuti. “Dobbiamo fare molto di più per utilizzare i rifiuti plastici post-consumo come risorsa e far capire alla gente che la plastica è un materiale prezioso.” Spesso per i paesi industrialmente avanzati risulta più economico spedire le materie plastiche via nave a migliaia di chilometri di distanza piuttosto che rilavorarle nel luogo in cui sono state usate. Non sarebbe opportuno rendere il riciclo vicino a casa più economicamente sostenibile? Vangheluwe: I riciclati di qualità dovrebbero essere considerati prodotti, così come qualunque altro prodotto in commercio. In un mercato libero i prodotti possono essere scambiati; domanda e offerta regolano il mercato. Ma sarebbe bene che i riciclatori procedessero di pari passo con la catena del valore vicino a casa per ricavare un valore maggiore da questi materiali riciclati. I produttori di materie plastiche possono aiutare i riciclatori perché hanno la conoscenza del materiale stesso. Queste informazioni possono contribuire a determinare a quali mercati possono essere destinati quei prodotti e come effettuare i controlli di qualità. Maurer: Come giustamente dice Patricia, i produttori conoscono meglio il loro materiale ed è estremamente importante che i riciclatori abbiano quella stessa conoscenza. C’è ancora molto da fare per semplificare questo trasferimento di conoscenze. Ci sono parecchie cose che possiamo fare per migliorare il riciclo interno delle materie plastiche. Innanzitutto possiamo fissare obiettivi per riciclare molto di più. Quindi dobbiamo anche agevolare i mercati. Possiamo definire criteri di cessazione della qualifica di rifiuto e creare una domanda del mercato verso il riciclo di alta qualità. Anche bruciare i rifiuti plastici per generare energia è un’industria. Poiché i tassi di riciclo della plastica a livello mondiale sono bassi, molti affermano che è una componente fondamentale del mix energetico. Ritenete che gli schemi di recupero di energia dai rifiuti utilizzando la plastica abbiano un ruolo a lungo termine? Maurer: In linea di massima, la combustione della plastica dovrebbe essere evitata perché nella combustione perdiamo l’energia di processo necessaria per produrre la plastica. La combustione rallenterà mano a mano che il riciclaggio diventerà più allettante. Ma la realtà è che molta plastica post-consumo non è adatta al riciclo – in parte a causa dei materiali nocivi immessi dai produttori, come alcuni ritardanti di fiamma o ftalati. Ma stiamo parlando di un obiettivo in movimento perché la plastica di domani – la plastica meglio riciclabile – porterà naturalmente a un riciclo maggiore. Un altro argomento importante contro la combustione della plastica è costituito dai cambiamenti climatici. Fino al 2050 abbiamo un budget massimo di 1.000 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2 da rispettare se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 2°gradi Celsius. Ma come già sappiamo le riserve globali di combustibili fossili sono pari a 2.900 miliardi di tonnellate di CO2. Se dovessimo lasciarle nel terreno, questo ci obbligherebbe a riciclare di più. Vangheluwe: Il recupero energetico costituisce a volte la soluzione più eco-efficiente, soprattutto per i rifiuti misti. Quando questo avviene da una prospettiva di ciclo di vita, il recupero dell’energia ha senso come una delle opzioni di gestione dei rifiuti. Si spera che un giorno ci sarà un’innovazione che ci consentirà di decomporre le materie plastiche miste che non possono essere riciclate in maniera sostenibile in materie prime che possono essere riutilizzate per produrre plastica in maniera economica ed ecosostenibile – questa sarebbe una conquista che contribuirebbe ad aumentare il riciclo della plastica. “Anche in Europa circa il 50% della plastica finisce in discarica. È chiaro che dobbiamo intervenire urgentemente. Quello di cui abbiamo bisogno è un divieto globale di collocamento in discarica.” Come ritenete si evolveranno i prodotti in plastica nei prossimi 50 anni? In quali settori vedete le maggiori opportunità e sfide? Maurer: Vorrei che la plastica si sbarazzasse della sua immagine negativa di materiale onnipresente, economico e facilmente scomponibile. Ma vorrei mettere in guardia dal ritenere che il futuro dipenda solo da una maggiore tecnologia. Dobbiamo affrontare il fatto che un tasso di crescita annuo globale del 5% nella produzione della plastica significherebbe raddoppiare la produzione ogni 14 anni, cosicché entro il 2043 produrremmo 1.200 milioni di tonnellate all’anno. Questo ovviamente non sarebbe sostenibile. Già oggi la plastica nell’ambiente marino è totalmente fuori controllo. Penso che stiamo producendo troppe cose di cui non abbiamo realmente bisogno. Vangheluwe: Vedremo sviluppi continui nell’imballaggio intelligente e negli accoppiati barriera, applicazioni medicali come protesi e anche materiali compositi più leggeri che possono essere usati nelle applicazioni strutturali per i mercati automobilistici e delle costruzioni. Le materie plastiche a base biologica continueranno ad essere sviluppate e credo che avremo materie plastiche miste che verranno utilizzate come flusso di materie prime per la plastica nei prossimi 50 anni. Assisteremo anche a un impiego crescente di CO2 come materia prima chiudendo in questo modo l’intero ciclo del carbonio. È quello che sta avvenendo ora per la produzione dei poliuretani. Se la plastica è destinata a continuare a fornire tutti i benefici che ha offerto fino ad ora, tutti noi dovremo continuare a lavorare alla sfida della gestione dei rifiuti come spazzatura e alla plastica nell’ambiente. Ho sempre ritenuto che la tecnologia e l’innovazione possano fare la differenza. Con una crescente educazione alla corretta gestione dei rifiuti e innovazione, la plastica continuerà a fornire soluzioni a molte delle sfide sociali che ci aspettano. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti

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https://www.rmix.it/ - Il Ritorno a Vecchie Abitudini: il Vuoto a Rendere
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Ritorno a Vecchie Abitudini: il Vuoto a Rendere
Economia circolare

Non ci sono solo nuove metodologie per migliorare l’economia circolaredi Marco ArezioA volte le soluzioni per risolvere i grandi problemi che ci assillano, come quello dei rifiuti di plastica, sono nel passato. Coca Cola, negli anni ’20 del secolo scorso, introdusse il concetto del vuoto a rendere sulle bottiglie in vetro riuscendo a recuperare dal mercato il 98% di quanto venduto. Spesso sul portale rMIX si trovano articoli inerenti alle molte ricerche e sperimentazioni su nuove forme di riciclo dei packaging di plastica e non, che mirano a risolvere il grande problema dei rifiuti che ci assilla. Il packaging alimentare, soprattutto le bottiglie di plastica, utilizzano un elemento durevole per contenere i liquidi destinati alla nostra tavola, quindi diventa in pochissimo tempo un rifiuto. In realtà fino al 2011 il mercato era governato, da parte dei consumatori, da tre esigenze: affidabilità, convenienza e prestazione. La bottiglia in plastica riassumeva le tre caratteristiche richieste dai consumatori e quindi, i produttori, non si ponevano il problema di cosa succedesse, dopo qualche giorno dall’acquisto, alle bottiglie. Nonostante fosse già da tempo iniziato il riciclo dei contenitori di plastica attraverso il sistema meccanico di gestione dei rifiuti, i grandi produttori non sentivano il problema dell’ambiente e quindi continuavano ad assecondare il mercato, nonostante sapessero che la quota di bottiglie plastiche prodotte rispetto a quanto fosse riciclato non presentava nessun tipo di equilibrio. Nel 2012 si iniziò, a livello mondiale, a parlare dell’inquinamento degli oceani da parte dei rifiuti di plastica, in cui le bottiglie erano le degne rappresentanti di questo fenomeno. Ma fu solo a partire dal 2015 che i consumatori iniziarono a prendere coscienza del problema, moltiplicando le campagne a difesa dell’ambiente. La gente iniziò a capire che dei 9,2 miliardi di tonnellate di plastica prodotta nel mondo, circa 6,2 sono diventati rifiuti e di questa quantità il 91% circa non è stato riciclato. Nonostante queste evidenze, le grandi aziende delle bibite, dei detersivi, dei liquidi industriali tentennavano, non volevano prendere posizione perché avevano paura di portare squilibri nelle proprie vendite. Poi, quasi improvvisamente, aziende come Coca Cola o Unilever, Nestlè, Proctor & Gamble, Pespi e altri, hanno rotto il ghiaccio e hanno acquisito nel proprio DNA di marketing un nuovo concetto: sostenibilità ambientale. La parola riciclo entrò prepotentemente nelle campagne pubblicitarie per assecondare le richieste dei consumatori che richiedevano una nuova sostenibilità industriale e si resero conto che la leva “verde” poteva avere anche una nuova valenza commerciale. Il mercato del riciclo in questi anni ha subito enormi cambiamenti ed enormi scossoni, tra chi spingeva per migliorare e incrementare la sua potenzialità ed efficacia a chi subdolamente gli faceva la guerra, abbassando i prezzi delle materie prime vergini, secondo le più classiche regole di mercato tra domanda e offerta. Ma indietro comunque non si può più tornare e questo è stato recepito anche dai produttori di materie prime vergini che si stanno contendendo, con le grandi aziende del beverage e dell’home care, il mercato del riciclo, tramiti accordi blindati e acquisizioni dirette. Il costo del riciclo è comunque un onere non indifferente e, oggi, contrariamente a quello che succedeva nel passato, il materiale riciclato non ha più un vantaggio economico rispetto a quello vergine. Così si devono trovare altri canali di riciclo che rendano sostenibile la filiera. Come negli anni ’20, si sta sperimentando nel mondo forme di distribuzione del prodotto come il vuoto a rendere o il riempimento delle bottiglie riutilizzabili presso distributori autorizzati, dalla birra ai detersivi alle bibite, alle tazze del caffè come fanno Starbucks e McDonalds. Dopo aver capito che bisogna riciclare stiamo piano piano capendo che bisogna riutilizzare gli imballi che compriamo e forse capiremo anche, spero presto, che dobbiamo imparare a consumare meno.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - vuoto a rendereVedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - Mercato della Plastica Riciclata 2020: Luci e Ombre
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Mercato della Plastica Riciclata 2020: Luci e Ombre
Economia circolare

Il mondo, nel 2020, ha attraversato una situazione di generale difficoltà umana, economica e sociale con ricadute pesanti per tutti noidi Marco ArezioLe ripetute restrizioni alle libertà personali dovute al Covid stanno cambiando il nostro approccio anche nel mondo degli affari con le limitazioni dei contatti umani e l’uso massiccio delle tecnologie di comunicazione internet. Questo ha portato vantaggi e svantaggi, ma sicuramente non vi erano possibilità diverse per continuare a lavorare e a preservare le aziende e il lavoro. Nel mondo dell’economia circolare, attività di cui ci occupiamo, il settore della plastica riciclata ha pesantemente risentito della caduta delle quotazioni petrolifere, con la conseguenza di comprimere i prezzi delle materie prime riciclate ad un punto pericoloso per la sostenibilità finanziaria delle aziende. L’annullamento del divario, in molti casi, tra il prezzo delle materie prime vergini e quelle riciclate, ha comportato, in alcuni settori non legati al food o alla detergenza, una caduta degli ordinativi delle materie prime riciclate rispetto al passato. Le aspettative al rialzo dei prezzi delle materie prime vergini, non sono ben chiare, in quanto, in un quadro macroeconomico, la crisi planetaria ha ridotto in modo sostanziale il consumo di carburanti (aerei, macchine, navi, camion, industrie) favorendo l’incremento di produzione delle materie plastiche vergini a prezzi molto compressi. Inoltre, in una situazione come quella descritta, paesi in cui il problema del riciclo non è così sentito, la mancanza di un divario di prezzo sostanziale tra la materia prima vergine e quella rigenerata, ha comportato uno spostamento degli acquisti verso le materie prime vergini con la perdita di interi mercati del comparto delle materie prime riciclate. Ma il 2020 non è però passato invano, ci sono stati visibili progressi tecnologici che fanno ben sperare per il prossimo anno in un nuovo corso per le plastiche da post consumo. La ricerca ha portato a buoni traguardi sullo sviluppo dell’uprecycling, che ha l’obbiettivo di incrementare la qualità e l’utilizzo delle plastiche da post consumo, in settori e su prodotti che fino a poco tempo fa non erano producibili con queste tipologie di plastiche da riciclo. Selezionatori, lavaggi, estrusori, cambiafiltri, degasaggi e impianti per controllo analitico degli odori hanno portato una ventata di qualità nella filiera del riciclo, migliorandone in modo sostanziale la materia prima. Ed è proprio sul controllo degli odori che si giocherà la battaglia per incrementare l’utilizzo delle plastiche da post consumo in settori che ancora oggi non le usano. Se fino a ieri la definizione di un disturbo legato all’odore era, non solo empirica, ma soggettiva, in quanto veniva fatta attraverso la sensazione percepita dal naso umano, oggi, attraverso lo strumento da laboratorio che esegue un’analisi chimica dei volatili prodotti dai campioni, niente sarà più soggettivo e incerto. Chi utilizza questo strumento, chiamato naso elettronico in maniera riduttiva crea una patente certificata dell’odore della propria materia prima o prodotto finale, i cui valori, analitici e incontrovertibili, non lasciano adito a discussioni. Chi compra e chi vende materia prima riciclata o prodotti fatti dalla plastica da post consumo ha oggi la possibilità di certificare i livelli dei prodotti contenuti che generano odore. I motivi per vedere con un certo cauto ottimismo il 2021 nel settore della plastica riciclata da post consumo credo che ci siano, quindi il regalo che ci possiamo fare è un atteggiamento propositivo che ci accompagni a migliorare la nostra vita, il nostro lavoro e l’ambiente in cui viviamo.Categoria: notizie - plastica - economia circolare Vedi maggiori informazioni sulle materie plastiche

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https://www.rmix.it/ - rNEWS: Melinda e Novamont Alleate per il Packaging Sostenibile
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Notizie Brevi

Melinda e Novamont Alleate per il Packaging SostenibileL'accordo tra Melinda, azienda produttrice di mele e Novamont, produttore di materie plastiche da fonti rinnovabili, non è solo interessante in quanto accordo tra produttore di frutta e leader delle materie prime per un packaging sempre più sostenibile, ma è anche importante, come si legge nell'articolo di Adnkronos, in quanto le due società stanno studiando di riutilizzare gli scarti delle mele come fonte di estrazione dello zucchero per i processi produttivi della bioplastica.Ridurre il più possibile l’impatto degli imballaggi sull’ambiente. E' questo l'obiettivo della partnership siglata da Melinda con Novamont – azienda italiana nella produzione di bioplastiche da fonti rinnovabili, biodegradabili e compostabili secondo lo standard Uni En 13432, che ha consentito la messa a punto di un film in bioplastica che insieme a vassoio, bollini ed etichette rende totalmente compostabile il packaging per tutta la linea Melinda Bio. Tutto l’imballo, realizzato con una grafica consumer friendly, potrà essere riciclato con la raccolta della frazione organica dei rifiuti per essere trasformato in compost, ossia concime per il terreno, dopo il trattamento in appositi impianti industriali. A garanzia della certificata biodegradabilità e compostabilità, ogni confezione della linea Melinda Bio riporterà il marchio 'Ok compost Industrial' valido per ogni singolo componente del pack. L’intero processo non solo permetterà una migliore gestione dei flussi dei rifiuti, riducendo la loro contaminazione, ma anche di riportare materia organica pulita in suolo, contribuendo al ripristino della sua fertilità e alla riduzione delle emissioni di Co2. Grazie a questa partnership inoltre su ogni confezione di Melinda Bio sarà riportato il marchio MaterBi, di proprietà di Novamont, che identifica la materia prima bioplastica di alta qualità della quale è composto il film, un’ulteriore garanzia per il consumatore. Secondo una logica di learning by doing, la partnership tra Melinda e Novamont ha dato vita anche ad un progetto di ricerca sull’utilizzo degli scarti della lavorazione della mela della filiera Melinda per l’estrazione di zuccheri di seconda generazione che saranno utilizzati per il processo produttivo della bioplastica stessa: un perfetto esempio di bioeconomia circolare che vede due realtà appartenenti a settori estremamente diversi collaborare ad un progetto di territorio. “L’obiettivo è quello di sviluppare processi sempre più sostenibili in una valle che ha i requisiti per essere un modello di sostenibilità nel panorama nazionale e internazionale, continuando a trovare soluzioni innovative per condurre una frutticoltura moderna e sempre più rispettosa dell’ambiente" dichiara Paolo Gerevini, Direttore Generale Consorzio Melinda. "Abbiamo trovato in Novamont il partner ideale con il quale sviluppare progetti che ci permettano di essere sempre più rispettosi dell’ambiente anche nella realizzazione delle confezioni per la nostra frutta e guardiamo al futuro collaborando con loro in un’ottica di economia circolare. Un progetto di certo ambizioso ma in linea con le capacità e la voglia di sviluppo delle nostre aziende, entrambe leader nel proprio settore".  “Voglio ringraziare Melinda per avere scelto di sperimentare con noi soluzioni nuove con spirito pionieristico e costruttivo – dice Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, - nella consapevolezza delle interconnessioni tra cambiamento climatico, degradazione degli ecosistemi, perdita di biodiversità, cibo, inquinamento, coesione sociale e territori. Avere al nostro fianco un partner come Melinda nel nostro percorso di ricerca è per noi è un risultato straordinario".  "Come Novamont, applicando il modello della bioeconomia circolare, abbiamo contribuito alla creazione della prima filiera italiana integrata per le bioplastiche e i biochemical, con la salute del suolo come punto di partenza e di arrivo, riattivando 5 siti deindustrializzati e creando accordi di filiera con il mondo dell’agricoltura, collaborando con gli impianti di compostaggio, nonché con una rete di trasformatori innovativi, con la Gdo, con i brand owner, con le università e i centri di ricerca. Oggi questo modello è cresciuto ed è diventato un progetto demo a livello italiano e lo sviluppo di bioprodotti innovativi come soluzioni sistemiche ha dimostrato di poter alimentare le tante e diversificate filiere di grande valore presenti nel Paese” conclude Bastioli.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - packaging

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https://www.rmix.it/ - rNEWS: L'accumulo di Energia Rinnovabile attraverso la CryoBattery
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare rNEWS: L'accumulo di Energia Rinnovabile attraverso la CryoBattery
Ambiente

Il tallone d'Achille delle energie rinnovabili è quello della produzione in condizioni ambientali non favorevoli per produrla e quello della difficoltà di immagazzinarla quando la produzione supera il consumo. Esiste una tecnologia chiamata CryoBattery che ovvia a questo annoso problema di accumulo.L’energy storage britannico mette a segno un nuovo punto. A Manchester sono iniziati, infatti, i lavori per uno dei più grandi impianti di accumulo di energia elettrica in Europa. Il progetto porta il nome di CRYOBattery ™ e la firma di due società: la Highview Power e la Carlton Power. A giugno di quest’anno, Highview Power ha ricevuto una sovvenzione da 10 milioni di sterline dal Dipartimento britannico per le imprese, l’energia e la strategia industriale (BEIS) con cui finanziare la realizzare di un innovativo stoccaggio criogenico. La centrale sorgerà a Trafford Energy Park, poco distante da Manchester, e a regime vanterà una potenza di 50 MW e una capacità di 250 MWh. E come spiega Javier Cavada, CEO e presidente della società “fornirà alla rete nazionale un accumulo a lunga durata pulito, affidabile ed efficiente in termini di costi. La CRYOBattery™ aiuterà il Regno Unito a integrare l’energia rinnovabile e stabilizzare la rete elettrica regionale per garantire la sicurezza energetica futura durante i blackout e altre interruzioni”. Al di là delle dimensioni, l’elemento più rappresentativo dell’impianto è la tecnologia impiegata. CRYOBattery si basa su un processo chiamato liquefazione dell’aria. Quando vi è un surplus di produzione, l’energia elettrica viene impiegata per aspirare, comprimere e quindi raffreddare l’aria fino a temperature di -196°C. In questo modo, dallo stato gassoso si passa a quello liquido, e la miscela può essere immagazzinata in serbatoi isolati a bassa pressione. Quando aumenta la domanda di energia in rete, l’aria liquida può essere riscaldata e rapidamente espansa in gas, per azionare una turbina elettrica. I vantaggi di questo approccio sono la scalabilità e la possibilità d’offrire uno stoccaggio energetico a lungo termine rispetto alle batterie tradizionali. Da programma, nel primo trimestre del 2021 verrà inaugurato il centro visitatori per permettere a tutti di seguire “da vicino” lo stato di avanzamento dei lavori ed effettuare tour virtuali. La CRYOBattery ™ entrerà, invece, in funzione nel 2023 e utilizzerà le sottostazioni e le infrastrutture di trasmissione esistenti. L’impianto di accumulo criogenico offrirà anche preziose funzionalità tra cui il controllo della tensione, il bilanciamento della rete e l’inerzia sincrona. info: Rinnovabili

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rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Dai Rifiuti all’Economia Circolare Attraverso la Storia. eBook (Eng)

Versione Inglese. A volte capita di essere convinti che alcuni processi, alcuni prodotti o alcuni servizi siano frutto di scoperte recenti, che alcuni filoni di pensiero come il riciclo, la green economy, l’economia circolare, le energie rinnovabili o la funzione della plastica, tra sostenitori e contrari, siano nati negli ultimi anni. Tutto sembra così vicino nel tempo, i mari inquinati dalla plastica, la spazzatura nelle strade, la raccolta differenziata che non funziona come dovrebbe, il riscaldamento globale, il traffico veicolare e le caldaie a combustione fossile che ammorbano l’aria, la speranza dell’idrogeno, del vento e del sole per un’energia più pulita e per la lotta all’innalzamento delle temperature del pianeta.  I media, i social, la gente parlano dei cambiamenti climatici, della razionalizzazione dell’uso dei prodotti, di riuso e del rifiuto del monouso, di mobilità sostenibile, di un’alimentazione meno sbilanciata verso la carne, di forestazione per il bilanciamento carbonico, di desertificazione e di sconvolgimenti degli habitat naturali con la conseguenza della nascita di nuovi ceppi virali non conosciuti che minacciano l’uomo.  Un bombardamento di notizie, concentrate, che sembrano nate tutte insieme, sviluppandosi come un intreccio di anelli collegati tra loro che rafforzano il nostro senso di inquietudine.  Tra speranze e angosce cerchiamo di capire l’evoluzione dell’intreccio tra ambiente-consumi-produzione-energia-rifiuti-alimentazione, come se nessuno prima di oggi si fosse accorto quanto la corretta gestione di queste fasi siano indispensabili per il nostro futuro e quello dei nostri figli.  Ma nulla come in questo periodo sembra sicuro, nulla sembra avere un’evoluzione dal passato che ci faccia capire come affrontare il futuro in base alle esperienze di chi ci ha preceduto, tutto sembra nuovo e sconosciuto.  Ma è forse il carico di notizie che pervade la nostra vita quotidiana in cui non abbiamo a volte il tempo di approfondire e soppesare le cose, che ci fa pensare che non esista un passato e tutto accada oggi.  In realtà ci sono molte cose nella nostra vita che nonostante ci sembrino recenti o relativamente nuove o addirittura solo abbozzate e di cui aspettiamo l’arrivo come la risoluzione a problemi attuali, in realtà, nella maggior parte delle volte sono note ai percorsi storici.  Magari sono state abbozzate, utilizzate poi abbandonate e poi riprese, erano acerbe e oggi possono ritornare vigorosamente grazie ai progressi tecnologici, fuori tempo allora e adesso attuali, non essenziali nel passato ma utili oggi.  Stiamo parlando di scoperte scientifiche, di materiali indispensabili, di processi industriali innovativi, di iniziative a protezione dell’ambiente, di economia sostenibile e di attenzione all’ambiente, in un periodo storico in cui niente di tutto questo era considerato importante veramente, ma che ha segnato un inizio, attraverso uomini lungimiranti e fuori dal comune che, caparbiamente, hanno messo un piccolo seme che ha fatto fiorire, a distanza di anni o secoli, una continuità con i tempi moderni.  In questo libro partiamo da lontano, dal periodo medioevale, per legare il nostro presente con il nostro passato e, attraverso personaggi che operavano in settori completamente diversi tra loro, risaliamo la china degli anni, fino ai giorni nostri, con quello che sembra ancora per noi il futuro: l’idrogeno.  Non è un libro di storia, ma un racconto ad episodi, liberamenti tratti dalla vita e dal lavoro di personaggi famosi o completamente sconosciuti, raccontati in base al contributo che hanno dato al progresso, piccolo o grande, ma sempre innovativo e utile ancora oggi per la nostra vita.  Molti altri personaggi potranno seguire, tutti accumunati dalla certezza che oggi ci troviamo dove l’uomo ha voluto essere, nel bene e nel male, e che nulla nasce per caso, improvvisamente.  Il libro è disponibile nella versione Italiana e Inglese su Amazon in versione eBook oppure nella versione PDF scrivendoci.

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Notizie Brevi

L’economia circolare è fatta da prodotti finiti e materie prime, rMIX li raccoglie e li promuove  Plastica, metalli, legno, gomma, vetro, carta, tessuti sono tutti materiali che scartiamo durante i nostri consumi e che possono e devono essere riciclati per non sottrarre alla terra nuove risorse naturali. Inoltre il riciclo di questi scarti risolve l’annoso problema della gestione dei rifiuti evitando che, attraverso scelte sconsiderate di poche persone, questi scarti finiscano nell’ambiente. E’ un impegno etico e di responsabilità sociale acquistare prodotti finiti fatti con materiali riciclati o utilizzare materie prime che provengono dal riciclo per produrre i propri prodotti. A volte non è facile riuscire ad identificare articoli che vengono realizzati in modo circolare e, allo stesso tempo, non è semplice, per chi li produce seguendo i canoni del riciclo, essere scelti dal cliente finale. Oggi si può contare su rMIX, la piattaforma specializzata nel mondo del riciclo, che accoglie, gratuitamente o con contratti annuali, le tue offerte o le tue richieste di prodotti finiti fatti in materiali riciclati o di materie prime riciclate o di macchine che servono per la loro produzione o di offerte o ricerche di lavoro nel settore dell’economia circolare o di aziende che offrono servizi e consulenze. Il consumatore finale può trovare i posts delle aziende che producono prodotti finiti fatti in materiali riciclati e i produttori possono trovare le materie prime, le macchine e le collaborazioni che servono per il loro business. Pubblicare un’offerta o una richiesta è semplice e può essere del tutto gratuito, sapendo che ci prenderemo cura delle tue pubblicazioni, traducendole in 4 lingue e mettendole a disposizione degli iscritti (12.000 in 154 paesi al mondo) e a tutti coloro che sono interessati. Inoltre rMIX ha un servizio di promozione gratuito in quanto offre al portale prodotti e servizi meritevoli di nota delle aziende del settore scelte dalla redazione, senza nessun costo, permettendo un avvicinamento tra le aziende e il mercato nel settore del riciclo. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - legno - carta - metalli - tessuti - RAEE

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https://www.rmix.it/ - Dai Rifiuti all’Economia Circolare Attraverso la Storia. eBook
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A volte capita di essere convinti che alcuni processi, alcuni prodotti o alcuni servizi siano frutto di scoperte recenti, che alcuni filoni di pensiero come il riciclo, la green economy, l’economia circolare, le energie rinnovabili o la funzione della plastica, tra sostenitori e contrari, siano nati negli ultimi anni. Tutto sembra così vicino nel tempo, i mari inquinati dalla plastica, la spazzatura nelle strade, la raccolta differenziata che non funziona come dovrebbe, il riscaldamento globale, il traffico veicolare e le caldaie a combustione fossile che ammorbano l’aria, la speranza dell’idrogeno, del vento e del sole per un’energia più pulita e per la lotta all’innalzamento delle temperature del pianeta. I media, i social, la gente parlano dei cambiamenti climatici, della razionalizzazione dell’uso dei prodotti, di riuso e del rifiuto del monouso, di mobilità sostenibile, di un’alimentazione meno sbilanciata verso la carne, di forestazione per il bilanciamento carbonico, di desertificazione e di sconvolgimenti degli habitat naturali con la conseguenza della nascita di nuovi ceppi virali non conosciuti che minacciano l’uomo. Un bombardamento di notizie, concentrate, che sembrano nate tutte insieme, sviluppandosi come un intreccio di anelli collegati tra loro che rafforzano il nostro senso di inquietudine. Tra speranze e angosce cerchiamo di capire l’evoluzione dell’intreccio tra ambiente-consumi-produzione-energia-rifiuti-alimentazione, come se nessuno prima di oggi si fosse accorto quanto la corretta gestione di queste fasi siano indispensabili per il nostro futuro e quello dei nostri figli. Ma nulla come in questo periodo sembra sicuro, nulla sembra avere un’evoluzione dal passato che ci faccia capire come affrontare il futuro in base alle esperienze di chi ci ha preceduto, tutto sembra nuovo e sconosciuto. Ma è forse il carico di notizie che pervade la nostra vita quotidiana in cui non abbiamo a volte il tempo di approfondire e soppesare le cose, che ci fa pensare che non esista un passato e tutto accada oggi. In realtà ci sono molte cose nella nostra vita che nonostante ci sembrino recenti o relativamente nuove o addirittura solo abbozzate e di cui aspettiamo l’arrivo come la risoluzione a problemi attuali, in realtà, nella maggior parte delle volte sono note ai percorsi storici. Magari sono state abbozzate, utilizzate poi abbandonate e poi riprese, erano acerbe e oggi possono ritornare vigorosamente grazie ai progressi tecnologici, fuori tempo allora e adesso attuali, non essenziali nel passato ma utili oggi. Stiamo parlando di scoperte scientifiche, di materiali indispensabili, di processi industriali innovativi, di iniziative a protezione dell’ambiente, di economia sostenibile e di attenzione all’ambiente, in un periodo storico in cui niente di tutto questo era considerato importante veramente, ma che ha segnato un inizio, attraverso uomini lungimiranti e fuori dal comune che, caparbiamente, hanno messo un piccolo seme che ha fatto fiorire, a distanza di anni o secoli, una continuità con i tempi moderni. In questo libro partiamo da lontano, dal periodo medioevale, per legare il nostro presente con il nostro passato e, attraverso personaggi che operavano in settori completamente diversi tra loro, risaliamo la china degli anni, fino ai giorni nostri, con quello che sembra ancora per noi il futuro: l’idrogeno. Non è un libro di storia, ma un racconto ad episodi, liberamenti tratti dalla vita e dal lavoro di personaggi famosi o completamente sconosciuti, raccontati in base al contributo che hanno dato al progresso, piccolo o grande, ma sempre innovativo e utile ancora oggi per la nostra vita. Molti altri personaggi potranno seguire, tutti accumunati dalla certezza che oggi ci troviamo dove l’uomo ha voluto essere, nel bene e nel male, e che nulla nasce per caso, improvvisamente. Il libro è disponibile nella versione Italiana su Amazon in versione eBook oppure nella versione PDF scrivendo a sales@plasticare.it

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https://www.rmix.it/ - Le Bottiglie in Plastica Possono Cedere Sostanze all’Acqua Contenuta?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le Bottiglie in Plastica Possono Cedere Sostanze all’Acqua Contenuta?
Informazioni Tecniche

Scopriamolo verificando l’acqua contenuta in una bottiglia di PET utilizzando il naso elettronicodi Marco Arezio Il packaging delle bibite e dell’acqua minerale è passata, nel giro di pochi anni, dalle bottiglie di vetro a quelle di plastica per una serie di importanti di fattori che hanno fatto di questo sistema di imbottigliamento il più usato in assoluto al mondo. Intorno alle bottiglie di plastica, in particolar modo al suo materiale primario, il PET, si sono sviluppate campagne di sostegno e campagne di denigrazione tra le più aspre, giocate tra i produttori di bibite, i produttori di materie prime, la distribuzione e il cittadino. I temi fortemente discussi sono ambientali, da una parte, rivendicando una sorta di patente di inquinatori da parte dell’opinione pubblica verso i produttori di bottiglie in PET, a causa della massiccia presenza nei mari dei prodotti usa e getta. E’ ovvio a tutti che i produttori di bottiglie in plastica non hanno nessuna parte a questo disastro ambientale che è da attribuire al consumatore finale, che non si preoccupa di conferire la bottiglia vuota a centri di riciclo o a provvedere al suo riutilizzo. Dall’altra parte i produttori di bibite hanno identificato nella bottiglia in plastica, tra l’altro, oggi, costituita da una parte di materiale riciclato, un grande vantaggio in termini di costi di produzione, di risparmio sulla logistica e di un impatto ambientale, in fase di produzione, minore rispetto ad altri materiali per il packaging. Ma c’è un’altra questione da considerare, e cioè il rapporto tra la bottiglia in plastica e il suo contenuto, l’acqua per esempio, rapporto che è un matrimonio solidale finché l’acqua non viene utilizzata dal consumatore. Durante la permanenza dell’acqua nelle bottiglie di plastica, tra il momento dell’imbottigliamento e il momento del suo consumo, la bottiglia può ricevere gli effetti della luce, dell’irraggiamento solare e dell’aumento delle temperature della plastica sotto l’effetto del sole. Ogni modifica delle condizioni standard della plastica, caldo, freddo, luce, tempo di vita della bottiglia, che possono modificare la struttura della plastica, potrebbero essere condivisibile con l’acqua contenuta che il consumatore di beve. Come facciamo a sapere se elementi volatili che nascono a seguito delle possibili mutazioni della plastica si trasmettano o meno nell’acqua? Non assaggiandola, in quanto alcune sostanze che potrebbero essere cedute possono essere insapori, non guardandola controluce, perché alcune sostanze potrebbero essere non visibili ad occhio nudo. Oggi abbiamo a disposizione uno strumento di laboratorio di piccole dimensioni ma efficacissimo, chiamato naso elettronico, che analizza in modo scientifico gli elementi volatili dei materiali. Attraverso la campionatura di porzioni di acqua contenute in varie bottiglie in plastica si inseriscono le provette nel naso elettronico e, in modo automatico, si riscaldano i campioni creando delle parti volatili che vengono intercettate da un gascromatografo (GC), che dialoga con uno spettrometro a mobilità ionica (IMS), i quali ci restituiscono un esame tridimensionale delle parti volatili contenute nell’acqua andando ad indentificare esattamente la quantità e la tipologia chimica dei composti contenuti. Cosa beviamo dunque? Acqua o altro? Ce lo dirà il naso elettronico.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PET - packaging - bottiglie

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https://www.rmix.it/ - Coltelli per Macinatori in Acciaio e Carburo di Tungsteno per Materiali da Riciclo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Coltelli per Macinatori in Acciaio e Carburo di Tungsteno per Materiali da Riciclo
Informazioni Tecniche

Coltelli per Macinatori in Acciaio e Carburo di Tungsteno per Materiali da Riciclodi Marco ArezioGli strumenti di taglio in acciaio a disposizione degli impianti di macinazione per i materiali da riciclo, sono soggetti ad una notevole usura in virtù del loro impiego e, tanto maggiore sarà l’abrasività dei materiali da ridurre di dimensioni, tanto maggiore sarà la loro usura e tanto minore sarà il tempo necessario al loro consumo. Tutto questo si traduce in costi. Infatti, un’usura veloce dei coltelli di taglio comporta frequenti fermi della macchina per la loro sostituzione, con una perdita della produzione giornaliera, che non si compensa con l’utilizzo di coltelli più economici e meno performanti. Inoltre, quando inizia l’usura dell’acciaio, aumentano, generalmente, le vibrazioni della macchina, la polvere per un’imperfezione di taglio e un consumo maggiore di energia elettrica in quanto la macchina impiega più tempo per svolgere il lavoro. C’è poi da considerare che i materiali da frantumare hanno durezze diverse e che per questo la scelta della composizione dei coltelli deve tener conto di questo importante fattore. A volte non è sufficiente scegliere tipologie di acciaio con durezza differente, ma occorre impiegare coltelli che abbiano degli inserti con materiali estremamente tenaci come il carburo di tungsteno. Ma cos’è il carburo di tungsteno e perché è così efficace nei coltelli dei macinatori? Il carburo di tungsteno si prepara principalmente tramite carburizzazione, facendo reagire tungsteno metallico con nerofumo o grafite a 1400–2000 °C, in atmosfera di idrogeno o sotto vuoto. Si presenta come una polvere di colore grigio con lucentezza metallica, praticamente insolubile in acqua e in acidi diluiti, ma solubile in miscele di acido nitrico e acido fluoridrico. In soluzione acquosa viene ossidato facilmente dal perossido di idrogeno Il carburo di tungsteno ha un punto di fusione di 2 785 °C quindi è un materiale estremamente duro, situandosi a circa 9 nella Scala di Mohs e a circa 2600 nella Scala Vickers. Ha un modulo di Young di circa 700 GPa, un modulo di compressibilità di 630–655 GPa[3] e un modulo di taglio di 274 GPa. Per usi pratici lo si unisce a metalli di transizione, principalmente cobalto o nichel lavorandolo a partire da polveri, con tecniche di sinterizzazione a temperature intorno ai 1200–1500 ºC. Il composto che ne deriva è un materiale ceramico-metallico denominato carburo cementato, metallo duro o widia. Per ottenere del metallo duro possono essere aggiunti anche altri elementi come cromo o tantalio, allo scopo di evitare la crescita dei grani di carburo, fungendo da inibitori. Le polveri di carburo di tungsteno e del metallo subiscono tre passaggi: Macinazione, per mescolare tra di loro polveri di diversa qualità e creare una miscela omogenea di polveri. • Riscaldamento a 100 °C con aggiunta di legante (cobalto) per formare una massa solida grazie all'unione dei granelli. • Sinterizzazione tra 1200 e 1600 °C, per consentire al cobalto di fondere, saldare i grani ed eliminare le porosità. Nel caso degli utensili da taglio destinati agli impianti di macinazione dei rifiuti riciclabili, questi hanno una grande tenacità e durevolezza che permettono un risparmio generale dei costi di macinazione, anche se i coltelli costino di più rispetto ai comuni coltelli in acciaio, ma permettono anche di ottenere un prodotto tagliato in modo uniforme senza sbavature o polveri eccessive. I coltelli in metallo e carburo di tungsteno sono indicati per i seguenti materiali tenaci:• PET • Plastiche caricate con fibra • Plastiche caricate con cariche minerali • Raffia • Polietilene da serra o proveniente dalla campagna • Rifiuti elettronici • Pneumatici • LegnoCategoria: notizie - tecnica - acciaio - riciclo - coltelli - macinazione Vedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - rNEWS: L'importanza della Plastica nella lotta al Coronavirus
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare rNEWS: L'importanza della Plastica nella lotta al Coronavirus
Economia circolare

La pandemia da Coronavirus ha visto aumentare in modo importante l'uso della plastica nei presidi di protezione individuale e nelle attività mediche di assistenzadi Marco ArezioMai come in questo periodo si è visto l'importanza di non demonizzare la plastica ma di ridarle il corretto posto che merita nella nostra vita, pur sapendo che un prodotto così versatile e utile deve essere smaltito e riciclato in modo corretto per creare nuova materia prima. L'articolo di Anna Munzio ci parla proprio di questo.La Reuters ha parlato di «pandemia della plastica». Perché il virus che ha sconvolto il mondo ha avuto l'effetto non del tutto secondario di farci capire come sia indispensabile questo materiale per una delle sue qualità forse più nascoste, la protezione. Dei cibi e delle bevande, ma soprattutto dal virus: così è partita la «corsa alla plastica», il nuovo oro utilizzato in mascherine, visiere, guanti, contenitori di plastica per alimenti e plastica a bolle da imballaggio per milioni di consegne a domicilio. Una corsa che ha fatto dimenticare, dopo anni di campagne, il problema principale di questo materiale magico, leggero, all'occorrenza trasparente e che quando nacque sembrò ecologico perché sostituiva risorse naturali come avorio o legno: i tempi di decomposizione, che si misurano in secoli, e l'inquinamento che ne consegue. La soluzione da tempo è indicata nel riciclo. Un sistema gestito in Italia da Corepla che nel 2019 ha raccolto 1.370.000 tonnellate di plastica in modo differenziato, il 13 per cento in più rispetto al 2018, e che oggi copre 7.345 comuni coinvolgendo 58.377.389 cittadini. Anch'esso però è stato messo sotto stress dal Covid-19. Tra marzo e aprile, in pieno lockdown, è aumentata la quantità di rifiuti di imballaggio in plastica gestiti da Corepla ma anche la quota destinata alla termovalorizzazione e quella conferita in discarica. Il presidente di Corepla, Giorgio Quagliuolo, ci anticipa qualche dato su questo anno complicato anche sul fronte della gestione rifiuti: «Il 2020 vedrà una crescita a cifra singola dei quantitativi di rifiuti di imballaggio in plastica gestiti da Corepla, con picchi proprio in corrispondenza dei periodi di lockdown di marzo/aprile che hanno evidenziato un aumento dell'8 per cento, in controtendenza rispetto alla riduzione dei consumi (-4 per cento) e alla produzione dei rifiuti urbani (-10/14 per cento) del medesimo periodo». A cosa sono state dovute le maggiori criticità? «Alla chiusura delle attività commerciali e produttive e al brusco arresto dell'export: in sette settimane di lockdown è stata bloccata l'esportazione di oltre 16mila tonnellate di rifiuti urbani. In più, il blocco quasi totale del settore delle costruzioni ha fortemente ridotto l'utilizzo della frazione di imballaggi non riciclabili meccanicamente come combustibile nei cementifici. Cause che si sono unite alla saturazione della capacità disponibile negli impianti nazionali. Va detto che il sistema ha comunque tenuto, grazie a interventi straordinari che hanno evidenziato però le carenze strutturali impiantistiche e del mercato nazionale delle materie prime seconde». Se è vero che siamo quel che mangiamo è anche vero che siamo ciò che buttiamo nella spazzatura: e l'uso della plastica in fondo è una cartina al tornasole che rivela lo stato della nostra società, la sua economia ma anche gli stili di vita e la sensibilità ecologica dei consumatori. Dunque, la corsa alla plastica continuerà? Secondo il presidente questo dipende da diversi fattori: andamento della produzione industriale, propensione all'acquisto da parte dei consumatori, incognita della Plastic Tax, impatti della direttiva europea SUP - Single Use Plastics che intende limitare la plastica monouso, «tutti fattori resi più incerti dalla pandemia. Analoghe incertezze riguardano i numeri della raccolta, per la quale ci aspettiamo che si confermi il trend di crescita ma con rallentamenti fisiologici e legati alla situazione contingente». E le bioplastiche, di cui si fa sempre un gran parlare? «Nel 2019 hanno rappresentato circa il 3 per cento degli imballaggi in plastica immessi sul mercato; allo stato attuale della tecnologia è più complicato che possano sostituire le plastiche fossili in alcuni settori, quello medicale è possibile che sia uno di questi».Categoria: notizie - plastica - economia circolare

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https://www.rmix.it/ - Granulo in Plastica Riciclata da Post Consumo con Certificazione dell’Odore
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Granulo in Plastica Riciclata da Post Consumo con Certificazione dell’Odore
Informazioni Tecniche

I Prodotti in Plastica Riciclata Puzzano? Si, No, Forse, un Po', Ogni Tanto, Spesso…in questo campo vige l’incertezzadi Marco ArezioLa plastica riciclata da post consumo sta entrando in modo sempre più nelle produzioni degli oggetti che quotidianamente utilizziamo e che troviamo sugli scaffali dei negozi, nelle catene distributive di mobili od oggetti per la casa, negli interni delle nostre auto e in molti prodotti che maneggiamo ogni giorno. Non sempre l’uso della plastica da post consumo è stata una scelta volontaria da parte dei produttori di articoli in plastica, in quanto la sua provenienza dalla raccolta differenziata, porta con sé delle problematiche odorose che, se non gestite bene, possono compromettere i prodotti finali creando fastidi ai clienti. Ma la necessità impellente di riutilizzare la quantità più alta possibile di plastica riciclata nelle produzioni di articoli, al fine di ridurre i rifiuti, ha imposto un nuovo modo di vedere le miscele per fare i prodotti plastici. Le grandi catene distributive di articoli per la casa, per esempio, si sono indirizzati alla produzione dei loro articoli con una percentuale di plastica riciclata da post consumo, ma impongono che la materia prima non porti con sé odori molesti. La verifica dell’accettabilità o meno della materia prima viene fatta, normalmente con un sistema di tests compiuti da persone che mettono a diposizione il loro naso per avvallare gli acquisti della materia prima e la messa in commercio dei prodotti. Normalmente sono valutazioni empiriche, soggettive e personali che lasciano ampi spazi di discussione su ciò che è un odore molesto e quello che può essere una fragranza. Tra il produttore di materia prima e il distributore di prodotti per la casa vige una costante incertezza tra cosa sarà vendibile in termini di materia prima e cosa sarà acquistabile dal cliente finale se l’odore dovesse essere percepito in modo diverso rispetto ai testers. E’ necessario, quindi, stabilire in modo scientifico ed analitico i gradienti degli odori e la loro provenienza chimica per stabilire, tra le parti, un range che tuteli sia la produzione ma anche la vendita finale dei prodotti per la casa. Oggi la tecnologia ci viene incontro attraverso una macchina da laboratorio che intercetta, in modo analitico, le sostanze odorose dei campioni liquidi, solidi o in polvere, restituendo una valutazione esatta dei componenti chimici presenti e delle loro quantità, confrontati con un archivio di 80.000 sostanze odorose. Il sistema di controllo è utile al produttore di materia prima, non solo alla fine del processo, attraverso l’analisi tecnica dei livelli odorosi dei granuli plastici che andrà a vendere, ma sarà molto utile anche per analizzare la materia prima d’ingresso, per classificare in modo esatto il suo comportamento nelle successive ricette. Il conoscere in modo certo l’apporto odoroso del rifiuto o del semilavorato in entrata, permette di gestire in modo più semplice le ricette che porteranno alla produzione di un granulo con i gradienti odorosi stabiliti. L’utilità della macchina è tangibile anche per chi acquista la materia prima e la trasforma in prodotti finali, in quanto ha la certezza di immettere nel circuito un granulo certificato dal punto dell’odore e può realizzare un controllo di qualità, dal punto di vista dell’impatto odoroso, sui prodotti che andrà a proporre al pubblico. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - post consumo - certificazione odoriVedi maggiori informazioni sul riciclo

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https://www.rmix.it/ - Epidemie: Occuparsi del Pianeta per Difendere la Nostra Salute
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Epidemie: Occuparsi del Pianeta per Difendere la Nostra Salute
Ambiente

La distruzione e lo sfruttamento intensivo degli ecosistemi nel mondo ha una connessione diretta anche con l’ultima pandemia da Coronavirus.E’ sempre più chiaro e dimostrato scientificamente che le epidemie, che hanno afflitto molte zone della terra nel recente passato, e oggi, attraverso il coronavirus siamo entrati in una fase pandemica, siano la conseguenza diretta di comportamenti antropici dell’uomo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che nel mondo avvengano, ogni anno, circa 4,2 milioni di morti direttamente conducibili all’inquinamento atmosferico e ai cambiamenti climatici in atto. Numeri spaventosi che hanno lasciato l’opinione pubblica, rammaricata, ma poco coinvolta, finché i paesi occidentali più ricchi sono stati travolti dal coronavirus e hanno potuto testare, direttamente, la pericolosità e la mortalità portata da questi virus nelle società moderne. Non sono più notizie ascoltate in televisione provenienti da paesi lontani, dove si pensa che l’igiene o la malnutrizione o la promiscuità ambientale possa favorire questi tipi di virus. Malaria, Ebola, Sars, Hendra, Lyme, Mers sembrano ai più, nomi esotici di malattie sviluppatisi in paesi con cui non abbiamo normalmente contatti. Per i virus non ci sono confini, paesi di serie A o di serie B, ma siamo tutti esposti al possibile contagio, ed è proprio per questo che dobbiamo capire, una volta per tutte, che dobbiamo cambiare il rapporto con la natura. L’aumento della popolazione in modo incontrollato, la deforestazione, la distruzione degli ecosistemi abitati dagli animali, lo sfruttamento delle aree deforestate per la produzione di mangimi o per il commercio del legno, gli allevamenti intensivi, lo sfruttamento indiscriminato delle acque dolci, le emissioni in atmosfera di gas serra per produrre sempre più energia, i trasporti basati sulle fonti fossili che uniscono tutte le attività industriali, l’aumento dell’urbanizzazione a discapito delle aree verdi e il problema dei rifiuti, sono tra i problemi di cui dobbiamo occuparci subito, ma seriamente. I comportamenti dell’uomo che insegue un benessere sempre più ampio, ha creato degli squilibri così evidenti che la pandemia da coronavirus ci impone di capire. Gli habitat di molte specie di animali sono stati colonizzati dall’uomo e dalle sue attività, creando una commistione abitativa che ha nel tempo creato problemi sanitari. Molti animali che sono normalmente portatori di cariche virali, sono entrati in contatto con l’uomo attraverso la sua catena alimentare, permettendo il cosiddetto salto di specie, che seppur difficile, abbiamo visto che non è impossibile. E’ infatti risaputo che circa il 75% delle malattie infettive emergenti che interessano l’uomo sono di origine animale e che il 60% circa di tutti i patogeni che attaccano l’uomo sono di origine zoologica. Inoltre, il cambiamento climatico accentuerà la trasmissione degli elementi patogeni a causa dell’aumento del riscaldamento globale, con inverni più miti e stagioni più uniformi e lunghe, che portano alle migrazioni di alcune specie di animali, vettori di malattie. Bisogna iniziare a prendere sul serio l’aspetto sanitario del pianeta e correggere quelle situazioni che comportano un pericolo imminente per la nostra specie, smettendola di far credere alla popolazione povere che il miglioramento delle loro condizioni di vita e prosperità economiche, debbano passare dallo sfruttamento incontrollato del territorio. Inoltre, il mondo occidentale deve interrompere l’inseguimento di una mentalità consumistica suicida, dove i soldi sono l’obbiettivo primario di ogni decisione sociale e politica. Chi pensa che se ne possa parlare domani, può essere che non ci sia più per parlane.Approfondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - Il Disboscamento Illegale in Romania
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Disboscamento Illegale in Romania
Ambiente

Un disastro ecologico nell’Amazzonia Europea. Stiamo a guardare ancora?di Marco Arezio Le foreste della Romania, di proprietà dello stato, ammontano a 3,13 milioni di ettari, cifra che rappresenta il 48% delle superfici boschive del paese. In questi territori l’abbattimento illegale delle piante sta alimentando il mercato nero del legno e provoca un danno ambientale enorme. Secondo i dati raccolti il disboscamento illegale in Romania ammonta ogni anno a circa 20 milioni di metri cubi di legname su un totale di 18 milioni autorizzati legalmente dallo Stato. Considerando un prezzo medio del legno di circa 50 euro/mc, si può notare che il business illegale frutta circa 1 miliardo di euro l’anno. In realtà, sono anni che il fenomeno va avanti, probabilmente coperto da funzionari dello stato che fanno finta di non vedere il problema, ma recentemente è tornato prepotentemente alla ribalta in quanto sono stati uccisi due guardia parco, che stavano onestamente lavorando per la tutela del patrimonio forestale dello stato. Si è parlato di forme mafiose di gestione del business del legno dolce, cosa che ha fatto muovere anche la Commissione Europea, che ha imposto allo stato Romeno, una verifica della situazione attraverso la creazione di una commissione di controllo sui numeri e sulle procedure di disboscamento. Secondo le indicazioni di Recorder.co, il rapporto elaborato, dopo aver sentito gli operatori dei controlli sul campo, coadiuvati da esperti formati in Francia, Svizzera e Finlandia, ha dimostrato che il disboscamento illegale rappresenta circa 20 milioni di mc/anno. Tuttavia, il rapporto sembra essere stato censurato dalle autorità che lo hanno ricevuto, in quanto non rappresenterebbe la reale situazione, in base ai rilevamenti autonomi di Romsilva, società che gestisce il patrimonio boschivo statale. Secondo i dati di questa società, il volume del disboscamento illegale si aggirerebbe tra i 40 e i 50.000 metri cubi annui e ipotizza che la commissione incaricata al controllo, su pressione della Comunità Europea, potrebbe aver commesso degli errori di calcolo. In una conferenza pubblica in cui hanno partecipato, sia il capo di Romsilva, sia i responsabili del progetto IFN, National Forest Inventory che ha eseguito i rilevamenti, è emerso che i numeri contenuti nel rapporto IFN, siano stati supportati da consulenti indipendenti Europei, ma che l’ente statale della protezione delle foreste insiste apertamente nel crederlo inattendibile, lasciando il problema in un pericoloso limbo. Come succede solitamente negli affari gestiti dalla malavita, il fenomeno dell’intimidazione, dell’omertà e della corruzione, unge un ingranaggio ben collaudato a tutti i livelli, con l’unico scopo di tenere le attività illegali al riparo dei clamori della cronaca, in modo da continuare in modo discreto e le operazioni. Si è tanto criticato Bolsonaro per il mancato contrasto alla deforestazione dell’Amazzonia, ma poco si è parlato della deforestazione illegale in Romania.

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https://www.rmix.it/ - I Polimeri Riciclati nei Composti WPC Plastica - Legno
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Informazioni Tecniche

La componente di resina polimerica proveniente dalla raccolta differenziata per i prodotti in WPC plastica - legnodi Marco ArezioIl WPC, caratterizzato come un composto legno-polimero, nasce in Italia negli anni ‘60 del secolo scorso ad opera dei fratelli Covema che iniziarono la sperimentazione di miscele fatte con fibra o farina di legno con polimeri e additivi. Oggi la produzione di WPC è una realtà mondiale e l’uso dei pavimenti e dei rivestimenti, non solo nel settore edile, ha raggiunto un apprezzabile mercato in virtù delle doti espresse da questo composto. La produzione avviene, nella maggior parte dei casi, attraverso l’estrusione dei materiali selezionati in impianti che possono utilizzare monoviti o biviti con profili differenti. Il vantaggio dell’utilizzo degli estrusori bivite è espresso dalla maggiore capacità dell’impianto di lavorazione della massa in termini di miscelazione ed uniformità di lavorazione del materiale senza degradarlo. Le ricette che compongono il futuro elemento in WPC dipendono fortemente dalla macchina che si utilizza per l’estrusione (o lo stampaggio), dalla finitura del materiale che si vuole ottenere e dalle caratteristiche di durabilità ed impermeabilità del prodotto in funzione della sua collocazione finale. In linea generale si può dire che la quota in percentuale dei composti legnosi può variare dal 40 al 60% della ricetta e che i componenti polimerici, considerando un 5% medio come gli additivi come i coloranti, gli agenti di accoppiamento, gli stabilizzanti UV, gli agenti espandenti, gli agenti schiumogeni e i lubrificanti, pesano per la parte rimanente. La maggior parte della produzione mondiale di WPC utilizza il polietilene come legante polimerico in virtù della compatibilità nelle temperature di fusione delle due masse che compongono la miscela e per la facile reperibilità di materia prima riciclata sul mercato. Il polietilene riciclato utilizzato può essere in HDPE o in LDPE, vediamo le differenze: L’HDPE è uno scarto che proviene dalla raccolta differenziata sotto forma di flaconi per il detersivo, shampoo, creme, bottiglie del latte e altri imballi di largo consumo che vengono raccolti dalle nostre case, selezionati in impianti automatici che ne leggono la natura chimica (densità del materiale), macinati in scaglie piccole, lavati in impianti industriali, selezionati per colore, se necessario, attraverso macchine a lettura ottica e successivamente estrusi per creare una materia prima sotto forma di granulo. L’HDPE è un prodotto stabile, pulito, monocomponente con solo piccole tracce di PP all’interno (tappi), prestandosi egregiamente all’azione di estrusione tipica del WPC. Si trova in abbondanza sul mercato in quei paesi in cui la raccolta differenziata è efficiente. • L’LDPE è uno scarto che proviene dalla raccolta differenziata dei film plastici che provengono dai rifiuti domestici ed industriali che per loro natura di utilizzo sono meno selezionabili, in termini di mono-plastiche rispetto all’HDPE. Possono essere di diversa provenienza e quindi di diversa qualità: Film agricolo viene raccolto normalmente con una certa percentuale di residui sabbiosi che devono essere eliminati, non sempre totalmente però, attraverso un accurato lavaggio. Il film, durante la sua  vita subisce una degradazione dal sole che è da considerare quando si scelgono gli additivi della      ricetta del WPC che dovranno compensare questo deficit.  Film industriale o di primo uso sono quei materiali che vengono raccolti dagli scarti degli imballi    delle aziende o dalle catene distributive e che rappresentano normalmente films puliti mai riciclati. La    qualità di questo rifiuto è tra le migliori da utilizzare per il riciclo.  Film derivante dalla raccolta differenziata che hanno contenuto rifiuti organici o altri contaminanti sia solidi che oleosi, il cui riciclo meccanico riduce in modo importante i componenti diversi dall’LDPE, ma non riesce ad eliminare completamente queste sostanze. • Il Polipropilene e un materiale che può derivare dalla raccolta differenziata sotto forma di scarti rigidi o sotto forma di film da imballo. La selezione meccanica restituisce una materia prima di buon livello che può presentare anche una certa percentuale di PE all’interno. Il PP è un materiale economico e duttile nella produzione del WPC. • Il PVC sotto forma di scarto può derivare dalla filiera industriale, quindi come scarto di lavorazione primaria sia sotto forma di raccolta differenziata come lo scarto di tubi, profili finestre, imballi, tessere e alto materiale da selezionare. Lo scarto post industriale è sicuramente il migliore in termini di pulizia da inquinanti e resa finale ma ha un costo elevato e una quantità reperibile sul mercato limitata. Il vantaggio dell’uso del PVC come legante polimerico è la stabilità dimensionale dei pezzi prodotti e la levigabilità. La funzione dei polimeri riciclati e degli additivi di protezione all’interno della miscela di legno creano numerosi vantaggi al prodotto finale.ImpermeabilitàImputrescenzaResistente ai raggi U.V.+Ottima lavorabilità a freddoBuona resistenza a flessioneOttimo mantenimento del coloreRiciclabilità nel settore del WPCResistenza all’azione corrosiva dell’acqua marinaAssenza di manutenzione superficialeCategoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - WPC - legno Maggiori informazioni sui polimeri

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https://www.rmix.it/ - Il Riciclo dell’Acqua per Ridurre lo Stress Idrico
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Economia circolare

Le indicazioni della EU per un’agricoltura più sostenibile di Marco ArezioIl progressivo innalzamento delle temperature terrestri, l’aumento della popolazione, un carente sistema di trasporto, che causa perdite ingenti dalle reti distributive e uno scorretto mix di coltivazioni, molto proteso alla produzione di foraggio per l’industria mondiale della carne, porterà probabilmente entro al 2050 ad una situazione insostenibile per la mancanza di acqua, identificato dagli esperti come stress idrico. Secondo i dati elaborati dal Stockholm International Water Institute (SIWI), che punta il dito sull’enorme fenomeno dello spreco di acqua a tutti i livelli, il consumo dell’oro blu nel mondo vede una distribuzione così espressa: 70% ad uso agricolo 20% ad uso industriale 10% ad uso domestico L’Istituto SIWI entra nel dettaglio dei numeri, indicando alcuni punti estremamente critici sull’uso dell’acqua, sottolineando, tra gli altri, che una scorretta alimentazione mondiale basata sulla carne richiede circa 8-10 volte in più di acqua rispetto alla coltivazione di cereali. Inoltre la continua crescita demografica porta ad un incremento di richiesta di cibo, che si traduce in una maggiore richiesta di acqua da parte dell’agricoltura, a fronte di una riduzione costante di precipitazioni a causa dei cambiamenti climatici. C’è da notare anche che, secondo i dati elaborati dalla ricerca, un quarto dell’acqua che viene impiegata nell’agricoltura mondiale serve per produrre circa 1 miliardo di tonnellate di cibo che verranno poi buttate. SIWI sottolinea anche la sperequazione tra il consumo di acqua di una persona che vive in aree sviluppate del pianeta rispetto a un’altra che vive in aree in via di sviluppo, la quale esprime una differenza che è superiore, per il primo soggetto, di 30-50 volte rispetto al secondo. Tuttavia, proprio a causa della tendenza demografica del pianeta, le aree in via di sviluppo avranno una richiesta di acqua superiore del 50% rispetto ai consumi attuali, creando una situazione per cui il 47% della popolazione mondiale vivrà in aree con problematiche idriche. Per chiudere il cerchio poco rassicurante possiamo citare un altro importante problema, che riguarda lo spreco di acqua causato dalla vetustà degli acquedotti, su cui si fa poca manutenzione in quanto forse, si ha l’errato concetto, che una perdita di acqua non sia un fatto così grave. Ma quanta acqua abbiamo a disposizione e chi ne usufruisce? Sul pianeta abbiamo circa 1,4 miliardi di Km3 di acqua, ma solo il 2,5% è costituito da acqua dolce, che si può conteggiare in 35 milioni di Km3, ma il 70% di questa quantità è espressa in ghiacci o nevai permanenti sulle montagne, nelle zone antartiche e artiche. Quindi, possiamo disporre facilmente di solo l’1% di tutta l’acqua presente sul pianeta sotto forme di riserve idriche nel sottosuolo e in superficie. Dobbiamo inoltre considerare che sul pianeta circa 1 miliardo di persone non ha accesso all’acqua e che circa 2,5 miliardi non dispongono di adeguati servizi igienico-sanitari. Questa situazione, secondo l’OMS, causa colera, malaria e malattie intestinali che sono la maggior causa della mortalità infantile. Come uscire da questa situazione? In un’ottica di economia circolare anche l’agricoltura, che ricordiamo consuma il 70% circa dell’acqua disponibile sulla terra, deve utilizzare le acque reflue urbane che provengono da impianti di depurazione, in modo da risparmiare l’acqua potabile. Secondo le regole emanate dalla Comunità Europea in materia di irrigazione agricola, si vogliono sensibilizzare gli agricoltori ad un uso sostenibile dell’acqua attraverso l’impiego delle acque non potabili. In base alle indicazioni del commissario per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, Karmenu Vella, esistono dei parametri minimi per l’utilizzo delle acque reflue urbane provenienti dagli impianti di trattamento e depurazione, che riguardano sia valori microbiologici sia i processi di controllo degli impianti. La stessa Commissione Europea indica come sotto sfruttato il sistema di riutilizzo di queste acque per fini agricoli e che l’utilizzo di acqua potabile, oltre ad un impiego enorme di energia per la sua estrazione e il suo trasporto, crea un impatto ambientale importante che si deve tenere in considerazione. Indica poi la presenza, in un terzo del territorio Europeo, di una situazione di stress idrico, che sarà ulteriormente aggravato dalla diminuzione tendenziale delle precipitazioni e dall’aumento delle temperature.Categoria: notizie - acqua - economia circolare - rifiutiVedi maggiori informazioni sul riciclo delle acque

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