Riutilizzare lo scarto del pulper per creare polimeri adatti allo stampaggiodi Marco ArezioLe cartiere utilizzano un processo meccanico per riciclare la carta da recupero che entra nei loro stabilimenti. Il processo industriale parte dalla macerazione in vasca del cartone e della carta di uso quotidiano, attraverso l’acqua e un movimento rotatorio di apparecchiature che hanno lo scopo di separare le fibre di cellulosa dai materiali non utilizzabili. Da questo processo, semplificando, si forma lo scarto del pulper. Questi materiali sono composti, prevalentemente, da alluminio e polietilene che si trovano all’interno degli imballi alimentari, come il Tetrapak o altri imballi similari, che non possono essere impiegati nel processo di produzione delle cartiere. I numeri che compongono lo scarto del pulper sono davvero impressionanti in quanto si considera che circa il 10%, in peso, della carta prodotta, generi questo tipo di rifiuto, con costi di smaltimento a carico delle cartiere molto onerosi. Oggi ci sono delle tecnologie che permettono di riutilizzare lo scarto del pulper delle cartiere recuperando il polimero in LDPE che si trova all’interno, attraverso il processo di separazione, triturazione, lavaggio e granulazione dello scarto del pulper. I problemi che si incontrano per riciclare questo composto, PE+Alluminio sono però importanti, sia a livello produttivo che di qualità finale del prodotto: 1. Lo scarto del pulper presenta una percentuale di umidità elevata, superiore al 10%, che deve essere abbattuta in modo sostanziale per evitare problemi di granulazione e di perdita di produzione. 2. L’umidità residua all’interno del granulo può creare, in fase di stampaggio, problemi di gas, con conseguenti riduzioni della resistenza del manufatto e difetti estetici sulle superfici. 3. La presenza residuale di carta all’interno del composto da lavorare, comporta un lavoro aggiuntivo nelle fasi di filtraggio della granulazione. Infatti la micro-presenze di carta nella produzione del granulo finale porterebbe alla creazione di micro-pori dannosi al granulo finale. 4. La presenza di alluminio, anche sotto forma di elemento flessibile, quindi non ostacolante in fase di stampaggio, comporta un effetto estetico che deve essere tollerato in quanto le superfici colorate non saranno omogenee. Non c’è dubbio che tutti questi problemi possono essere gestiti sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista dell’effetto ottico del prodotto finale, che deve essere accettato come una caratteristica peculiare del prodotto stesso. Il granulo che ne deriva è solitamente un LDPE con fluidità intorno a 1 a 2,16 Kg. /190° con una percentuale di LD oltre il 90% e residui di alluminio ed eventualmente di carta. Per quanto riguarda l’impego del granulo derivante dallo scarto del pulper, fermo restando la soluzione dei punti precedenti, è indicato per lo stampaggio di prodotti non estetici ma dove sono richieste qualità del polimero in termini di flessibilità e uniformità di composizione. Possiamo citare i bancali in plastica, vasi e mastelli, accessori per l’edilizia, grigliati non carrabili, ecc.. Il prodotto si adatta alla creazione di compound con PP, PO e HD a seconda degli impieghi che il cliente ne deve fare creando così un composto molto flessibile dal punto di vista delle ricette polimeriche. Ovviamente, visto che normalmente ha un DSC regolare, si presta facilmente all’aggiunta di cariche minerali, specialmente CACO3, che aiutano la ricetta a dare minore flessibilità, insita nell’LDPE, se il cliente ne facesse richiesta.Categoria: notizie - tecnica - carta - riciclo
SCOPRI DI PIU'Strategie e Parametri per Migliorare Efficienza e Qualità nella Produzione di Film anche con Polimeri Riciclatidi Marco ArezioLa produzione di film multistrato tramite estrusione soffiata è una tecnologia chiave nel settore degli imballaggi, utilizzata per creare materiali ad alte prestazioni con caratteristiche uniche come barriera, resistenza meccanica e trasparenza. L’ottimizzazione dei parametri di processo è fondamentale per migliorare la qualità del prodotto finito, ridurre gli sprechi e massimizzare l'efficienza produttiva. Questo articolo esplora i metodi più avanzati per ottimizzare l’estrusione di film multistrato, basandosi su ricerche e pratiche industriali attuali. Comprendere la Dinamica del Processo di Estrusione Il processo di estrusione di film multistrato prevede la fusione di polimeri diversi, anche riciclati, che vengono combinati per formare strati distinti. Ogni strato è progettato per svolgere una funzione specifica, come protezione dagli agenti esterni o miglioramento della resistenza. La qualità del prodotto finale dipende dalla corretta regolazione dei parametri chiave, tra cui: Temperatura del cilindro: Influisce sulla fusione e sull’omogeneità del materiale. Velocità di estrusione: Determina lo spessore dei vari strati. Rapporto di soffiaggio (BUR, Blow-Up Ratio): Influisce sulla stabilità del film e sulle sue proprietà meccaniche. Un controllo preciso di questi parametri è essenziale per evitare difetti come la delaminazione, le bolle d’aria o uno spessore irregolare. Scelta dei Materiali Polimerici La selezione dei polimeri è un aspetto critico nell'estrusione di film multistrato. Materiali come il polietilene (PE), il polipropilene (PP) e l’etilene vinil alcol (EVOH) vengono spesso combinati per ottenere un equilibrio ottimale tra costo, lavorabilità e prestazioni. La compatibilità tra i polimeri è cruciale per garantire una buona adesione tra gli strati. Additivi e agenti compatibilizzanti possono essere utilizzati per migliorare l'interfaccia tra materiali non compatibili. Ottimizzazione della Testa di Estrusione La testa di estrusione è il cuore del sistema di estrusione soffiata. Il design della testa influisce direttamente sulla distribuzione dello spessore del film e sulla qualità degli strati. Le tecnologie moderne offrono teste di estrusione con controllo automatico dello spessore, che utilizzano sensori per monitorare continuamente il processo e apportare regolazioni in tempo reale. Controllo della Stabilità del Film Il mantenimento della stabilità del film durante il processo di raffreddamento è essenziale per garantire uniformità e ridurre i difetti. La stabilità può essere migliorata ottimizzando: Flusso d’aria del sistema di raffreddamento: Per garantire un raffreddamento uniforme. Tensionamento del film: Per evitare deformazioni durante l’avvolgimento. Geometria della bolla: Per prevenire il collasso o le pieghe. Estrusione con PE o PP Riciclato da Scarti Post Consumo L’uso di polietilene (PE) o polipropilene (PP) riciclato da scarti post consumo presenta specifiche sfide tecniche che richiedono attenzioni particolari durante l’estrusione di un film in bolla. Tra i principali aspetti da considerare: Qualità del materiale riciclato: Assicurarsi che il materiale sia adeguatamente pulito e decontaminato per evitare difetti nel film. Proprietà del materiale: Il materiale riciclato può presentare una variabilità nelle proprietà meccaniche e termiche, che devono essere attentamente monitorate e compensate durante il processo. Impostazioni della temperatura: La fusione del materiale riciclato richiede temperature controllate con precisione per evitare degrado termico o formazione di gel. Additivi: L’aggiunta di stabilizzanti termici o modificatori di processo può migliorare la lavorabilità e le proprietà del film finito. Compatibilità: In caso di miscele di materiali riciclati, è fondamentale garantire una buona compatibilità tra le componenti per evitare problemi di adesione o uniformità. Test di qualità: Monitorare costantemente lo spessore, la trasparenza e la resistenza meccanica del film prodotto per garantire conformità agli standard richiesti. Monitoraggio e Automazione I sistemi di automazione e monitoraggio avanzati stanno rivoluzionando l'industria dell'estrusione. L’utilizzo di sensori e software per il controllo del processo consente di rilevare rapidamente le anomalie e ottimizzare i parametri in tempo reale. Questi sistemi migliorano non solo la qualità del film ma anche l'efficienza complessiva, riducendo al minimo i tempi di inattività e gli scarti. Manutenzione Preventiva La manutenzione regolare delle apparecchiature è essenziale per mantenere prestazioni ottimali. Gli operatori dovrebbero ispezionare periodicamente componenti critici come la vite, il cilindro e la testa di estrusione per prevenire problemi legati all'usura o all'accumulo di materiali. Tra le attività consigliabili: Pulizia della vite e del cilindro: Per evitare accumuli di residui. Controllo delle resistenze: Per garantire una distribuzione uniforme del calore. Lubrificazione: Per ridurre l’usura delle parti mobili. Ispezione della testa di estrusione: Per verificare l’assenza di blocchi o danni. Sostituzione dei filtri: Per assicurare un flusso costante del materiale. Conclusione L'ottimizzazione dell'estrusione di film multistrato richiede una combinazione di conoscenza tecnica, tecnologia avanzata e una gestione accurata dei materiali e dei processi. Le aziende che investono in attrezzature moderne e nella formazione del personale possono beneficiare di una maggiore efficienza produttiva, di una qualità superiore del prodotto e di una riduzione dei costi operativi.© Riproduzione Vietatafoto wikimedia
SCOPRI DI PIU'Un composto polimerico di estrema importanza per gli usi più disparati a cui è destinato, ma con un complicato rapporto con il riciclo di Marco ArezioUna resina epossidica è un tipo di polimero termoindurente che, una volta miscelato con un indurente, subisce una reazione chimica chiamata "reticolazione". Questo processo trasforma la resina da uno stato liquido o viscoso a uno stato solido e rigido. Le principali caratteristiche e aspetti delle resine epossidiche:Struttura Molecolare Le resine epossidiche contengono gruppi epossidici (un atomo di ossigeno legato a due atomi di carbonio adiacenti in una catena) che sono reattivi e permettono la reticolazione con vari indurenti. Indurenti Perché una resina epossidica si indurisca, deve essere miscelata con un indurente (o agente di reticolazione). Questo indurente reagisce con i gruppi epossidici della resina, formando una struttura tridimensionale solida. Proprietà Una volta reticolate, le resine epossidiche hanno eccellenti proprietà meccaniche, resistenza chimica e adesione. Sono anche elettricamente isolanti. Applicazioni A causa delle loro ottime proprietà, le resine epossidiche sono utilizzate in una vasta gamma di applicazioni, come adesivi, rivestimenti, compositi rinforzati con fibre, circuiti stampati e molto altro. Manipolazione Le resine epossidiche possono essere modificate per avere proprietà specifiche. Ad esempio, possono essere formulate per avere tempi di indurimento rapidi o lenti, o per resistere a temperature estreme. Estetica Esistono resine epossidiche trasparenti che sono utilizzate in applicazioni artistiche e decorative, come rivestimenti per tavoli o creazioni di gioielli. È importante notare che, una volta che una resina epossidica è completamente reticolata, diventa termoindurente. Ciò significa che, a differenza dei polimeri termoplastici, non può essere rifusa o modellata con l'applicazione di calore. Le resine epossidiche riciclate La ricerca sulle resine epossidiche riciclabili è al centro di grandi interessi negli ultimi anni. Questi tipi di polimeri, come abbiamo detto, sono termoindurenti, il che significa che una volta reticolate o indurite, non possono essere facilmente riciclate o riprocessate. Tuttavia, ci sono studi volti a sviluppare resine epossidiche "riciclabili" o "riproducibili" che possono quindi essere depolimerizzate o riportate a uno stato liquido dopo il processo di reticolazione. Alcune di queste resine epossidiche riciclabili sono state progettate per depolimerizzarsi attraverso specifici stimoli, come il calore o l'esposizione a certi prodotti chimici. L'idea dietro questi materiali è che, una volta depolimerizzati, possano essere riciclati. Ricerche sulle resine episodiche riciclate Le resine epossidiche sono ampiamente utilizzate in una varietà di applicazioni industriali in virtù delle loro ottime proprietà meccaniche di adesione e di resistenza chimica. Tuttavia, una delle principali sfide associate a queste resine è la difficoltà nel loro riciclo a causa della loro natura termoindurente. Diverse soluzioni di riciclo sono state proposte per risolvere il problema: Depolimerizzazione chimica Questo processo coinvolge l'uso di agenti chimici per rompere i legami crociati nella rete epossidica. Una volta depolimerizzate, le resine possono essere potenzialmente riprocessate. Reticolazione dinamica Alcune resine epossidiche sono state modificate per avere legami crociati dinamici che possono scambiarsi sotto determinate condizioni. Ciò significa che possono essere reticolate (indurite) e poi "de-reticolate" quando esposte a determinati stimoli come calore o luce. Riciclo meccanico Invece di cercare di depolimerizzare la resina, questo approccio si concentra sul triturare o frantumare il materiale epossidico indurito in particelle, che possono poi essere riutilizzate come riempitivi o rinforzi in nuovi compositi. Recupero di riempitivi e rinforzi In molti compositi epossidici, la matrice epossidica è solo una componente. Altri componenti, come fibre di carbonio o vetro, possono essere recuperati dal composto e riutilizzati. La ricerca in questo campo è in continua evoluzione. Mentre alcune di queste tecniche sono ancora in fase di sviluppo e potrebbero non essere commercialmente pronte o economicamente fattibili su larga scala, rappresentano comunque importanti passi avanti verso una maggiore sostenibilità nel campo dei materiali epossidici. Storia delle resine epossidiche Le resine epossidiche sono polimeri che sono diventati fondamentali in molte industrie per le loro eccezionali proprietà meccaniche, di adesione e di resistenza chimica. Ecco una breve storia delle resine epossidiche: Primi anni (1930-1940) Le resine epossidiche furono sviluppate per la prima volta negli anni '30. Il chimico svizzero Paul Schlack è spesso accreditato per aver realizzato la prima resina epossidica mentre lavorava per la società tedesca IG Farben. Poco dopo, negli Stati Uniti, la Devoe & Raynolds Company iniziò a sviluppare resine epossidiche basate su bisfenolo A e epossicloridrina. Seconda guerra mondiale Durante la seconda guerra mondiale, c'era un crescente bisogno di materiali ad alte prestazioni, e le resine epossidiche iniziarono a essere utilizzate in applicazioni militari. Anni '50 e '60 Dopo la guerra, la produzione e l'utilizzo delle resine epossidiche si espansero notevolmente. Furono sviluppati nuovi tipi di resine e indurenti, portando a una vasta gamma di proprietà e applicazioni. Durante questo periodo, le resine epossidiche divennero popolari come adesivi strutturali e come matrici per compositi rinforzati con fibra. Anni '70 La crescente consapevolezza ambientale portò alla ricerca di sistemi epossidici senza solventi e a basso contenuto di composti organici volatili (COV). Durante questo periodo, le resine epossidiche divennero anche fondamentali nella produzione di circuiti stampati. Anni '80 e '90 L'industria aerospaziale ha iniziato a utilizzare in modo significativo le resine epossidiche per compositi leggeri e ad alte prestazioni. La ricerca si concentrò anche sul miglioramento delle proprietà termiche e sulla riduzione delle tensioni interne durante la reticolazione. 2000 – Oggi Con la crescente necessità di materiali sostenibili, c'è stato un interesse nella ricerca di resine epossidiche riciclabili o biodegradabili. La tendenza alla miniaturizzazione in elettronica ha anche portato a resine epossidiche con proprietà specifiche per applicazioni come l'incapsulamento di semiconduttori. Oggi, le resine epossidiche sono onnipresenti in molte industrie, da quelle edilizie e navali, all'elettronica, all'aerospaziale, e oltre. Le continue innovazioni e la ricerca in questo campo continuano a espandere le potenzialità e le applicazioni di questi versatili materiali. Dove vengono impiegate le tesine epossidiche Le resine epossidiche sono utilizzate in una vasta gamma di applicazioni. Ecco alcune delle principali applicazioni delle resine epossidiche: Adesivi Questi polimeri sono notevolmente adesivi e sono utilizzati come collanti strutturali per molte applicazioni industriali. Possono aderire a una vasta gamma di materiali, compresi metalli, plastica, legno e ceramica. Rivestimenti Le resine epossidiche sono utilizzate per rivestire pavimenti industriali e commerciali, offrendo resistenza all'abrasione, resistenza chimica e una facile pulizia. Compositi Questi polimeri sono spesso utilizzati come matrice in compositi rinforzati con fibre, come quelli con fibre di carbonio o fibra di vetro. Queste applicazioni sono comuni in settori come l'aerospaziale, l'automotive e lo sport. Circuiti stampati Le resine epossidiche sono un componente fondamentale nella produzione di circuiti stampati utilizzati in elettronica. Protezione Le resine epossidiche sono utilizzate per proteggere componenti elettronici sensibili, isolandoli dall'ambiente esterno. Strutture marine Grazie alla loro resistenza chimica, le resine epossidiche sono utilizzate per la riparazione e la protezione di strutture marine, come scafi di barche. Riparazioni A causa della loro forte adesione e delle loro proprietà strutturali, le resine epossidiche sono spesso utilizzate per la riparazione di una varietà di oggetti, compresi quelli fatti di metallo, ceramica e legno. Attività dentistiche Alcuni tipi di resine epossidiche sono utilizzati in odontoiatria per riempimenti e adesivi. Arte e artigianato Le resine epossidiche trasparenti sono diventate popolari nell'arte e nell'artigianato, utilizzate per creare gioielli, mobili, opere d'arte e altri oggetti artistici. Strutture in calcestruzzo Le resine epossidiche sono utilizzate per la riparazione, il rafforzamento e la protezione delle strutture in calcestruzzo.
SCOPRI DI PIU'Colorazione e Verniciatura dei Prodotti in Plastica di Marco ArezioI prodotti realizzati in plastica, oltre alle innumerevoli doti economiche-strutturali e di circolarità ambientale, hanno anche il pregio di poter accogliere, non solo colori nella massa fusa durante la produzione dell’elemento, ma possono anche essere verniciati superficialmente per attribuire all’oggetto effetti estetici elevati.La colorazione della massa fusa plastica durante la produzione dell’oggetto, attraverso l’utilizzo dei coloranti, avviene miscelando il granulo o le polveri colorate al polimero del prodotto, usufruendo dell’azione di fusione e di miscelazione che imprime l’estrusore dentro il quale passano i componenti. Al termine della produzione da parte della macchina il pezzo sarà uniformemente colorato in massa, risultato per cui il prodotto potrebbe essere idoneo all’impiego finale oppure potrebbe essere avviato all’impianto di verniciatura per finiture particolari. E’ possibile inoltre che i pezzi che devono essere avviati alla verniciatura vengano prodotti senza alcuna colorazione nella massa. Detto questo, gli strati di verniciatura sulle materie plastiche, devono tenere in considerazione la struttura su cui aderiscono e la caratteristica del polimero con cui l’oggetto viene fatto. Infatti, la durezza, il comportamento all’allungamento e la temperatura degli strati di vernice da stendere sul prodotto, devono tenere in considerazione una possibile reazione fisico-chimica della plastica di cui è composto. Un comportamento dinamico troppo rigido di uno strato di vernice applicato ad un oggetto di plastica potrebbe influenzare negativamente la durabilità dell’elemento, come il contatto con temperature e solventi che necessitano per il lavoro di stesura del colore. Alcune tonalità applicate alle materie plastiche hanno un effetto positivo sul rischio di decomposizione fotochimica, come per esempio il colore nero, che influisce positivamente sulla protezione dai raggi UV agendo come un filtro. Le vernici possono inglobare dei composti chimici che operano in modo mirato nella produzione di alcuni elementi, come per esempio le vernici conduttive resistenti all’abrasione, impiegate nei serbatoi della benzina, oppure caricate con Ag, Ni o Cu per realizzare la schermatura ad alta frequenza di apparecchiature elettroniche. Esistono inoltre vernici trasparenti che aumentano la resistenza alla graffiatura per il Policarbonato e per il PMMA, come le acriliche, silossaniche o poliuretaniche, applicate a spruzzo o ad immersione. Nelle colorazioni delle materie plastiche si possono impiegare anche le polveri, specialmente per i polimeri PA6 e PA66, che ricevono la colorazione attraverso un processo che permette di rendere il polimero conduttore, attraverso il metallo o delle microsfere di ceramica, specialmente nel settore sanitario.Categoria: notizie - tecnica - plastica - verniciatura - colorazione - produzione
SCOPRI DI PIU'Le condizioni di acquisto e vendita della plastica riciclata sono cambiate dopo lo stop della Cina per questo sono così importanti i tests sui polimeri riciclatidi Marco ArezioIl mondo dei controlli sulla qualità sui polimeri riciclati ha vissuto due epoche storiche: il prima e il dopo rispetto al blocco delle importazioni dei rifiuti da parte della Cina. Vediamo perché. Fino al 2017 i materiali plastici di scarto, specialmente quelli più difficili da trattare o quelli non riciclabili con gli impianti di trattamento dei rifiuti di tipo meccanico, trovavano un semplice sbocco sul mercato cinese, senza quindi doversi preoccupare di investire in ricerca e sviluppo sul riciclo di questa tipologia di prodotti. La conseguenza dell’afflusso nel mercato cinese di questi materiali, era la minor presenza sui mercati mondiali di materia prima di bassa o bassissima qualità, in quanto i riciclatori occidentali trattenevano presso le proprie fabbriche i materiali riciclati nobili o nobilissimi, per creare un commercio diretto. Questi scarti plastici qualitativi venivano rivenduti sotto forma di balle, macinati o granuli per poter produrre prodotti riciclati di buona qualità. Nel momento in cui la Cina ha iniziato a rifiutare la “spazzatura” plastica che arrivava ai loro porti, i riciclatori mondiali si sono trovati di fronte ad un grave problema circa il loro smaltimento su mercati alternativi. In un primo momento hanno trovato strade alternative verso i paesi vicino alla Cina, come la Thailandia, il Vietnam, le Filippine, il Laos, la Cambogia e altri, ma nel giro di breve tempo i governi locali, sommersi dai rifiuti, hanno adottato un sistema di respingimento cinese. Anche l’Africa è stata interessata in questo fenomeno di smaltimento internazionale dei rifiuti, ma anche in questo continente stanno aumentando le opposizioni a questo traffico. Con l’aumento della presenza dei rifiuti plastici scadenti nei paesi di produzione, è iniziata a peggiorare la qualità media dei prodotti di base che contemplavano il paniere delle plastiche di derivazione della raccolta differenziata. Si sono verificati fenomeni di mix di materiali tecnicamente non lavorabili, che peggioravano in modo evidente le qualità delle materie prime riciclate, creando un fenomeno di maggior attenzione e di necessari controlli tecnici sulle partite in acquisto o in vendita. L’esplosione poi delle transazioni on line sui polimeri riciclati e sugli scarti da parte dei portali specializzati, ha reso necessario un nuovo approccio all’acquisto e alla vendita dei prodotti plastici. Si è reso indispensabile, prima dell’acquisto, alcune analisi minimali per la definizione della qualità del prodotto proposto per evitare acquisti incauti. I tre tests basilari sono il Melt Index, il DSC e la Densità, che si possono chiedere sia per il campione in arrivo, che sul carico consegnato, per controllare la corrispondenza della qualità tra i due tests e legare il pagamento all’esito delle prove fatte da un laboratorio indipendente. La società Arezio Marco si occupa di questi servizi on-line, attraverso un laboratorio indipendente, per facilitare le transazioni tra i soggetti interessati. Tra i tre tests di base, necessari per identificare un polimero riciclato, troviamo la prova della fluidità del materiale che viene fatta su un campione che può essere rappresentato da un granulo, ma può essere anche realizzato su un prodotto macinato. Il valore del Melt Flow Index (MFI) è un valore necessario per indentificare la fluidità del materiale all’interno di un cilindro, sotto l’effetto di un peso, ad una determinata temperatura e per un preciso intervallo di tempo. Siccome esiste un chiaro rapporto tra la fluidità e la viscosità dei polimeri immessi nella macchina, si può genericamente affermare che più un polimero è fluido e meno è viscoso, e viceversa. Il valore dell’MFI è importante per capire il comportamento fluidodinamico del materiale nelle fasi estrusione, soffiaggio o stampaggio e, anche, per poter combinare altre tipologie di materiali nell’ambito dei compounds polimerici. La prova dell’MFI può anche dare alcune altre indicazioni collaterali osservando gli spaghetti che escono dalla macchina, infatti se gli spaghetti in uscita diventano progressivamente più pesanti, si può dedurre che il materiale sia in fase di degradazione sotto l’effetto della temperatura. Se invece lo spaghetto diventasse più leggero e ruvido, questo può indicare che il materiale sia in fase di reticolazione che ne riduce lo scorrimento. Il calcolo dell’MFI può essere fatto secondo il metodo gravimetrico o volumetrico. Nel caso della prova secondo il principio gravimetrico, il polimero viene caricato in un cilindro riscaldato ad una temperatura stabilità, esercitando poi una forza costante che spinge il polimero fuso attraverso un ugello calibrato. La massa che attraversa questo ugello, per un tempo stabilito, determina il valore dell’MFI. La temperatura di riscaldamento del cilindro e il peso da esercitare sul polimero dipendono dalla tipologia di plastica da provare. Nel caso della prova secondo il principio volumetrico, l’impianto è anche dotato di un accessorio che può stabilire quanti cm3 di materiale passeranno dall’ugello calibrato in un determinato intervallo di tempo. Il valore dell’MFI ci indicherà anche il volume di materia che sarà transitata dall’ugello, in base al peso e al tempo stabilito in prova, indicandoci una stima del peso molecolare medio.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - test
SCOPRI DI PIU'Da molti anni gli alimenti possono essere porzionati attraverso un imballo costituito da una pellicola in PVCdi Marco ArezioE’ ormai nostra abitudine acquistare porzioni di cibo che il negoziante o la grande distribuzione confeziona attraverso una pellicola in PVC. Anche nelle nostre case, lotti parziali di cibo, vengono comunemente avvolti in queste pellicole per aumentare la durata della conservazione e salvaguardarne la qualità.Sebbene oggi esistano anche diverse pellicole per alimenti in PE, il mercato del PVC è ancora quello più importante per via di numerosi fattori tecno-economici. L’uso del polimero di PVC permette di realizzare una pellicola molto resistente, con una bassa permeabilità all’acqua e all’ossigeno, con una buona resistenza agli acidi e agli alcali diluiti. Inoltre, per un fatto del tutto pratico, le pellicole alimentari in PVC hanno una ottima capacità di confezionamento, saldandosi facilmente ad un piatto o ad una ciotola o su se stesso. Dal punto di vista economico, la presenza del cloro nel composto in PVC, fondamentale per la sua struttura chimica, riduce in modo sensibile il costo del prodotto finito, questo perché si configura un risparmio di etilene pari a circa il 50% rispetto all’uso del PE a parità di prodotto. Utilizzando il PVC è possibile inserire una serie di additivi che ne possono modificare le caratteristiche prestazionali, avendo la possibilità di creare, con un unico polimero, prodotti differenti. Vediamo gli additivi principali che vengono usati nell’industria del packaging: • Agenti anti blocking: riducono la tendenza all’adesività • Agenti anti appannamento: promuovono la formazione di un velo di liquido omogeneo e continuo • Antimicrobici: prevengono la crescita di microrganismi • Antiossidanti: Prevengono la degradazione del film dovuta all’atmosfera • Antistatici: Riducono l’accumulo di cariche elettriche che attraggono la polvere • Agenti rigonfianti: vengono impiegati per produrre schiume da materie plastiche • Catalizzatori: fanno iniziare la polimerizzazione nella produzione di resine plastiche • Coloranti: permettono la colorazione delle pellicole • Agenti accoppianti: favoriscono l’accoppiamento tra i pigmenti e i polimeri • Ritardanti di fiamma: riducono l’infiammabilità dei materiali che sono combustibili • Stabilizzatori di calore: riducono la degradazione del PVC in acido cloridrico • Lubrificanti: Riducono adesività tra il PVC e le parti metalliche • Plastificanti: migliorano la flessibilità, la lavorabilità e la dilatabilità Tutti questi additivi, ma specialmente i plastificanti, sono soggetti ad una strettissima normativa per permetterne l’uso in ambito alimentare. C’è da considerare che in commercio esistono circa 300 tipologie di plastificanti e quelli approvati per l’uso alimentare, sono soggetti alla normativa di disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d’uso personale. Le sostanze che potrebbero trasferirsi dall’imballo all’alimento possiamo dividerle in tre categorie: • Sostanze aggiunte: sono principalmente rappresentate dagli additivi del PVC sopra elencati • Residui: rappresentano parti di materiale polimerico con incomplete reazioni (monomeri, catalizzatori, solventi, adesivi ecc.) • Prodotti di neo formazione: sono sostanze che si originano dalla decomposizione spontanea dei materiali o durante le operazioni di trasformazione in manufatto Queste sostanze definite di neoformazione, sono molto variabili tra loro, in funzione di molti fattori chimico-fisici che si possono presentare e che possono influire sull’eventuale trasferimento di sostanze all’alimento di difficile gestione e risoluzione.Categoria: notizie - tecnica - plastica - pellicole alimenti - PVC - packaging
SCOPRI DI PIU'Come la chimica degli agenti di adesione migliora l'efficacia dei materiali plastici e favorisce il riciclo in un'economia circolaredi Marco ArezioGli agenti di adesione sono composti fondamentali nell'industria delle materie plastiche e delle superfici composite, utilizzati per migliorare l'adesività tra materiali diversi. Questi agenti chimici, grazie alla loro capacità di formare ponti molecolari tra superfici eterogenee, rendono possibile la coesione tra materiali organici e inorganici, come plastiche, metalli, vetro o materiali polimerici. In un contesto di economia circolare, dove la riciclabilità dei materiali plastici è un obiettivo primario, l'uso di agenti di adesione gioca un ruolo chiave nell'ottimizzare la compatibilità tra diversi polimeri e additivi. Struttura Chimica e Funzionamento degli Agenti di Adesione Gli agenti di adesione operano grazie alla loro struttura chimica bifunzionale, che include un gruppo funzionale capace di legarsi a superfici inorganiche, come vetro, metalli o fibre, e un altro gruppo che può interagire con matrici polimeriche organiche. Ad esempio, i silani semi-organici e i titanati sono tra i più utilizzati per legare resine reattive rinforzate con fibre di vetro. Questi agenti agiscono creando un'interfaccia chimica che migliora la forza di adesione attraverso l'interazione tra i gruppi chimici presenti sulle superfici.L’efficacia dell'agente dipende dalla chimica superficiale del substrato e dalla natura del polimero. I gruppi funzionali devono essere scelti in base ai materiali da legare, garantendo compatibilità e reattività chimica. Per esempio, l'utilizzo di silani con gruppi idrolizzabili permette la formazione di legami covalenti tra superfici inorganiche e gruppi organici presenti nel polimero. Applicazioni degli Agenti di Adesione Gli agenti di adesione trovano vasta applicazione in vari settori industriali. Nella produzione di materiali plastici rinforzati o compositi come quelli utilizzati nei settori automobilistico e aerospaziale, essi sono cruciali per migliorare la resistenza meccanica e la durata dei componenti. Inoltre, vengono impiegati nella produzione di film multistrato per l'imballaggio, dove più strati di materiali plastici con proprietà diverse devono essere accoppiati senza che vi sia delaminazione.Inoltre, sono ampiamente utilizzati nel coating e nelle vernici, in cui è essenziale garantire una buona adesione tra il rivestimento e il substrato sottostante, sia esso metallico, plastico o composito. In molti casi, vengono utilizzati stearati come fase di pretrattamento per migliorare ulteriormente l'adesione di un additivo inorganico. In questo modo, il rivestimento non solo aderisce meglio, ma fornisce anche una protezione aggiuntiva contro la corrosione o il degrado termico. Compatibilità e Riciclo delle Materie Plastiche Una sfida rilevante nell’uso degli agenti di adesione è rappresentata dalla compatibilità tra i diversi materiali, soprattutto quando si tratta di materie plastiche miste o riciclate. In un'economia circolare, la gestione delle plastiche miste richiede una particolare attenzione per garantire che i diversi componenti non compatibili o debolmente compatibili possano essere trattati insieme senza comprometterne le prestazioni. Gli agenti di adesione possono essere utilizzati per migliorare la compatibilità tra polimeri differenti e per facilitare il riciclo delle materie plastiche, specialmente quando si ha a che fare con plastiche che normalmente non formerebbero legami forti.In questo contesto, i copolimeri VC, polimeri vinilpiridinici o polimeri acrilonitrile-acido metacrilico, vengono impiegati per migliorare la compatibilità tra plastiche miste. Questi copolimeri offrono la possibilità di creare un'interfaccia coesa tra polimeri differenti, facilitando così il riciclo e aumentando il valore del materiale riciclato. L'aggiunta di questi agenti consente di ottenere un prodotto finale con proprietà meccaniche ed estetiche ottimali, anche a partire da materiali di scarto o derivati dal riciclo. Innovazioni e Prospettive Future Con il continuo avanzamento delle tecnologie di produzione, l'uso degli agenti di adesione è destinato a crescere. Innovazioni nella chimica dei copolimeri e lo sviluppo di agenti di adesione bio-based rappresentano aree di ricerca promettenti. Questi nuovi materiali potrebbero ridurre l'impatto ambientale dei prodotti, rendendo l'intero processo più sostenibile.Inoltre, con la crescente attenzione verso il riciclo e la sostenibilità, si prevede che gli agenti di adesione continueranno a svolgere un ruolo fondamentale nel migliorare la compatibilità tra materiali, facilitando così l'integrazione di materiali riciclati all'interno di catene di produzione esistenti. Un esempio potrebbe essere l'impiego di resine epossidiche (EP) o resine fenoliche insieme a copolimeri per accoppiare materiali con proprietà chimiche molto diverse. Conclusioni Gli agenti di adesione rappresentano un elemento chiave per migliorare l'efficacia e la sostenibilità dei materiali plastici. Grazie alla loro capacità di creare legami chimici tra materiali diversi, essi migliorano la resistenza, la durabilità e la compatibilità tra i polimeri, rendendo possibile lo sviluppo di nuovi prodotti più performanti e facili da riciclare. L'innovazione in questo campo contribuirà sicuramente a una maggiore sostenibilità dei processi produttivi e all'integrazione di soluzioni più ecologiche nelle catene industriali, un aspetto cruciale per il futuro dell’economia circolare.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Che Qualità di Film è Ottenibile con l'Uso dell' LDPE Riciclato?di Marco ArezioMai come oggi la qualità di un granulo di LDPE riciclato è importante per la produzione di un film, in quanto le aspettative del mercato, che si sta spostando dalle materie prime vergini a quelle riciclate, sono molto alte.Non è sempre facile trasmettere al cliente, che vuole produrre con un LDPE riciclato, la necessità di conoscere la genesi del riciclo per non sbagliare ad acquistare il prodotto basandosi, magari, solo sulla convenienza economica della materia prima riciclata rispetto a quella vergine che gli viene offerta. Diciamo, in linea di principio, che anche nel campo dell’LDPE riciclato ci sono famiglie di prodotto attraverso le quali si possono produrre alcuni articoli e, di conseguenza, non se ne possono produrre altre se si vuole ottenere sempre un buon risultato tecnico ed estetico sull’articolo finito da immettere sul mercato. Le macro famiglie si possono distinguere in tre aree: • LDPE riciclato da post consumo • LDPE riciclato post consumo industriale • LDPE riciclato post industriale Il granulo in LDPE da post consumo viene prodotto attraverso il processo di riciclo dello scarto della raccolta differenziata, che viene separato, macinato, lavato, densificato ed estruso in granuli. La prima cosa da considerare dei prodotti di questa famiglia è il grado di contaminazione a cui il film lavorato viene sottoposto durante la sua vita, infatti, la raccolta differenziata comporta la mescolazione nei sacchi della raccolta domestica inquinanti, come resti di cibo, oli, grassi, poliaccoppiati di imballi alimentari e molti altri prodotti che, durante le fasi di raccolta, solidarizzano con il film da riciclare creando un problema di qualità a valle del processo. Inoltre, durante la separazione meccanica, può capitare che parti di altre plastiche rimangano all’interno del flusso dell’LDPE da riciclare creando un altro filone di contaminazione nel processo di produzione del granulo. I sistemi di riciclo meccanico contemplano il lavaggio del materiale selezionato ma, spesso, questo non è sufficiente per ridurre la presenza di plastiche diverse dall’LDPE e lo scioglimento e il distaccamento di parti non plastiche presenti sul prodotto da lavare. Queste contaminazioni possono creare diverse problematiche nella produzione del film: • Odori pungenti nel prodotto finito • Fragilità al taglio dovuta alla presenza di polipropilene • Grumi non fusi nella fase di estrusione con la conseguente puntinatura del film • Irregolarità della superficie del film dovuta alla degradazione delle impurità nella fase di estrusione • Inconsistenza del film dovuta all’eccessiva presenza di gas all’interno del granulo causata dalla degradazione del materiale estruso • Difficoltà di creare una bolla regolare a seguito della possibile degradazione del polimero in fase di soffiaggio per la presenza dei problemi sopra elencati. L’uso che normalmente si fa del granulo in LDPE da post consumo da raccolta differenziata è riservato a sacchi per la spazzatura di spessore non inferiore agli 100-120 micron, di colori scuri, in cui il possibile odore, la puntinatura del film e la possibile fragilità al taglio sono dai clienti tollerati a fronte di un prezzo competitivo. Un’altra applicazione sono i teli da copertura provvisoria, normalmente neri, con spessori da 140 a 300 micron in cui le impurità presenti nei granuli si diluiscono negli spessori generosi del film. Il granulo da post consumo industriale è un prodotto molto vicino alla categoria del post industriale che vediamo successivamente, in quanto l’input del materiale non viene dalla raccolta differenziata ma esclusivamente dalla raccolta degli imballi industriali, dei supermercati e del settore del commercio, i cui film da imballo non vengono in alcun modo contaminati da sostanze nocive per il riciclo. Una volta raccolti questi film vengono divisi per colore, macinati lavati, densificati ed estrusi in granuli adatti alla produzione di films.Quali sono i vantaggi di questo flusso:• Materiale non contaminato da rifiuti organici o liquidi industriali • Selezionato per colore • Selezionato per tipologia di plastica • Normalmente soggetto al primo riciclo • Non contiene poliaccoppiati da packaging alimentare La produzione di film con questa tipologia di materiale permette la realizzazione di spessori molto sottili, a partire da 20 micron, utilizzando al 100% il granulo riciclato. Il film rimane elastico, le saldature non si aprono in quanto non si realizza l’influenza negativa della presenza di PP come nel post consumo, non presenta odori sgradevoli, si possono realizzare film trasparenti, anche se si parte da un granulo non trasparente, o film di colorati aggiungendo del master. Esiste anche una versione adatta alla produzione di film nero, dedicato principalmente ai sacchetti per l’immondizia con spessori da 20 a 100 micron o ai teli da copertura per l’edilizia in cui è richiesto un buon grado di resistenza allo strappo. Il granulo post industriale neutro proviene normalmente da scarti di lavorazione di film neutri che vengono raccolti e divisi per colore, macinati e nuovamente estrusi in granuli per la produzione. Un’altra tipologia di LDPE post industriale è caratterizzata dall’utilizzo di scarti delle lavorazioni del polimero delle industrie petrolchimiche, che vengono compattati in blocchi o barre, per poi essere macinati o polverizzati e riutilizzati come materia prima in fase di estrusione dei granuli. Questo tipo di LDPE riciclato è molto simile ad un polimero vergine, sia per caratteristiche meccaniche che di trasparenza nella produzione del film. Non ha odori, non ha alterazioni di colore, si può miscelare con la materia prima vergine, se richiesto e conserva ottime caratteristiche meccaniche e di qualità nella superficie. Articoli correlati:LDPE RICICLATO DA POST CONSUMO: 60 TIPOLOGIE DI ODORI OSTACOLANO LA VENDITALDPE DA POST CONSUMO. COME RIDURRE LE IMPERFEZIONI. EBOOK Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - LDPE - film plastici - post consumoVedi maggiori informazioni sul riciclo dell'LDPE
SCOPRI DI PIU'Robustezza, visibilità, durabilità, sicurezza, resistenza alle temperature e riciclate, questo si chiede a una cassa agricoladi Marco ArezioIn campagna quando c’è il periodo della raccolta della frutta e della verdura, che si svolge ancora prevalentemente a mano, i contenitori dei prodotti agricoli raccolti, per essere trasportati ai reparti di lavorazione e confezionamento, devono presentare caratteristiche particolari. Le casse agricole, dette da trasporto in quanto hanno la funzione di ricevere il frutto o la verdura tolta dalla pianta o dal campo, sono elementi generalmente in plastica adatti a contenere il prodotto per essere poi trasportato nei centri di lavorazione e confezionamento. In passato tutte le casse agricole da trasporto erano prodotte utilizzando polimeri vergini, ed realizzate utilizzando colorazioni sgargianti come il giallo, il rosso, il bianco per essere facilmente notabili nel campo. Questo tipo di imballo viene anche impiegato per il contenimento e la spedizione della frutta lavorata di elevato peso, che deve anche ricevere una conservazione alle basse temperature. Oggi la cassa agricola viene generalmente prodotta in materiale riciclato, che sia in PP o in HDPE, utilizzando materiali provenienti dalla raccolta differenziata. Si è cercato di dare una normativa alla filiera del prodotto che imponesse l’uso di materiali riciclati provenienti dalle sole casse agricole, ma in effetti la tracciabilità, nelle fasi di lavorazione della plastica attraverso la raccolta, macinatura, lavaggio ed eventuale granulazione, non permette che venga escluso un possibile contatto con altre tipologie di plastiche o contaminazioni. Questo perché, pur potendo disporre di imballi provenienti dalla sola agricoltura, i processi di trasformazione e riciclo in una nuova materia prima, sottopongono l’input al passaggio in macchine di triturazione e a impianti di lavaggio ed estrusione, nel caso dei granuli, che hanno lavorato anche altre materie prime. Sulla base di queste informazioni bisogna però dire che il prodotto raccolto nel campo ha già di per sé un grado di protezione che può essere la buccia, anch’essa tra l’altro, sottoposta all’irrorazione di insetticidi ed antifungini durante la fase di crescita del prodotto, i quali hanno un impatto decisamente più importante rispetto ad un contatto tra la frutta e con un prodotto inerte come la plastica riciclata. La scelta della plastica da utilizzare dipende dal ciclo di lavoro delle derrate alimentari che verranno contenute e dal tipo di logistica che si deve impiegare. Se la cassa ha una mera funzione di mobilità del raccolto dal campo fino allo stabilimento di lavorazione, non è di grande importanza la scelta se usare una cassa in polipropilene o in polietilene ad alta densità, ma se la frutta o la verdura devono essere conservate nelle celle frigorifere, la scelta cade sull’HDPE che ha un grado di resistenza alle basse temperature più importante rispetto al polipropilene. La produzione della materia prima, di entrambe le categorie plastiche, avviene attraverso l’uso dello scarto degli imballi che il sistema della raccolta differenziata può mettere a disposizione e tramite la riconversione a nuovo di magazzini di aziende delle bibite o della logistica, che periodicamente sostituiscono il loro parco contenitori. Vediamo le differenze di produzione della materia prima: Il Polipropilene viene generalmente prodotto dai rifiuti di imballi del settore alimentare, cassette agricole e industriali che vengono selezionati per provenienza, macinati in dimensioni di circa 10-12 mm., deferrizzati, lavati in impianti a rotazione e a decantazione in vasca, densificati per lacune tipologie di imballi e, se richiesto, avviati agli estrusori per la granulazione. La fluidità del prodotto realizzato, normalmente, si aggira intorno ad un range compreso tra 6 e 12 a 230°-2,16 kg. e può essere generalmente colorato con colori scuri. La materia prima gode di una certa abbondanza nei mercati della plastica e ha generalmente un prezzo contenuto sia per quanto riguarda il macinato che il granulo. Le casse risultano robuste, in quanto normalmente la percentuale di PP all’interno della ricetta è solitamente intorno al 90%, ma sono sconsigliate per un uso nelle celle frigorifere.Il Polietilene ad alta densità non gode della stessa facilità di reperimento sul mercato in quanto l’industria del packaging, soprattutto quella delle acque minerali e delle bibite, ha da tempo puntato su imballi in film plastici, lasciando il mercato del riciclo senza prodotto. Ci sono ancora aree di produzione nel mondo in cui si preferisce la realizzazione delle casse con materiali vergini, specialmente in alcuni settori alimentari in cui esiste un contatto diretto con il cibo non protetto, e questo genera un piccolo mercato del riciclo. Altre produzioni di casse con materia prima vergine vengono eseguite in paesi in cui i sistemi di separazione dei materiali e il successivo riciclo non sono così sviluppati da creare un ciclo di approvvigionamento sufficiente per chi costruisce questi imballi. In ogni caso, la produzione di un HDPE riciclato per la produzione di casse agricole passa dalla separazione per colore delle casse disponibili, così da poter impiegare la materia prima senza aggiungere coloranti in fase di stampaggio, la macinazione e la deferrizzazione del macinato in HDPE e il successivo lavaggio con il doppio passaggio come per il polipropilene. La fluidità varia da 6 a 8 a 190°/2,16 Kg. e il macinato può essere impiegato direttamente in macchina per produrre la cassa oppure passare alla fase di granulazione.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PP - HDPE - casse agricole
SCOPRI DI PIU'Una panoramica tecnica sull'uso degli agenti nucleanti per ottimizzare la cristallinità, la trasparenza e le proprietà meccaniche delle materie plastiche semi-cristalline, con un focus sulle applicazioni industrialidi Marco ArezioLe materie plastiche semi-cristalline, come il polipropilene (PP) e il polietilene (PE), sono materiali ampiamente utilizzati nell'industria grazie alle loro eccellenti proprietà meccaniche, termiche e chimiche. Tuttavia, le caratteristiche finali di questi materiali sono strettamente legate alla loro struttura cristallina, che può essere influenzata durante il processo di produzione. Per migliorare la cristallinità, la trasparenza e altre proprietà delle plastiche semi-cristalline, vengono aggiunti agenti nucleanti, che svolgono un ruolo cruciale nell'ottimizzazione delle performance del materiale. Questo articolo tecnico approfondisce il funzionamento degli agenti nucleanti, le loro tipologie e i vantaggi che apportano nel processo di produzione delle materie plastiche. Cosa sono gli agenti nucleanti? Gli agenti nucleanti sono additivi utilizzati per migliorare la struttura cristallina delle materie plastiche semi-cristalline. Questi agenti promuovono la formazione di nuclei cristallini durante il raffreddamento del materiale plastico fuso, velocizzando il processo di cristallizzazione. Questo porta a una struttura più fine e controllata, con conseguente miglioramento delle proprietà meccaniche e ottiche del materiale. Funzionamento degli agenti nucleanti Il processo di cristallizzazione delle materie plastiche semi-cristalline è un fattore determinante nella loro performance finale. In assenza di agenti nucleanti, il polimero cristallizza lentamente, generando sferoliti di grandi dimensioni, che influiscono negativamente sulle proprietà ottiche e meccaniche. Gli agenti nucleanti, invece, agiscono come "germi" su cui la cristallizzazione può iniziare, accelerando il processo di formazione dei cristalli e riducendo le dimensioni degli sferoliti. L'aggiunta di agenti nucleanti porta quindi a una cristallizzazione più veloce, riducendo i tempi di ciclo di produzione, e a una struttura cristallina più fine e omogenea, che migliora la stabilità dimensionale del prodotto finale. Tipologie di agenti nucleanti Gli agenti nucleanti possono essere suddivisi in due principali categorie: agenti nucleanti insolubili e agenti nucleanti solubili. Agenti nucleanti insolubili Questi additivi, spesso costituiti da ossidi di metallo, silice, talco o nitruro di boro, rimangono dispersi nel materiale plastico fuso e agiscono come siti di nucleazione su cui possono formarsi i cristalli. Questi materiali sono particolarmente efficaci per migliorare le proprietà meccaniche e termiche delle materie plastiche, ma non sempre offrono una trasparenza ottimale. Agenti nucleanti solubili (Clarifier) I clarificanti, come quelli utilizzati nel polipropilene, si dissolvono nel polimero fuso e formano una rete tridimensionale fibrosa durante il raffreddamento, sulla quale avviene la cristallizzazione. La nucleazione così ottenuta è molto densa e uniforme, garantendo la produzione di materiali con un'elevata trasparenza e migliori proprietà ottiche. Questi additivi sono particolarmente utilizzati per migliorare l'aspetto dei prodotti plastici trasparenti. Vantaggi dell'uso degli agenti nucleanti L'impiego di agenti nucleanti offre numerosi vantaggi nella lavorazione delle materie plastiche semi-cristalline. Tra questi: Velocità di cristallizzazione: La presenza di agenti nucleanti aumenta la velocità di formazione dei cristalli, riducendo il tempo necessario per il raffreddamento e la solidificazione del pezzo plastico. Questo si traduce in una maggiore efficienza produttiva, con una riduzione dei tempi di ciclo. Miglioramento delle proprietà meccaniche: La struttura cristallina più fine ottenuta grazie agli agenti nucleanti aumenta la rigidità, la resistenza agli urti e la stabilità dimensionale del materiale plastico. Trasparenza: I clarificanti, in particolare, permettono di ottenere materiali plastici trasparenti e con ottime proprietà ottiche, essenziali per applicazioni che richiedono un'estetica di alta qualità. Riduzione dei difetti estetici: Una cristallizzazione più controllata riduce i segni di affondamento e altri difetti estetici che possono verificarsi durante il raffreddamento del materiale plastico. Applicazioni industriali degli Agenti NucleantiGli agenti nucleanti trovano impiego in una vasta gamma di settori industriali, tra cui: Imballaggi Nel settore degli imballaggi, la trasparenza è spesso un requisito fondamentale. I clarificanti sono utilizzati per migliorare la trasparenza del polipropilene, ad esempio nella produzione di contenitori per alimenti. Settore automobilistico Le plastiche semicristalline rinforzate con agenti nucleanti offrono una maggiore resistenza e stabilità dimensionale, rendendole ideali per la produzione di componenti automobilistici leggeri e resistenti. Elettronica Le proprietà migliorate delle plastiche nucleate, come la stabilità dimensionale e la resistenza al calore, le rendono adatte per componenti elettrici ed elettronici. Arredamento e prodotti di consumo I materiali plastici trasparenti e resistenti, ottenuti con l'uso di agenti nucleanti, sono ampiamente utilizzati nella produzione di articoli casalinghi, mobili in plastica e dispositivi di consumo. Conclusioni Gli agenti nucleanti sono essenziali per migliorare le prestazioni delle materie plastiche semicristalline, offrendo vantaggi significativi in termini di velocità di produzione, proprietà meccaniche, estetica e trasparenza. Con lo sviluppo continuo di nuovi additivi e tecnologie, l'uso degli agenti nucleanti continuerà a svolgere un ruolo cruciale nell'ottimizzazione delle materie plastiche per una vasta gamma di applicazioni industriali.
SCOPRI DI PIU'Dalla produzione alla sostenibilità: caratteristiche, applicazioni e potenziale di riciclo delle resine derivate da biomassa rinnovabiledi Marco ArezioLe resine furaniche, note anche come resine a base di furano, sono materiali polimerici sintetici derivati da composti organici che contengono l'anello furanico, una struttura ciclica costituita da quattro atomi di carbonio e un atomo di ossigeno. Questo tipo di resine si caratterizza per le sue proprietà uniche, come la resistenza alle alte temperature, agli agenti chimici e all'usura, rendendole un'opzione ideale in numerosi settori industriali. Composizione e Produzione delle Resine Furaniche Le resine furaniche sono generalmente prodotte a partire da furfurale o furfuril alcol, che sono ottenuti da biomassa lignocellulosica come sottoprodotti agricoli. La produzione di furfurale, che è il precursore chiave per molte resine furaniche, inizia solitamente con la depolimerizzazione della pentosana (un polisaccaride presente nella biomassa) mediante idrolisi acida. Una volta ottenuto il furfurale, questo può essere convertito in furfuril alcol, che rappresenta uno dei monomeri principali utilizzati per la produzione delle resine furaniche. Le principali fasi di produzione delle resine furaniche comprendono: Sintesi del furfurale: Il furfurale è un liquido ottenuto dalla disidratazione degli zuccheri pentosi, spesso derivati da scarti agricoli come le pannocchie di mais, la crusca di riso e altre fonti lignocellulosiche. Questo processo coinvolge l'idrolisi acida dei materiali ricchi di pentosio, che produce furfurale attraverso una reazione di disidratazione. Polimerizzazione del furfurale: Il furfurale può essere polimerizzato mediante reazioni di condensazione con altri composti, come il fenolo o la formaldeide, oppure può essere direttamente convertito in resine mediante trattamento con acidi catalitici. Il prodotto più comune di queste reazioni è la resina furfurilica, che presenta eccellenti proprietà termoindurenti. Proprietà delle Resine Furaniche Le resine furaniche possiedono una combinazione di proprietà che le rendono uniche rispetto ad altre resine sintetiche. Tra le principali caratteristiche, si possono evidenziare: Resistenza alle alte temperature: Le resine furaniche possono mantenere la loro integrità strutturale anche a temperature elevate, tipicamente fino a 300°C, e per brevi periodi anche oltre. Resistenza chimica: Queste resine mostrano una notevole resistenza agli acidi, agli alcali e a molti solventi organici, il che le rende particolarmente adatte per applicazioni nel settore chimico. Proprietà meccaniche: Le resine furaniche hanno un'elevata durezza e rigidità, caratteristiche che migliorano ulteriormente quando sono rinforzate con materiali come la fibra di vetro. Sostenibilità: Poiché i precursori delle resine furaniche sono derivati da biomassa rinnovabile, queste resine rappresentano un'alternativa più ecologica rispetto ad altri materiali polimerici di origine petrolchimica. Applicazioni delle Resine Furaniche Le resine furaniche trovano impiego in una vasta gamma di applicazioni industriali grazie alle loro caratteristiche sopra elencate. Ecco alcune delle principali aree di utilizzo: Industria delle fonderie: Le resine furaniche vengono ampiamente utilizzate nella produzione di anime e stampi per la colata di metalli. Grazie alla loro elevata resistenza alle temperature e alla loro capacità di formare strutture rigide e stabili, sono preferite nella fusione di metalli ferrosi e non ferrosi. Materiali compositi: Queste resine sono spesso utilizzate come matrici polimeriche per materiali compositi rinforzati con fibre di vetro o carbonio. Questi compositi trovano impiego in settori come l'aeronautica, l'industria automobilistica e quella navale, dove è richiesta una combinazione di leggerezza e resistenza. Rivestimenti e adesivi: Le resine furaniche sono usate come leganti in rivestimenti resistenti alla corrosione per serbatoi di stoccaggio chimico, pavimentazioni industriali e condotte. Inoltre, la loro capacità adesiva le rende ideali per applicazioni che richiedono un legame forte e duraturo tra superfici diverse. Settore edilizio: In campo edile, le resine furaniche sono impiegate nella produzione di calcestruzzi e malte speciali, migliorando la resistenza del materiale agli agenti chimici e all'umidità. Riciclo e Sostenibilità delle Resine Furaniche Il riciclo delle resine furaniche è una sfida tecnica ma possibile grazie al loro carattere termosettante. Essendo resine termoindurenti, non possono essere semplicemente fusi e riformati come le resine termoplastiche, ma richiedono processi di riciclo più complessi. Tuttavia, negli ultimi anni sono stati sviluppati approcci innovativi per il riciclo delle resine furaniche e la loro gestione a fine vita, in linea con i principi dell'economia circolare. Riciclo chimico: Una delle tecniche più promettenti per il riciclo delle resine furaniche è il riciclo chimico, che consiste nella depolimerizzazione della resina per recuperare i monomeri di base, come il furfurale e il furfuril alcol. Questi monomeri possono essere successivamente purificati e riutilizzati per la sintesi di nuove resine. Riciclo meccanico: Un altro metodo è il riciclo meccanico, che prevede la macinazione dei manufatti in resina furanica per ottenere materiali granulari che possono essere utilizzati come riempitivi in nuove formulazioni di resine o come additivi in altri materiali compositi. Recupero energetico: In alternativa, le resine furaniche possono essere utilizzate per il recupero energetico tramite processi di combustione controllata, grazie al loro elevato contenuto energetico derivato dalla biomassa. Questo approccio permette di recuperare l'energia intrinseca del materiale, minimizzando i rifiuti. In un contesto di economia circolare, è fondamentale promuovere la riduzione dei rifiuti industriali e incentivare la rigenerazione delle risorse. Le resine furaniche, grazie alla loro origine da biomassa rinnovabile e alla possibilità di essere riciclate o valorizzate energeticamente, si inseriscono in questo quadro come una soluzione promettente e sostenibile. Considerazioni Future e Innovazioni L'interesse per le resine furaniche è in crescita, in particolare per la loro potenziale applicazione come alternativa sostenibile alle resine sintetiche a base di petrolio. Le ricerche attuali si concentrano sul miglioramento delle tecnologie di produzione e riciclo, nonché sull'ottimizzazione delle loro proprietà meccaniche e termiche per renderle competitive in un numero sempre maggiore di applicazioni. Un'area di ricerca particolarmente interessante riguarda l'ulteriore sviluppo di resine furaniche bio-based completamente prive di derivati del petrolio. Questi progressi potrebbero portare alla creazione di nuovi materiali ancora più ecologici, con un minore impatto ambientale lungo tutto il ciclo di vita. Conclusioni Le resine furaniche rappresentano una famiglia di materiali polimerici ad alte prestazioni con un vasto potenziale applicativo in numerosi settori industriali. Grazie alla loro resistenza chimica, termica e meccanica, sono una scelta privilegiata per la produzione di materiali compositi, rivestimenti e componenti per fonderie. Nonostante le sfide legate al loro riciclo, i progressi tecnologici stanno rendendo queste resine sempre più sostenibili e compatibili con i principi dell'economia circolare. In futuro, le resine furaniche potrebbero svolgere un ruolo chiave nella transizione verso materiali bio-based, contribuendo alla riduzione dell'impatto ambientale dei materiali sintetici.
SCOPRI DI PIU'Come risolvere i problemi estetici nella produzione di flaconi in HDPE riciclatodi Marco ArezioLa produzione di flaconi per la detergenza, per i liquidi industriali ed agricoli, fino a poco tempo fa venivano prodotti con materiali vergini nonostante alcune forme e colori consentivano l’uso di un granulo in HDPE riciclato. L’impatto mediatico dell’inquinamento da plastica dispersa dall’uomo nell’ambiente, ha fatto muovere le coscienze dei consumatori mettendo sotto pressione gli stati, che si occupano della legislazione ambientale, ma anche i produttori delle sostanze contenute nei flaconi che non possono, per questioni commerciali, perdere il consenso dei propri clienti finali. La richiesta di HDPE rigenerato per soffiaggio ha avuto una forte impennata negli ultimi, trovando sicuramente, una parte dei produttori, non totalmente preparati a gestire il granulo riciclato nelle proprie macchine. Non è stata solo una questione di tipologia di granulo che può differire leggermente, dal punto di vista tecnico, dalle materie prime vergini nel comportamento in macchina, ma si sono dovute affrontare problematiche legate alla tonalità dei colori, allo stress cracking, alla tenuta delle saldature, ai micro fori e ad altre questioni minori. In articoli precedenti abbiamo affrontato la genesi dell’HDPE riciclato nel soffiaggio dei flaconi e la corretta scelta delle materie prime riciclate, mentre oggi vediamo alcuni aspetti estetici che potrebbero presentarsi usando il granulo riciclato in HDPE al 100%. Ci sono quattro aspetti, dal punto di vista estetico, che possono incidere negativamente sul buon risultato di produzione: 1) Una marcata porosità detta “buccia d’arancia” che si forma prevalentemente all’interno del flacone ma, non raramente, è visibile anche all’esterno. Si presenta come una superficie irregolare, con presenza di micro cavità continue che danno un aspetto rugoso alla superficie. Normalmente le problematiche sono da ricercare nel granulo, dove una possibile presenza eccessiva di umidità superficiale non permette una perfetta stesura della parete in HDPE in uscita dallo stampo. In questo caso il problema si può risolvere asciugando il materiale in un silos in modo che raggiunga un grado di umidità tale per cui non influirà negativamente sulle superfici. In linea generale è sempre un’operazione raccomandata quando si vuole produrre utilizzando al 100% un materiale rigenerato. 2) Le striature sul flacone sono un altro problema estetico che capita per ragioni differenti, specialmente se si utilizza un granulo già colorato. Le cause possono dipendere da una percentuale di plastica diversa all’interno del granulo in HDPE, anche in percentuali minime, tra il 2 e il 4 %, in quanto, avendo le plastiche punti di fusione differenti, il comportamento estetico sulla parete del flacone può essere leggermente diverso, andando ad influenzare il colore nell’impasto. E’ importante notare che non si devono confondere le striature di tonalità con le striature di struttura, le quali sono normalmente creare dallo stampo del flacone a causa di usura o di sporcizia che si accumula lavorando. Un altro motivo può dipendere dalla resistenza al calore del master che si usa, in quanto non è infrequente che a temperature troppo elevate, sia in fase di estrusione del granulo che di soffiaggio dell’elemento, si possa creare un fenomeno di degradazione del colore con la creazione di piccole strisciate sulle pareti del flacone. 3) Una perfetta saldabilità in un flacone è di estrema importanza in quanto un’eventuale distacco delle pareti, una volta raffreddato e riempito il flacone, comporta danni seri con costi da sostenere per la perdita dell’imballo, delle sostanze contenute e della sostituzione del materiale con costi logistici importanti. Il flacone appena prodotto normalmente non presenta il possibile difetto in quanto la temperatura d’uscita dalla macchina “nasconde” un po’ il problema, ma una volta che la bottiglia si è raffreddata, riempita e sottoposta al peso dei bancali che vengono impilati sopra di essa, un difetto di saldatura si può presentare in tutta la sua problematica. La causa di questo problema normalmente deve essere ricercata nella percentuale di polipropilene che il granulo in HDPE può contenere a causa di una selezione delle materie prime a monte della produzione del granulo non ottimale. Una scadente selezione dei flaconi tra di essi, ma soprattutto dai tappi che essi contengono, possono aumentare la quota percentuale di polipropilene nella miscela del granulo. Esistono in commercio macchine a selezione ottica del macinato lavato che aiutano a ridurre in modo sostanziale questa percentuale, potendola riportare sotto 1,5-2%. Al momento dell’acquisto del carico di HDPE riciclato è sempre buona cosa chiedere un test del DSC per controllare la composizione del granulo per la produzione. L’effetto di una percentuale di PP eccessiva ha come diretta conseguenza l’impedimento di una efficace saldatura delle superfici di contatto che formano il flacone. Oltre ad intervenire sul granulo sarebbe buona regola, se si desiderasse utilizzare al 100% la materia prima riciclata, aumentare leggermente lo spessore di sovrapposizione delle due lati del flacone per favorirne il corretto punto di saldatura. 4) La presenza di micro o macro fori in un flacone, visibili direttamente attraverso un’ispezione o, per quelli più piccoli, tramite la prova della tenuta dell’aria, possono dipendere dalla presenza di impurità all’interno del granulo, quando il lavaggio e la filtratura della materia prima non è stata fatta a regola d’arte. Un altro motivo può dipende da una scarsa pulizia della vite della macchina soffiatrice che può accumulare residui di polimero degradato e trasportarli, successivamente, all’esterno verso lo stampo. Specialmente se si usano ricette con carica minerale è possibile che si presenti il problema subito dopo il cambio della ricetta tra una senza carica a una che la contenga. L’utilizzo di ricette miste tra materiale vergine e rigenerato può mitigare alcuni di questi punti ma non risolvere totalmente gli eventuali problemi se non si ha l’accortezza di seguire la filiera della fornitura del granulo riciclatoCategoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - HDPE - flaconi - soffiaggio
SCOPRI DI PIU'Vetroresina: storia, produzione, impiego e riciclo. Il difficile cammino verso un’economia circolare del prodottodi Marco ArezioLa vetroresina è sicuramente un prodotto che ha avuto un successo molto importante dato dalla flessibilità d’impiego, dalla relativa facilità di produzione e dalle caratteristiche tecniche dei manufatti prodotti che potevano sostituire o migliorare le prestazioni di altri materiali fino ad allora utilizzati. La vetroresina nasce negli anni 20, periodo in cui si stavano studiando materiali che avessero delle caratteristiche prestazionali simili a quelle dei metalli da costruzione (edilizia, aeronautica, navale) ma che si potesse aggiungere un vantaggio in termini di risparmio di peso. Nel corso degli anni 40 si era optato per il rinforzo del poliestere utilizzando la fibra di amianto, un materiale plastico composito con cui si costruivano, per esempio, i serbatoi supplementari per gli aerei. Durante gli anni 50 dello scorso secolo, l’incremento della produzione di fibra di vetro, ha portato ad una progressiva sostituzione della fibra di amianto, creando prodotti tecnicamente più avanzati ed ampliando il campo di applicazione. MA COS’E’ LA VETRORESINA?E’ una plastica composta rinforzata con vetro, detta anche VTR o GRP, utilizzando tessuti o feltri con fibre orientate casualmente e successivamente impregnate con resine termoindurenti, generalmente liquide, composte da poliestere o vinilestere o epossidiche, che induriscono e collegano le fibre stesse attraverso l’azione di catalizzatori ed acceleranti. Le principali caratteristiche dei prodotti realizzati in vetroresina sono: – Leggerezza – Elevate caratteristiche meccaniche – Durabilità – Resistenza alla corrosione – Resistenza agli agenti atmosferici – Ottimo isolamento elettrico – Comportamento al fuoco gestibile con specifici additivi – Buon isolamento termico – Scarsa manutenzione COME VENGONO PRODOTTI I MANUFATTI IN VETRORESINA?Premettendo che la vetroresina non è un composto plastico tradizionale che ha bisogno di calore e di una forza meccanica importante (estrusione, iniezione, soffiaggio) per realizzare i prodotti, ma si basa sul lavoro che svolge la resina polimerizzata che viene a contatto con le fibre di vetro. I processi principali di produzione sono i seguenti: “Hand Lay-Up” consiste nella spalmatura a pennello o rullo di resine, correttamente additivate con catalizzatori e acceleranti, che ne determinano la polimerizzazione anche a temperatura ambiente, su tessuti di vetro. La solidificazione delle resine permette l’inglobamento delle fibre di vetro presenti nello stampo creando l’articolo in vertroresina. “Filamnet Winding” consiste nell’applicare, su un cilindro rotante, normalmente metallico, un filo impregnato con resina catalizzata. Avvolgendo in continuo questo filo sullo stampo, che verrà poi sfilato una volta che la resina sarà indurita, si possono creare tubi o serbatoi cilindrici. “Resin Transfer Moulding” consiste nello spargere a secco, su un lato di uno stampo, una quantità stabilita di fibre di vetro, successivamente si richiude lo stampo con la sua copia e si inietta, a bassa pressione, la resina all’interno. Con questo sistema è possibile eseguire il procedimento di iniezione all’interno dello stampo anche sottovuoto. “Pultrusion” consiste in una produzione simile alla classica estrusione delle materie plastiche, adatta ai materiali compositi per la realizzazione di particolari profili. A QUALI SETTORI SONO DESTINATI E QUALI MANUFATTI IN VETRORESINA SI POSSONO REALIZZARE?Le ottime doti tecniche ed estetiche dei prodotti in vetroresina permettono di impiegarli in moltissimi campi con applicazioni molto ampie: Settore ferroviario Produzione energia Edilizia Fai da te Settore Nautico Settore delle opere sportive Mercato elettrotecnico I prodotti realizzati con la vetroresina sono veramente tanti e non è possibile citarli tutti, ma indicheremo i prodotti che, sul mercato, realizzano i volumi maggiori: Scafi e articoli per il settore nautico. Profili industriali e civili Serramenti e persiane Lucernari Lastre di copertura Pareti Rivestimenti per il settore della refrigerazione Scale e camminamenti Rivestimenti per il settore ferroviario Rivestimenti per il trasporto civile Impianti eolici IL RICICLO DELLE VETRORESINA La vetroresina, essendo un materiale composto, come abbiamo visto, sfugge dalle logiche del riciclo classico dei materiali plastici creando, quindi, varie e complesse problematiche per il suo riciclo. La prima problematica che possiamo ricordare è la presenza delle resine termoindurenti di cui è composto il manufatto, infatti, come sappiamo, la reazione di polimerizzazione è sempre irreversibile, questo significa che se trattassimo i prodotti macinati in vetroresina con il calore, come si fa in genere con altre materie plastiche, non saremmo in grado di riportare a forma liquida le resine impiegate. Il secondo problema riguarda le fibre in vetro che si utilizzano per armare la ricetta. Secondo studi epidemiologici condotti su animali in laboratorio, l’inalazione prolungata alla polvere proveniente da queste fibre, farebbe insorgere carcinomi e mesoteliomi. Nonostante non risultino riscontri sull’uomo dei tests fatti sugli animali, la Comunità Europea ha emesso una direttiva specifica, inserendo le fibre di vetro tra le sostanze pericolose soggette all’obbligo di etichettatura. Infatti le fibre di vetro utilizzate per la realizzazione di manufatti, sono considerate cancerogene di categoria 3 e devono riportare l’etichetta R40 che identifica la possibilità di effetti irreversibili sulla salute. Quindi, nell’ambito dei sistemi di riciclo dei manufatti a fine vita, possiamo riportare le principali destinazioni di smaltimento: Discarica Macinazione dei manufatti in polveri di varie dimensioni e il loro riutilizzo in settori come quello edile. Riciclo tramite pirolisi con la separazione tra fibre e resine Riciclo mediante digestione acida Tra i sistemi di smaltimento oggi impiegati, in termini di volumi, sicuramente la messa in discarica è ancora la più utilizzata, con tutti gli effetti negativi del caso. Per quanto riguarda la macinazione dei manufatti in polveri, risulta sicuramente la via più semplice, da punto di vista pratico, ma lascia aperti tutti i dubbi dal punto di vista sanitario che abbiamo sopra riportato. Mentre per quanto riguarda il riciclo tramite pirolisi o digestione acida non risulta, oggi, economicamente conveniente. E’ evidente che la strada per smaltire gli scarti dei prodotti in vetroresina, a fine vita potrebbe, essere quella del riutilizzo delle polveri macinate in miscele adatte alla produzione di prodotti finiti, ma l’operazione di riduzione volumetrica dei manufatti in vetroresina deve essere realizzata utilizzando attrezzature idonee, in camere isolate, quindi non semplici mulini di macinazione, che salvaguardino la salute dei lavoratori. Esiste inoltre sul mercato un metodo di riciclo degli scarti di vetroresina prodotti con resine ortoftaltica, isoftaltica o vinilestere definito come “recupero con trattamento termico-chimico”. Attraverso questo processo si arriverebbe a recuperare circa l’85% della resina madre, sotto forma di liquido e circa il 99% delle fibre che compongono l’armatura. Tests fatti dal produttore dimostrerebbero che la resina recuperata, che risulta carica di iodio, potrebbe essere rimessa in miscela, con la resina vergine, per la realizzazione di nuovi manufatti senza che vi siano decadimenti prestazionali. Per quanto riguarda le fibre recuperate con questo sistema, viene consigliato un trattamento di calcinazione su di esse, per eliminare i residui carboniosi presenti prima di essere riutilizzate.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - vetroresina
SCOPRI DI PIU'Il Futuro dei Materiali Avanzati nelle Applicazioni del Settore Medico, Alimentare ed Industriale: Polipropilene Isotattico ed Ossido di Zincodi Marco ArezioLa ricerca sui materiali polimerici con proprietà antimicrobiche sta aprendo nuove prospettive per affrontare le sfide globali legate alla sicurezza e alla sostenibilità. Tra questi materiali, i compositi di polipropilene isotattico (iPP) arricchiti con ossido di zinco (ZnO) si distinguono per la loro capacità di combinare resistenza meccanica, stabilità chimica e attività antibatterica. Questo studio ha approfondito la preparazione e la caratterizzazione di microcompositi iPP/ZnO, rivelandone il potenziale in settori chiave come la medicina, l'imballaggio alimentare e l'industria. Unione di Proprietà e Funzionalità Il polipropilene isotattico è ampiamente utilizzato per la sua leggerezza, resistenza chimica e processabilità. Tuttavia, le sue applicazioni possono essere limitate dalla scarsa resistenza ai raggi UV e dalla mancanza di proprietà antimicrobiche. L'integrazione di microparticelle di ZnO in questa matrice polimerica offre una soluzione promettente. L'ossido di zinco, noto per le sue proprietà antibatteriche e schermanti contro i raggi UV, è stato incorporato nel polimero mediante un processo di miscelazione a caldo. I compositi risultanti hanno dimostrato non solo una ridotta degradazione fotoindotta, ma anche un'efficace attività contro Escherichia coli. Principali Risultati della Ricerca Qui di seguito possiamo analizzare i risultati più significativi ottenuti dalla ricerca sui microcompositi di polipropilene isotattico e ossido di zinco (iPP/ZnO). Attraverso una combinazione di test sperimentali e analisi approfondite, sono state esplorate le caratteristiche di stabilità termica, resistenza alla fotodegradazione, attività antibatterica e proprietà meccaniche di questi materiali innovativi. I dati raccolti dimostrano il grande potenziale di questi compositi nel rispondere alle esigenze di settori strategici come il medicale, l’imballaggio alimentare e l’industria, ponendo le basi per futuri sviluppi in applicazioni reali. Di seguito, i principali aspetti della ricerca saranno dettagliatamente illustrati. Resistenza alla Fotodegradazione L'aggiunta di ZnO ha significativamente migliorato la stabilità del polipropilene sotto esposizione ai raggi UV. I test hanno dimostrato che il materiale subisce una minore ossidazione, grazie all'effetto schermante delle particelle di ZnO, che riducono l'intensità della radiazione assorbita dal polimero. Attività Antibatterica I compositi contenenti fino al 5% di ZnO hanno ridotto del 99,9% la popolazione batterica di E. coli dopo 48 ore. Questo effetto è attribuito alla capacità del ZnO di generare specie reattive dell'ossigeno, che danneggiano le membrane dei batteri, rendendo questi materiali ideali per applicazioni in ambienti sterili o altamente contaminati. Stabilità Termica e Meccanica I compositi hanno mostrato una maggiore resistenza termica rispetto al polipropilene puro, con una temperatura di degradazione più elevata. Sebbene l'aggiunta di ZnO abbia leggermente ridotto l'allungamento alla rottura, il materiale ha mantenuto una buona duttilità, essenziale per molte applicazioni industriali. Prospettive di Applicazione e Innovazione I microcompositi di polipropilene isotattico e ossido di zinco rappresentano una frontiera promettente nella ricerca sui materiali avanzati. Questi compositi uniscono proprietà meccaniche, termiche e antimicrobiche in un’unica soluzione, aprendo nuove possibilità applicative. La capacità di resistere alla fotodegradazione e di contrastare efficacemente la proliferazione batterica rende i compositi iPP/ZnO particolarmente adatti per settori fondamentali come la medicina, l’imballaggio alimentare e le applicazioni industriali. La loro efficacia contro batteri come l’Escherichia coli e la protezione dai raggi UV garantiscono prodotti più sicuri e durevoli, rispondendo così alla crescente domanda di materiali sostenibili e innovativi. Tuttavia, per sfruttarne appieno il potenziale, è necessario continuare a sviluppare metodi di ottimizzazione, in modo da migliorare le prestazioni complessive e garantire una maggiore compatibilità ambientale. Questi composti sono indicati nei seguenti settori: Settore Medico Superfici antibatteriche per dispositivi medici e imballaggi sterili potrebbero beneficiare di questi compositi, riducendo il rischio di infezioni. Imballaggi Alimentari La capacità del ZnO di proteggere dai raggi UV e dai batteri lo rende adatto per prolungare la durata degli alimenti confezionati, migliorando la sicurezza alimentare. Industria Componenti esposti a condizioni ambientali difficili, come radiazioni UV e contaminazioni microbiche, potrebbero sfruttare le proprietà combinate di resistenza e igiene offerte dai compositi iPP/ZnO. Sfide e Sviluppi Futuri Nonostante i risultati promettenti, alcuni aspetti richiedono ulteriori studi. La riduzione dell'allungamento alla rottura indica la necessità di ottimizzare la dispersione delle particelle di ZnO e l'interfaccia con la matrice polimerica. L'uso di compatibilizzanti o trattamenti superficiali potrebbe migliorare le proprietà meccaniche senza compromettere quelle funzionali. Inoltre, estendere la ricerca ad altre concentrazioni e combinazioni di nanoparticelle potrebbe portare a materiali ancora più performanti. Le collaborazioni tra università e industria saranno cruciali per tradurre questi sviluppi in soluzioni commerciali. Conclusione I compositi di polipropilene isotattico e ossido di zinco rappresentano una promettente innovazione per affrontare sfide legate alla sicurezza, sostenibilità e durata dei materiali. Grazie alle loro proprietà antibatteriche e alla resistenza ai raggi UV, possono trovare applicazione in numerosi settori, contribuendo a migliorare la qualità della vita e a ridurre l'impatto ambientale. Con ulteriori ottimizzazioni, questi materiali potrebbero diventare una soluzione chiave per molteplici esigenze industriali e sociali.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'La resina acetalica o paraformaldeide (POM) è un polimero riciclato con ottime caratteristiche tecnichedi Marco ArezioIl POM, chiamato comunemente resina alcetalica, è un polimero semicristallino che si forma durante la omo (POM – H) o copolimerizzazione (POM – R) della formaldeide. L’omopolimero POM, (CH2O)n, è tra le materie prime più rigide, anche in assenza di elementi di rinforzo, e ha un’ottima stabilità dimensionale. Il Poliossimetilene o POM, è costituito da un ponte di metilene e un atomo di ossigeno, che attribuiscono al polimero un’alta resistenza e un costo produttivo contenuto rispetto ad altri polimeri dalle simili caratteristiche meccaniche. Le caratteristiche principali del POM sono: • Buona resistenza all’abrasione • Buona resistenza alle alte temperature (fino a 150° e costanti fino a 110°) • Elevata durezza di superficie • Basso coefficiente di attrito • Buon isolamento elettrico e dielettrico • Bassa permeabilità alle sostanze organiche, ai gas e ai vapori • Bassa resistenti agli acidi forti (PH4) • Bassa resistenza agli agenti ossidanti • Bassa resistenza ai raggi UV se non additivato • Bassa igroscopicità • Non saldabile ad alta frequenza Lavorazione del POM (Poliossimetilene) Il polimero può essere normalmente trattato con i soliti sistemi di lavorazione degli altri materiali termoplastici, tuttavia lo stampaggio a iniezione è un sistema di trasformazione del POM molto usato. Le ricette polimeriche con alto peso molecolare portano, normalmente, ad una lavorazione con sistemi di estrusione, mentre quelle leggermente reticolate sono più adatte al soffiaggio. Un’accortezza durante le fasi di stampaggio è quella di preriscaldare gli stampi ad una temperatura tra i 60 e i 130 °C, in questo caso il ritiro di lavorazione si riduce da 3 all’1% con la diminuzione della temperatura dello stampo, e il post ritiro aumenta in proporzione. Campi di applicazione del POM (Poliossimetilene) In virtù delle sue caratteristiche prestazionali in merito alla tenacità e durezza, i prodotti realizzati con il polimero POM sono adatti alla sostituzione di parti metalliche di uso tecnico, come leve, cuscinetti, viti, rotismi, bobine, raccorderie di tubi, parti di macchine utensili e componenti per pompe. Compound e blend con il POM (Poliossimetilene) Il polimero si presta a miscele tecniche che possano aumentarne la resistenza e la durabilità, infatti è possibile additivarli con fibra di vetro, sferette di vetro o cariche minerali. Inoltre è possibile creare dei blend tra il POM e il gli elastomeri PUR, queste miscele permettono di aumentare la tenacità ma, nello stesso tempo, diminuire la rigidità e la resistenza, aggiungendo normalmente circa il 50% di elastomeri PUR. E’ possibile aumentare anche il comportamento all’attrito o allo scorrimento a secco aggiungendo cariche di MoS2, PFT, PE od oli di silicone. Invece, per aumentare la stabilità al calore e la conducibilità elettrica si può aggiungere al POM la polvere di alluminio o di bronzo. Come si ricicla il POM (Poliossimetilene) Gli scarti del POM possono essere di tipo industriale o da post consumo, sono comunque entrambi validi prodotti per poter essere riciclati ed impiegati in miscele tecniche. Gli scarti di tipo industriale, che godono di una pulizia maggiore in partenza, sono generalmente preselezionati e successivamente macinati, per poi essere utilizzati in miscela con il macinato da post consumo o con il POM vergine. Questo dipende sempre dal tipo di trasformazione del polimero che si deve fare e da tipo di prodotto finale, sia per quanto riguarda le caratteristiche fisico - meccaniche che per aspetto estetico. Gli scarti da post consumo, hanno bisogno di una maggiore attenzione in fase di riciclo, infatti potrebbe essere necessario, dopo la selezione, un’attenta valutazione sull’eventuale passaggio in un mulino magnetico, per togliere eventuali parti metalliche, ed un lavaggio per separare il POM da elementi non metallici. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - POM
SCOPRI DI PIU'La colorazione di un polimero plastico riciclato, specialmente se il suo input è lo scarto post consumo, è soggetta a molti fattori che ne influenzano il risultato finale di Marco ArezioNon basta scegliere un masterbach del colore desiderato e seguire le schede tecniche, in cui può essere indicata la percentuale da aggiungere al fuso polimerico, per aspettarsi il colore desiderato. Specialmente se il polimero che stiamo per far nascere proviene dagli scarti plastici da post consumo, il colore desiderato ha bisogno di varie considerazioni a monte, ben prima di accendere l’estrusore, addirittura dal rifiuto plastico che dobbiamo ancora selezionare. Azzardato? Esagerato? No, in quanto ogni elemento plastico che verrà selezionato, porterà con sé la sua storia, in termini di qualità, di performances, di odore e anche di influenza sul colore finale. Rendere più brillante e più uniforme il colore di un polimero riciclato può essere una vera sfida, a causa delle impurità e delle degradazioni che possono verificarsi durante il ciclo di vita del polimero. Tuttavia, ci sono diverse strategie che possono essere utilizzate per migliorare la brillantezza del colore: Pulizia approfondita Una pulizia accurata del polimero riciclato, intesa come una buona selezione, un buon lavaggio e una buona filtrazione, può rimuovere una buona parte di impurità o residui che influenzano negativamente l'aspetto del polimero. Compatibilizzanti Utilizzare dei compatibilizzanti può migliorare la miscelazione di polimeri diversi o di additivi, conducendo a una migliore uniformità e brillantezza. Additivi ottici Gli brighteners ottici (OBAs) possono essere utilizzati per rendere i polimeri riciclati più bianchi o brillanti. Funzionano assorbendo la luce ultravioletta e rilasciandola come luce visibile blu, compensando così le tonalità giallastre indesiderate. Agenti nucleanti Sono additivi che possono influenzare il processo di cristallizzazione dei polimeri semicristallini, come il polipropilene. Una cristallizzazione controllata può portare a migliori proprietà ottiche e a una migliore brillantezza del colore. Additivi di miglioramento della dispersione Questi additivi aiutano nella dispersione uniforme di pigmenti e altri additivi nel polimero, garantendo un colore uniforme. Coloranti di alta qualità Utilizzare pigmenti e coloranti di alta qualità, specifici per i polimeri riciclati, può produrre colori più vividi e brillanti nel polimero riciclato. Processo di estrusione Ottimizzare le condizioni di estrusione, come temperatura e velocità, può migliorare la brillantezza del polimero finito, evitando di stressare termicamente il materiale con ricadute negative sulla qualità delle superfici. Tecniche di finitura Dopo la lavorazione, tecniche di finitura come lucidatura o rivestimento possono essere utilizzate per migliorare la brillantezza del prodotto finale. Stabilizzatori UV L'esposizione ai raggi UV può causare la degradazione del colore nel tempo. L'uso di stabilizzatori UV può aiutare a proteggere il colore dallo sbiadimento e mantenerlo brillante. Riduzione dell'ossidazione L'ossidazione può influire sulla brillantezza del colore. Utilizzare antiossidanti può aiutare a proteggere il polimero dall'ossidazione durante la lavorazione. Blending Miscelare il polimero riciclato con una piccola quantità di polimero vergine può, in certe condizioni, migliorare la brillantezza del colore. È importante sottolineare che la strategia o la combinazione di più strategie da adottare, dipendernno dalle specifiche esigenze e dalle condizioni del polimero riciclato in questione. Potrebbe essere necessario sperimentare diverse opzioni per ottenere i risultati desiderati. Come il caco3 (carbonato di calcio) influenza i colori nei polimeri riciclati Il carbonato di calcio (CaCO₃) ha un effetto significativo sui colori dei polimeri riciclati quando viene utilizzato come filler. Vediamo come può influenzare l'aspetto estetico dei polimeri: Opacità Il CaCO₃ ha una natura biancastra e può aumentare l'opacità del polimero. Ciò significa che, quando viene aggiunto a un polimero trasparente o semitrasparente, può ridurre la sua trasparenza. Inoltre ad un aumento delle quantità percentuali utilizzate possono verificarsi cambi di colore di base verso sfumature irregolari ed opache. Luminosità L'aggiunta di CaCO₃, può aumentare la luminosità di un polimero, da non confondere con la brillantezza, a causa della sua natura bianca. Se il polimero riciclato ha un colore scuro o grigio a causa di impurità o additivi precedenti, l'aggiunta di CaCO₃ può renderlo leggermente più chiaro. Interazioni con altri additivi Se nel polimero riciclato sono presenti altri additivi o coloranti, il carbonato di calcio può interagire con questi. Il che potrebbe influenzare l'aspetto finale del polimero in termini di colore e opacità. Diffusione della luce Il CaCO₃ ha la capacità di diffondere la luce, quindi questo comportamento può influenzare l'aspetto visivo del polimero, rendendolo meno brillante o meno trasparente. È importante sottolineare che l'effetto del CaCO₃ sul colore e sull'aspetto di un polimero riciclato può variare in base alla dimensione e alla distribuzione delle particelle di questa carica minerale, così come alla quantità di filler aggiunta e alle proprietà del polimero di base. Come il talco influisce sulla qualità dei colori nei polimeri riciclati Il talco, un minerale a base di silicato di magnesio, è comunemente utilizzato come filler nei composti di plastica. Nel contesto dei polimeri riciclati, il talco può influenzare la qualità dei colori in vari modi: Opacità Come il CaCO₃, anche il talco può aumentare l'opacità del polimero. Ciò significa che l'aggiunta di talco a un polimero trasparente o semitrasparente può ridurne la trasparenza. Tonalità di colore A causa della sua natura bianco-grigia, l'aggiunta di talco può influenzare la tonalità del colore del polimero riciclato, rendendolo potenzialmente più pallido o attenuando colori brillanti. Uniformità del colore Il talco può contribuire a fornire un aspetto più uniforme al polimero, specialmente se il materiale riciclato ha inizialmente un colore non uniforme a causa di impurità o di precedenti additivi. Diffusione della luce Le particelle di talco disperse nella matrice polimerica possono diffondere la luce, influenzando l'aspetto visivo del polimero e potenzialmente rendendolo meno brillante, come succede con il carbonato di calcio. Interazioni con altri additivi Se il polimero riciclato contiene altri additivi, coloranti o stabilizzatori, il talco può interagire con questi componenti, influenzando l'aspetto finale del materiale. Effetto sulla lavorabilità Anche se non si tratta direttamente di un effetto sul colore, la presenza di talco può alterare le proprietà di flusso del polimero durante la lavorazione. Questo può avere un impatto sulle finiture superficiali dei prodotti e, di conseguenza, sulla percezione del colore e sulla brillantezza. Per massimizzare la qualità del colore in un polimero riciclato con talco, è importante controllare la quantità e la dimensione delle particelle di talco, talvolta potrebbe essere necessario bilanciare l'utilizzo del talco con altri additivi o stabilizzatori. Come sempre, la formulazione ottimale dipenderà dalle esigenze specifiche dell'applicazione e dai risultati desiderati. Come intervenire sulle fasi di riciclo dei polimeri per aumentare la qualità del granulo colorato prodottoLa qualità del granulo colorato prodotto dai polimeri riciclati può essere influenzata da vari fattori durante le fasi di riciclo. Ecco alcune strategie e interventi che possono essere implementati per migliorare la qualità: Selezione e Separazione Questa è una delle fasi più critiche e più importanti è la selezione dei rifiuti plastici. Una separazione accurata dei diversi tipi di plastica può ridurre le contaminazioni e garantire che il materiale riciclato sia il più puro possibile. Lavaggio Approfondito Dopo la separazione, la plastica dovrebbe essere lavata accuratamente per rimuovere residui, sporco, etichette adesive e altri contaminanti. Degassaggio Durante l'estrusione, è essenziale avere un efficace impianto di degassaggio per rimuovere l'umidità, gli odori e le sostanze volatili che possono compromettere la qualità del granulo e la colorazione. Ottimizzazione del Processo di Estrusione La temperatura, la velocità e le condizioni di estrusione dovrebbero essere ottimizzate per evitare la degradazione del polimero e garantire una buona miscelazione del colore. Controllo della Dimensione delle Particelle La dimensione e la forma delle particelle di pigmento o colorante possono influenzare l'aspetto del granulo. Una buona dispersione è fondamentale per ottenere una colorazione uniforme. Test e Controllo Qualità Dopo la produzione, è essenziale testare i granuli per assicurarsi che rispettino le specifiche desiderate. Questo può includere test sulla colorazione, sulla resistenza e su altre proprietà rilevanti. Stoccaggio Corretto Conservare i granuli in condizioni ottimali (al riparo dalla luce, in un ambiente asciutto) per prevenire la degradazione o variazioni di colore prima dell'utilizzo. Con quali strumenti possiamo valutare la qualità e la corrispondenza RAL di un polimero riciclato Per valutare la qualità e la corrispondenza del colore (ad esempio con la scala RAL) di un polimero riciclato, si possono utilizzare vari strumenti e tecniche: Spettrofotometri Questi strumenti misurano la riflettanza o la trasmissione di un materiale a diverse lunghezze d'onda, permettendo una precisa quantificazione del colore. Possono essere utilizzati per confrontare il colore di un campione con una norma di riferimento, come una tinta RAL. Colorimetri Simili agli spettrofotometri, i colorimetri sono meno complessi e quantificano il colore in termini di coordinate di colore come Lab*, che possono essere confrontate con un valore di riferimento. Microscopia Sotto un microscopio, si può esaminare la dispersione del pigmento o del colorante nel polimero, garantendo che non ci siano aggregati o separazioni che potrebbero influire sulla qualità del colore. Tavole di confronto RAL Queste sono carte fisiche o set di campioni che mostrano le tonalità standardizzate RAL. Anche se non sono precisi come gli strumenti elettronici, possono offrire un rapido riferimento visivo per la corrispondenza dei colori. Test di invecchiamento acceleratoQuesti test espongono il polimero a condizioni estreme (come luce UV intensa o calore) per valutare quanto velocemente il colore cambierà nel tempo. Software di gestione del colore Questi programmi possono aiutare a tradurre e confrontare le misure del colore tra diverse scale, come RAL, Pantone, e altre. Possono anche aiutare a prevedere come i cambiamenti nella formulazione influenzeranno la corrispondenza del colore. Quando si utilizzano strumenti come spettrofotometri o colorimetri, è essenziale standardizzare le condizioni di misura (ad esempio, l'angolo di misura, il tipo di illuminante, ecc.) e calibrare regolarmente lo strumento per garantire misurazioni accurate e ripetibili. Infine, mentre questi strumenti possono fornire dati quantitativi sulla corrispondenza del colore, è sempre utile avere anche una valutazione visiva da parte di esperti, poiché la percezione umana del colore può variare in base a diversi fattori. Che differenza ci sono tra un colorante per i polimeri vergini e uno per quelli riciclati La colorazione di polimeri, sia vergini che riciclati, può essere influenzata da vari fattori. Mentre molti coloranti possono essere utilizzati per i polimeri vergini, ci sono alcune differenze e considerazioni specifiche quando si tratta di colorare i polimeri riciclati: I polimeri riciclati possono contenere impurità o residui da precedenti cicli di utilizzo. Questo può influenzare la capacità del colorante di disperdersi uniformemente e può alterare l'aspetto finale del colore. A causa delle impurità o dei cambiamenti nella struttura molecolare dei polimeri riciclati, alcuni coloranti, che funzionano bene con i polimeri vergini, potrebbero non essere altrettanto efficaci con i polimeri riciclati. Poiché i polimeri riciclati possono avere colori residui o indesiderati, potrebbe essere necessario utilizzare coloranti più forti o in quantità maggiori per ottenere la tonalità desiderata. Inoltre, i polimeri riciclati potrebbero aver subito una degradazione termica in precedenti cicli di lavorazione. Questo significa che potrebbero essere più sensibili al calore durante la successiva lavorazione. I coloranti scelti per questi materiali dovrebbero avere una buona stabilità termica.
SCOPRI DI PIU'Quali differenze esistono tra il processo di riciclo chimico e quello con l’acqua supercriticadi Marco ArezioL’affermazione ormai abbastanza consolidata che il solo riciclo meccanico sia diventato insufficiente e non completamente efficiente nella gestione dei rifiuti plastici, è una tesi sufficientemente realistica. Al netto di interventi a monte della filiera, che suggeriscono la riduzione dei consumi, il riuso, la riparazione e il miglioramento della vita utile degli oggetti, la questione della gestione dei rifiuti plastici che si producono ogni anno nel mondo, necessiterebbe di nuove tecnologie, nuove lungimiranze politiche ed imprenditorial, per sviluppare, combinate con il riciclo meccanico, altre forme di riciclo come quello chimico e quello con l’acqua supercritica. Cosa è l'acqua supercritica L'acqua supercritica è uno stato della materia in cui la pressione e la temperatura sono così elevate che le distinzioni tra liquido e gas diventano indistinte. In questo stato, l'acqua mostra proprietà uniche e viene utilizzata in vari settori, come l'estrazione di sostanze chimiche e la pulizia di materiali. Come si produce l'acqua supercritica Per produrre acqua supercritica, è necessario raggiungere una temperatura superiore a 374 gradi e una pressione di almeno 22,1 MPa, che corrisponde a circa 218 atmosfere. Queste condizioni estreme possono essere ottenute utilizzando apposite attrezzature chiamate reattori ad alta pressione. In genere, il processo coinvolge il riscaldamento dell'acqua a una temperatura superiore al suo punto critico e l'applicazione di una pressione sufficientemente elevata. Come si utilizza l'acqua supercritica nel riciclo dei rifiuti plastici L'acqua supercritica è utilizzata nel riciclo dei rifiuti plastici attraverso un processo noto come idrotrattamento supercritico. Con questo metodo, l'acqua supercritica viene impiegata per degradare e rimuovere contaminanti dai rifiuti plastici. Il processo coinvolge diverse fasi: Pre-trattamento I rifiuti plastici vengono preparati, rimuovendo eventuali contaminanti grossolani e separando i materiali plastici in base alla tipologia di appartenenza, ove possibile. Esposizione all'acqua supercritica Gli scarti preparati vengono quindi esposti all'acqua supercritica in condizioni di temperatura e pressione specifiche. In questo ambiente, l'acqua può penetrare nella struttura molecolare delle plastiche, facilitando la rimozione di contaminanti. Depolimerizzazione L'acqua supercritica può contribuire alla depolimerizzazione delle plastiche, rompendo le lunghe catene polimeriche in componenti più semplici o monomeri. Recupero dei prodotti I prodotti ottenuti dalla depolimerizzazione, come monomeri o oli, possono essere recuperati per essere riutilizzati nella produzione di nuovi materiali. Quali sono i prodotti finali realizzati dopo il processo di riciclo con l'acqua supercritica Il processo di riciclo dei rifiuti plastici con l'acqua supercritica può generare diversi prodotti finali, a seconda della composizione dei rifiuti trattati e delle condizioni specifiche del processo. Vediamo alcuni dei prodotti finali: Monomeri Le lunghe catene polimeriche delle plastiche possono essere frammentate durante il processo, producendo monomeri. Questi possono essere utilizzati per sintetizzare nuovi polimeri e materiali plastici. Oli La depolimerizzazione può anche generare oli o idrocarburi leggeri, che possono essere impiegati come materie prime in diversi settori industriali. Gas Il processo può liberare gas, come anidride carbonica, a seconda delle condizioni di trattamento. Il recupero e l'utilizzo di questi gas possono contribuire alla sostenibilità del processo. Materiali solidi riciclati Dopo il trattamento, è possibile ottenere materiali solidi riciclati che possono essere utilizzati in varie applicazioni. Questi materiali possono essere incorporati in processi di produzione per creare nuovi prodotti. L'obiettivo principale del riciclo con l'acqua supercritica è ridurre al minimo gli sprechi di plastica, recuperare risorse utili e diminuire l'impatto ambientale associato ai rifiuti plastici. La versatilità del processo consente di adattarsi a diverse tipologie di plastica, contribuendo così a una gestione più sostenibile dei rifiuti. Che differenza di processo esiste nel riciclo dei rifiuti plastici tra il riciclo chimico e quello con l'acqua supercritica Il riciclo chimico e quello con l'acqua supercritica sono due approcci distinti al trattamento dei rifiuti plastici, con differenze significative nei processi. Vediamone alcuni: Riciclo chimico Questo sistema di riciclo coinvolge processi chimici per rompere le catene polimeriche delle plastiche, trasformandole in monomeri o oli, spesso richiedendo l'uso di sostanze chimiche aggressive ed elevate temperature o pressioni. Riciclo con l'acqua supercritica Questo sistema utilizza l’acqua allo stato supercritico per trattare i rifiuti plastici, penetrando nella loro struttura e facilitando la depolimerizzazione. Per fare ciò è necessario raggiungere temperature e pressioni elevate, ma senza l'uso di sostanze chimiche aggressive come negli approcci tradizionali. Il processo può generare monomeri, oli e altri materiali utili, riducendo al minimo i residui tossici. Differenze chiave tra il processo chimico e quello con l’acqua supercritica Il riciclo chimico impiega reagenti chimici aggressivi, mentre l'acqua supercritica utilizza le proprietà uniche dell'acqua in uno stato supercritico per degradare le plastiche. Infatti, l'acqua supercritica può essere più ecocompatibile dal punto di vista chimico, poiché riduce la dipendenza da sostanze tossiche o pericolose. Entrambi i processi mirano a recuperare monomeri od oli per la produzione di nuovi materiali, ma i dettagli esatti del processo e i prodotti ottenuti possono variare. Entrambi gli approcci contribuiscono agli sforzi di gestione sostenibile dei rifiuti plastici, ma la scelta tra i due dipende dalle specifiche esigenze, tipologie di plastica e obiettivi ambientali di un dato processo di riciclo. Quali vantaggi economici esistono tra il riciclo chimico e quello con l'acqua supercritica I vantaggi economici tra il riciclo chimico e quello con l'acqua supercritica possono variare in base a diversi fattori, tra cui le condizioni di mercato, le materie prime coinvolte e la scala di produzione. Tuttavia, esistono alcune considerazioni generali: Costi di gestione delle sostanze chimiche Il riciclo chimico potrebbe richiedere l'uso di sostanze chimiche costose o particolarmente reattive, aumentando i costi di gestione e sicurezza. Consumo energetico Nel riciclo chimico i processi possono richiedere notevoli quantità di energia, influenzando i costi operativi complessivi. Mentre nel riciclo con l’acqua supercritica, anche se il processo richiede temperature e pressioni elevate, il riciclo può essere più efficiente dal punto di vista energetico in confronto a processi chimici tradizionali. Residui e gestione ambientale Nel riciclo chimico si possono utilizzare alcuni processi chimici che possono generare sottoprodotti indesiderati o residui tossici, aumentando i costi di gestione ambientale. Con l’utilizzo dell’acqua supercritica, il processo risulta più pulito e meno tossico, riducendo i costi associati alla gestione ambientale e alla conformità normativa. Adattabilità ai tipi di plastica Con il riciclo chimico si riscontra una maggiore adattabilità di processo ad una gamma più ampia di tipologie di plastica, mentre l’utilizzo dell’acqua supercritica potrebbe essere più selettivo o efficace per determinate tipologie di plastica.
SCOPRI DI PIU'I materiali per gli imballi alimentari in commercio hanno caratteristiche, qualità, costi di smaltimento e riciclabilità differentidi Marco ArezioNel mondo del packaging alimentare troviamo materie prime estremamente differenti tra loro, alcune di esse, come la carta e il vetro, hanno una storia millenaria, mentre la plastica e l’alluminio hanno una storia più recente. Non vogliamo entrare volutamente in un duello di marketing sulla preferenza tra un materiale o l’altro, ma vorremmo analizzare alcuni aspetti che riguardano la conservazione dei beni contenuti, la durabilità dell’imballo, la riciclabilità. In verità a queste analisi dovremmo aggiungere quella relativa ai costi di produzione comparati e all’impatto ambientale sulla logistica, che verranno affrontati in altra sede. Se diamo uno sguardo al passato possiamo dire che il vetro è stato il materiale principe del packaging con cui si contenevano gli alimenti liquidi, latte, vino, liquori, olio e altri generi alimentari, mentre a partire dal boom economico degli anni 60 del secolo scorso, anche l’acqua minerale e le bibite avevano trovato una loro quota di mercato attraverso la confezione nelle bottiglie. Per quanto riguarda le scatole alimentari in metallo possiamo riferirci al XIX° secolo come inizio in America e in Inghilterra delle prime produzioni industriali, nonostante i costi per realizzarle risultassero molto elevati e il cibo in scatola era quindi un lusso per pochi. A spingere la loro diffusione arrivarono però le guerre mondiali, in quanto gli eserciti trovarono comodo e logisticamente utile affidare il rancio dei soldati a questa tipologia di imballo. Con l’avvento delle lattine di alluminio iniziò una larga diffusione a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso, del cibo e delle bevande confezionate nel metallo morbido. Per quanto concerne l’uso degli imballi in carta, dobbiamo arrivare alla metà degli anni ’50 del secolo scorso per vedere l’avvio, in Svezia, dei primi imballi per liquidi alimentari in confezioni di cartone e film plastici. A partire dal 1973, quando l’azienda Du Pont brevetta il PET possiamo dire che sono nati gli imballi alimentari su larga scala, con l’intento di erodere quote di mercato a quelli di vetro. Se vogliamo fare un paragone delle qualità fisico chimiche dei principali imballi alimentari possiamo elencare alcune comparazioni generali: Cessioni possibili di sostanze costituenti l’imballo • Vetro: sodio e calcio già presenti negli alimenti • Plastica: componenti degli additivi specialmente se presenti grasso o alcool • Carta o Cartone: additivi e coloranti • Metallo: Stagno e piombo entro i limiti di legge. Sostanze tossiche dalle vernici (ad alta temperatura) Impermeabilità ai liquidi, gas ed agenti microbiologici • Vetro: 100% • Plastica: variabile a seconda del polimero • Carta o Cartone: solo se assenti abrasioni superficiali • Matallo: solo se assenti abrasioni superficiali Corrosione dell’imballo • Vetro: Solo acido fluoridrico e soluzioni alcaline a Ph superiore a 8 • Plastica: può rilasciare microplastiche in corrispondenza delle piegature • Carta o Cartone: attaccabile da insetti e topi • Metallo: generata da eventuali imperfezioni della struttura Sterilizzabilità • Vetro: 100% a secco ed a umido • Plastica: con particolari additivi batteriostatici • Carta o Cartone: in fase di confezionamento con acqua ossigenata o UV o agenti chimici • Metallo: 100% anche ad alte temperature Trasparenza • Vetro: perfetta con vetro chiaro • Plastica: dipende dal polimero, difficile con polimeri riciclati in HDPE • Carta e Cartone: no • Metallo: no Protezione alla luce Attinica • Vetro: buona nei verti colorati • Plastica: buona con additivi specifici • Carta o Cartone: opaco • Metallo: opaco Sanificazione • Vetro: ottima • Plastica: monouso da riciclare • Carta o Cartone: monouso da riciclare • Metallo: monouso da riciclare Riciclabilità • Vetro: continua e senza degrado. Economica solo con il vuoto a rendere • Plastica: possibile un certo numero di volte con qualche degrado qualitativo. Difficile il riciclo dei poliaccoppiati • Carta e Cartone: riciclabile con degrado. Difficile il riciclo dei poliaccoppiati carta-plastica • Metallo: buono In conclusione, a questa analisi andrà aggiunta una comparazione economica dell’imballo alimentare in funzione della durabilità del prodotto sugli scaffali e il costo del riciclo o dello smaltimento dell’imballo a fine vita, nonché dell’impatto ambientale sia della produzione, che della logistica che della circolarità o meno del rifiuto.Categoria: notizie - tecnica - vetro - riciclo - qualità - rottame
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