Caricamento in corso...
143 risultati
https://www.rmix.it/ - L’arte con lo scarto dei rifiuti
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’arte con lo scarto dei rifiuti
Economia circolare

Zehra Dogan un artista che con il “nulla” ha creato un’arte espressiva, coinvolgente e terapeuticadi Marco ArezioI rifiuti, gli scarti e i prodotti da riciclare diventano mezzi di espressione artistica per Zehra Dogan un artista che con il “nulla” ha creato un’arte espressiva, coinvolgente e terapeuticaPer un artista e per la sua arte, i materiali sotto forma di colori, matite, tele, fogli, materiali da plasmare ed attrezzature per lavorarli, sono il mezzo scontato per esprimersi attraverso il proprio talento. Ma Zehra Dogan, artista Curda di nazionalità Turca, non aveva i mezzi scontati dei pittori, ma aveva l’arte di creare l’arte, con qualsiasi cosa che poteva lasciare un segno sulla carta di giornale, sulla stoffa di magliette rotte, su lenzuola da buttare, su cartoni da imballo e su tante altre cose consumate e senza vita, adatte alla discarica. Se non disponeva dei supporti tradizionali per esprimersi, non disponeva nemmeno dei mezzi tradizionali per disegnare o dipingere, niente matite, pennelli, carboncini, colori, diluenti, spatole e tutto quello che serve ad un artista per creare la propria arte. Ma come ha fatto Zehra Dogan dal nulla a creare la sua arte, che è una medicina per le menti di chi guarda le sue opere? Il desiderio espressivo dirompente, in condizioni di prigionia nelle carceri Turche, ha permesso all’artista di creare opere utilizzando i propri capelli, i resti del te, la curcuma, le bucce della frutta, la cenere delle sigarette, il mestruo, i fondi del caffè, il limone e molte altre cose che trovava tra i rifiuti del carcere. Molte opere di Zehra riguardano le donne, tutte le donne che vivono in condizioni di scarsa libertà, di scarsa indipendenza e di scarsa considerazione, riportando al centro dell’attenzione un femminismo positivo, attraverso il tentativo di valorizzare la figura della donna nella famiglia e nella società, ad un livello paritetico, ma differente, rispetto all’uomo. Il superamento del sessismo nella vita quotidiana, nell’arte, nei media e nel lavoro, lo vive attraverso l’impegno artistico e giornalistico con la prospettiva di dare voce alle donne che non l’hanno. Nata a Diyarbakir, in Turchia, nel 1989, ha frequentato la facoltà di arte e Design di Dicle, ottenendo il diploma, trovandosi ad esprimere i concetti del suo femminismo attraverso l’arte e il giornalismo, con l’intento di contribuire a migliorare le condizioni delle donne in una società maschilista. Dopo la condanna a 2 anni e 9 mesi terminata nel 2019, Zehira, lascia la Turchia e si trasferisce a Londra dove espone alla Tate Modern. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - arte - rifiuti

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Economia circolare: il rifiuto non esiste – viva il rifiuto
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Economia circolare: il rifiuto non esiste – viva il rifiuto
Economia circolare

Togliamo dal vocabolario dell’economia circolare la parola rifiutodi Marco ArezioNon è un esercizio di lessico accademico, quello che vorrebbe che la parola Rifiuto scomparisse dal vocabolario per essere sostituita da –Risorsa– ma una provocazione che serve a farci capire come, in un periodo in cui le parole – Economia Circolare e Rifiuti – assumono un’importanza nella comunicazione generale, facciamo un pò di confusione e difficoltà a capirne i veri termini e le vere implicazioni. Il modello circolare di cui tanto si parla, non è solo quello di cercare di fare del nostro meglio, come cittadini, per avere una vita che sia più rispettosa dell’ambiente, quindi ridurre gli imballi, ridurre l’uso della plastica, razionalizzare gli spostamenti con i mezzi a con motori termici, regolare il riscaldamento o l’aria condizionata per evitare gli sprechi, razionalizzare l’uso dell’acqua, favorire negli acquisti le aziende che producono rispettando l’ambiente e sfavorire chi non lo fà. Potremmo citare molti altri comportamenti virtuosi da tenere, ma non dobbiamo dimenticarci che l’economia circolare si raggiunge attraverso una crescita culturale continua che può aiutare il nostro pianeta. Non ci dobbiamo accontentare dei piccoli gesti quotidiani, peraltro importantissimi, ma dobbiamo guardare, con la mente aperta, a come migliorare la nostra vita da cittadini “circolari“, perchè le idee di molti possono aiutare il sistema produttivo e distributivo. Nella filiera dell’economia circolare ci sono aree ancora trascurate e inespresse, a causa di deficit comunicativi, di una struttura manageriale e di una parte di consumatori che non hanno realmente compreso l’importanza degli argomenti trattati, di una errata scala dei valori in cui il denaro gioca un ruolo importante nelle scelte di tutti. Queste aree le troviamo in molti settori produttivi e distributivi su cui dovremmo lavorare meglio per dare un risultato più concreto al progetto comune di un’economia e di una vita meno impattante sull’ambiente. La prima cosa da fare è declassificare la parola rifiuto e riclassificarla come risorsa. La bottiglia dell’acqua che buttiamo non è un rifiuto, per fare un esempio banale, è la risorsa che permetterà alle aziende di produrre, nuovamente, altre bottiglie, indumenti, imbottiture per divani, articoli per il packaging senza intaccare le risorse naturali. La seconda cosa è la produzione di articoli con materiali che possano essere riciclati al 100%, non può più succedere che l’immissione sul mercato di un prodotto, un imballo per esempio, non tenga conto dei parametri di riciclabilità e possa costituire, per la collettività, un rifiuto che non sia una risorsa. La terza cosa, nell’era di internet super veloce, è la comunicazione circolare trasversale, che significa che lo scarto di produzione di un settore che non può essere riutilizzato nuovamente all’interno di esso, possa diventare una risorsa per atri settori. Le piattaforme web servono per comunicare anche, appunto, trasversalmente, informazioni in tempo reale che possano risolvere problematiche immediate e concrete. Ogni settore industriale è gravato da una parte di rifiuti di lavorazione che, nonostante accurate analisi, non può essere riutilizzato all’interno di esso, ma deve essere messo a disposizione di altri settori, in modo da poter scoprire le potenzialità del prodotto-rifiuto che può essere impiegato in campi differenti, così da creare una economia circolare trasversale. Per fare alcuni esempi, certamente non esaustivi, possiamo citare: Gli scarti del settore della carta potrebbero essere valorizzati nel settore della plastica Gli scarti della combustione del carbone potrebbero essere impiegati nel campo delle ceramiche Gli scarti della lavorazione delle pietre e delle demolizioni nel settore edile Gli scarti del vetro nell’arredamento e nel calcestruzzo I fanghi di alcune lavorazioni industriali possono essere impiegati in vari settori. Gli scarti di plastiche composite possono diventare polvere per compounds Gli scarti di alcuni rifiuti plastici non riciclabili da impiegare nel settore dei bitumi Ci sono molti altri esempi di settori che già si scambiano i rifiuti-risorse, ma il problema che i numeri sono decisamente bassi e molti dei prodotti descritti ed altri non citati, oggi, finiscono ancora in discarica e, a volte, anche per mancanza di comunicazione, che crea nuove opportunità e un nuovo modello circolare.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiutoVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - La Proprietà dei Rifiuti Domestici e il Diritto di Cessione Onerosa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Proprietà dei Rifiuti Domestici e il Diritto di Cessione Onerosa
Economia circolare

I rifiuti che produciamo ogni giorno hanno un valore e in virtù di questo che dovrebbero essere cedutidi Marco ArezioSembra che il ritiro del rifiuto plastico, del vetro, della carta, dei metalli e della frazione umida dalle nostre case sia un servizio gentile che i comuni organizzano per farci un favore, quello di liberare quotidianamente le nostre case dai rifiuti. Ma è proprio così? Incominciamo a dire che gratis oggi, probabilmente, non si fanno più nemmeno i favori, ma quello che i cittadini hanno in testa, in relazione al servizio di raccolta dei rifiuti, è un concetto non del tutto corretto. Non si vede spesso, nel mercato reale, una cessione di un bene senza un corrispettivo economico pagato da parte dell'acquirente e, probabilmente, ancora meno si vedono operazioni in cui il venditore debba pagare l'acquirente per cedere il suo prodotto. Nel mondo dei rifiuti capita invece con una certa frequenza e i motivi nascono da una visione distorta da parte della gente del concetto di rifiuto di nostra proprietà. Già la parola rifiuto è assimilato a tutti questi prodotti che, nelle nostre case o aziende, finiscono il ciclo di vita che gli abbiamo attribuito, diventando un impellente problema di spazio e di decoro. Con questo concetto, non riuscendo a intravedere nessun valore al prodotto a fine vita, siamo disposti a pagare purché venga portato via dal nostro ambito di vita. Le attività imprenditoriali che si occupano di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti ringraziano per la golosa opportunità offerta dai cittadini (sebbene le logiche delle aste delle materie prime a volte raffreddano questi entusiasmi) e i comuni, che hanno il compito di raccogliere i rifiuti, coprono i costi del servizio, lontani dalle logiche di mercato, attraverso i nostri soldi. In realtà, con questo sistema, il cittadino rimane beffato 3 volte: - cede il rifiuto di sua proprietà senza ricavarne alcun vantaggio economico - paga per la cessione e il ritiro del rifiuto presso la propria abitazione - ricompra un bene che probabilmente è fatto con una quota dei rifiuti che ha ceduto in modo oneroso Molti anni fa quando i rifiuti domestici venivano prevalentemente sotterrati in discariche o bruciati passivamente, il contributo economico al ritiro e smaltimento poteva avere un senso logico in quanto, il comune, attraverso società specializzate, offriva un servizio al cittadino non remunerativo. Oggi, i rifiuti hanno un valore intrinseco in quanto producono, attraverso la loro lavorazione, sottoprodotti con cui si crea un nuovo valore. Il vetro, la carta, la plastica la frazione umida delle nostre cucine creano un circolo virtuoso espresso in materie prime seconde o in energia che vengono offerte nuovamente al mercato in una normale attività commerciale. Quindi può facilmente capitare che il rifiuto che noi abbiamo, forse ingenuamente pagato per liberarcene, lo ripagheremo una seconda volta quando andremo a comprare un flacone di detersivo fatto in plastica riciclata o accenderemo la luce a casa nostra, utilizzando l'energia realizzata con la frazione umida delle nostre cucine. In alcune parti del mondo si comincia a pensare che questo approccio alla cessione onerosa, da parte dei cittadini dei propri rifiuti, sia una cosa che ha poco senso e che la sua inversione potrebbe creare un'economia sociale importante e un concreto aiuto alla salvaguardia dell'ambiente. Ma come è possibile cambiare questa mentalità e quali vantaggi porterebbe? Vediamo alcuni punti: Si deve accompagnare il cittadino ad un cambiamento culturale radicale, spostando il concetto di rifiuto da un onere ad una risorsa per sé e per la propria famiglia. Acquistando un valore, il rifiuto domestico permette di creare un ulteriore introito al bilancio famigliare riducendo le tasse a suo carico, come già succede già in alcuni paesi, attenzionando il cittadino al corretto approccio alla raccolta differenziata. Si creerebbe una sostanziale riduzione dei rifiuti dispersi nell'ambiente in quanto si potrebbe generare una nuova economia che valorizza la raccolta e il riciclo. I maggiori oneri che le industrie del riciclo e i comuni saranno costretti a sostenere potrebbero essere compensati, da un aumento della quota di rifiuti lavorabili immessi sul mercato, da una riduzione degli oneri derivanti dalle bonifiche ambientali o dalle conseguenze economiche in relazione all'aumento del tasso di inquinamento circolare e dalla dipendenza dalle materie prime vergini. Pensateci, potrebbe fare bene a tutti.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti urbaniVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - I Rifiuti Urbani Migliorano la Crescita dei Pomodori
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I Rifiuti Urbani Migliorano la Crescita dei Pomodori
Economia circolare

Con la CO2 recuperata dall'incenerimento dei rifiuti si favorisce il processo di fotosintesidi Marco ArezioA Madrid è andato in scena l'ennesimo raduno oceanico di giovani e meno giovani, capeggiati da Greta, in concomitanza con la riunione Cop25, dal quale è emersa una sonora bocciatura delle aspirazioni ambientaliste, promosse dalla piazza, da parte di un gruppo dei paesi che hanno partecipato alla riunione. Con una serie di rinvii delle decisioni da prendere, in merito al taglio e ai crediti della CO2, al Fondo per i danni causati dai cambiamenti climatici e la ratificazione degli impegni presi in merito all'accordo di Parigi, si sono delineati alcuni blocchi composti da stati con visioni ambientali completamente diverse: Chi non vuole cambiare le cose, anzi, come gli Stati Uniti, vogliono uscire dall'accordo di Parigi per avere mano libera nella gestione del processo di inquinamento. In questo blocco possiamo includere anche l'Arabia Saudita, l'Australia, Brasile e la Russia che non vogliono ulteriori tagli sulle emissioni di CO2. Chi sta lavorando per il rispetto dei limiti imposti a Parigi, in primis l'Unione Europea, che sembra l'unica che si stia impegnando a prendere sul serio il problema del cambiamento climatico. All'interno del suo gruppo però, ci sono dei paesi del blocco dell'Est, capeggiati dalla Polonia, le cui economie sono ancora profondamente legate all'uso del carbone e che, quindi, sono ostili ad ulteriori revisioni al ribasso dei limiti sulle emissioni. Chi sta alla finestra senza prendere sostanziali decisioni, come la Cina e l'india, il cui mercato economico è fortemente legato alla gestione lassista delle normative ambientali (emissioni, rifiuti, riciclo, riuso, scarichi industriali e urbani). Nel frattempo l'Europa, chiaccherando forse meno, sotto la spinta delle direttive del parlamento in fatto ambientale, ha liberato una serie di energie propositive, sia imprenditoriali che accademiche, che vogliono studiate e sfruttare nuove idee nel campo della gestione dei rifiuti e del risparmio energetico. Una di queste prevede il recupero della CO2 che viene generata dall'incenerimento di quei rifiuti non riciclabili, per usi civili. Questa operazione ha degli indubbi vantaggi diretti ed indiretti: - L'operazione di incenerimento di rifiuti, che andrebbero in discarica, non crea emissioni di CO2 in ambiente in quanto viene completamente recuperata e riutilizzata. - Con l'attività di incenerimento si può fornire energia elettrica e riscaldamento alle città limitrofe all'impianto, risolvendo il problema dei rifiuti locali. - La CO2 recuperata viene utilizzata, tra l'altro, per attività agricole, in certi periodi, dell'anno e per ridurre i costi della gestione dell'impianto. Ma come avviene questa applicazione nel campo agricolo? I fumi prodotti dalla combustione dei rifiuti urbani hanno un contenuto di anidride carbonica che oscilla tra il 5 e il 20%, oltre ad altre tipologie di gas come l'ossigeno, gli ossidi di zolfo, gli ossidi di azoto e varie frazioni di polvere. Questi fumi vengono convogliati in un impianto specifico che ha lo scopo di separare la CO2 dagli altri elementi, così da poter avviare il processo di sterilizzazione dell'anidride carbonica, che si otterrà alla fine del ciclo di trattamento, così da renderla utilizzabile per usi industriali e alimentari. Questa separazione avviene facendo passare i fumi in un solvente che ha lo scopo di assorbire la CO2 e respingere gli altri componenti. La soluzione, solvente+CO2, viene avviata in un altro impianto che ha lo scopo di far bollire la soluzione in modo da separare nuovamente il solvente, che rientrerà nel ciclo di produzione, dalla CO2 sotto forma di gas. L'anidride carbonica gassosa passerà in un altro impianto di purificazione e, attraverso una serie di filtri, terminerà il processo di purificazione del gas, passando poi alla fase di compressione della CO2 per portarla ad una consistenza liquida. Questo nuovo elemento liquido verrà poi stoccato e avviato nelle serre per facilitare il processo di crescita dei fiori, delle piante e dei frutti. Infatti questo processo è influenzato dalla temperatura, dalla luce, dall'acqua e dalla CO2 assorbita dalle piante. Ma tra tutti gli elementi sopra citati, è proprio l'aumento della concentrazione di CO2 che influenza in maniera drastica il processo di fotosintesi, infatti un incremento di anidride carbonica doppia rispetto alle concentrazioni naturali, porterà ad uno sviluppo maggiore della pianta di circa il 15-20%, a parità degli altri parametri nutrizionali. La concimazione carbonica, così chiamata, ingenera un incremento della crescita di molte specie vegetali, ma i risultai più evidenti si notano nell'aumento della qualità del prodotto e la riduzione dei cicli produttivi.Categoria: notizie - rifiuti - economia circolareVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Ricambi per le auto prodotti con un compound contenente scarti di caffè
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Ricambi per le auto prodotti con un compound contenente scarti di caffè
Economia circolare

Ford e McDonald’s hanno creato una collaborazione ispirata all’economia circolaredi Marco ArezioLe due società attive nel settore della mobilità e della ristorazione hanno coinvolto la ditta Competitive Green Technology per realizzare un compound che potesse utilizzare alcuni scarti del del caffè, uniti al polipropilene, per produrre ricambi per auto. Lo scopo era studiare una ricetta che rendesse alcune parti delle auto più leggere e più robuste rispetto alle ricette tradizionali. Lo scarto, per evitare che si bruci, viene trattato in un ambiente a basso contenuto di ossigeno e poi mischiato con il polipropilene per la formazione dei granuli, che risulteranno più leggeri del polipropilene tradizionale e avranno bisogno di minor energia per lo stampaggio. Secondo il leader tecnico del team di ricerca dei nuovi materiali Ford, il Sig. Mielewski, lo scarto proveniente dalla torrefazione del caffè viene usato in sostituzione del talco che normalmente compone i compounds di polipropilene, apportando una riduzione di peso intorno al 20% e una buona resistenza alle alte temperature. Le prime applicazioni sono state fatte nella produzione di alloggiamenti per i fari, a seguito di prove nelle quali si è notata una maggiore resistenza alle temperature rispetto al pezzo fatto con il nuovo compound al tradizionale. Infatti, l’alloggiamento dei fari è una zona dove si crea molto calore e le proprietà tecnica del nuovo materiale è sembrata subito azzeccata a questo lavoro. Questi nuovi ambiti per i fari saranno costruiti dal fornitore Varroc Lighting Systems e saranno posizionati sulla berlina Lincon Continental a seguito delle nuove modifiche previste nel 2020. Secondo il team Ford, l’alloggiamento per i fari è solo l’inizio della produzione di articoli per la componentistica delle auto fatte con questa ricetta Green e con altre allo studio, come è successo per la schiuma di soia usata nei sedili della Mustang e che oggi si trovano in molte altre macchine dell’azienda. La ricerca e lo sviluppo di ricette che siano compatibili con la circolarità dei componenti impiegati, hanno lo scopo di utilizzare i pezzi prodotti in alcune vetture della gamma Ford e Lincon, con particolare attenzione a quegli elementi dove, all’interno dell’auto, vengono sviluppate alte temperature. Parliamo di involucri per batterie, sotto cofani e coperture per il motore. Ovviamente la fragranza del caffè, sui componenti da installare, viene tolta nella fase di produzione del compound per evitare che la vostra macchina abbia il profumo di una tazza di caffè appena versato.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - demolizioni - ricambi autoVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - I robot ci salveranno dai rifiuti?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I robot ci salveranno dai rifiuti?
Economia circolare

Dopo la svolta ecologista della Cina la tecnologia dei robot potrebbe aiutare l’uomodi Marco Arezio Il mondo sta affondando nei rifiuti e non ci sono paesi che non possano temere questo lento annegamento nella palude dei nostri scarti. Forse i robot ci salveranno dai rifiuti? Vivevamo in un mondo comodo, dove i nostri rifiuti venivano facilmente ed economicamente spediti prevalentemente in Cina e nessuno, né il consumatore né le istituzioni politiche si sono mai preoccupate di che fine facessero tutta quella massa immensa di scarti che il benessere produceva ad un ritmo continuo e in quantità impressionante. Il giorno che il governo cinese ha detto stop, ci siamo svegliati dai nostri sonni felici e ci siamo ritrovare a precipitare in un baratro profondo. Non eravamo pronti per affrontare questa emergenza per due chiare ragioni: La prima, causata dello stop improvviso delle importazioni cinesi ci siamo accorti che dal punto di vista industriale non eravamo pronti a gestire una massa immensa di rifiuti contaminati. La seconda è di carattere tecnologico, in quanto i rifiuti che venivano inviate fuori dai paesi occidentali erano di una qualità bassa, con contaminazioni in termini di plastiche miste e poli-accoppiati che ne rendevano difficile il loro utilizzo commerciale. La soluzione potrebbe venire dalla tecnologia robotica che permetterebbe di incrementare e migliorare l’arduo compito che ci aspetta nella gestione in patria dei nostri rifiuti. I robot possono sostituire o implementare il lavoro gli operatori macchina proprio in quella parte del attività di selezione dei rifiuti dove l’incremento della quantità selezionata per giorno può accrescere il valore globale del rifiuto trattato. Inoltre possono incrementare la qualità della selezione, permettendo una selezione più precisa che unita all'aumento delle quantità dovrebbe portare un valore aggiunto al business, creando soluzioni compatibili con i costi di gestione dei rifiuti plastici attesi. Ovviamente i robot devono essere progettati per un lavoro per i quali non erano stati ancora impiegati, infatti, soprattutto negli Stati Uniti si stanno studiando terminali di presa dei prodotti in selezione attraverso l’incremento della tattilità delle mani meccaniche modificando con dei nuovi sensori persino la sensibilità alla tipologia di rifiuti che lavorano. Il loro funzionamento è semplice in quanto sono guidati da telecamere che puntano ai nastri di trasporto dei rifiuti da selezionare e interagiscono con i sensori posti sulle mani meccaniche. Inoltre ogni movimento che compiono permette di raccogliere dati specifici che possono essere gestiti per analizzare in modo matematico il lavoro svolto. C’è chi parla già di un miracolo della robotica che ci salverà dal problema dei rifiuti che sta strangolando le città in quanto velocità e qualità del rifiuto selezionato porterebbero alleggerire, nelle intenzioni degli addetti del settore, la pressioni sull'accumulo delle scorte dei rifiuti e porterebbe vantaggi economici indotti.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - robotVedi maggiori informazioni sull'automazione industriale

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Uso della plastica riciclata: tanti articoli ma poca attenzione verso il settore
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Uso della plastica riciclata: tanti articoli ma poca attenzione verso il settore
Economia circolare

Come aiutare l’ambiente, riutilizzando la plastica di scarto, ma sentirsi un imprenditore di serie Bdi Marco ArezioI produttori di articoli fatti con la plastica riciclata dovrebbero avere un riconoscimento sociale per l’uso che fanno della materia prima riciclata nei loro prodotti, la quale contribuisce, non solo a ridurre le quantità di rifiuto che giornalmente produciamo in tutto il mondo, ma permette di ridurre l’uso dei polimeri vergini di derivazione petrolifera. Un impegno verso l’ambiente in perfetta coerenza con i principi dell’economia circolare ma, che nel concreto non ha, fino ad ora, trovato grande sostegno tra i consumatori. La prima cosa che gli stati dovrebbero fare è quello di incentivare gli acquisti di prodotti fatti in plastica riciclata e scoraggiare quelli fatti con la materia prima vergine, così da dare una spinta importante in un’ottica ambientalista. Gli incentivi possono essere di varie forme: - sgravi fiscali sugli acquisti- buoni spesa- prezzi calmierati- incentivi sull’uso dei polimeri rigenerati per le industrie in fase di produzione Questi, sono solo alcuni esempi di tanti che si possono adottare, ma sono fondamentali per aiutare la riduzione della plastica di scarto. Non è la strada corretta quella di far credere alla gente che si possa vivere, nel breve, senza plastica, ma bisogna far capire che, più prodotti fatti in plastica riciclati vengono acquistati dai consumatori, più si consumano le grandi quantità di scarto plastico che i paesi producono quotidianamente e non sanno più dove mettere. Nello stesso senso, più si scelgono prodotti fatti con polimeri vergini, più si contribuisce ad aumentare i rifiuti plastici e si incentiva la trasformazione del petrolio in materia prima, con la conseguenza di aumentare l’effetto serra. L’incremento del riciclo è solo un anello di una catena di interventi che si devono fare per risolvere il problema dei rifiuti plastici, ma la sua importanza è tale da dover investire sulla cultura del riciclo e sul suo riutilizzo. Sapendo che l’adozione della “Plastic Free” è un’utopia, oggi, e lo sarà finchè la scienza non troverà un prodotto ecocompatibile che possa sostituire la plastica in termini di flessibilità d’uso, leggerezza, economicità e caratteristiche tecniche, dobbiamo qualificare il settore dei prodotti fatti in plastica riciclata. Andando al negozio, se volete bene all’ambiente e al proprio futuro, sarebbe auspicabile scegliere prodotti plastici fatti con materie prime riciclate cercando di non fare confusioni con certi messaggi sulle etichette dove viene riportato la dicitura “riciclabile” in quanto il prodotto potrebbe essere fatto con polimeri vergini. Se dovete comprare secchi, vasi, armadi, tavoli, sedie, cassette, flaconi, articoli per il giardino,grigliati, tubi e tanti altri prodotti, pensate all’ambiente, sempre.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - ricicloVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Imballi alimentari in pet: perché riciclarli?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Imballi alimentari in pet: perché riciclarli?
Economia circolare

A volte ci si chiede se lo sforzo di fare la raccolta differenziata in casa ne valga la penadi Marco ArezioMolte volte quando dividiamo la spazzatura ci chiediamo se il nostro impegno servirà a qualche cosa, se il materiale che noi dividiamo poi verrà effettivamente impiegato o finirà in discarica o peggio bruciato, se gli oneri che paghiamo, nonostante il nostro lavoro di pre-selezione, siano utili alla causa ambientalista. In casa, magari avendo a disposizione spazi ristretti, il dover selezionare la carta, il vetro, la plastica e gli scarti alimentari in contenitori diversi, comporta impegno, fatica mentale nella separazione e spazi sottratti ad altre cose. Se poi aggiungiamo che dobbiamo ricordarci anche in quali giorni del mese ritirano il sacchetto di uno o dell’altro prodotto, diventa un compito da organizzare con impegni da non dimenticare se non si vuole che la casa si riempia di spazzatura. Ogni tanto ricordiamo quanto era comodo buttare ogni cosa in un sacco unico e quando passava la raccolta dei rifiuti si doveva solo pensare a portare il sacco, con i rifiuti misti, fuori dalla porta di casa e non ci si pensava più. Abbiamo visto questa generale inerzia dove ci ha portato, ma forse avremmo anche il diritto di capire a cosa servano i nostri sforzi domestici nella separazione dei rifiuti. Quando compriamo i pomodori, le pesche o le fragole, ci vengono molte volte presentate in negozio dentro a scatolette in plastica trasparente, chiuse da un coperchio che protegge il prodotto deperibile. La portiamo a casa, mettiamo a tavola il contenuto e l’imballo, in questo caso in PET, viene subito buttato. Tutti questi imballi trasparenti in PET, attraverso la raccolta differenziata, possono rinascere a nuova vita evitando di utilizzare nuovo petrolio per fare altri prodotti. Si, ma come? La vaschetta, insieme alle altre compagne di viaggio, viene portata nei centri di selezione dei rifiuti dove verrà divisa dagli altri imballi in plastica ed avviata alla rigenerazione. Gli imballi alimentari in PET verranno macinati in pezzi dalle dimensioni di 10 mm. circa, poi lavati in modo da togliere le etichette presenti sulla confezione, separati per colore, se ci fossero vaschette colorate mischiate a quelle trasparenti e poi estrusi creando un granulo che costituirà la nuova materia prima per realizzare molti prodotti. Se la destinazione del nuovo granulo dovrà essere ancora quella alimentare, durante il processo che porta alla granulazione, il materiale verrà sanificato e igienizzato, potendo poi essere utilizzato per ricostruire imballi alimentari. Se invece la destinazione sarà in settori non alimentari, il granulo verrà imballato e venduto in molti settori produttivi. Vediamo quali: Il settore dell’arredamento utilizza il granulo di PET riciclato per fare la fibra che troveremo nei cuscini e nell’imbottitura dei divani e delle poltrone.L’industria tessile utilizza il granulo di PET riciclato per fare fibra adatta alla realizzazione di capi da abbigliamento e coperte.L’industria dell’imballaggio utilizza il granulo di PET riciclato per fare le regge per gli imballi che troviamo su molte confezioni o sui bancali di merce, con lo scopo di stabilizzare il materiale contenuto.L’industria della pulizia utilizza il granulo di PET riciclato per fare mono-filamenti per le scope domestiche e industriali e per realizzare spazzole per le macchine per la pulitura meccanica. Come vedete ogni nostro sforzo legato alla separazione domestica dei rifiuti è destinato a risparmiare CO2 nell’atmosfera, risorse naturali, a consumare inutilmente materie prime di origine fossile e a risolvere il problema degli imballi di plastica che non verranno più messi nelle discariche o peggio scaricati in mare.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - PETVedi il prodotto finitoVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - La fine dell’hdpe riciclato da soffiaggio. una morte annunciata.
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La fine dell’hdpe riciclato da soffiaggio. una morte annunciata.
Economia circolare

Come i produttori di polimeri vergini stanno disperdendo le competenze del settore delle materie plastiche riciclatedi Marco ArezioVi racconto una storia che ha dell’incredibile agli occhi degli addetti del settore del riciclo delle materie plastiche, per cercare di far capire come è cambiato il mondo e cosa ancora ci dobbiamo aspettare dal futuro. C’era un tempo in cui il granulo in HDPE proveniente dai flaconi della detergenza non era preso in considerazione come materia prima da chi li produceva, ed era facile sentirsi dire sempre la stessa litania: “io uso il vergine e mai impiegherò materiali riciclati per i flaconi nella mia azienda”. Certo, di anni ne sono passati e il mondo della rigenerazione, con grande impegno e dedizione, ha creato prodotti impensabili, solo poco tempo fa, sia dal punto di vista della pulizia del materiale, della resistenza che danno al flacone, della tenuta delle saldature, delle tipologie di colore che spaziano dai più delicati a quelli più scuri, che nel campo della semi trasparenza in presenza di liquidi. Ma la cosa che ha creato maggiore soddisfazione tra i produttori di polimero in HDPE rigenerato per il soffiaggio è la possibilità di produrre flaconi, fino a 5 litri, al 100%, senza usare il polimero vergine. Finalmente il settore aveva dato una risposta inequivocabile alle esigenze della società in termini di economia circolare. Ma nel frattempo, i produttori di polimero vergine e alcuni grandi nomi del packaging, che fino a due o tre anni fa’ non consideravano il polimero riciclato come degno di nota, sono stati travolti dal sentimento popolare verso l’economia circolare, senza compromessi. Si è così verificata una situazione che non avevano previsto, cioè che la gente chiedesse a gran voce un packaging contenente materiale riciclato e non vergine, così da rispettare le regole che vogliono la totale circolarità della materia. Alle richieste della nuova corrente “green” non avevano risposte pronte da dare, perché il loro prodotto, da materia prima di élite, era diventato un reietto, con la conseguenza di temere la diminuzione delle vendite. L’assoluta necessità di dover far capire alla gente che le loro aziende si sono votate all’economia circolare e che le aspettative dei consumatori, in termini ambientali, sono le loro aspettative, che le preoccupazioni della società per l’inquinamento da plastica, sono le loro preoccupazioni, che la necessità di ridurre la produzione di prodotti raffinati dal petrolio per l’opinione pubblica è essenziale, così lo è anche per loro. Quello che non è a tutti evidente è come si stiano muovendo per cercare di dare ciò che la gente chiede e per creare dal nulla, improvvisamente, un prodotto apparentemente “green” che soddisfi tutti. In primo luogo hanno puntato su compound, la cui struttura primaria è fatta da polimeri vergini, aggiungendo dell’HDPE rigenerato all’interno della miscela in modo che il loro prodotto, che definiscono “ecologico”, non si discosti troppo, in produzione, dai parametri standard di un polimero vergine. Il marketing ne ha elogiato le qualità in termini di sostenibilità e lo ha sta proponendo al mercato alla stregua di un materiale riciclato, ma di una qualità superiore. A questo punto, l’ultimo tassello era vendere il compound, che non si può definire riciclato e nemmeno circolare, ad un prezzo che non era quello di un riciclato, ma nemmeno di un vergine, ma imponendo al mercato un prezzo così alto che è diventato un’affare irrinunciabile. Ma per non rinunciare a questo grande business, i produttori avevano bisogno di assicurarsi grandi quantità di materia prima riciclata, da poter metterla sui prodotti vergini come il parmigiano sugli spaghetti. Quindi hanno iniziato a comprare aziende impegnate nel riciclo del l’HDPE, in modo da assicurarsi, in modo continuativo, la fonte del polimero da post consumo. Questa situazione ha portato a due cose alquanto discutibili: La prima vede un aumento della concentrazione della disponibilità di HDPE riciclato in poche mani, e la dispersione di un’ immensa conoscenza tecnica acquisita dai riciclatori negli anni, in quanto l’obbiettivo dei produttori di vergine non è quello di migliorare la qualità del prodotto riciclato, investendo nella filiera del riciclo, ma è quello di assicurarsi solo di averlo, per poter dichiarare il loro compound “green”. La seconda porterà alla perdita della consapevolezza dei molti traguardi tecnici raggiunti con l’HDPE riciclato da parte delle aziende più dinamiche nell’ambito del riciclo, facendo invece credere al mercato che il prodotto sostenibile sia quello che si ottiene mischiando il vergine e il rigenerato. Questa politica monopolista sta iniziando anche sull’LDPE con accordi recentissimi tra produttori di granuli riciclati e trasformatori di derivati del petrolio, con il chiaro sentore che ci sia poca considerazione della filiera del riciclo costruita negli anni con tanta fatica. Dal punto di vista tecnico si potrebbe persino dire che, in certi ambiti, il compound vergine+rigenerato potrebbe avere una valenza, sui flaconi o sulle taniche oltre i 5 litri o si può obbiettare che il passaggio alla produzione diffusa di flaconi piccoli, solo con la materia prima rigenerata, non sarebbe proponibile a causa della scarsità dell’input da post consumo. Ma l’economia circolare dovrebbe andare nella direzione di incrementare il riciclo della plastica nel mondo, che è tragicamente ferma sotto il 10% di quella prodotta, invece che spingere su prodotti che di “green” hanno ben poco.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - HDPE - ricicloVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Qualcuno ha paura dell’aumento del riciclo della plastica?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Qualcuno ha paura dell’aumento del riciclo della plastica?
Economia circolare

Ipotesi di diminuzione del consumo dei derivati del petrolio per l’incremento delle tecnologie del riciclodi Marco ArezioLa reazione che l’opinione pubblica mondiale sta avendo in merito al problema dell’inquinamento prodotto dai rifiuti plastici, rilasciati in modo incosciente nell’ambiente, sta creando non solo una coscienza ambientalista che fino a pochi anni fa era veramente poco sentita nei vari strati della popolazione mondiale, ma sta creando conseguenze non previste solo 10 anni fa in merito alla produzione e vendita dei derivati dal petrolio. Il movimento di opinione che sta crescendo giorno dopo giorno contro la dispersione degli imballaggi plastici, soprattutto nei mari, ha spinto anche i grandi produttori di imballaggi a trovare alternative del loro standard produttivo. Questa nuova coscienza ha portato un gran numero di menti a ragionare sulla possibilità di riciclare la plastica in modo alternativo alla comune conoscenza, anche in merito alle normative Europee e Americane, sempre più stringenti, che impongono l’aumento delle % di riciclo delle materie plastiche. Uno di questi nuovi studi si sta concentrando sulla produzione di liquidi combustibili di derivazione del riciclo della plastica di uso comune, attraverso la produzione di cracking termico a 400° per ricreare un prodotto sintetico che risulta essere leggero e senza zolfo che può essere lavorato con altri oli in raffineria. Un altro studio utilizza sempre la tecnologia del cracking termico ma calibrata alla produzione di nafta e un distillato simile al diesel che viene miscelato con il normale gasolio da raffineria. Ci sono poi da considerare le acquisizioni avvenute sul mercato, da parte dei produttori di materie prime vergini (polimeri) derivanti dal petrolio, di riciclatori di materie plastiche al fine di controllare la lunga filiera della plastica e prevenire possibili perdite di fatturato con la diminuzione della vendita dei polimeri vergini. Questo fermento sul mondo del riciclo della plastica non riguarda solo l’America e l’Europa, ma anche l’Asia, dove i governi, tra cui Cina e Indonesia, stanno mettendo in campo complessi ed estesi programmi di riciclaggio per evitare problemi come quelli verificatisi in Indonesia dove è dovuto intervenire l’esercito per ripulire la plastica che ostruiva il fiume Citarum. Detto questo ci si attende che a breve la domanda di greggio possa venire influenzata dagli eventi in atto, infatti il presidente della società eChem, che si occupa della consulenza nel settore energetico, sostiene che se l’incremento del riciclo del polietilene e polipropilene dovesse continuare ai ritmi che ci si aspetta alla luce di tutte le tecnologie che stanno entrando in campo, questo potrebbe portare ad una perdita a medio termine di milioni di tonnellate di petrolio, annullando così la crescita della produzione che molte compagnie petrolifere si aspettavano. Inoltre il petrolio ha un altro forte concorrente che si chiama: liquidi da gas naturale. Infatti negli Stati uniti, l’etano sta attirando numerosi investimenti in particolare nelle regioni nord orientali.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - ricicloVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Gestione dei rifiuti urbani: interesse pubblico o privato?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Gestione dei rifiuti urbani: interesse pubblico o privato?
Economia circolare

A volte il capitalismo e l’imprenditoria privata non sono le risposte più adatte alla collettivitàdi Marco ArezioLa raccolta differenziata, nell’ambito delle linee guida sull’economia circolare, è un processo che in molti paesi ha assunto una chiave strettamente imprenditoriale, con una commistione tra pubblico e privato, allo scopo di trarre il massimo profitto possibile. Oggi questo sistema fa intravedere delle crepe evidenti. Da quando è stato istituito l’obbligo della raccolta differenziata, le famiglie e le imprese hanno imparato il valore (e l’onere) della responsabilizzazione ambientale tramite il lavoro di separazione grossolana dei rifiuti domestici. Un passo fondamentale che ha permesso l’avvio della separazione meccanica industriale dei rifiuti e la creazione di una nuova materia prima che potesse essere reimpiegata nell’industria per creare nuovi articoli senza l’impiego di materie prime vergini. Fino ad allora i rifiuti, non separati, venivamo conferiti in discarica o andavano all’incenerimento, perdendo preziosa materia prima, aumentando in maniera esponenziale l’inquinamento e non ricavando nessun vantaggio dalla combustione del rifiuto. Nel corso degli anni, si è affinata tutta la filiera del riciclo che riguardava la raccolta, la separazione, la vendita del rifiuto separato, la trasformazione in materia prima e l’impiego della stessa nelle produzioni di articoli di consumo. Il riciclo meccanico ha fatto così grossi passi avanti nelle tecnologie di separazione, di lavaggio, di triturazione e di granulazione, potendo incrementare i volumi complessivi, migliorare la qualità del rifiuto trasformato, ridurre lo scarto di quelli non separabili, trovare nuove vie di utilizzo della frazione non riciclabile come per esempio la creazione di energia elettrica tramite i termovalorizzatori e creare nuove materie prime più performanti. Il paradigma del business industriale vede, normalmente, negli enti statali preposti, la responsabilità della raccolta del rifiuto e la sua separazione per famiglie di prodotti, attraverso appalti con aziende private e la gestione della vendita, principalmente tramite aste, del materiale separato ed imballato. L’asta ha lo scopo di trarre il massimo profitto possibile dal rifiuto in vendita, il cui ricavato serve a finanziare a cascata le organizzazioni comunali che appaltano a privati la raccolta fisica dei rifiuti casa per casa. Una volta finita l’asta, i trasformatori che hanno partecipato, trasferiranno i rifiuti selezionati nei loro stabilimenti per trasformarli in materia prima. La cessione dei rifiuti selezionati da una struttura pubblica ad un’impresa privata permette l’inizio del business di trasformazione e vendita sul mercato della materia prima riciclata. Questo sodalizio apparente tra pubblico e privato rappresenta, a grandi linee, la colonna portante del sistema del riciclo dei prodotti provenienti dalla raccolta differenziata, soprattutto nel settore della plastica, assicurando lo svolgimento di un compito sociale che riguarda l’igiene pubblica e la sostenibilità ambientale e di un compito imprenditoriale che è quello di ricavare valore economico dall’attività connessa ai rifiuti. Nel corso degli anni questo matrimonio ha mostrato molte volte le sue debolezze e le sue contraddizioni, quando per esempio la parte pubblica operava in modo che le aste dei rifiuti potessero salire liberamente a dei prezzi talmente alti da non permettere agli acquirenti di avere una corretta remunerazione sull’attività di impresa. Oppure l’accesso al libero mercato internazionale dell’acquisto dei rifiuti, indebolendo molte volte l’industria di trasformazione nazionale, mettendo in competizione operatori privati di diverse nazioni i quali lavoravano con costi di produzione differenti. Logiche, queste, tipicamente da impresa privata di un soggetto a vocazione sociale che mal si conciliava con lo scopo e il principio generale dell’economia circolare. Oggi, questo matrimonio è entrato in crisi in quanto ha scoperto alcune inefficienze del sistema di cui si è sempre parlato, in particolare l’incentivazione o l’obbligatorietà dell’uso della materia prima riciclata per dare compimento alla circolarità del processo. Con il costo del greggio a livelli così bassi e la crescente richiesta da parte dei consumatori di prodotti più green, il costo delle materie prime vergini hanno raggiunto ribassi molto forti, nel tentativo di recuperare mercato a discapito di quelle riciclate. Se la situazione dovesse perdurare il sistema del riciclo può rallentare o fermarsi, come sta già succedendo nel settore della carta, in quanto l’anello finale della catena del riciclo, i produttori di materie prime riciclate, non avranno margini economici per competere con i prezzi delle materie prima vergini. Quindi, facendo il percorso a ritroso si può facilmente intuire come i riciclatori diminuiranno gli acquisti alle aste dei rifiuti e gli enti preposti alla raccolta domiciliare non potranno continuare a garantirla perché andranno in over stock. Se consideriamo la circolarità dei rifiuti come un’attività imprenditoriale possiamo dire che questo problema fa parte delle logiche di mercato, ma se la consideriamo un impegno sociale e morale nei confronti della popolazione contribuente, così strutturato il business non può funzionare. La gestione dei rifiuti dovrebbe essere un servizio pubblico, come l’istruzione, la sanità o la sicurezza in modo che la filiera possa produrre dei profitti o la copertura dei costi di servizio, ma possa anche garantire l’efficacia dell’economia circolare in presenza di oscillazioni importanti di mercato attraverso investimenti pubblici. La filiera a valle della raccolta dovrebbe avere la giusta remunerazione del lavoro svolto, accedendo all’acquisto dei rifiuti selezionati in una logica di continuità dei prezzi, escludendo le aste al rialzo che creano debolezze del sistema di trasformazione e mettono in pericolo la filiera.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiutiVedi maggiori informazioni sul riciclo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Le bioplastiche compostabili saranno un’alternativa alla plastica tradizionale?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le bioplastiche compostabili saranno un’alternativa alla plastica tradizionale?
Economia circolare

Le bioplastiche compostabili saranno un’alternativa alla plastica tradizionale?di Marco ArezioLe bioplastiche compostabili, di derivazione vegetale, sembravano essere la panacea di tutti i mali attribuiti alla plastica di origine fossile ma, oggi, sono sorti molti dubbi su una loro efficacia e sostenibilità relativi ai modelli di produzione della componente vegetale. C’è una grande confusione sul mercato, causata anche dalle etichette sui prodotti in cui abbondano i suffissi “Bio”,“Biodegradabile”, e “Biocompostabile”, dove il consumatore rimane spiazzato e non sempre ne capisce le differenze. Su questa velata ignoranza si fonda spesso il fenomeno del greewashing che fa sembrare un prodotto eticamente “green” quando a volte non lo è del tutto. I prodotti che troviamo negli scaffali dei negozi con l’etichetta biodegradabile e compostabile sono generalmente prodotti che partono da una materia prima vegetale, come l’amido di mais, il frumento, la barbabietola, la canna da zucchero, la tapioca e le patate. Questi elementi naturali, debitamente processati, possono essere trasformati in polimeri, comparabili per qualità, caratteristiche tecniche e lavorabilità a polimeri di origine fossile che non sono compostabili. In realtà il consumatore deve sapere che la compostabilità, che trova espressa sulle etichette dell’imballo, riguarda principalmente una trasformazione industriale dello stesso e non la possibilità di inserirlo nel composter in giardino. Quella della materia prima che costituisce un imballo biodegradabile e compostabile è effettivamente un’ottima idea, in quanto permetterebbe di recuperare molti imballi che oggi non si riciclano, o si riciclano con uno scarso valore aggiunto proprio per i residui di cibo che rimangono all’interno delle confezioni. Ma dobbiamo fare un passo indietro per vedere la sostenibilità della filiera di queste materie prime compostabili di origine vegetale. I dubbi che sorgono in modo sempre più corposo riguardano la coltivazione dei prodotti vegetali quali canna da zucchero, patate, mais, barbabietole, frumento e molti altri prodotti, che vanno ad incidere negativamente sulla produzione di derrate alimentari, sull’occupazione del suolo coltivabile già messo sotto pressione dalla produzione di cereali per l’industria della carne, dal consumo di acqua, dall’impiego di concimi chimici e pesticidi e dalla deforestazione per creare nuove terre coltivabili. Ne vale la pena? Secondo il rapporto della FAO del Luglio 2019, oltre 2 miliardi di persone, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito, non hanno accesso regolare ad alimenti salubri, nutrienti e sufficienti. Ciò richiede una profonda trasformazione dei sistemi alimentari affinché forniscano diete sane e prodotte in modo sostenibile alla popolazione mondiale in aumento. Numero di persone affamate nel mondo nel 2018 sono circa 821,6 milioni così divise: in Asia: 513,9 milioniin Africa: 256,1 milioniin America Latina e nei Caraibi: 42,5 milioniNumero di persone in stato di insicurezza alimentare moderata o grave: 2 miliardi (26,4%)Bambini con basso peso alla nascita: 20,5 milioni (1 su 7)Bambini al di sotto dei 5 anni affetti da rachitismo (bassa statura rispetto all’età): 148,9 milioni (21,9%)Bambini al di sotto dei 5 anni che soffrono di deperimento (scarso peso rispetto all’altezza): 49,5 milioni (7,3%) Un rapporto dell’UNICEF evidenzia gli scarsi progressi compiuti nella lotta agli effetti della malnutrizione infantile sullo sviluppo dell’infanzia. Nel 2017 sono stati 151 milioni i bambini sotto i cinque anni affetti da ritardo nell’altezza dovuto alla malnutrizione (stunting), rispetto ai 165 milioni del 2012. In Africa e Asia vivono rispettivamente il 39% e il 55% di tutti i bambini affetti da questa forma di ritardo. L’incidenza del deperimento infantile (wasting) rimane estremamente elevata in Asia, dove quasi un bambino su dieci sotto i cinque anni ha un peso più basso del dovuto rispetto all’altezza: dieci volte più di quanto avvenga in America Latina e nei Caraibi, dove questa forma di malnutrizione colpisce solo 1 bambino su 100. Il rapporto bolla come “vergognoso” il fatto che una donna su tre in età fertile, nel mondo, sia affetta da anemia, circostanza che ha conseguenze pesanti sulla salute e sullo sviluppo sia per le donne stesse che per i loro bambini. Nessuna regione del pianeta ha mostrato negli ultimi anni un calo nella diffusione dell’anemia femminile, e l’incidenza del fenomeno fra le donne africane e asiatiche è quasi tripla rispetto alle donne nord-americane. Ma se l’aumento della richiesta di biopolimeri, di biocarburanti e di foraggio per l’industria della carne deve soddisfare l’aumento di una popolazione crescente, anno dopo anno, l’agricoltura non sarà in grado di produrre quanto richiesto dal mercato per soddisfare le esigenze alimentari umane. Si aggiunga inoltre che l’agricoltura, per via del cambiamento climatico, è strettamente dipendente dalle condizioni metereologiche che stanno diventando sempre più sfavorevoli con un aumento della desertificazione e della resistenza delle piante. In questo quadro, le scoperte dei biopolimeri sono sicuramente un passo avanti nella ricerca, ma se dovessimo pensare di sostituire, anche parzialmente la produzione di plastica con una bioplastica, le cui materie prime derivino da una coltivazione agricola, non credo che sia un processo in equilibrio con le esigenze globali.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - bio plasticaVedi maggiori informazioni sulla bioplastica

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ -  Come riciclare i rifiuti edili: lastre ondulate di cartone bitumato
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come riciclare i rifiuti edili: lastre ondulate di cartone bitumato
Economia circolare

Per anni le lastre ondulate in cartone bitumato per i tetti erano destinati alle discariche. Ora si possono riciclaredi Marco ArezioLe lastre ondulate, composte da carta riciclata e bitume, impiegate per la copertura dei tetti o come elemento impermeabile da posizionare sotto le tegole e i coppi, una volta rimosse erano destinate allo smaltimento in discarica a causa del mix di componenti di cui erano composte. Le lastre fibro-bituminose sono nate in Francia nel 1944 per iniziative del Sig. Gaston Gromier che fondò la ditta OFIC S.A. Fino agli anni 60 il prodotto rimase sempre uguale a seguito della forte richiesta di coperture economiche per i tetti nel periodo post bellico. Successivamente il mercato internazionale si interessò alla tipologia di lastra da copertura apprezzandone le facilità di posa, le colorazioni e l’economicità, spingendo quindi l’azienda ad aumentare le tipologie, i colori e i formati. Ma come sono composte le lastre ondulate bituminose? Le materie prime che compongono il prodotto sono essenzialmente quattro: Carta da riciclo Additivi per la carta Bitume stradale 80/100 Pigmenti di superficie La carta da riciclo è normalmente composta da cartone da imballo e giornali non patinati, che creano un mix ideale tra fibre lunghe e corte. Deve essere utilizzata con una percentuale di umidità contenuta per evitare problemi di lavorazione. La carta da riciclo, nella lavorazione, costituirà l’ossatura della lastra ondulata. Il bitume utilizzato è generalmente quello classificato con un grado di penetrazione 80/100, che corrisponde al tipo che si utilizza anche nelle asfaltature stradali. Il bitume applicato a caldo avrà lo scopo di impermeabilizzare la lastra da copertura e proteggere la struttura in carta semirigida. I pigmenti cono colorazioni sintetiche che hanno sia la funzione di attribuire un colore particolare alla lastra in base all’utilizzo che se ne vuole fare, ma anche proteggere il bitume dagli effetti corrosivi dei raggi solari. Come vengono prodotte le lastre ondulate bituminose? La carta da macero (riciclata) viene selezionata seconda la ricetta della cartiera che produce il manufatto ed immessa in un impianto, chiamato pulper, che ha lo scopo, sotto l’effetto rotativo meccanico e dell’acqua, di smembrare il mix di carte, caricate nell’impianto, in modo da amalgamare le fibre che andranno a costituire la struttura portante del prodotto. Una volta terminata questa lavorazione la fibra di carta è pronta per essere conformata in una lastra ondulata. La realizzazione della struttura della lastra può avvenire: Per avvolgimento di più fogli in modo da comporre una lastra multistrato sottile Per pressione di una certa quantità di fibra in uno stampo costituendo una lastra più spessa Dopo la costituzione della lastra piana e umida, questa viene avviata ad un corrugatore attraverso il quale la lastra prenderà la forma ondulata desiderata. I corrugatori, con la lastra adagiata sopra di essi, verranno indirizzati in un forno a tunnel per l’essicazione e il successivo raffreddamento, il cui scopo è renderla semirigida. Il manufatto cartonato asciutto dovrà ora essere impermeabilizzato con il bitume liquido e, questo processo, sarà realizzato in due metodologie operative differenti: Per le lastre multistrato, avendo una densità specifica alta, è necessario provvedere all’impermeabilizzazione attraverso una bitumazione sottovuoto in autoclave. Per la lastra monostrato, l’impermeabilizzazione avverrà attraverso un bagno in una vasca di bitume caldo. L’ultima fase riguarda la colorazione dell’estradosso della lastra, che avverrà a spruzzo o ad immersione, in base alla destinazione finale del manufatto, con la scelta della miscela colorata corretta e dei protettivi anti U.V. necessari. Come si ricicla il prodotto a fine vita? Fino a pochi anni fa le lastre bitumate, una volta rimosse dai tetti per rotture, usura o altri motivi, finivano in discarica in quanto la composizione con materiali simbiotici non ne permetteva il riciclo. Se consideriamo che, solo in Europa, le lastre bitumate prodotte ogni anno si aggirano intorno ai 2 milioni di tonnellate, possiamo immaginare la quantità di rifiuti bituminosi da riciclare. Oggi il processo di riciclo è possibile in quanto, dopo diversi tests, si è identificato il canale più consono per dare una seconda vita a questo prodotto. Infatti, si è visto che il settore dei bitumi stradali, che già accoglie nelle sue ricette il macinato riciclato delle guaine bituminose a rotoli e degli pneumatici, ha trovato il giusto equilibrio per utilizzare anche le lastre ondulate bituminose. Considerando che mediamente una lastra da copertura contiene circa il 60% in peso di bitume stradale, ed essendo questo perfettamente compatibile con quello usato normalmente per gli asfalti e che la struttura di base formata dalla carta, se aggiunta nelle corrette percentuali, l’utilizzo del macinato da lastre bitumate da copertura non va ad inficiare le ricette finali dei bitumi stradali. Le lastre quindi vengono macinate in mulini appositi, asportando gli eventuali residui di chiodi per l’ancoraggio ancora presenti, creando un macinato di granulometrie differenti a seconda delle richieste del cliente. Con il macinato recuperato, i produttori di asfalti stradali possono realizzare miscele che rispettano la filosofia dell’economia circolare potendo impiegare prodotti riciclati, risparmiare l’uso di una parte di bitume naturale, ridurre i rifiuti destinati alla discarica e migliorare l’impatto ambientale.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - carta riciclata - lastre bitumate - lastre fibrobituminose

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Quando la plastica ti salva la vita
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Quando la plastica ti salva la vita
Economia circolare

Un nuovo approccio al mondo della plastica, senza preconcetti e condizionamenti di Marco ArezioQuante parole si sono dette nei dibattiti televisivi, sui social, nelle News di tutto il mondo, sull’inquinamento della plastica, quanta gente ha seguito l’onda emotiva di quello che vedeva e sentiva senza capire fino in fondo il problema. Ma quante persone hanno fatto un bilancio obbiettivo e indipendente del fenomeno? La plastica non è solo la bottiglia di acqua o il fustino del detersivo che qualche irresponsabile, o comunità, abbandona nei fiumi, nei mari o a bordo delle strade. Non è rappresentata nemmeno dai sacchetti della spesa che vengono buttati nell’ambiente e che vanno a finire nello stomaco dei pesci. Non si può dire che sia identificata negli oggetti monouso che servono come strumenti sterili per la nostra vita e che possono diventare micro o nanoplastiche se abbandonati in mare, entrando nella catena alimentare. La plastica non è questo, ma purtroppo è quello che rappresenta nel subconscio della gente, senza capire che sono le conseguenze negative della sua gestione a portare ai fenomeni descritti. Sono quindi le carenti o improvvide gestioni del prodotto che creano il problema ambientale non il prodotto stesso. Certamente se partiamo dal presupposto che, tolti i denti doloranti ci togliamo il dolore, mi chiedo con cosa poi mangeremo? Forse ci facciamo una nuova dentiera di resina plastica. Non è colpa della plastica se l’uomo ha prodotto, dagli anni 60 del secolo scorso ad oggi, circa 8 miliardi di tonnellate di prodotto non biodegradabile, di cui si ricicla mediamente il 9% e che il 12% viene impiegato nei termovalorizzatori, mentre circa l’80% va disperso nell’ambiente. Non è colpa della plastica se nel mondo non vengono organizzati, in modo capillare, i sistemi di raccolta per i rifiuti, non vengono costruiti, in quantità sufficiente, gli impianti per la selezione e lo smaltimento, e i rifiuti stessi non vengono convertiti in energia rinnovabile e carburante. Non è colpa della plastica se l’uomo, nonostante abbia scoperto sistemi di riciclo che hanno superato il vecchio sistema meccanico, permettendo, attraverso processi chimici, di utilizzare ogni parte dei rifiuti plastici raccolti, ma non li promuove sul territorio attraverso investimenti pubblici. Non è colpa della plastica se l’uomo, inventandola, ha fatto una scoperta di una portata tale da migliorare la nostra vita quotidiana, impiegandola poi in un innumerevole quantità di prodotti di uso comune. Se avete dubbi guardatevi in giro, tra le vostre cose e fatevene un’idea. Oggi, la tanto vituperata plastica, ci può salvare la vita, con il polipropilene, il poliestere o altre plastiche per le mascherine, i camici degli operatori sanitari, i prodotti monouso sterili, i contenitori dei rifiuti ospedalieri pericolosi. Il movimento contro la plastica nasce da razioni impulsive, su episodi le cui immagini toccano la coscienza della gente, ma dopo la comprensibile disapprovazione, bisogna riavvolgere il filo e capire l’origine del problema. È una questione di cultura e conoscenza, che deve essere assimilata dalla gente in modo che abbia le informazioni obbiettive e indipendenti per giudicare e prendere una propria posizione, senza essere influenzata da protagonismi, fazioni politiche o lobbies. La plastica del futuro dovrà essere quella del passato, possiamo farlo.Categoria: notizie - plastica - economia circolareIl settore sanitario nella pandemia

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - La creazione di microplastiche aprendo una bottiglia. dove vanno a finire?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La creazione di microplastiche aprendo una bottiglia. dove vanno a finire?
Economia circolare

La creazione di microplastiche aprendo una bottiglia. dove vanno a finire? di Marco ArezioTagliare, strappare o svitare involucri di plastica dalle confezioni di cibo o dalle bibite crea un certo quantitativo di microplastiche o nanoplastiche, anche non visibili, che possono finire nei nostri alimenti. Le bibite nelle bottiglie di PET sono così comode che sono diventate così diffuse da non mancare mai nelle nostre case, nelle nostre auto o durante le nostre gite. Si potrebbe dire che hanno una comodità “mortale” perché, se non gestite in modo corretto, diventano non solo rifiuti pericolosi per l’ambiente, ma anche per la salute. Infatti un gruppo di ricercatori dell’Università di Newcastle e dell’Accademia delle Scienze Cinesi, hanno studiato cosa succede dei frammenti che si creano attraverso lo svitamento del tappo in PE dalle bottiglie di PET, o tagliando una confezione di alimenti o strappando una busta contenente biscotti, per esempio. I prodotti da analizzare sono stati pesati, prima e dopo l’apertura, con microbilance elettroniche e si è analizzata, con microscopi a scansione elettronica, la situazione del prodotto e dei residui dopo l’apertura della confezione. Nell’analisi dell’insieme dei dati di un campione misto di confezioni alimentari e di bibite, i ricercatori hanno verificato che il quantitativo di nanoparticelle che si creano ad ogni apertura, può essere indicata tra 10 e 30 manogrammi. Ovviamente questo divario dipende dal tipo di apertura eseguita, in quanto, se viene fatta svitando un tappo od usando una forbice le quantità di frammenti rilasciati saranno inferiori rispetto ad un taglio con un coltello o ad uno strappo. Sono quantitativi preoccupanti? Secondo i ricercatori, non in assoluto, ma le nanoplastiche e le microplastiche che potremmo introdurre nel nostro corpo non vengono solo da queste operazioni, ma anche dalle bevande che beviamo, dai pesci che mangiamo da certi cosmetici e da alcuni abiti con cui entriamo in contatto durante la nostra vita. Cosa succeda esattamente all’organismo umano ingerendo questi frammenti infinitesimali di plastica non è ben definito ad oggi, ma un passo sulla conoscenza del problema è stato fatto quando alcuni studiosi hanno messo in relazione le nanoplastiche con i disturbi cerebrali di alcuni pesci, che sono nella nostra catena alimentare. Ovviamente quello che c’è da ribadire sempre è che non è la plastica la nemica dell’uomo, ma è l’uomo che non ha saputo, o voluto, gestire, nei corretti modi, il riuso della plastica, lasciando che finisse nei mari e subendone poi le drammatiche conseguenze. Di plastica ci si può suicidare se l’essere umano vuole, per estremizzare il concetto in modo astratto, ma mai si potrà morire di essa se si gestiscono i rifiuti secondo le regole dell’economia circolare.Categoria: notizie - plastica - economia circolare  Maggiori informazioni sulle microplastiche negli alimenti

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Covid-19: la sua possibile presenza sui rifiuti domestici
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Covid-19: la sua possibile presenza sui rifiuti domestici
Economia circolare

Come trattare i prodotti della raccolta differenziata per evitare il contagio da Covid 19di Marco Arezio Che il virus, Covid 19 o Coronavirus, sia terribilmente contagioso per vie area lo abbiamo capito presto vedendo cosa è successo in Cina e cosa sta succedendo in Europa, ma dobbiamo anche considerare come trattare i prodotti che compriamo e i rifiuti che produciamo, per evitare eventuali contagi. Dopo La Cina, che abbiamo visto molto lontana per diverse settimane, in cui il virus aveva devastato l’equilibrio sociale di una parte del paese, ci siamo improvvisamente svegliati, non tutti in Europa direi, con il virus in casa. Sappiamo che la fonte di contagio primario rimane quella per via area, con gli sternuti e i colpi di tosse di chi è contagiato, attraverso i quali si espelle dal nostro corpo, vaporizzazioni e saliva, nei quali c’è il virus. Abbiamo imparato a capire come difenderci attraverso le mascherine, i guanti e l’allontanamento sociale. Ma cosa sappiamo della permanenza in vita del virus Covid-19 sulle superfici e sui prodotti che usiamo ogni giorno? Poco, secondo l’Istituto Superiore della Sanità Italiano, impegnato per gestire l’epidemia nel proprio paese, il virus si disattiva in un arco temporale variabile tra pochi minuti a 8-9 giorni, in base ai comportamenti di altri virus similari studiati in precedenza. Questa grande forchetta temporale dipende dal tipo di superficie con cui viene in contatto il virus, dalle condizioni quali l’umidità, il calore, la temperatura e molti atri fattori più tecnici. Non potendo sapere se gli imballi che tocchiamo posso trasportare un virus depositato in precedenza, dobbiamo stare molto attenti anche alla manipolazione dei prodotti che usiamo e che diventeranno rifiuti. Sarebbe auspicabile fare la spesa utilizzando guanti monouso e una volta che i prodotti acquistati entrano in casa, passarli, ove possibile, con liquidi a base di alcool. Ma anche i rifiuti domestici che gettiamo, sarebbe meglio seguissero strade diverse, se siete positivi al Covid-19 o se siete in quarantena, rispetto alla selezione tradizionale che normalmente facciamo in casa. Vediamo alcuni esempi: La plastica, il vetro, la carta, i residui di cibo, i fazzoletti le mascherine e i guanti (per fare alcuni esempi) sarebbe meglio metterli nel sacco del rifiuto indifferenziato, senza quindi separarli, per essere indirizzati agli impianti di termovalorizzazione. I sacchetti devono rappresentare un involucro robusto, che non si possa rompere nella movimentazione da parte dell’operatore che raccoglie i rifiuti. Se i sacchetti sono molto fini, usatene più di uno sovrapposti. La chiusura dei sacchetti deve essere ermetica, in modo che non ci sia la possibilità, rovesciandosi, che fuoriescano i rifiuti. Le legature vanno fatte con i guanti nonouso. Gettate poi i guanti in un altro sacchetto per la raccolta indifferenziata. Lavatevi sempre le mani al termine dell’operazione per almeno 30 secondi con acqua e sapone.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - La plastica è il nostro nemico?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La plastica è il nostro nemico?
Economia circolare

Lettera aperta agli ambientalisti da un ambientalista di Marco ArezioVi voglio raccontare la mia piccola storia di ambientalista, nata in un tempo in cui non c’erano i social, nemmeno i telefonini e la televisione ci metteva qualche minuto ad accendersi per via delle valvole che si dovevano scaldare. Non ho un ricordo chiaro del mio amore verso la natura fino al raggiungimento dell’età di 6 anni, infatti a quell’età della mia vita, la fortuna volle che frequentassi la mia prima scuola, che veniva definita sperimentale. Era il 1970, e gli insegnanti adottavano un sistema di insegnamento che, oltre alle nozioni tradizionali, tendevano a sviluppare la conoscenza per il bello, quindi, tra le tante cose, anche la conoscenza della natura, che permetteva agli alunni di viverla da vicino, attraverso lezioni in cui ti sentivi parte di lei. Me ne sono innamorato subito, senza ripensamenti o compromessi anche se la parola “ecologista” non esisteva ancora nel vocabolario della gente. Nel giardino di casa avevamo tre pini, molto vecchi e, su uno di questi, quando avevamo 8 anni, a circa 15 metri da terra, costruii il mio rifugio nella natura, usando tre assi che trovai nell’orto di mio padre. Ci passavo i pomeriggi dopo la scuola, arrampicandomi fin lassù e scendendo utilizzando una canna dell’acqua in pvc legata ad un ramo. Ero felice di quello che c’era intorno a me. Passata l’adolescenza, acquisita l’autonomia, sono tornato spesso a cercare la natura, la volevo: assoluta, selvaggia e solitaria. Ho scelto quindi l’alpinismo, anche quello solitario, per vivere da adulto e sotto una forma più estrema, la sensazione di felicità che vivevo da bambino sul mio pino. Ho scalato in estate e in inverno, cercando itinerari duri, complicati e in ambienti solitari per vivere appieno la bellezza della natura senza compromessi. Dopo alcune esperienze lavorative, sono riuscito, anche nel lavoro, a dare un senso alla mia passione per l’ambiente, riuscendo ad occuparmi, prima, di produzione di manufatti realizzati in plastica riciclata e successivamente in aziende che si occupavano di riciclo dei rifiuti plastici. Era la chiusura del cerchio aperto quando ero bambino, continuare a salvaguardare, nel mio piccolo, l’ambiente in cui vivevo. Oggi, dove tutto è veloce, dove i mezzi di comunicazione permettono in tempi impensabili nel passato, di mobilitare centinaia di migliaia di persone, in uno sciame un po’ goliardico con slogan emulativi, dove l’idea della maggioranza è subito la tua, dove conta stare “dentro” e chi sta fuori, peggio per lui. Questo odio smisurato per la plastica che è diventato la bandiera a tutti i livelli della gente comune, dove si avanza per slogan, fatti sempre da altri, dove si fa’ la gara a postare le foto del mare in cui galleggiano plastiche e micro plastiche, con la speranza, giorno per giorno, di ricevere un like più di ieri o più degli altri. Sicuramente sono lodevoli le campagne per limitare l’uso della plastica inutile, (sempre che non la si sostituisca con qualche cosa che consuma le risorse della terra), della gente volenterosa che si riunisce per ripulire le spiagge, che si faccia la spesa con sacchetti di cotone o non di plastica. Ma io non ho mai visto una bottiglia in PET e un flacone di detersivo che, mano nella mano, percorressero, con le loro gambe, la strada verso il mare e che, giunti in spiaggia, a causa del grande caldo, si immergessero nel mare per poi restarci a vita. Quindi, visto che le bottiglie di plastica e i flaconi del detersivo, per fare un esempio, non hanno le gambe, mi viene da pensare che sia l’uomo che causa il disastro ambientale in cui ci troviamo e che quindi il nemico non è la plastica, ma siamo noi che al mare ce la portiamo o la facciamo arrivare tramite i fiumi. Un torrente di milioni di dollari sta arrivando per perorare questa causa ecologica, finanziati anche da aziende che in primis hanno alimentato comportamenti ecologici in contrasto con l’ambiente, che trova nella plastica il loro capro espiatorio. A me sembra una grande operazione di marketing, per vestire con un abito nuovo, chi si sente in colpa. Ma se è l’uomo che inquina perché non ricicla ancora abbastanza, investiamo in cultura e insegniamo ai popoli che non hanno le possibilità di scolarizzazione dei paesi avanzati, cosa succede e succederà alle loro, e alle nostre vite, se non comprendono la gravità di un approccio non ecologico alla quotidianità. Io, da ecologista, non odio la plastica e penso che i rifiuti plastici siano anche una risorsa per salvare le risorse ambientali, trasformandoli in carburanti e nuovi prodotti. Io, però, non sopporto l’ignoranza e la manipolazione della gente che mi sembra stia avvenendo con arte.Categoria: notizie - plastica - economia circolare

SCOPRI DI PIU'
143 risultati
1 2 3 4 5 6 7 8

CONTATTACI

Copyright © 2024 - Privacy Policy - Cookie Policy | Tailor made by plastica riciclata da post consumoeWeb

plastica riciclata da post consumo