La scelta di chi presidierà una zona commerciale dipende da molti fattori interni ed esterni l’aziendadi Marco ArezioCreare una presenza commerciale in una zona, o migliorare quella esistente, che possa seguire una serie di clienti o da una determinata un’area geografica, più o meno ampia, comporta affidarsi, in alcuni casi, a venditori o distributori che possano presentare, vendere e gestire localmente la vendita e il post vendita. Prendiamo in considerazione, tra i molti esempi che potremmo citare, un’azienda che produce beni rappresentati da materie prime o prodotti finiti, come per il settore dell’edilizia, dell’idraulica, del giardinaggio ecc.. Un’area nuova deve essere preventivamente analizzata nel complesso, cioè capire la presenza e l’incidenza della concorrenza, i prodotti che vengono maggiormente richiesti, la dimensione dei clienti, il possibile fatturato, il taglio economico degli acquisti medi, le problematiche e i costi per la logistica, i canali distributivi e la solvibilità media della zona. Una prima macro selezione la possiamo fare sapendo se il nostro prodotto, che necessita di un trasporto dalla nostra sede al cliente finale, può essere venduto direttamente e nei tempi che si aspetta il cliente ad un prezzo favorevole per entrambi. Se vendiamo prodotti che non necessitano di un magazzino locale, in quanto il valore e la quantità di merce trasportata giustifica il costo del viaggio, possiamo pensare ad una vendita azienda – cliente finale. Se, viceversa, le quantità, l’assortimento alto o la tempistica di approvvigionamento collide con i costi e le tempistiche di consegne dirette, potrebbe essere necessario aprire depositi locali per la distribuzione. Queste due ipotesi possono già dar un’indicazione se, localmente, può essere necessario un agente di vendita o se si deve optare per un distributore che possa acquistare e rivendere, nelle quantità e nei tempi che il cliente finale chiede. La scelta di avere un distributore locale comporta una certa perdita di marginalità sui prodotti, in quanto bisogna assicurare all’azienda che fa il servizio, un guadagno sulle operazioni di logistica e di vendita. In caso non ci fossero queste marginalità, si può optare per l’apertura di un magazzino decentrato presso un corriere o un trasportatore, che terrà a deposito le nostre merci e ci assicurerà le consegne locali a prezzi inferiori rispetto all’attività di un distributore. Un altro aspetto da considerare è l’importanza della presenza del marchio dell’azienda produttrice nell’area di riferimento, in quanto attraverso l’azione di vendita di un agente, libero professionista o dipendente, l’interlocuzione tra cliente finale e produttore è sempre diretta, nel caso ci si appoggiasse ad un distributore la presenza del marchio e dei contatti diretti verrebbero meno. C’è poi da considerare, in linea generale, la differenza di gestione del parco clienti tra una vendita diretta tramite un agente o tramite un distributore. Il fatturato che risulta nell’area di competenza del distributore, è la somma di attività di più clienti, senza distinzioni tra uno o l’altro, senza informazioni sul grado di fiducia del cliente, sulle sue potenzialità e sulle sue necessità. Diciamo che questo approccio alla vendita potrebbe essere un modo più semplice per l’azienda produttrice, perché può evitare un maggior lavoro di gestione commerciale dei singoli clienti, con le problematiche che ne possono scaturire se moltiplichiamo l’impegno per un certo numero di aree in cui opera l’azienda. Dall’altro lato, il non avere un contatto diretto con il cliente può essere un deficit nell’imposizione del proprio marchio, per avere informazioni di come si muove la concorrenza, di quali politiche di prezzo applicano, delle campagne di incentivazione che vengono proposte, e molte altre cose. Dal punto di vista prettamente finanziario, invece, esiste un rischio che riguarda l’esposizione sulle vendite, infatti, considerando una dilazione tra acquisto e pagamento delle merci, il distributore lavora con esposizioni finanziarie più alte rispetto al singolo cliente, quindi con un maggior rischio per il produttore, e quando dovessero esserci dei problemi legati agli incassi, diventerebbe difficile non continuare a fornirlo, in quanto i clienti del distributore potrebbero essere ignari dei motivi per cui il produttore potrebbe fermare le forniture. In questo caso si creerebbe un danno diretto al produttore in quanto, non essendo in contatto diretto con il cliente, potrebbe rischiare di perderlo, o peggio, il distributore potrebbe continuare a servire i clienti finali attraverso un altro produttore. La scelta se affidare un’area a un agente diretto o ad un distributore passa quindi dall’analisi delle problematiche logistiche, commerciali, finanziarie e di marketing, riuscendo a prendere una decisione soppesando i pro e i contro delle strade che si prospettano. Infatti, ci sono prodotti che non possono essere venduti senza un distributore locale, altri che permettono maggiore flessione lasciando aperte varie ipotesi, scegliendo la migliore per quell’area, e, infine, merci che possono essere vendute direttamente senza necessità del distributore locale. Non è una scelta sbagliata farsi anche un’idea del sistema di vendita che applica in zona la concorrenza, la quale probabilmente, partita prima a vendere in zona, può avere, a parità di prodotti, già analizzato le problematiche. Infine c’è un aspetto prettamente tecnico, in quanto se il prodotto per la sua collocazione ha bisogno di un supporto tecnico sostanziale, la presenza di un agente diretto che può aiutare i clienti in situazioni di difficoltà a risolvere i problemi, può anche essere una discriminante.
SCOPRI DI PIU'Alcuni imprenditori concentrano su se stessi il business senza far crescere l’azienda. Il problema degli yes-man e dei familiari all’internodi Marco Arezio Non c’è dubbio che il mercato si è fatto complicato e che le aziende per sopravvivere devono dotarsi di una struttura manageriale indipendente, qualificata e spesso slegata dalla famiglia che ne detiene la proprietà, che goda di una visione internazionale e che abbia potere decisionale per valutare le migliori prospettive per l’azienda prima che per l’imprenditore. Molte aziende familiari, che si occupano di riciclo, stanno vivendo una fase di forte trasformazione a causa dei cambiamenti del mercato, i quali sono maggiormente rappresentati dall’ingresso di società strutturate che si occupavano fino a poco tempo prima di business correlati ma differenti. Il mondo del riciclo delle materie plastiche si è sviluppato agli inizi degli anni 80 del secolo scorso, un po’ in sordina, sotto forma di piccole imprese che raccoglievano la plastica di scarto e ne seguivano la lavorazione, a volte anche con metodi un po’ artigianali. Il loro sviluppo, negli anni successivi, a seconda della collocazione geografica Europea, seguiva i sistemi imprenditoriali nazionali che si basavano, al nord, più facilmente sulla creazione di medie e grandi imprese, mentre nel Sud Europa, il più delle volte, basate sulla crescita di piccole e medie imprese che sfruttavano le opportunità che il mercato poteva offrire. Agli inizi degli anni duemila, il trend di crescita del mercato del riciclo delle materie plastiche e del suo indotto, ha avuto una grande accelerazione, con il passaggio delle aziende a dimensioni di fatturato e produttività sempre maggiori. A partire da questo periodo, il mercato del Sud Europa, contrariamente a quello che è successo nel Nord Europa, si è caratterizzato da un importante numero di piccole imprese che si sono trasformate in medie e grandi società produttrici di polimeri plastici, attrezzature per il riciclo o di servizi per il mercato. Inoltre, molte micro imprese artigianali si sono trasformate in piccole e medie aziende di produzione nell’ambito della plastica. Molti fondatori di queste società, specialmente quelle medio-grandi, hanno seguito passo dopo passo in prima persona, lo sviluppo delle proprie creature dalla loro fondazione, con un successo a volte crescente nel tempo e diventando l’unico punto di riferimento all’interno della società. L’incarnazione del successo commerciale e produttivo in un mercato nel corso degli anni in continua crescita, non ha generalmente creato situazioni in cui ci si potesse fermare per capire se il modello di business, varato dal proprietario-imprenditore, fosse corretto con l’evoluzione dei mercati. Nel frattempo, molte cose sono cambiate, in un mondo sempre più globalizzato e competitivo, non solo dal punto di vista commerciale, ma anche sulle materie prime, sulle innovazioni tecniche, sulla necessaria rapidità nel prendere decisioni e sulla qualità del management necessario per la dimensione aziendale. Alcuni imprenditori, vivendo sui successi passati, non hanno affrontato in modo lucido ed imparziale l’evoluzione del mercato, continuando con un modello di gestione che ruotava, o ruota ancora oggi, intorno a loro, creando un soldato solo sul campo di battaglia. Ci sono delle situazioni cruciali che hanno inciso o incideranno sul destino di queste aziende: Una struttura gestionale sotto dimensionata rispetto al fatturato aziendale Una piramide di valori non indirizzata verso l’attenzione al cliente Una non obbiettiva valutazione delle qualità professionali dei familiari inseriti in azienda a cui si attribuiscono responsabilità e poteri decisionali Una propensione nella creazione di collaboratori yes-man in ruoli chiave Difficoltà nel delegare ai collaboratori compiti specialistici e delicati Incapacità di creare un team manageriale che possa acquisire la gestione di aree aziendali Incapacità di mettersi in discussione Incapacità di dare fiducia Limitazione della professionalità e delle opportunità di carriera dei collaboratori Paura dell’effetto ombra, che alcuni dipendenti potrebbero creare sui parenti che lavorano in azienda Internazionalizzazione non prioritaria Mancata presa di coscienza dei raggiunti limiti di età dei fondatori-manager Mancanza di una strategia aziendale per la successione del leader Oggi, molte di queste aziende, sono frenate e in difficoltà per i motivi sopra descritti e, inoltre, per il rallentamento aziendale dovuto all’eccessiva concentrazione decisionale nelle mani dell’imprenditore che non ha più il tempo e, forse, tutte le capacità legate ai molti ambiti aziendali in evoluzione, anche sotto l’aspetto tecnologico, di seguire il vorticoso flusso del mercato attuale. Si aggiunga inoltre che, da quando la domanda di avere all’interno dei prodotti finiti quote sempre maggiori di materiale plastico riciclato, le grandi aziende, strutturate e lungimiranti, stanno acquisendo quote di mercato attraverso l’incorporazione di riciclatori, che possono garantire la filiera della materia prima seconda. Una parte di questi imprenditori ha capito quanto il mercato stia diventando competitivo, anche per la sproporzione delle disponibilità finanziarie che i nuovi concorrenti possono mettere in campo, ma soprattutto per la capacità di fare rete e di cogliere tutte le opportunità che il mercato concede, quindi decide di cedere l’azienda con l’obbiettivo di rilanciarla oppure per ritirarsi. Un’altra parte di imprenditori crede fermamente nella storia della propria società, facendo conto su se stesso e sulla tradizione che ha contraddistinto il loro cammino, in una sorta di immutabilità delle cose, con la speranza un giorno, il più lontano possibile per loro, che i propri figli indossino la loro corona e diventino i re del loro piccolo regno.
SCOPRI DI PIU'Un Ponte tra Oriente e Occidente per Potenziare gli Scambi Commerciali e Favorire la Crescita Economica tra Cina e Poloniadi Marco ArezioIn un mondo sempre più interconnesso, la logistica e il trasporto rivestono un ruolo cruciale nello sviluppo economico e commerciale globale. In questo contesto, l’inaugurazione della prima linea ferroviaria diretta tra Pechino e Varsavia rappresenta un evento storico e un segnale chiaro dell’intenzione di entrambi i paesi di rafforzare i loro legami economici e commerciali. La nuova rotta ferroviaria non solo migliora la connettività tra la Cina e la Polonia, ma rappresenta anche un pilastro fondamentale nella strategia della Cina per espandere la presenza delle sue aziende nel mercato europeo. Un Ponte Ferroviario tra Oriente e Occidente L'inaugurazione di questa nuova linea ferroviaria, che collega direttamente Pechino a Varsavia, è un significativo passo avanti nell’ambito della Belt and Road Initiative (BRI), la vasta rete infrastrutturale lanciata dalla Cina nel 2013 per migliorare i collegamenti commerciali tra l’Asia, l’Africa e l’Europa. Questa iniziativa ha l'obiettivo di creare una moderna Via della Seta, promuovendo scambi commerciali più efficienti e rapidi grazie a una serie di corridoi terrestri e marittimi. La nuova linea ferroviaria tra la Cina e la Polonia è stata progettata per ridurre significativamente i tempi di trasporto rispetto alle tradizionali rotte marittime. Con una distanza di circa 9.000 chilometri, il percorso attraversa diversi paesi, tra cui Kazakistan, Russia e Bielorussia, e consente di trasportare merci in soli 12-14 giorni, rispetto ai 40-45 giorni necessari via mare. Questa riduzione dei tempi di consegna offre enormi vantaggi competitivi per le aziende, rendendo i loro prodotti più freschi e i servizi più tempestivi. Impatti Economici e Commerciali L’apertura di questa nuova linea ferroviaria avrà significativi impatti economici sia per la Cina che per la Polonia. Per la Cina, questo progetto rappresenta una straordinaria opportunità per rafforzare la sua presenza nel mercato europeo, uno dei più importanti e sviluppati al mondo. La possibilità di trasportare merci in modo più rapido ed efficiente consentirà alle aziende cinesi di essere più competitive, migliorando l’accesso ai mercati europei e promuovendo una maggiore integrazione economica. Dall'altro lato, la Polonia beneficerà di una maggiore connettività con la seconda economia mondiale. Questo non solo faciliterà l’importazione di prodotti cinesi a costi inferiori, ma aprirà anche nuove opportunità per le esportazioni polacche verso la Cina. Prodotti agricoli, macchinari, e tecnologie polacche avranno ora un accesso più diretto e veloce al vasto mercato cinese, potenzialmente aumentando il volume degli scambi e contribuendo alla crescita economica del paese. Infrastrutture e Sviluppo Regionale La nuova linea ferroviaria non si limita a essere un semplice collegamento logistico, ma rappresenta anche un catalizzatore per lo sviluppo infrastrutturale e regionale lungo tutto il percorso. La costruzione e il potenziamento delle infrastrutture ferroviarie necessarie per questo progetto stimolano investimenti significativi in vari settori, tra cui la costruzione, la manutenzione e la gestione dei trasporti. In Polonia, questo sviluppo infrastrutturale può portare a un miglioramento delle reti ferroviarie locali e alla creazione di nuovi posti di lavoro. L’incremento del traffico merci attraverso il paese può anche incentivare lo sviluppo di hub logistici e centri di distribuzione, trasformando la Polonia in un importante nodo logistico per l'Europa orientale. Questi sviluppi possono, a loro volta, attrarre ulteriori investimenti stranieri, promuovendo una crescita economica sostenibile e diversificata. Problematiche de Opportunità Nonostante i numerosi benefici, l’inaugurazione della nuova linea ferroviaria Pechino-Varsavia presenta anche una serie di problematiche che dovranno essere affrontate per garantire il suo successo a lungo termine. Tra queste, la coordinazione tra i vari paesi attraversati dalla rotta, la gestione delle differenze nelle normative e nei regolamenti ferroviari, e la necessità di garantire la sicurezza e l’efficienza del trasporto merci. Un altro aspetto cruciale sarà la gestione delle relazioni politiche e diplomatiche tra la Cina e i paesi coinvolti. La Belt and Road Initiative, pur essendo un progetto economico, ha anche importanti implicazioni geopolitiche, e la cooperazione tra i governi sarà essenziale per superare eventuali ostacoli e sfruttare appieno le opportunità offerte da questa nuova infrastruttura. Conclusioni L'inaugurazione della linea ferroviaria diretta tra Pechino e Varsavia segna una nuova era di cooperazione economica e commerciale tra la Cina e la Polonia. Questo progetto rappresenta non solo un importante passo avanti nell’ambito della Belt and Road Initiative, ma anche una significativa opportunità per entrambi i paesi di rafforzare i loro legami economici e di beneficiare di una maggiore connettività globale. Per la Cina, questa nuova rotta ferroviaria offre un accesso più rapido e diretto ai mercati europei, promuovendo l'espansione delle sue aziende e migliorando la competitività dei suoi prodotti. Per la Polonia, la nuova linea ferroviaria rappresenta una straordinaria opportunità per migliorare le sue infrastrutture, stimolare la crescita economica e aumentare le esportazioni verso uno dei mercati più grandi e dinamici del mondo. In definitiva, la nuova linea ferroviaria tra Pechino e Varsavia è un esempio concreto di come la cooperazione internazionale e lo sviluppo delle infrastrutture possano promuovere la crescita economica e rafforzare i legami tra paesi distanti. Con il giusto supporto politico e la gestione efficace delle sfide, questa nuova rotta ferroviaria ha il potenziale per diventare un simbolo di successo e prosperità condivisa nella nuova era della globalizzazione.
SCOPRI DI PIU'Con l'entrata in vigore della nuova normativa, i dipendenti possono finalmente separare la vita lavorativa da quella privatadi Marco ArezioIl 26 agosto 2024 segna una pietra miliare per i diritti dei lavoratori in Australia con l'entrata in vigore di una nuova legge che sancisce il diritto alla disconnessione per i dipendenti di medie e grandi aziende. Questo provvedimento, approvato dal parlamento australiano nel febbraio dello stesso anno, rappresenta un passo significativo verso la separazione netta tra vita lavorativa e vita privata, un aspetto sempre più cruciale nel mondo contemporaneo. Un Nuovo Capitolo nei Diritti dei Lavoratori La legge introduce un chiaro diritto per i lavoratori di non rispondere a email, chiamate o messaggi di lavoro al di fuori dell’orario contrattuale, a meno che non si tratti di questioni definite "ragionevoli" dal testo normativo. Questo concetto di "ragionevolezza" diventa centrale per l'applicazione della legge, lasciando un margine di interpretazione che potrebbe variare a seconda delle circostanze specifiche. Michele O’Neil, presidente dell’Australian Council for Trade Unions (ACTU), ha definito questa giornata come "storica per i lavoratori dipendenti". Secondo O’Neil, la nuova normativa permetterà agli australiani di "trascorrere del tempo di qualità con i loro cari senza dover rispondere continuamente a telefonate e messaggi di lavoro irragionevoli". Questo provvedimento, pertanto, non solo tutela il diritto al riposo, ma promuove anche un equilibrio più sano tra lavoro e vita privata. Una Legge che Guarda al Futuro Il primo ministro laburista Anthony Albanese ha sottolineato che questa riforma è stata introdotta anche per una questione di salute mentale. "Vogliamo assicurarci che, poiché le persone non sono pagate 24 ore al giorno, non debbano lavorare 24 ore al giorno", ha affermato Albanese. La sua dichiarazione riflette un crescente riconoscimento dell’importanza del benessere psicologico dei lavoratori, che spesso può essere compromesso da una costante connessione alle responsabilità lavorative. La legge si applica immediatamente alle aziende con 15 o più dipendenti, mentre le piccole imprese con meno di 15 dipendenti avranno tempo fino al 26 agosto 2025 per conformarsi alle nuove regole. Questa distinzione temporale intende dare alle piccole aziende più tempo per adattarsi alle nuove esigenze normative, riducendo al minimo l’impatto economico immediato. Il Contesto Internazionale: Un Movimento in Crescita L'introduzione del diritto alla disconnessione in Australia non è un caso isolato. Paesi come la Francia, la Spagna, il Portogallo e il Belgio hanno già adottato normative simili negli ultimi anni, riflettendo un cambiamento globale nell'approccio al lavoro e alla gestione del tempo. In Francia, per esempio, il diritto alla disconnessione è stato introdotto già nel 2017, mentre la Spagna ha seguito nel 2018, aggiornando ulteriormente la normativa nel 2020. Il Portogallo ha reso operativa la legge nel 2021, e il Belgio ha fatto altrettanto nel 2022. Questo fenomeno indica una crescente consapevolezza dei legislatori internazionali riguardo alla necessità di proteggere i lavoratori dagli eccessi della cultura della connessione perpetua, che le nuove tecnologie e il lavoro da remoto hanno amplificato. Le Critiche e le Sfide all’Implementazione Nonostante l'accoglienza positiva da parte dei sindacati e di molti lavoratori, la legge ha sollevato alcune polemiche. L'Australian Industry Group, un'organizzazione che rappresenta gli interessi dei datori di lavoro, ha espresso preoccupazioni riguardo alla chiarezza e alla praticabilità della normativa. Secondo l’organizzazione, termini come "questioni ragionevoli" possono generare confusione, rendendo difficile per i datori di lavoro e dipendenti determinare quando sia legittimo effettuare o accettare chiamate al di fuori dell'orario di lavoro. Questa ambiguità potrebbe, infatti, creare situazioni di incertezza, in cui i dipendenti, timorosi di ripercussioni, potrebbero sentirsi obbligati a rispondere alle richieste lavorative anche quando sarebbe loro diritto rifiutarsi. Per ovviare a questi rischi, l'implementazione della legge sarà monitorata dalla Fair Work Ombudsman (FWO), l’istituzione indipendente incaricata di vigilare sui rapporti di lavoro in Australia. I Criteri di Applicazione: Cosa Significa "Ragionevole"? La FWO ha indicato che il giudizio su cosa costituisca una "questione ragionevole" dipenderà dalle circostanze specifiche. Tra i fattori che verranno considerati ci sono il motivo del contatto, il modo in cui avviene e il grado di disturbo per il dipendente, nonché la retribuzione supplementare prevista per la mansione richiesta. Altri elementi che verranno presi in esame includono la disponibilità del dipendente a lavorare durante il periodo fuori orario, il ruolo e il livello di responsabilità del dipendente all'interno dell'azienda, e la situazione personale, comprese le responsabilità familiari o di assistenza. Questi criteri mirano a garantire un’applicazione equa della legge, bilanciando le esigenze aziendali con i diritti individuali dei lavoratori. Tuttavia, l’effettiva interpretazione e applicazione di queste norme rimarrà un punto di attenzione e dibattito nei prossimi anni. Conclusione: Un Passo Avanti per il Benessere dei Lavoratori L'introduzione del diritto alla disconnessione in Australia rappresenta un importante progresso nella tutela dei diritti dei lavoratori, ponendo l’accento sull’importanza di un corretto bilanciamento tra lavoro e vita privata. Nonostante le critiche e le sfide operative, la nuova legge è vista come un passo necessario verso la protezione della salute mentale e del benessere complessivo dei dipendenti. In un mondo sempre più connesso, il riconoscimento legislativo del diritto a "staccare la spina" può essere visto come una risposta ai cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie e dai modelli di lavoro flessibili. L'efficacia di questa normativa, tuttavia, dipenderà dalla sua corretta applicazione e dall'evoluzione delle prassi lavorative nei prossimi anni. La sua adozione segna comunque un segnale positivo, indicando che il benessere dei lavoratori sta diventando una priorità per i governi di tutto il mondo.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'La storia dei mezzi di movimentazione meccanica delle merci e dei pallets in legnodi Marco ArezioFino agli inizi degli anni ’20 del secolo scorso, le industrie e le attività commerciali non sentivano il bisogno di mezzi meccanici e dei futuri bancali per lo spostamento delle merci.Il motivo principale lo possiamo attribuire alla grande disponibilità di mano d’opera che caratterizzava il mondo del lavoro, alla quale affidare la movimentazione dei prodotti dai mezzi di trasporto e il loro accatastamento nei magazzini. Nonostante questa situazione nel 1917, l’Americano Eugene Clark, che gestiva un’azienda che produceva assali per camion, inventò il primo modello di muletto con motore a scoppio, dando la possibilità di spostare le merci pesanti all’interno delle aziende. Il modello era composto da un mezzo a tre ruote, senza freni, con un accessorio di contenimento che poteva trasportare fino a 2 tonnellate di merce. Lo sviluppo di questo nuovo mercato però restò sonnecchiante negli Stati Uniti per ancora un ventennio, con la costruzione e vendita di nuovi carrelli elevatori che non decollò in modo eguale rispetto alle sue grandi potenzialità, complice anche della bassa diffusone del bancale in legno e dei sistemi di stoccaggio delle merci in altezza nelle aziende. Le cose cambiarono in modo del tutto repentino e radicale quando gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale, dove le operazioni belliche erano posizionate lontane dal paese, costringendo l’esercito a creare una logistica, precisa, imponente per numero di merci spedite, ricevute e stoccate nei depositi. A questo punto il carrello elevatore diventa il fulcro della logistica militare quanto il pallet in legno, in quanto i rifornimenti dovevano essere spostati, caricati, scaricati e depositati velocemente e in modo funzionale. Si aggiunga anche il fatto che in quel periodo la mano d’opera scarseggiava, in quanto molti uomini erano stati inviati nei vari fronti di guerra e, quindi, questa carenza ha permesso che i muletti e i bancali rivoluzionassero la logistica militare. Le merci sui bancali risultavano facili da movimentare, più stabili anche nei lunghi tragitti navali e permettevano di ridurre, al fronte, le aree di stoccaggio. A partire dal 1941, l’Esercito e la Marina Americana invasero di ordini le aziende private che si occupavano di mezzi a motore, meccanica e packaging in legno, creando non pochi problemi nel reperimento della materia prima per soddisfarli. Infatti, alcune materie prime, come l’acciaio, erano destinati alla costruzione di armamenti, mezzi blindati da terra, navi, mezzi da sbarco anfibi e molti altri prodotti destinati alla fase offensiva delle operazioni. Ci fu allora uno scontro all’interno dello Stato Maggiore dell’Esercito per la gestione delle materie prime, dove una parte degli interessati considerava i carrelli elevatori un bene di lusso, rispetto alle armi e ai mezzi corazzati. Alla fine lo Stato Maggiore decise che la logistica fosse importante quanto le attrezzature offensive, in quanto senza rifornimenti nessuno poteva fare una guerra. Così a partire dal 1943, la maggior parte dei fornitori dei carrelli elevatori dell’esercito e della marina Americana furono costituiti da aziende straniere, che produssero in modo continuativo tutti i mezzi che la guerra richiedeva. Con la fine del conflitto il sistema logistico militare influenzò la gestione logistica delle aziende private, permettendo così la crescita del settore dei carrelli elevatori e dei bancali per la movimentazione della merce. Foto: Okeypart
SCOPRI DI PIU'La sottovalutazione dei rischi connessi all’attribuzione di ruoli manageriali per familiaritàdi Marco ArezioVi potrebbe essere capitato, nella vostra attività lavorativa, durante un colloquio con il titolare dell’azienda o con un CEO appartenente alla famiglia proprietaria dell’azienda, risposte del tipo: non vorrai guadagnare più di mia figlia, non penserai di aspirare ad un ruolo manageriale più alto di mio fratello, non puoi pretendere che mia moglie prenda ordini da te e così via. Il concetto di proprietà aziendale molte volte, specialmente nelle società medio piccole, ma spesso anche in quelle di grandi dimensioni a conduzione familiare, si confonde con il concetto della sua gestione, dove le persone dovrebbero operare secondo la convenienza dell’azienda e non dei singoli soggetti. Un cortocircuito di cui non si vedono i risultati nel breve periodo, ma che sono sicuramente deleteri nel medio lungo periodo, con una serie catastrofica di conseguenze che minano la credibilità e la qualità delle risorse umanane. Come abbiamo detto il nepotismo manageriale può avere un impatto significativo sulle aziende, di cui alcuni possibili effetti: Diminuzione del morale dei dipendenti Quando i posti di leadership vengono assegnati in base alle relazioni familiari o personali anziché al merito, questo può causare una diminuzione del morale dei dipendenti, portando a una riduzione della produttività e a un aumento del turnover. Qualità della leadership scadente Se le persone sono promosse in posizioni manageriali basandosi su connessioni personali invece che sulla competenza, la qualità della leadership può soffrire. Un atteggiamento simile può portare a decisioni aziendali scadenti, perdita di opportunità di business e potenzialmente alla perdita di competitività sul mercato. Danneggiamento della reputazione aziendale Il nepotismo può causare danni alla reputazione di un'azienda se viene percepito come ingiusto o disonesto. Il comportamento di favore può rendere difficile per l'azienda attrarre talenti di alto livello o mantenere clienti e partner commerciali. Riduzione della diversità Il nepotismo può portare a una mancanza di diversità nel team di manageriale, il che può limitare la gamma di idee e prospettive nella gestione dell'azienda. Quindi, sebbene possa sembrare conveniente promuovere persone familiari o conosciute in posizioni di leadership, il nepotismo può avere conseguenze negative significative per le aziende. Quale reazione hanno i dipendenti delle aziende al nepotismo manageriale? Siamo abbastanza convinti che le imprese, a tutti i livelli e in tutti i campi, siano fatte di uomini e il loro successo dipende dalla qualità delle risorse umane che vivono all’interno delle aziende. Più i collaboratori sono motivati e ambiziosi nel raggiungere i risultati più il clima costruttivo contagia i lavoratori e attrae risorse umani nuove e capaci. Per questo motivo l’atteggiamento nepotistico all’interno dell’azienda si scontra con la crescita della stessa, creando una cattiva valutazione complessiva e una sfiducia dei lavoratori nei confronti della piramide manageriale. La reazione dei dipendenti al nepotismo manageriale può variare, ma tende ad essere negativa per i seguenti motivi:Mancanza di fiducia Se i dipendenti vedono che le decisioni vengono prese in base al nepotismo, possono perdere fiducia nei leader dell'azienda, un comportamento che può portare a una mancanza di rispetto per i manager e a una riduzione dell'efficacia della leadership.Risentimento Il nepotismo può creare tensioni e risentimenti tra i dipendenti. Quelli che non sono favoriti possono sentirsi risentiti verso quelli che sono, e questo può portare a un ambiente di lavoro tossico. Mancanza di motivazione Se i dipendenti vedono che le promozioni sono basate su relazioni personali piuttosto che sul merito, possono perdere la motivazione per lavorare duramente e migliorare le loro competenze. Come vincere il nepotismo manageriale in azienda da parte del proprietario? Combattere il nepotismo manageriale può essere difficile, specialmente se è praticato dal proprietario dell'azienda. Tuttavia, ci sono alcuni passi che possono essere intrapresi: - Implementare politiche di assunzione e promozione chiare che enfatizzano il merito anziché le relazioni personali. Queste politiche dovrebbero essere ben documentate e facilmente accessibili a tutti i dipendenti. - Fornire formazione ai manager e ai leader aziendali su come evitare il nepotismo e su come prendere decisioni imparziali. - Creare canali attraverso i quali i dipendenti possano segnalare il nepotismo senza temere ritorsioni. Questo potrebbe includere una linea diretta o una casella di posta elettronica anonima. - Considerare l'idea di avere una parte esterna, come un consulente o un avvocato del lavoro, per rivedere le decisioni di assunzione e promozione. Questo può aiutare a garantire che le decisioni siano prese in modo equo. - Comunicare apertamente con i dipendenti sui passaggi intrapresi per combattere il nepotismo. Questo può aiutare a rafforzare la fiducia e a mostrare che l'azienda prende sul serio il problema. E’ bene ricordare, tuttavia, che queste strategie potrebbero non essere efficaci se il proprietario dell'azienda non è disposto a cambiare le sue pratiche. In questo caso, potrebbe essere necessario cercare consiglio legale o considerare altre opzioni di lavoro.
SCOPRI DI PIU'L'integrazione tra Tecnologia e Competenza Umana Come Chiave per un Customer Service Evolutodi Marco ArezioNel panorama imprenditoriale italiano, l'adozione delle tecnologie legate all'intelligenza artificiale (AI) sta diventando una pratica sempre più consolidata. La propensione verso l'AI sta trovando terreno fertile nel customer service, grazie alla sua capacità di automatizzare processi ripetitivi e ridurre il margine d'errore. Fino a poco tempo fa, molte aziende si affidavano a chatbot basici che fornivano risposte standardizzate, non sempre in grado di soddisfare le richieste specifiche dei clienti, causando frustrazione e potenziali perdite di opportunità commerciali. Oggi, l'avanzamento tecnologico ha permesso l'integrazione di assistenti AI avanzati e personalizzati nel customer service. Questi sistemi possono essere configurati dalle aziende caricando informazioni specifiche del business, permettendo così agli assistenti di offrire risposte personalizzate e mirate. Personalizzazione attraverso l'AI nel Customer Service La personalizzazione nel customer service attraverso l'intelligenza artificiale rappresenta una frontiera essenziale per le aziende che cercano di migliorare l'interazione con i loro clienti. Questa tecnologia trasforma il customer service, rendendolo non solo più efficiente ma anche più attinente alle esigenze individuali dei consumatori. L'AI si basa su algoritmi avanzati di machine learning che apprendono continuamente dall'interazione con i dati aziendali e i feedback dei clienti. Questo apprendimento permette all'AI di affinare le sue capacità di risposta. Unendo l'integrazione con i database dei clienti e i sistemi di Customer Relationship Management (CRM), l'AI può accedere a informazioni dettagliate che utilizza per personalizzare ulteriormente le interazioni. Le capacità predittive dell'AI migliorano la personalizzazione, permettendo di anticipare i bisogni dei clienti e suggerire proattivamente prodotti o soluzioni durante le interazioni. Le risposte generate dall'AI possono variare in tono e complessità a seconda del contesto della conversazione e del profilo del cliente, adattando il suo stile comunicativo per rispecchiare il tono di un'interazione umana. L'insostituibile Valore Umano nel Customer Service Potenziato dall'AI Nonostante i rapidi avanzamenti nell'intelligenza artificiale, il ruolo umano rimane fondamentale e insostituibile in molte interazioni con i clienti. Gli esseri umani portano al customer service la capacità di empatia e comprensione profonda delle emozioni umane, essenziali nelle situazioni complesse o emotivamente cariche. Gli operatori umani possono interpretare il tono emotivo, il contesto sociale e i sottintesi culturali che un AI potrebbe non cogliere completamente. In situazioni di crisi o quando le decisioni richiedono un alto grado di giudizio, la presenza umana è cruciale. Gli operatori del customer service sono in grado di prendere decisioni ponderate e trovare compromessi in modi che l'AI non può replicare. Questo livello di personalizzazione rafforza l'engagement del cliente e aumenta la soddisfazione. Prospettive di Crescita nel Mercato Italiano per il Customer Service AI-Enhanced L'introduzione dell'intelligenza artificiale nel customer service in Italia apre vasti orizzonti di crescita e innovazione. Il mercato italiano, con la sua attiva fase di digitalizzazione, offre un terreno fertile per l'adozione e l'espansione delle tecnologie AI. L'AI nel customer service può trasformarsi in un punto di forza strategico, aumentando la fedeltà e la soddisfazione del cliente. Investendo in queste tecnologie, le aziende italiane non solo possono migliorare significativamente l'efficienza e la qualità del loro servizio clienti ma possono anche posizionarsi come leader nell'innovazione digitale a livello globale. La chiave per un futuro di successo sarà bilanciare innovazione e rispetto delle tradizioni e delle normative locali, procedendo con una strategia ben pianificata verso la digitalizzazione.
SCOPRI DI PIU'Come empatia, comunicazione, motivazione e flessibilità definiscono la leadership che promuove vivibilità e progresso nel mondo del lavoro moderno di Marco ArezioIn un mondo lavorativo in continua evoluzione, il ruolo del manager è cruciale per il successo sia dei dipendenti che dell'azienda. Un buon manager non è solo un leader efficace, ma anche un punto di riferimento che promuove la vivibilità e il progresso all'interno dell'organizzazione. Ma cosa desiderano veramente i dipendenti dal loro capo? Quali caratteristiche deve possedere un manager per garantire il benessere dei suoi collaboratori e il successo dell'impresa?Questo articolo esplora le qualità del "capo ideale" attraverso gli occhi dei dipendenti, ponendo l'accento su vivibilità e progresso. Empatia e Ascolto Attivo Uno dei tratti più apprezzati dai dipendenti in un manager è l'empatia. Un capo empatico è in grado di comprendere le esigenze e le preoccupazioni del proprio team, creando un ambiente di lavoro positivo e inclusivo. L'ascolto attivo è una componente fondamentale di questa empatia. I dipendenti desiderano sentirsi ascoltati e rispettati, e un manager che dedica tempo a comprendere le loro prospettive è visto come un leader che valorizza il contributo di ciascuno. Comunicazione Chiara e Trasparente La comunicazione è un elemento chiave nel rapporto tra manager e dipendenti. Una comunicazione chiara e trasparente non solo evita malintesi, ma favorisce anche un clima di fiducia. I dipendenti apprezzano un manager che comunica in modo aperto sugli obiettivi aziendali, sui cambiamenti in corso e sulle aspettative. La trasparenza, inoltre, incoraggia una cultura aziendale basata sull'onestà e la collaborazione. Capacità di Motivare e Ispirare Un buon manager sa come motivare il proprio team. La motivazione non deriva solo da incentivi economici, ma anche dal riconoscimento dei meriti e dall'incoraggiamento continuo. Un capo che ispira il proprio team trasmette passione e impegno, creando un ambiente in cui i dipendenti si sentono stimolati a dare il meglio di sé. Le storie di successo e i feedback positivi sono strumenti potenti che un manager può utilizzare per mantenere alto il morale del gruppo. Flessibilità e Adattabilità La capacità di adattarsi ai cambiamenti è una qualità essenziale in un manager moderno. I dipendenti apprezzano un capo che è flessibile e aperto a nuove idee e approcci. In un mercato del lavoro sempre più dinamico, la flessibilità diventa un vantaggio competitivo. Un manager che incoraggia l'innovazione e che è disposto a modificare strategie e piani in base alle esigenze del momento è visto come un leader lungimirante. Sviluppo Professionale e Crescita Personale Investire nello sviluppo professionale dei dipendenti è una delle migliori strategie per garantire il successo a lungo termine dell'azienda. I dipendenti desiderano un manager che si preoccupi della loro crescita personale e professionale, offrendo opportunità di formazione, mentoring e avanzamento di carriera. Un capo che supporta il miglioramento continuo e che riconosce l'importanza dell'apprendimento è visto come un alleato prezioso. Equilibrio tra Vita Lavorativa e Personale La vivibilità sul posto di lavoro passa anche attraverso l'equilibrio tra vita lavorativa e personale. Un buon manager riconosce l'importanza di questo equilibrio e promuove politiche che permettono ai dipendenti di conciliare al meglio le loro responsabilità professionali con quelle personali. Flessibilità oraria, possibilità di smart working e un approccio comprensivo verso le esigenze familiari sono elementi che contribuiscono a creare un ambiente di lavoro sano e sostenibile. Equità e Giustizia L'equità è un principio fondamentale per mantenere un ambiente di lavoro armonioso e produttivo. I dipendenti vogliono un manager che tratti tutti con giustizia, senza favoritismi o pregiudizi. Decisioni equanimi, valutazioni obiettive e una gestione trasparente dei conflitti sono aspetti cruciali per costruire fiducia e rispetto reciproco all'interno del team. Capacità Decisionale e Leadership Decisa Infine, un buon manager deve essere in grado di prendere decisioni in modo efficace e tempestivo. I dipendenti apprezzano un leader che sa quando essere assertivo e che è in grado di guidare il team verso gli obiettivi aziendali con determinazione e chiarezza. La leadership decisa non implica autoritarismo, ma piuttosto una visione chiara e la capacità di mantenere la rotta anche nei momenti di difficoltà. Conclusioni Il "capo ideale" è una figura che bilancia le esigenze dell'azienda con quelle dei dipendenti, promuovendo un ambiente di lavoro vivibile e stimolante. Empatia, comunicazione trasparente, capacità di motivare, flessibilità, supporto allo sviluppo professionale, equilibrio tra vita lavorativa e personale, equità e capacità decisionale sono le caratteristiche che delineano il manager che tutti i dipendenti desiderano. In un'epoca di cambiamenti rapidi e sfide continue, il ruolo del manager è più cruciale che mai per garantire il benessere del team e il successo dell'azienda.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'C’è chi spinge l’opinione pubblica e i governi in questa crociatadi Marco ArezioCi sono manovratori, adepti, teorici, finanzieri, governi assetati di tasse, tuttologi, odiatori, cannibali della rete, finti ambientalisti, uomini addetti al greenwashing, maleducati sociali, opportunisti e ignoranti. Tutti insieme pensano che speculare sulla plastica sia una giusta crociata. Nel 1095 Papa Urbano II, durante il concilio di Clermont, tenne un esplicito discorso in cui incoraggiava i fedeli ad unirsi militarmente all’Imperatore Alessio I che si stava battendo contro i Turchi in Anatolia. L’intento ufficiale del Papa era garantire il libero accesso dei fedeli Cristiani alla Terrasanta, ma gli studiosi attribuiscono a Urbano II un più ampio e segreto disegno, quello di poter annettere la chiesa orientale con quella occidentale, dopo lo il grande scisma del 1054, sotto il suo dominio. Mai niente di grande è come lo si vede dall’esterno, chi si nasconde dietro alla crociata contro la plastica? Il mondo della plastica sta subendo da alcuni anni attacchi di una grande durezza, attribuendo all’elemento stesso, sotto forma di materia prima o prodotto finito, la bolla di untore ambientale. Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio, dichiarando apertamente che l’invenzione della plastica è da annoverare tra le più grandi scoperte del secolo scorso, con un contributo quotidiano così tangibile, ad un osservatore attento, ma che può anche facilmente sfuggire alla gente comune in quanto fa parte della nostra vita come l’aria che respiriamo. Quale partita stiano giocando i sobillatori della teoria della “plastic free” e a quale scopo, nessuno dotato di ragione riesce a capirlo e nemmeno si può intuire come sia stato facile, attraverso i media, ingigantire un odio verso un prodotto indispensabile per la nostra vita. Non ci sono gli spazi in questo articolo per elencare i vantaggi dell’uso della plastica nella produzione di milioni di prodotti che usiamo ogni giorno, in termini di costo, di funzionalità, di risparmio di CO2 in fase di produzione e di trasporto dei prodotti finiti, in termini igienici, isolanti, protettivi, riciclabili, impermeabili, durevoli e molte altre cose. Ci vorrebbe un intero libro per fare questo, ma mi vorrei soffermare sul motivo, visibile ai nostri occhi, per il quale si è scatenato il mondo intero contro il settore della plastica e vorrei introdurmi nei labirinti dei motivi che non vediamo, che stanno sotto traccia. Ciò che vediamo è la dispersione dei rifiuti in plastica (non solo quelli) nei fiumi, nei mari e negli oceani, che stanno creando uno scempio ambientale e una minaccia per i pesci e per l’uomo tramite la catena alimentare. Un problema vero, del quale, ogni persona che pensa razionalmente alla propria sopravvivenza, dovrebbe, non solo indignarsene, ma farsi carico e agire per modificare questo stato assurdo delle cose, secondo le leggi. Ma su questo argomento non mi soffermerei tanto, nonostante sia l’unico motore delle proteste popolari che vengono strumentalizzate, perché una persona di un’intelligenza normale capisce che nei fiumi, nei mari e negli oceani, la plastica non ci va da sola e, quindi, è ridicolo prendersela con lei come causa del problema, dimenticandosi facilmente della responsabilità umana. La cosa che mi interessa di più è capire quali motivazioni recondite ci possano essere dietro questo odio sviscerato per la filiera della plastica. Vediamo alcuni comportamenti di soggetti attivi in queste campagne su cui ognuno può riflettere per conto proprio: I Media. Fenomenale strumento di diffusione di informazioni (e di fake news), dove spesso non conta analizzare in modo tecnico e scientifico il problema dell’inquinamento, ma fare notizia fine a se stessa, aumentare i likes. Scrivere su un post “plasticfree”, corredandolo con una foto che rappresenta le bottiglie di acqua che galleggiano nel mare o un pesce intrappolato in un pezzo di plastica, si ottiene solo di moltiplicare in modo esponenziale la disinformazione senza proporre nulla per risolverlo, se non attraverso una visione utopica di rinuncia alla plastica. Chi semina questo odio, indiscriminato, dovrebbe avere la coscienza pulita e iniziare una vita rinunciando alla plastica, cominciando da casa sua e dalle sue abitudini. Inoltre ci sono emittenti televisive di primo piano che creano spot di grande impatto, utilizzando immagini forti, raccogliendo fondi, non si sa bene per quali finalità, portando avanti la propria crociata. Tutto questo ha il sapore del greenwashing. Pechè? I Divulgatori. Siamo tutti diventati scienziati, ogni spazio comunicativo è presidiato da sedicenti esperti che saltano da una trasmissione all’altra, da un giornale all’altro, da un libro all’altro, da un social all’altro, parlando, parlando, parlando. Di cosa? Di quello che vedono tutti e quasi mai inserendo il problema in una cornice più ampia, per capire se esistono opinioni diverse, per sentire le loro proposte migliorative o mettendosi a disposizione per un confronto diretto con scienziati e tecnici preparati. Cosa vogliono ottenere? Non ha il sapore di una strumentalizzazione a fini pubblicitari? Stare alla finestra e guadagnare sui dolori degli altri? I Governi. Sono responsabili della nostra salute e dell’ambiente in cui viviamo e troppe volte, quasi sempre, si sono attivati, nei loro compiti istituzionali, dopo che sono stati sollecitati dall’opinione pubblica. Certamente la gente ha ragione a preoccuparsi nel vedere i mari riempirsi di plastica o avere il dubbio che il pesce che finisce sulle loro tavole sia pieno di micro e nano plastiche. Ma sono gli enti governativi che si devono attivare per creare un impianto normativo adeguato per gestire la problematica dei rifiuti, porgendo un orecchio alla gente e l’altro agli scienziati. Troppi ritardi, pochi investimenti e poca competenza governano questo mondo, che dovrebbe normare e soprattutto far rispettare le leggi, per tutti. Perché tassare in modo esagerato i settori vitali della nostra economia invece che premiare, dal punto di vista fiscale, il riciclo e la produzione di materiali che hanno un impatto ambientale minore rispetto ad altri? Quali sono i veri obbiettivi politico-finanziari? Se in molti paesi esiste una sanità pubblica, che cura le nostre malattie, perché non deve esistere una economia circolare pubblica, sulla quale nessun governo dovrebbe fare business, ma investire per tutelare, indirettamente, la nostra salute e la nostra vita? L’Istruzione. Senza conoscenza non si ha la capacità di fare delle corrette analisi autonome dei problemi che ci circondano. Perché le scuole non investono nella formazione degli studenti in campo ambientale, nella conoscenza dell’economia circolare e delle energie alternative, in modo da creare una coscienza che possa salvaguardare del loro futuro? Perchè i giovani partecipano alla vita sociale attraverso le manifestazioni sull’ambiente condividendo slogan senza avere una conoscenza più approfondita dei problemi? Che ruolo vogliono dare i governi all’istruzione? La cultura è solo nozionismo o una spinta per accompagnare i ragazzi nel mondo complicato che li aspetta, dotandogli di una ragione critica? Le Aziende del Packaging. Chi tira le file del mondo del packaging in plastica sono le multinazionali delle bibite, dei detersivi e dei prodotti per la cura della persona. Hanno sempre utilizzato milioni di tonnellate di materia prima vergine, per decenni, per produrre i loro imballi, sapendo che la plastica è durevole, nel bene e nel male. Hanno pensato sempre al loro business senza capire che i loro prodotti venivano smaltiti in modo scorretto e hanno lasciato che l’opinione pubblica si rivoltasse contro i loro imballi. Perché non hanno interpretato il malessere della gente molti anni fa e, oggi, si spendono in campagne green confondendo i consumatori, facendo a gara a chi è più amico dell’ambiente? Non ha, anche qui, un sapore di greenwhasing? I Petrolieri. Come per le multinazionali del packaging, la produzione dei polimeri plastici vergini andava a gonfie vele, mentre il mondo si riempiva di rifiuti plastici. Perché sono stati così miopi da non vedere che stavano rappresentando un prodotto che sarebbe entrato in conflitto con l’utilizzatore finale? Perché hanno trovato la soluzione più sbrigativa di acquisire i produttori e riciclatori di materia plastica riciclata per dare un nuovo aspetto ecologico al loro business? Perché non hanno sostenuto l’industria della plastica, i loro clienti, attraverso iniziative concrete che evitassero, insieme ai governi, il tracollo ecologico dei nostri mari con la concreta possibilità di mettere a rischio il loro business? Il mondo non può rinunciare alla filiera della plastica nonostante si siano fatti molti errori e molte speculazioni, di cui conosciamo solo alcuni risvolti, ma molto si può fare per migliorare le cose. Non possiamo più permetterci, che una risorsa così preziosa per il nostro pianeta sotto forma di rifiuto, sia dispersa nell’ambiente da incoscienti e ignoranti che, con le loro azioni mettono, in pericolo l’ecositema e la vita di tutti.Vedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Come il Procurement Manager può trasformare la gestione aziendale, ottimizzare i costi e promuovere la sostenibilità rispetto al tradizionale responsabile degli acquistidi Marco ArezioQuando pensiamo a come funziona un’azienda, spesso ci concentriamo sui prodotti finali o sui servizi offerti. Tuttavia, dietro le quinte c'è un'attività fondamentale che rende tutto possibile: il procurement, o approvvigionamento. Ma chi è il procurement manager e perché è così importante? E in cosa differisce dal tradizionale responsabile degli acquisti? Vediamolo insieme. Chi è il Procurement Manager? Il procurement manager è un professionista specializzato nell'acquisizione di beni e servizi necessari per il funzionamento dell'azienda. Questo ruolo è spesso confuso con quello del responsabile degli acquisti, ma esistono differenze sostanziali. Mentre il responsabile degli acquisti si occupa principalmente dell'atto dell'acquisto e della gestione degli ordini, il procurement manager ha un approccio più strategico. Non si limita a comprare ciò che serve, ma si preoccupa anche di ottimizzare i processi, gestire le relazioni con i fornitori e garantire che ogni acquisto porti valore aggiunto all'azienda. Differenze tra Procurement Manager e Responsabile degli Acquisti Responsabile degli Acquisti: Focus sulle transazioni: Il responsabile degli acquisti si concentra principalmente sulle attività transazionali, come l'emissione di ordini di acquisto, la gestione delle scorte e la trattativa sui prezzi. Operatività: Questo ruolo è spesso più operativo, gestendo l'aspetto quotidiano delle attività di acquisto per garantire che l'azienda abbia i materiali e i servizi necessari. Budget: Lavora seguendo il budget stabilito dall’azienda, cercando di ottenere i migliori prezzi possibili per i beni e servizi richiesti. Procurement Manager: Approccio strategico: Il procurement manager, oltre a gestire le transazioni, ha una visione più ampia e strategica. Si occupa di sviluppare e implementare strategie di approvvigionamento che allineano gli acquisti con gli obiettivi aziendali. Gestione delle relazioni: Uno dei compiti principali del procurement manager è sviluppare e mantenere relazioni a lungo termine con i fornitori, valutando non solo il prezzo ma anche la qualità e l'affidabilità. Ottimizzazione dei processi: Lavora per migliorare l’efficienza dell’intera supply chain, identificando opportunità di risparmio e miglioramento continuo. Di cosa si occupa il Procurement Manager? Il lavoro di un procurement manager è variegato e ricco di responsabilità. Immaginate di dover scegliere un fornitore per un prodotto fondamentale per la vostra azienda. Non si tratta solo di trovare il prezzo migliore, ma di valutare la qualità, la puntualità delle consegne e la solidità finanziaria del fornitore. Il procurement manager fa proprio questo: ricerca, valuta e seleziona i fornitori, negoziando i termini dei contratti per assicurarsi che siano vantaggiosi per l’azienda. Ma il suo ruolo non finisce qui. Una volta scelti i fornitori, il procurement manager deve gestire i contratti, assicurandosi che i fornitori rispettino gli accordi presi. Questo può includere visite agli stabilimenti dei fornitori, audit di qualità e la gestione di eventuali problemi che possono sorgere. Ottimizzazione dei Costi e Gestione della Qualità Un altro aspetto fondamentale del lavoro del procurement manager è l’ottimizzazione dei costi. Questo non significa semplicemente cercare il prezzo più basso, ma trovare il giusto equilibrio tra costo e qualità. Ad esempio, un fornitore che offre un prezzo molto basso potrebbe non garantire la qualità necessaria, portando a costi nascosti come ritardi o difetti nei prodotti. Il procurement manager deve quindi essere abile nelle negoziazioni, ottenendo il miglior valore possibile per l’azienda. La Supply Chain e la Sostenibilità Oltre a gestire gli acquisti, il procurement manager deve anche coordinare la supply chain. Questo significa pianificare le necessità di approvvigionamento, gestire le scorte e assicurarsi che tutto sia consegnato nei tempi previsti. Un’efficace gestione della supply chain può prevenire interruzioni nelle operazioni aziendali e garantire che i prodotti siano sempre disponibili quando servono. Un altro compito sempre più importante è quello di assicurare la sostenibilità delle pratiche di approvvigionamento. In un mondo in cui l'attenzione all'ambiente è crescente, il procurement manager deve promuovere pratiche sostenibili e responsabili. Questo può includere la scelta di fornitori che rispettano standard ambientali elevati, l’utilizzo di materiali riciclati e la riduzione degli sprechi. I Vantaggi di un Procurement Efficace Un procurement manager efficiente porta numerosi vantaggi all’azienda. Primo fra tutti, la riduzione dei costi. Attraverso negoziazioni vantaggiose e una gestione strategica dei fornitori, è possibile ottenere significative riduzioni dei costi, migliorando la redditività aziendale. Inoltre, un procurement manager capace può migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi offerti dall’azienda. Scegliendo fornitori affidabili e di alta qualità, si riducono i rischi di difetti e problemi, garantendo che i clienti ricevano sempre il meglio. Infine, una gestione efficace della supply chain può migliorare l’efficienza operativa dell’azienda. Con una pianificazione accurata e una gestione oculata delle scorte, si evitano interruzioni nelle operazioni, garantendo che tutto funzioni senza intoppi. Conclusioni In conclusione, la figura del procurement manager è essenziale per il successo di un’azienda moderna. Oltre a occuparsi degli acquisti, questo professionista gioca un ruolo strategico nella gestione delle relazioni con i fornitori, nell’ottimizzazione dei costi e nella garanzia della qualità. La sua capacità di coordinare la supply chain e di promuovere pratiche sostenibili può fare la differenza tra un'azienda che semplicemente sopravvive e una che prospera.
SCOPRI DI PIU'Non farsi trascinare da slogan o da promesse senza fondamenta, restare aderenti alla realtà per migliorare le cose di Marco ArezioSe aprite internet e digitate “Plastic Free” troverete un fiume in piena di siti, social, blog, aziende, istituzioni che hanno una solo parola d’ordine: cancellare la plastica dalla faccia della terra. Ma come in tutti gli eserciti, gli ordini si rispettano, non si discutono, anche se sono dati come “parole d’ordine”, non è lecito avere delle opinioni. Questo in modo romanzato e un po’ grottesco è quello che sta succedendo nel mondo globalizzato dove la gestione del potere non è più, apparentemente, in mano alle istituzioni, alla politica o al denaro, nei termini classici a cui eravamo abituati fino a poco tempo fa, ma comandano le masse che hanno il potere di influenzare il mercato e, con esso, la nostra vita. Ma dietro ogni massa, comunque, ci sono sempre i soliti motori delle lobbies, del denaro e della politica con un vestito nuovo. Viviamo nell’era della libertà più assoluta ma se ci fermiamo a pensare alla condizione umana notiamo che una parte della gente si sente sola e insicura per cui trova nell’associazionismo, reale o virtuale, il modo di appartenere e condividere temi e movimenti di cui conosce poco e di cui si interroga ancora meno, ma si sente parte di qualche cosa. “Plastic Free” o “Zero Plastic” sono movimenti che sono cresciuti dalle paure della gente, che identifica nella plastica dispersa in mare o nella natura, il nemico numero uno da combattere. Questi movimenti sono stati ripresi e usati da alcune aziende che attraverso le campagne di marketing hanno trovato nuovi futuri clienti o per lo meno nel tentativo di evitare i consumatori-nemici, da alcuni media che propongono campagne di liberazione della plastica dai mari senza assolvere al loro principale compito che è quello dell’informazione imparziale, dalle istituzioni, grandi e piccole, che si reggono sulla politica e sui voti della gente e, quindi, per lo stesso motivo delle aziende, non possono inimicarsi la popolazione. Ma in un modo libero è lecito che ognuno abbia la propria opinione e possa seguire le correnti di pensiero che crede e i movimenti in cui crede. Il punto fondamentale è che ogni persona dovrebbe fare delle scelte razionali e meditate perché oggi le masse si muovono in modo rapido, crescendo velocemente e sapendo che ogni spostamento avrà una conseguenza, anche se il singolo non ci pensa. Moltissime persone vogliono rinunciare alla plastica perché secondo loro inquina, è un demone e senza di essa, pensano, avranno un mondo migliore. Direi che si può accettare questa teoria, magari non condividerla, perché nessuno è sposato alla plastica, ma poi? Quali sono le alternative nel breve periodo? Con quali materiali ecologici la sostituiamo? La plastica non è fatta solo di bottiglie o di fustini del detersivo o di sacchetti di plastica che vediamo nei documentari dispersi in mare, la usiamo in ospedale per salvarci la vita, su ogni mezzo di trasporto che prendiamo, anche quelli più ecologici, nelle nostre case, sei nostri computer o telefonini o stampanti o televisioni, nell’industria che produce i beni più vari che compriamo tutti i giorni anche se siamo promotori del “Plastic Free”, nei mezzi di pagamento, nei vestiti, nelle scarpe.. Forse facciamo prima ad elencare cosa non produciamo con la plastica. Immaginiamo quindi di cancellare di colpo tutti questi prodotti e sostituirli con prodotti più ecologici seguendo il motto del “Plastic Free o Zero Plastic”. Dove sono i prodotti green, oggi, che possono compiere questo passo? Un conto è gridare no alla plastica, un conto, subito dopo, è trovare una soluzione per continuare a vivere in modo reale. Ci vuole tempo, competenze tecniche e volontà politica per portare avanti un cambiamento così radicale, anche solo parzialmente, ricordandoci che la plastica è un materiale con delle doti tecniche ed economiche difficilmente sostituibili con le conoscenze scientifiche oggi a nostra disposizione. Ma dal punto di vista tecnico abbiamo tutte le conoscenze e le informazioni per risolvere il problema dell’inquinamento che l’uomo, non la plastica in sè, ha creato nell’ambiente. Vogliamo parlare, solo per fare un esempio tra i tanti che potremmo citare, delle proposte di sostituire le cannucce per bere o i pettini o gli spazzolini da denti con il bambù? Idea lodevole, ma anche se dal punto di vista del marketing può essere apprezzata, abbiamo considerato che una importante richiesta di materia prima per la produzione di questi articoli comporta l’inizio di nuove colture e quindi la ricerca di terre libere sulle quali coltivare le piante? Ci sono terre fertili attualmente libere o dobbiamo come sempre bruciare la foresta per fare spazio a nuove coltivazioni che richiederanno acqua e forse concimi, diserbanti e insetticidi chimici per sostenere il business? La plastica riciclata è una risorsa fondamentale per le nostre società, quindi vale la pena di elencarne alcuni aspetti premianti di questa importante funzione: – Il riciclo della plastica permette di ridurre l’uso di polimeri vergini, derivati dal petrolio, ogni volta che si produce un prodotto. 1 kg. di plastica rigenerata viene usata innumerevoli volte riducendo così la dipendenza dal petrolio. – Il riciclo della plastica permette la creazione di posti di lavoro specialmente in quei paesi dove il tessuto industriale è scarso, dando alle popolazioni una ulteriore possibilità di occupazione locale. – Il riciclo plastica salva l’ambiente da quello che i media ci fanno vedere tutti i giorni, l’inquinamento creato dai prodotti finiti buttati anziché riutilizzati. – La plastica può essere combustibile che serve per creare l’elettricità e combustibili liquidi riducendo la dipendenza dal petrolio e da altre fonti fossili molto inquinanti come il carbone. – Se alzassimo la % di plastica riciclata ogni anno nel mondo si instaurerebbe un circolo economico virtuoso e una riduzione sostanziale dell’inquinamento a tutti i livelli. Per imprimere una svolta che possa, in tempi rapidi risolvere il problema ambientale, si devono legare insieme vari settori che coprono i tasselli che compongono l’economia circolare: produzione, raccolta, riciclo e riuso. La produzione deve creare prodotti che siano più riciclabili di quelli che troviamo adesso sul mercato e non solo preoccuparsi di inserire nelle loro produzioni percentuali variabili di plastica riciclata. Le aziende devono essere coinvolte nel progetto sociale per cui riducano al minimo la produzione di articoli che a fine vita non potranno essere riciclati. La raccolta coinvolge le istituzioni governative che devono imporre ai cittadini un sistema chiaro e semplice per dividere i rifiuti plastici a fine vita, dando agli utenti informazioni non contraddittorie su come selezionare i rifiuti. Il cittadino deve prendere coscienza del compito sociale che gli è stato affidato nell’assolvere in modo corretto questo compito, anche e soprattutto per se stesso. I governi devono incrementare gli investimenti sul riciclo dei rifiuti, aiutando il mercato a trovare un equilibrio, anche economico, che permetta alle aziende che riciclano di avere una remunerazione corretta sul lavoro e sugli investimenti e un riconoscimento sociale del settore in cui operano. L’adozione di sistemi di vendita del rifiuto plastico post-raccolta, che vede i riciclatori schiacciati da prezzi delle materie prime nati a seguito di aste, sono un mezzo per frenare lo sviluppo del mercato a discapito della collettività. Inoltre la ricerca scientifica dovrebbe essere maggiormente supportata dai governi, in modo da arrivare ad attribuirgli una funzione di supporto tecnico circa i progetti per l’utilizzo delle plastiche non riciclabili come combustibili in sostituzione delle fonti fossili. Il riuso dei rifiuti plastici attraverso il processo di riciclo permette di ricreare valore al mercato dei prodotti senza attingere alle fonti naturali della terra chiudendo il circolo virtuoso dell’economia circolare. Ma tutto questo, senza una cultura generale sul mondo della plastica più ampia, è un compito veramente difficile. Un problema non parte mai dalla sua fine ma dal suo inizio, quindi non bisogna demonizzare la plastica perché è nei mari ma capire perché l’uomo la butta nell'ambiente e poi ce la troviamo nel mare. Se per magia nessuno disperdesse nell'ambiente i rifiuti ma capisse che questi sono risorse, a basso costo, equamente distribuite nel mondo, con le quali si può vivere sia dal punto di vista economico che ambientale, pensate che ci sarebbe ancora plastica nei mari? Stupidi a parte naturalmente.Vedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'La sperimentazione di Dalmine apre nuove prospettive sostenibili per l'ex Ilva e l'industria dell'acciaio italianadi Marco ArezioL'industria siderurgica, nota per la sua intensità energetica e le elevate emissioni di CO2, sta esplorando nuove frontiere per la decarbonizzazione. In questo contesto, l'idrogeno emerge come una soluzione promettente. La sperimentazione dell'utilizzo dell'idrogeno per fornire energia alla siderurgia comincia a Dalmine e potrebbe presto estendersi ad altre realtà industriali, compresa l'ex Ilva, offrendo una soluzione sostenibile per tutta l'industria dell'acciaio. Il Contesto della Sperimentazione Il primo test di utilizzo dell'idrogeno nell'industria siderurgica in Italia ha luogo presso lo stabilimento di TenarisDalmine, a Dalmine, in provincia di Bergamo. Questo progetto è il frutto della collaborazione tra Snam, TenarisDalmine e Tenova. Snam è uno dei principali operatori europei di infrastrutture energetiche, TenarisDalmine è una società di Tenaris, leader mondiale nella produzione di tubi e servizi per il mondo dell'energia, e Tenova è un'azienda leader nello sviluppo di soluzioni sostenibili per la transizione verde dell'industria metallurgica. La sperimentazione avrà una durata iniziale di sei mesi e mira a valutare le prestazioni e l'affidabilità dell'idrogeno come combustibile nell'industria siderurgica, con l'obiettivo di estendere queste pratiche ai settori "hard to abate", quelli più difficili da decarbonizzare. Idrogeno Prodotto “In Situ” Il cuore del progetto è l'utilizzo di idrogeno prodotto direttamente sul sito per alimentare un bruciatore sviluppato da Tenova. Questo bruciatore è installato in un forno di riscaldo per la laminazione a caldo di tubi senza saldatura presso lo stabilimento di TenarisDalmine. La produzione in situ dell'idrogeno consente di evitare le complicazioni legate al trasporto e allo stoccaggio di questo gas, riducendo i costi e migliorando l'efficienza. Obiettivi della Sperimentazione Il test di Dalmine contribuirà a definire linee guida sulla sicurezza e procedure di gestione degli impianti, con l'obiettivo di trovare soluzioni integrate che riducano significativamente le emissioni di CO2 dei processi industriali. Questo progetto è un passo cruciale verso la transizione verde dell'industria siderurgica, che mira a ridurre l'impatto ambientale della produzione di acciaio. L'idrogeno, infatti, ha il potenziale di diventare una delle principali fonti di energia pulita per l'industria pesante. La sua combustione produce solo vapore acqueo, eliminando le emissioni di anidride carbonica associate ai combustibili fossili tradizionali. Inoltre, l'idrogeno può essere prodotto utilizzando fonti rinnovabili, come l'elettrolisi dell'acqua alimentata da energia eolica o solare, rendendo l'intero ciclo di produzione completamente sostenibile. Implicazioni per l'Industria Siderurgica Italiana L'ex Ilva, una delle maggiori acciaierie d'Europa, potrebbe beneficiare enormemente da queste nuove tecnologie. L'adozione dell'idrogeno come combustibile potrebbe non solo ridurre le emissioni, ma anche migliorare l'efficienza energetica degli impianti, riducendo i costi operativi a lungo termine. Inoltre, il successo della sperimentazione a Dalmine potrebbe fungere da modello per altre industrie siderurgiche in Italia e nel mondo. L'implementazione di tecnologie a idrogeno potrebbe diventare un elemento chiave della strategia di sostenibilità delle aziende, contribuendo a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti dagli accordi internazionali sul clima. Problematiche e Prospettive Future Nonostante il potenziale dell'idrogeno, ci sono ancora diversi problemi da affrontare. La produzione di idrogeno verde, cioè prodotto da fonti rinnovabili, è attualmente più costosa rispetto ai combustibili fossili. Tuttavia, con il continuo progresso tecnologico e l'aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili, i costi dell'idrogeno verde potrebbero diminuire significativamente nei prossimi anni. Un altro problema riguarda l'infrastruttura necessaria per la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione dell'idrogeno. È necessario sviluppare una rete di infrastrutture adeguate per supportare l'utilizzo diffuso dell'idrogeno nell'industria. Questo richiederà una cooperazione tra aziende, governi e istituzioni di ricerca per creare un ecosistema favorevole all'adozione dell'idrogeno. Infine, la formazione del personale e la gestione della sicurezza saranno aspetti cruciali per l'implementazione dell'idrogeno nell'industria siderurgica. L'idrogeno è un gas altamente infiammabile e richiede misure di sicurezza rigorose per prevenire incidenti. Le linee guida e le procedure sviluppate durante la sperimentazione a Dalmine saranno fondamentali per garantire un utilizzo sicuro dell'idrogeno su larga scala. Conclusioni La sperimentazione dell'idrogeno per l'industria siderurgica che ha avuto inizio a Dalmine rappresenta un passo significativo verso la decarbonizzazione del settore. Questa iniziativa non solo potrà fornire soluzioni sostenibili all'ex Ilva e ad altre acciaierie italiane, ma anche influenzare positivamente l'industria siderurgica globale. Se la sperimentazione avrà successo, l'idrogeno potrebbe diventare una componente fondamentale della strategia energetica dell'industria dell'acciaio, contribuendo significativamente alla riduzione delle emissioni di CO2 e promuovendo una transizione verso un'economia più verde e sostenibile. L'integrazione dell'idrogeno nei processi industriali potrebbe rappresentare una svolta, non solo per la siderurgia, ma anche per altri settori industriali difficili da decarbonizzare, segnando l'inizio di una nuova era per l'industria pesante.
SCOPRI DI PIU'La crescente tensione commerciale vede Bruxelles costretta a manovrare con cautela tra gli aumenti tariffari imposti da Washington e le possibili ritorsioni di Pechinodi Marco Arezio La tensione tra Stati Uniti, Unione Europea e Cina, considerata ormai un rivale strategico, continua a crescere, sebbene non si possa ancora parlare di una guerra commerciale. L'ultimo G7 tenutosi a Stresa ha messo in luce le divergenze tra Washington e Bruxelles riguardo a Pechino. L'UE, internamente divisa, mantiene un approccio più cauto rispetto agli USA, temendo le ritorsioni cinesi. Infatti, a giugno, la Commissione Europea annuncerà nuovi dazi sulle auto elettriche prodotte in Cina, che passeranno dal 10% al 25%, una cifra comunque inferiore al 100% delle tariffe imposte dall'amministrazione Biden. La decisione di Bruxelles è il frutto di un'indagine sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina, che si concluderà il 9 giugno. L'indagine mira a verificare se Pechino stia sovvenzionando pesantemente la propria industria, inondando il mercato europeo con veicoli elettrici a basso costo. Tale iniziativa è stata promossa dalla Francia, nonostante le riserve della Germania: Parigi spinge per una politica protezionista, mentre Berlino teme per le proprie esportazioni verso la Cina. L'Italia, come evidenziato a Stresa, è più vicina alle posizioni francesi. Il ministro dell'Economia Giorgetti ha dichiarato che "il tema dei dazi verso la Cina è un dato oggettivo, non una scelta politica" e che "l'Inflation Reduction Act degli USA ha costretto l'UE a riflettere su come comportarsi, altrimenti pagheremo due volte un deficit di competizione con gli USA e la Cina". Il 14 maggio scorso, la Casa Bianca ha annunciato un forte aumento dei dazi su alcuni prodotti cinesi per un valore di 18 miliardi di dollari, inclusi i veicoli elettrici, i pannelli solari e i semiconduttori (che raddoppiano fino al 50%), le batterie elettriche e i minerali critici necessari per produrle (al 25%), così come alcune importazioni di acciaio e alluminio. L'obiettivo dichiarato dagli USA è proteggere le industrie strategiche americane dalla competizione sostenuta dai sussidi cinesi. Gina Raimondo, segretaria del Commercio degli Stati Uniti, ha dichiarato: "Conosciamo le strategie della Repubblica Popolare Cinese, non possiamo permettere alla Cina di indebolire le catene di approvvigionamento statunitensi inondando il mercato con prodotti artificialmente economici". Questa mossa ha preoccupato l'Unione Europea, che teme un'invasione di auto elettriche cinesi nel mercato europeo. I veicoli elettrici sono solo parte del problema: Bruxelles sta conducendo diverse indagini su pratiche commerciali scorrette cinesi che potrebbero portare a nuovi dazi, inclusi dispositivi medici, macchine per controlli di sicurezza, turbine eoliche, pavimenti in legno e laminati in acciaio stagnato. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, durante una visita in Svezia, ha sottolineato che il 50% delle esportazioni di veicoli elettrici dalla Cina proviene da marchi occidentali con fabbriche nel Paese. Il premier svedese Ulf Kristersson ha criticato le tariffe americane definendole "stupide" e controproducenti per il commercio globale. Secondo il gruppo Transport & Environment, i veicoli elettrici di fabbricazione cinese rappresenteranno il 25% di tutte le vendite di auto a batteria nell'UE quest'anno, rispetto al 19,5% dello scorso anno. Bruxelles trova difficile reagire con la stessa intensità degli USA per due motivi: i produttori europei dipendono più dal mercato cinese rispetto a quelli statunitensi, e l'UE è meno incline a vietare gli investimenti diretti esteri cinesi, come dimostrato dalla decisione dell'Ungheria di accogliere BYD. I dazi americani non si limitano all'automotive. Biden manterrà gli aumenti tariffari su beni cinesi per un valore di oltre 300 miliardi di dollari, introdotti dal suo predecessore Trump, criticati da Biden stesso come "tasse sui consumatori americani". La Cina accusa Washington di voler impedire la competizione globale e avverte che questa decisione influenzerà negativamente la cooperazione bilaterale. Pechino ha investito per anni per diventare autosufficiente nei settori che Biden sta cercando di sviluppare negli USA. Produce un terzo dei prodotti manifatturieri mondiali, più di USA, Germania, Giappone, Sud Corea e Gran Bretagna messe insieme, come evidenziato dal New York Times. La mossa di Biden deve essere letta anche in chiave elettorale: il presidente deve contrastare Trump negli Stati della Rust Belt, dove l'industria automobilistica riceverà sussidi per facilitare la transizione all'energia pulita. Trump promette di imporre tariffe sulle auto elettriche cinesi, anche quelle provenienti da Paesi terzi come il Messico. Secondo fonti della campagna di Trump, l'ex presidente e i suoi consiglieri intendono imporre dazi maggiori sulle auto che entrano dal Messico se questo Paese non fermerà l'invio di auto elettriche cinesi. Trump ha dichiarato di voler tassare al 200% ogni auto proveniente da impianti cinesi in Messico e di aumentare del 10% i dazi su tutti i prodotti stranieri, con un aumento del 60% su quelli cinesi. Biden sostiene che l'approccio di Trump non ha funzionato e che la sua amministrazione sta cercando di aumentare la produzione americana e gli impieghi nei settori emergenti. Tuttavia, Biden continua a seguire alcune delle misure introdotte da Trump, come le restrizioni commerciali e i sussidi alle industrie americane. La differenza è che Biden punta sulla creazione di alleanze internazionali, anche con l'Europa, per contrastare la Cina, benché abbia fatto infuriare gli alleati imponendo tariffe su acciaio e alluminio provenienti dall'UE e dal Giappone.
SCOPRI DI PIU'Moplen, Bramieri e il Carosello: Negli anni ’50 Nasce il Marketing Industrialedi Marco ArezioAlla fine della seconda guerra mondiale il tessuto industriale italiano era praticamente distrutto, a causa degli intensi bombardamenti e della guerra civile che si era combattuta fino alla liberazione. La necessità impellente, negli anni successivi per il governo Italiano, era far ripartire la ricostruzione delle città che avevano subito ingenti danni e rimettere in sesto l’industria, in modo da poter assolvere ai bisogni dei cittadini. Vi era una povertà diffusa, una forte disoccupazione e una grande dipendenza da parte degli alleati, con in testa gli Stati Uniti, i quali varando il piano Marshall, convogliarono in Italia un’ingente quantità di denaro e di beni di prima necessità. Gli anni ’50 del secolo scorso videro faticosamente l’impegno di tutti per alleviare le sofferenze della popolazione che usciva da una guerra tremenda, si ricostruirono scuole, strade, fabbriche, si cercò di migliorare la resa dell’agricoltura, finalizzata ad una maggiore autosufficienza alimentare. Con il passare degli anni si riuscì a mettere in moto il mondo del lavoro con la conseguenza che, verso la fine del decennio, il tenore di vita delle famiglie iniziò piano piano ad aumentare. Le fabbriche del nord attiravano molti lavoratori che emigravano dal sud e, questo, costituì un volano per l’edilizia che creò nuovi alloggi, ampliando le città ed imprimendo un beneficio a tutto l’indotto. I tempi erano maturi per dotare le case degli italiani di nuovi prodotti necessari per una vita più modera, infatti, da pochi anni era nata la televisione, erano disponibili i frigoriferi, le lavatrici e molti altri prodotti per la casa. Un mercato immenso, che aveva bisogno di tutto, dove le aziende avevano la preoccupazione di produrre, far conoscere i nuovi prodotti e vendere. Qui nasceva una grande opportunità da parte delle aziende, che era rappresentata dagli spots televisivi della nuova televisione di Stato, che pubblicizzavano i prodotti all’interno del programma Carosello, sempre più visto dalla popolazione, in virtù dell’aumento delle vendite dei televisori. Quale mezzo più idoneo per convincere la gente a comprare i prodotti innovativi recitati da personaggi famosi e apprezzati dal pubblico. Un connubio poderoso fu il lancio dei prodotti in plastica fatti con il polipropilene, chiamato Moplen, che attraverso gli sketch di Gino Bramieri, famosissimo attore e comico, convinse la gente ad adottare i prodotti per la casa realizzati con il Moplen. Scolapasta, secchi, barattoli, ciotole, mastelli, giocattoli, attrezzature per lavare e molti altri prodotti erano non più realizzati in metallo o legno, pesanti e poco piacevoli alla vista, ma attraverso una materia prima che aveva molti colori, era duratura ed indistruttibile. Il genio italiano, Giulio Natta, ricevette nel 1963, per la creazione del polipropilene, come tutti sanno, il premio Nobel per la chimica e, l’Italia, era il paese ideale per la conferma di questo sviluppo. Forse, per la prima volta, le attività di marketing che hanno permesso una così ampia diffusione dei prodotti fatti in plastica, sono state da volano per altre aziende produttrici che utilizzarono i nuovi strumenti divulgativi, in maniera sempre più studiati ed efficaci. I messaggi pubblicitari, all’inizio, erano una via di mezzo tra un’attività teatrale e una di promozione, in modo soft, che coinvolgevano la gente che li guardava in modo divertente e spensierato. Bramieri fu un colosso in questo senso, in quanto realizzava duetti spiritosi, a volte vestito da donna, come se fosse una commedia comica, per poi mostrare i vantaggi dei prodotti in plastica all’interno della casa. Categoria: notizie - tecnica - plastica - moplen - marketing industriale - PP
SCOPRI DI PIU'Come gli imprenditori possono mantenere le promesse attraverso la comunicazione proattiva e l'impegno verso soluzioni alternative, rafforzando la fiducia tra collaboratori, clienti e stakeholderdi Marco ArezioIn tempi di crisi economica e sociale, la parola data assume un valore inestimabile. Tuttavia, troppo spesso gli imprenditori non sentono pienamente questa responsabilità, sottovalutando l'importanza di mantenere gli impegni presi. Mantenere la parola data non è solo un atto di integrità personale, ma un elemento cruciale per consolidare la fiducia tra collaboratori, clienti e stakeholder. Questo articolo esplorerà perché mantenere le promesse è fondamentale e come la comunicazione proattiva può prevenire il tradimento della fiducia. La Parola Data come Pilastro della Fiducia La fiducia è la base di qualsiasi relazione professionale. In un contesto di business, essa è essenziale per il funzionamento e il successo a lungo termine di un'azienda. Mantenere la parola data è un atto che rafforza questa fiducia. Quando un imprenditore fa una promessa, sia essa verso un cliente, un dipendente o un partner commerciale, quella promessa diventa una parte del tessuto di fiducia che tiene insieme la relazione. Il mancato rispetto degli impegni presi può avere conseguenze disastrose. Non solo può danneggiare la reputazione dell'azienda, ma può anche erodere la motivazione dei dipendenti e la fedeltà dei clienti. In un mondo dove la competizione è feroce e le informazioni viaggiano rapidamente, mantenere la parola data può fare la differenza tra il successo e il fallimento. La Comunicazione Proattiva come Strumento di Responsabilità Nella gestione delle promesse, la comunicazione gioca un ruolo cruciale. Non sempre è possibile mantenere gli impegni presi per vari motivi, come imprevisti economici, problemi operativi o cambiamenti nelle condizioni di mercato. Tuttavia, il modo in cui si gestiscono queste situazioni può determinare se la fiducia viene mantenuta o tradita. Comunicare tempestivamente e con trasparenza è essenziale. Informare i collaboratori, i clienti e gli stakeholder dei problemi emergenti prima delle scadenze, spiegando i motivi dell'impossibilità di rispettare gli impegni, mostra responsabilità e rispetto. Questo tipo di comunicazione non solo previene il disappunto, ma dimostra anche un impegno verso la risoluzione dei problemi. Proporre Alternative: Una Prova di Serietà e Impegno Quando non è possibile mantenere una promessa, non basta semplicemente comunicare il problema. È altrettanto importante proporre alternative praticabili. Questo approccio mostra che l'imprenditore non si limita a segnalare i problemi, ma è attivamente impegnato a trovare soluzioni. Le alternative possono variare a seconda del contesto, ma l'importante è che siano realistiche e fattibili. Ad esempio, se una consegna di prodotti viene ritardata, offrire una spedizione express gratuita o un sconto sul prossimo ordine può compensare il disagio subito dal cliente. Se un progetto non può essere completato entro la scadenza prevista, discutere nuove tempistiche o modalità alternative per portarlo a termine può mantenere la fiducia dei partner coinvolti. Il Silenzio come Tradimento della Fiducia Rimanere in silenzio di fronte all'impossibilità di mantenere una promessa è uno degli errori più gravi che un imprenditore possa commettere. Il silenzio equivale a tradire la fiducia, poiché lascia i collaboratori, i clienti e gli stakeholder nell'incertezza e nell'insoddisfazione. Questo comportamento può danneggiare irreparabilmente le relazioni professionali e la reputazione dell'azienda. La trasparenza e la comunicazione proattiva, al contrario, dimostrano un atteggiamento di rispetto e responsabilità. Anche nei momenti difficili, essere aperti e onesti riguardo alle sfide e alle limitazioni mostra che l'imprenditore è degno di fiducia e impegnato a lavorare per il bene comune. Conclusione In tempi di crisi, mantenere la parola data diventa un fattore cruciale per consolidare la fiducia tra collaboratori, clienti e stakeholder. Gli imprenditori devono sentire la responsabilità delle loro promesse e impegnarsi a mantenerle con integrità e trasparenza. La comunicazione proattiva e la proposta di alternative sono strumenti essenziali per gestire le promesse in modo responsabile. Ignorare queste pratiche equivale a tradire la fiducia e può avere conseguenze disastrose per l'azienda. Solo attraverso un impegno costante verso la parola data è possibile costruire relazioni solide e durature, capaci di resistere anche alle crisi più difficili.
SCOPRI DI PIU'Nel 2023, l'Italia ha nominato 2.498 energy manager, un record ventennaledi Marco ArezioIl 2023 è stato un anno memorabile per la figura dell'energy manager in Italia, segnando un record di nomine mai raggiunto negli ultimi vent'anni. Con un totale di 2.498 nomine, il numero di energy manager attivi nel Paese ha visto un incremento del 19% rispetto al periodo 2014-2020 e dell'1% rispetto al triennio 2020-2023. Questo dato, che emerge dal rapporto "Energy manager in Italia 2024" presentato dalla Federazione per l'uso razionale dell'energia (Fire), riflette una rinnovata attenzione verso la gestione efficiente dell'energia in un contesto di crescenti preoccupazioni ambientali ed economiche. La Funzione dell'Energy Manager L'energy manager è una figura cruciale nelle aziende italiane, responsabile della conservazione e dell'uso razionale dell'energia. Questo ruolo, obbligatorio per le aziende e gli enti che superano una certa soglia di consumo energetico, mira a ottimizzare l'efficienza energetica e ridurre gli sprechi. Nel 2023, degli energy manager nominati, 1.728 provengono da soggetti obbligati, segnando un incremento del 17% rispetto al periodo 2014-2020 e del 2% rispetto al triennio 2020-2023. Un Trend in Crescita Post-Crisi La crescita record di nomine nel 2023 rappresenta una significativa inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti, caratterizzati da una diminuzione delle nomine dovuta alla crisi pandemica e alla crisi dei prezzi energetici. La riduzione dei consumi energetici in settori come l'industria e i trasporti aveva infatti portato a un calo nell'investimento in figure specializzate come gli energy manager. Tuttavia, il 2023 ha visto un rilancio, con un aumento delle nomine che riflette una rinnovata attenzione verso l'efficienza energetica e la sostenibilità. Diversità e Competenze degli Energy Manager Un altro dato significativo che emerge dal rapporto di Fire riguarda la diversità e le competenze degli energy manager. Nel 2023, sono state nominate 178 donne, rappresentando circa il 10% del totale. Questo indica un lento ma crescente riconoscimento della necessità di diversificare il settore, anche in termini di genere. In termini di qualifiche, il 79% degli energy manager possiede una laurea tecnica, mentre l'1% ha una laurea non tecnica e il 16% un diploma tecnico professionale. Questi dati sottolineano l'importanza di una formazione specifica e avanzata per affrontare le sfide della gestione energetica. Inoltre, il 67% degli energy manager sono dipendenti delle aziende coinvolte, mentre il 37% sono consulenti esterni. Questo dato evidenzia la crescente tendenza delle aziende a integrare competenze specializzate all'interno delle loro strutture organizzative. Certificazioni e Sistemi di Gestione dell'Energia Un altro aspetto rilevante è la crescita del numero di energy manager che possiedono la certificazione di esperti in gestione dell'energia (Ege). Il 21% dei dipendenti e il 73% dei consulenti hanno ottenuto questa certificazione, dimostrando un impegno crescente verso la professionalizzazione e la competenza nel settore. Inoltre, è in aumento anche il numero di energy manager che operano all'interno di un sistema di gestione dell'energia (Sge), un indicatore chiave della maturità delle aziende in termini di gestione energetica. Prospettive Future Guardando al futuro, la crescente nomina di energy manager e l'incremento delle loro competenze rappresentano un segnale positivo per l'economia energetica italiana. La gestione efficiente dell'energia non solo contribuisce a ridurre i costi operativi delle aziende, ma anche a mitigare l'impatto ambientale delle attività industriali. Con una crescente attenzione verso la sostenibilità e l'efficienza energetica, il ruolo dell'energy manager diventa sempre più centrale nel panorama industriale e aziendale. In conclusione, il 2023 ha segnato un punto di svolta per la figura dell'energy manager in Italia. La crescita record di nomine e l'aumento delle competenze e delle certificazioni riflettono una crescente consapevolezza dell'importanza della gestione energetica. Questo trend positivo, se sostenuto, potrebbe portare a significativi benefici economici e ambientali per il Paese, contribuendo a un futuro più sostenibile e efficiente dal punto di vista energetico.
SCOPRI DI PIU'La strategia di mettere in competizione tra loro le risorse umane può avere dei limiti e dei pericolidi Marco ArezioNel mondo del lavoro la competizione è una cosa naturale e sana, dove i colleghi cercano di competere per migliorare la loro posizione lavorativa, economica e di prestigio. Ci sono persone più ambiziose che vedono precisamente i loro obbiettivi e cercano a tutti i costi di raggiungerli, mentre altre cercano di avere rapporti stabili, rutinari evitando scontri e dispute. La capacità del manager di valutare queste differenze caratteriali all’interno del team di lavoro, è importante per finalizzare i propri obbiettivi e per mantenere una stabilità e una continuità nel gruppo. La prima analisi da fare riguarda il numero degli elementi definiti “ambiziosi” rispetto agli altri e la qualità della loro determinazione, in modo da valutare le eventuali ripercussioni nel team. In ogni gruppo di lavoro si forma naturalmente una piramide gerarchica, anche non dichiarata, dove uno o più elementi trascinano la squadra verso gli obbiettivi aziendali. Il manager dovrebbe valutare le conseguenze di questa o queste leaderships, inclusi i risvolti produttivi e relazionali che tali elementi potrebbero creare. Per fare questo è bene conoscere gli aspetti caratteriali dei componenti della squadra, in quanto la convivenza tra gli elementi del team è un fattore da tenere in considerazione per i risultati finali. I collaboratori possono accettare di buon grado imposizioni fatte dal manager da cui dipendono gerarchicamente, inserito ufficialmente nell’organigramma aziendale, ma possono non gradire gli ordini comunicati da un collega considerato al loro stesso livello. In situazioni simili si vedono spesso managers che seguono strategie di gestione dei collaboratori differenti. Una strategia può seguire il motto antico divide et Impera, che tende a lasciare nel gruppo più di un leader, con la conseguenza di vedere crescere la competitività tra i colleghi, le lotte dichiarate o sotterranee, la creazione di fazioni più facili da controllare e che non intaccano il suo potere. Il manager in questo caso interviene, normalmente, solo quando il tenore delle dispute superano un certo limite o la situazione, legata ai risultati aziendali, impone un intervento per spronare gli elementi. E’ scelta solitamente da managers, le cui ambizioni verso i risultati aziendali e il prestigio personale superano qualsiasi necessità di rapporti umani, tendendo a distribuire in modo parsimonioso riconoscenze mirate al mantenimento di un gruppo efficiente ma conflittuale. La seconda strategia tende invece ad eleggere un leader nel gruppo, che sia ambizioso ma non narciso, che si preoccupi di coinvolgere i colleghi nei successi e nel prestigio dei risultati, imparando a fare il manager. In questo modo si avrà un gruppo più coeso, forse un po' meno competitivo, ma più efficiente nel lungo periodo, con un turnover delle risorse umane più basso e meno dispersione di conoscenze. Il manager che segue questa strada è coinvolto umanamente con le persone del proprio team, le frequenta, è empatico e collaborativo, corretto e affidabile. Si crea un clima di fiducia reciproca, di chiarezza e distensione che spronano i lavoratori ad impegnarsi per mantenere uno status quo lavorativo, apprezzabile e di valore. Consigliare quale sia la strategia migliore, tra quelle che abbiamo visto, per la gestione della forza lavoro è del tutto personale, in quanto il carattere del manager influenzerà la scelta. Non si può dire, come si crede, che quella del Divide et Impera possa essere sempre la migliore, in quanto bisogna valutare i rischi che l’estrema competizione tra i lavoratori possa portare. I pericoli possono venire da forme di invidia che potrebbero spingere, alcuni lavoratori non considerati o esclusi dalla competizione, a forme di ritorsioni, più o meno blande, con la compromissione dei risultati generali. Un altro pericolo è l’abbandono del posto di lavoro da parte di alcuni elementi che mal sopportano un ambiente teso e conflittuale, con il rischio di un turnover alto e la perdita delle conoscenze acquisite dai lavoratori che lasciano, con le difficoltà dell’azienda a trovare elementi validi.
SCOPRI DI PIU'Un Viaggio tra le Diverse Figure Professionali e le Abilità Richieste per Innovare e Sostenere la Produzione della Carta, dalla Foresta al Mercato Globaledi Marco ArezioIl settore della produzione della carta rappresenta una delle industrie più antiche e, al contempo, innovative del mondo. La sua complessità non risiede solo nel prodotto finale, ma soprattutto nel variegato mosaico di professionalità e competenze necessarie per portare un semplice foglio di carta dalla foresta al consumatore. In questo viaggio, ogni passaggio coinvolge esperti in differenti campi, tutti impegnati a garantire efficienza, sostenibilità e qualità. Dalla Foresta alla Cartiera: La Gestione Forestale Il punto di partenza della produzione della carta è indiscutibilmente la foresta. La gestione forestale, dunque, è una delle prime tappe cruciali. I gestori forestali sono i custodi delle risorse naturali. La loro missione non è solo quella di assicurare una fornitura costante di legno, ma anche di preservare l'equilibrio ecologico. Per riuscirci, devono possedere una conoscenza approfondita delle dinamiche forestali, delle pratiche di silvicoltura sostenibile e delle tecniche di gestione del territorio. Devono essere capaci di valutare la salute delle foreste, pianificare a lungo termine e utilizzare strumenti tecnologici come i GIS per monitorare e gestire il territorio in modo efficace. L'Ingegneria Meccanica: Il Cuore della Produzione Quando si passa alla fase di lavorazione del legno e alla produzione della carta, l'ingegneria meccanica diventa protagonista. Gli ingegneri meccanici nel settore cartario sono responsabili della progettazione e manutenzione delle macchine utilizzate. Queste macchine sono complesse e richiedono una precisione elevata. Gli ingegneri devono possedere competenze avanzate di meccanica e ingegneria, saper utilizzare software di progettazione CAD e avere un'ottima capacità di problem solving. La manutenzione preventiva e correttiva è essenziale per evitare fermi macchina e garantire un flusso di produzione continuo ed efficiente. Il Ruolo Cruciale dell'Ingegneria Chimica Parallelamente, l'ingegneria chimica gioca un ruolo fondamentale nella trasformazione del legno in pasta di cellulosa e, successivamente, in carta. Gli ingegneri chimici devono comprendere i complessi processi chimici coinvolti, ottimizzare le reazioni per massimizzare l'efficienza e minimizzare gli sprechi. Devono essere esperti nelle tecniche di laboratorio e analisi chimiche, capaci di migliorare continuamente i processi industriali per aumentare la sostenibilità e la sicurezza. La gestione delle sostanze chimiche e il rispetto delle normative ambientali sono altrettanto cruciali. La Precisione dei Tecnici di Laboratorio La qualità della carta prodotta dipende in gran parte dal lavoro dei tecnici di laboratorio. Questi professionisti eseguono una serie di test fisici, chimici e biologici sui campioni di carta per assicurarsi che rispondano agli standard richiesti. Devono essere abili nelle tecniche di test e misurazione, avere un occhio attento per i dettagli e saper analizzare i dati raccolti per redigere rapporti tecnici precisi. La loro precisione e meticolosità sono essenziali per garantire che ogni foglio di carta abbia le caratteristiche desiderate. La Gestione della Produzione: Efficienza e Sicurezza Un altro aspetto cruciale della produzione della carta è la gestione della produzione. I responsabili della produzione devono coordinare tutte le attività operative, assicurandosi che i processi siano efficienti e sicuri. Devono possedere una profonda conoscenza della logistica, essere leader capaci di motivare e gestire il personale, e avere la capacità di ottimizzare i processi produttivi per gestire i costi e massimizzare la produttività. Inoltre, devono garantire il rispetto delle normative di sicurezza e ambientali, un compito che richiede una costante vigilanza e aggiornamento.Innovazione e Sostenibilità: Ricerca e Sviluppo La continua evoluzione del settore della carta richiede un costante impegno in ricerca e sviluppo (R&D). I professionisti in R&D lavorano su nuovi materiali, tecnologie e processi per migliorare le caratteristiche della carta e ridurre l'impatto ambientale della produzione. Questi esperti devono avere una solida formazione in chimica dei materiali e ingegneria chimica, capacità di condurre esperimenti innovativi e analizzare i risultati. La loro creatività e capacità di problem solving sono fondamentali per sviluppare nuove soluzioni sostenibili e mantenere l'industria all'avanguardia. Sostenibilità e Responsabilità Ambientale In un'epoca in cui la sostenibilità è diventata una priorità globale, la gestione ambientale è un aspetto cruciale del settore della carta. I professionisti della gestione ambientale lavorano per assicurarsi che le pratiche di produzione siano ecologicamente responsabili. Devono monitorare l'uso delle risorse, gestire i rifiuti, ridurre le emissioni e garantire che l'azienda rispetti tutte le normative ambientali. Questo richiede una profonda conoscenza delle normative e delle pratiche di sostenibilità, oltre a capacità analitiche per valutare l'impatto ambientale delle attività aziendali. Marketing e Vendite: Portare la Carta sul Mercato Infine, il marketing e le vendite sono essenziali per portare il prodotto finale sul mercato. I professionisti in questo settore devono comprendere le esigenze dei clienti, sviluppare strategie di mercato efficaci e gestire le relazioni con i clienti. Devono avere ottime capacità di comunicazione e negoziazione, una profonda conoscenza del mercato e delle tendenze di consumo, e la capacità di sviluppare campagne di marketing che evidenzino i punti di forza dei prodotti. Conclusioni Il settore della produzione della carta è un universo dinamico e affascinante, in cui ogni professione svolge un ruolo fondamentale per garantire efficienza, qualità e sostenibilità. Le competenze richieste sono molteplici e diversificate, e spaziano dalla gestione forestale all'ingegneria, dalla chimica alla gestione della produzione, dalla ricerca alla sostenibilità, fino al marketing e alle vendite. La crescente attenzione alla sostenibilità e all'innovazione richiede che i professionisti di questo settore investano nella formazione continua e nello sviluppo di competenze trasversali per adattarsi alle mutevoli esigenze del mercato. Solo attraverso un impegno costante e una visione integrata delle diverse professionalità coinvolte, il settore della produzione della carta potrà continuare a crescere e a contribuire in modo significativo all'economia globale.
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