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https://www.rmix.it/ - Alleanza tra i produttori di polimeri vergini: una lezione di greenwashing?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Alleanza tra i produttori di polimeri vergini: una lezione di greenwashing?
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Hanno contrastato e cercato di controllare il mercato del riciclo ed ora sembrano i professori dell’ambiente di Marco ArezioIl gruppo di società attive nella chimica derivante dal petrolio si sono riunite in un gruppo di lavoro e stanno utilizzando i canali di comunicazione attraverso i social e internet per divulgare il loro verbo. Come si sa, queste società, sono pesantemente contestate in tutto il mondo dagli ecologisti che le reputano le maggiori responsabili dello stato di profondo inquinamento in cui versa il pianeta e le principali devastatrici delle risorse naturali disponibili sulla terra. Sicuramente il punto di non ritorno che ha costretto l’Alleanza a darsi un’immagine diversa da quella che gli ecologisti gli hanno sempre attribuito è stato la nascita del movimento, diffuso in tutto il mondo, che ha sollevato il problema della situazione in cui versano gli oceani, i mari, i fiumi. Un inquinamento visibile alla popolazione a cui in qualche modo devono dare risposta essendo loro la fonte da cui parte il ciclo della plastica. Non tutti la pensano ovviamente come gli ecologisti e non tutti vedono le società che compongono l’Alleanza come il diavolo sulla terra. In realtà per dirla con un motto “non si può colpevolizzare la pianta del tabacco se ti è venuto un tumore ai polmoni fumando”. I produttori di polimero vergine hanno sicuramente creato una domanda sul mercato e hanno offerto prodotti che i consumatori hanno, per cinquant’anni, comprato volentieri in quanto la plastica dava degli indubbi vantaggi rispetto ad altri prodotti in circolazione. Restando a considerare il problema in un’area molto ampia possiamo dire che vi sono altri prodotti, considerati inquinanti o potenzialmente mortali, che conosciamo tutti, ai quali non stiamo facendo, a livello di opinione pubblica, una guerra senza quartiere. Mi riferisco, per esempio, ai carburanti fossili per la circolazione, o per la produzione di energia, che giorno dopo giorno uccidono a causa delle loro emissioni. La differenza sta che l’inquinamento dell’aria è molto meno visibile e comunicativo rispetto alle isole di plastica nei mari o agli animali che muoiono per la plastica ingerita. Probabilmente l’Alleanza vede questa operazione come una normale attività di marketing che porterà consenso o eviterà di non perderne troppo, al fine di consolidare i fatturati delle loro attività. Che ci sia da parte dell’Alleanza, interesse vero sulle conseguenze della plastica nei mari, sarà da vedere nel tempo. Quello che è certo che le aziende fanno business e non beneficenza, quindi, l’opinione pubblica si deve rendere conto che, con i propri comportamenti commerciali, può incidere sul fatturato delle stesse prima che ci impongano una linea sui consumi. Questo non è solo applicabile alle società dell’Alleanza ma a tutte quelle che possono incidere negativamente sull’ambiente, anche se in regola con le normative governative in fatto di inquinamento. Ghandi predicava la non violenza, ma con questo non si può dire che non sia stato un uomo determinato e testardo, infatti ha creato un movimento pacifista mondiale che aveva una capacità di pressione molto elevata. Se prendiamo spunto, con tutto il rispetto che si deve a Ghandi, dalla sua attività, provate a pensate se la popolazione mondiale un giorno si svegliasse e decidesse che un tale modello di auto, un bicchiere per il caffè, o la deforestazione per aumentare la produzione di carne, per fare solo alcuni esempi, non siano più onestamente in linea con i principi della conservazione del pianeta e della sopravvivenza naturale della vita. Cosa pensate che possa succedere se si dovessero sospendere i consumi di un prodotto o di un altro? Nessun politico può imporvi di bere il caffè in un bicchiere che non vi piace più, nessuna società può influenzare gli acquisti se la popolazione non vuole farlo. Siamo sicuramente noi padroni del nostro destino, quindi non serve fare la guerra a chi produce prodotti o servizi che comportano un danno alla salute di tutti, quindi anche alla tua, basta non comprate o non usare più quel prodotto/servizio. Senza estremizzare basterebbe ridurre i consumi in modo convincente per portare alla ragione chi non vuole ascoltare. Il problema dell’inquinamento, oggi, non è solo la plastica, quindi bisogna ripensare il nostro modello di vita e investire sicuramente in cultura ed istruzione per rendere autonome le menti delle persone che, per il loro stato culturale, sono gli elementi più influenzabili ai quali imporre scelte attraverso la persuasione o la bugia. Vedi maggiori informazioni sulla comunicazione green

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https://www.rmix.it/ - Intelligenza artificiale, robotica e biotecnologie: molti resteranno indietro
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Intelligenza artificiale, robotica e biotecnologie: molti resteranno indietro
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E’ probabile che il progresso tecnologico aumenterà ulteriormente il divario tra ricchi e poveridi Marco Arezio Stiamo vivendo in un periodo di profonda trasformazione sociale dove ci siamo improvvisamente accorti che la terra, su cui viviamo, potrebbe collassare sotto l’incalzante e forsennato delirio di sfruttamento a cui l’abbiamo sottoposta. Da una parte esiste l’accecante luccichio del denaro e dall’altra la ragionevolezza che ci dice che dobbiamo cambiare il nostro modello di vita. Ricordo che nel 2015 gli stati membri delle Nazioni Unite avevano raggiunto un accordo per rispettare una serie di obbiettivi di sviluppo sostenibile al fine di invertire la tendenza al riscaldamento globale. Oggi si è fatto poco o niente e il 2030, anno entro il quale si sarebbero dovuti raggiungere questi obbiettivi, è così vicino rispetto alle trasformazioni che si devono fare. L’impegno per le emissioni zero entro il 2030 imporrebbe il ripensamento della mobilità su gomma, delle reti energetiche, dell’industria pesante, dell’alimentazione, della gestione dei rifiuti, della tipologia di costruzione degli edifici e dell’uso della chimica pulita. Questo vuol dire una rivoluzione globale, epocale e uno stile di vita completamente diverso da quello di oggi, che, sembra, negli ultimi quattro anni trascorsi, non abbiamo minimamente modificato. Infatti il riscaldamento globale non si è mai ridotto, la CO2 non è diminuita, le morti a causate delle complicazioni sanitarie dell’inquinamento non sono sotto controllo, la distruzione della biodiversità e delle foreste continua nei paesi che le conservano e, infine, il problema dei rifiuti, in particolare quelli plastici, non ha trovato ancora una soluzione corretta e condivisa. Viviamo in un periodo di inerzia, affascinati dalle nuove tecnologie e dall’intelligenza artificiale, dalle quali ci aspettiamo soluzioni ai nostri problemi. L’era digitale che è da poco cominciata, ha la prospettiva di migliorare la vita delle persone, attraverso l’elaborazione, ad alta velocità, di dati raccolti e immagazzinati, che possono aiutare a prendere decisioni più corrette, a far crescere nuovi business, che sarebbero stati impensabili fino a poco tempo fà e a potenziare la ricerca per far nascere nuovi prodotti e risolvere problemi tecnici. Il contributo dell’intelligenza artificiale, della robotica, delle biotecnologie lo potremo vedere in uno sterminato numero di settori che vanno dalla medicina, attraverso nuove apparecchiatura di diagnostica, ma anche attraverso all’interpretazione dei dati provenienti dalle analisi di laboratorio e strumentali, che possono aiutare i medici a ridurre gli errori in fase di diagnosi. Potremo trovare l’intelligenza artificiale avanzata nei nuovi sistemi di commercializzazione dei beni e servizi, nelle tecnologie legate alla gestione dei rifiuti, nei sistemi di immagazzinamento dell’energia pulita, nelle nuove frontiere delle biotecnologie applicate all’agricoltura e alla meccanizzazione intelligente del lavoro. Ci sono ottime speranze che la nuova era tecnologica ci possa aiutare a risolvere i problemi di cui il mondo sta ancora soffrendo ma, se da una parte la strada è segnata e l’applicazione dell’intelligenza artificiale e della tecnologia crescerà sempre più, portando miglioramenti nelle condizioni di vita dei cittadini rispetto ai problemi che abbiamo visto prima, dall’altra segnerà, probabilmente, un solco profondo tra nuovo e vecchio mondo. La comprensione della nuova era digitale, a cui saranno collegate tutte le attività vitali, necessita di scolarizzazione medio-alta per poter usufruire delle nuove tecnologie. Ma forse ci dimentichiamo che al mondo esistono circa un miliardo di persone che non sanno nè leggere nè scrivere, che un numero cospicuo di popolazione ha una scolarità così elementare che non sarebbe in grado di capire, oggi, il nuovo mondo in arrivo, che queste persone, bambini compresi, hanno problematiche di sopravvivenza fisica ed economica come priorità per la loro vita. Che una buona parte della popolazione, specie in Africa, non ha accesso alla corrente elettrica, all’acqua, non può usufruire di strade e vive di sussidi o muore di fame. Loro si alzano alla mattina e pensano come poter arrivare a sera, per sé stessi e per le loro famiglie, nessun altro ragionamento accademico o scientifico. Inoltre il fenomeno delle migrazioni di massa dai paesi sud Americani o Africani, che tanto inorridisce le nostre società evolute, sono un campanello dall’allarme di ciò che la gente è disposta a fare per trovare una vita dignitosa in cui si possa assicurare i beni essenziali per vivere. Nella parte di mondo in cui il benessere invece è più diffuso, l’intelligenza artificiale e la robotica porterà alla distruzione di un tessuto sociale produttivo fatto da persone di età media che non è e non sarà in grado di gestire e interpretare le trasformazioni tecnologiche e soprattutto, perderà il posto di lavoro proprio a seguito dell’efficienza ed economicità dei sistemi. Di questo nessuno se ne preoccupa, non ci sono reti sociali pubbliche che pensino di proteggere i più deboli dalle sfide che ci aspettano. Nessuno si sta preoccupando della piaga della disoccupazione che potrebbe avanzare velocemente andando ad intaccare anche i bilanci statali. Credo sia un dovere per tutti che le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale non lascino indietro nessuno.Vedi maggiori informazioni sulle nuove povertà

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https://www.rmix.it/ - Interruzione del flusso di informazioni ed esasperata competizione
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Interruzione del flusso di informazioni ed esasperata competizione
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Una sana rivalità all’interno dell’azienda è auspicabile ma gli eccessi sono da capire in tempodi Marco ArezioChe venga spinta dai managers o che si alimenti in modo autonomo, la competizione tra gli addetti dei vari reparti aziendali ha una sua efficacia, finché rimane una spinta costruttiva nel raggiungere gli obbiettivi comuni. Se gli impulsi competitivi diventano eccessivi possono essere destabilizzanti. La famosa frase “Divide et Impera” che il passato ci ha tramandato e che bene si plasma in ogni situazione di conflittualità, sembra sia da attribuire a Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, che riuscì militarmente a riunire la Grecia a discapito delle innumerevoli tribù e fazioni militari presenti sul territorio. Nel mondo moderno la strategia vuole esprimere un sistema di potere tenuto volutamente frammentato, in una condizione di eterno equilibrio tra conflitti interni e spinte per prevalere, al fine di mettersi in luce verso il gradino gerarchico superiore. Dal punto di vista manageriale, avere un team composto da elementi competitivi che detengono piccole aree di potere, frazionate tra loro, può essere, se ben gestito, una forza importante nel raggiungimento degli obbiettivi comuni. Ma i problemi possono nascere quando la competizione, tra i componenti del team, travalica in uno stato strisciante di lotte intestine, celate dalla ragione di raggiungere l’obbiettivo del team, che potrebbe essere un budget o la finalizzazione di altri traguardi. Il team nato per essere un ariete nel mercato, che dovrebbe essere composto da intelligenza, costanza, cuore, affidabilità, lealtà e spirito di squadra, potrebbe iniziare la sua lenta trasformazione con la creazione di fazioni interne che hanno come scopo primario quello di correre da sole e di screditare gli altri membri del team. La prima cosa che può capitare è la creazione di una nuova squadra all’interno del gruppo, arruolando i “fedeli” da una parte e dall’altra, interrompendo subito le linee di comunicazione. Le fazioni non si parlano più di cose professionalmente rilevanti, cercando di mantenere un comportamento sociale normale, creando un clima da moti carbonari dove apparentemente il clima di lavoro all’interno del team appare tranquillo. Ogni componente delle fazioni infonde molte più energie psico-fisiche nel lavoro, ma non sempre riesce a trasformarle in efficiente operatività in quanto la catena informativa può essere frammentaria o volutamente non completa o corretta. I motivi che spingono i lavoratori ad assumere comportamenti iper-competitivi tra loro possono essere molteplici: Una precisa strategia da parte del manager responsabile che, non sicuro delle proprie qualità professionali, spinge i sottoposti ad evitare forme di coalizione che potrebbero metterlo in difficoltà. Un’abitudine del responsabile del team che, incarnando la sua voglia di emergere, accetta la competizione diretta e la crescente tensione tra le fazioni, nella speranza che generino maggior profitto in termini di risultati rispetto ad un team coeso ma meno competitivo. Una mancanza di coinvolgimento da parte del manager nella vita quotidiana del team potrebbe portare ad una sottile forma di anarchia, in cui ogni capo fazione si sente manager del progetto. La mancanza di carisma del responsabile del team potrebbe indurre i componenti a cercare, attraverso azioni e comportamenti a volte spregiudicati, nuovi spazi per la lotta alla successione. Una marcata disomogeneità delle qualità e competenze dei componenti del team potrebbero portare ad una selezione naturale, con la creazione di squadre di serie A e di serie B, creando sentimenti di astio e forme di ostacolo nei lavori. E’ indiscusso che un buon livello di competizione interna alle squadre di lavoro sono una cosa del tutto positiva per raggiungere gli obbiettivi aziendali, ma la gestione di una squadra di lavoro comporta il coinvolgimento diretto del responsabile, non tanto come elemento superiore della scala gerarchica, ma come alleato in cui l’autorevolezza del leader possa galvanizzare in modo positivo la squadra. La circolazione delle informazioni deve essere obbiettiva e completa ed equamente distribuite a tutti in modo che ognuno possa elaborarle e dare il proprio contributo nell’interpretarle per generare una migliore strategie d’intervento.Vedi maggiori informazioni su come comunicare in azienda

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https://www.rmix.it/ - Coronavirus: cosa succederà alla sharing economy?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Coronavirus: cosa succederà alla sharing economy?
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La condivisione delle macchine, bici, case e delle attrezzature nel periodo della post pandemiadi Marco Arezio Arrivare in aereo in una città, alloggiare in una stanza in casa di una persona non conosciuta, uscire prendendo una macchina in car sharing o una bici, ci sembrerà strano? Probabilmente si, tutto quello che era una conquista è divento improvvisamente un problema. Vivevamo nel mondo della condivisione dei beni, dove il valore del servizio che si otteneva era il metro di valutazione dell’organizzazione della nostra giornata, un passaggio, un’auto per qualche ora, un monopattino, una stanza per una notte. Niente più proprietà del bene in uso, niente costi da sostenere in periodi in cui non viene utilizzato, niente ostentazione di una presunta ricchezza, libertà di cambiare lo strumento del servizio ogni giorno, costi bassi e poche responsabilità. Veniamo da anni in cui ogni cosa veniva acquistata, conservata, usata, a volte pochissimo e poi buttata, non perché non funzionasse più, ma perché vecchia e magari i ricambi erano fuori produzione. Al vertice di questi usi limitati c’era il sogno di tutti, l’auto, che veniva parcheggiata nel garage, mediamente, per il 90% del tempo della sua vita, ma si preferiva averla in quanto garantiva una sensazione di libertà e indipendenza di circolazione. E come dimenticare la dote di ogni bravo padre di famiglia aveva: il trapano. Quanti ne sono stati comprati per famiglia e quanti buchi sono stati fatti nel muro? Pochissimi. Ma al grido << senza trapano come fai? >> i produttori di questi elettrodomestici hanno venduto milioni di pezzi. Oggi, dove la mentalità è cambiata e si privilegia l’uso alla proprietà, per questioni ambientali, di economia circolare, di razionalizzazione del traffico, spingendo ad usare l’auto, per esempio, solo nell’ultimo breve tratto del tuo viaggio, suggerendo alla gente viaggiare in treno per le medie distanze. Si è quindi sviluppata negli ultimi anni, un’economia nuova, fatta di flotte di auto, spesso elettriche, motorini, bici, monopattini e, inoltre, anche nel settore dell’alloggio, si prenotano camere nelle case di comuni cittadini che ti ospitano, scavalcando gli alberghi, per ridurre il costo del pernottamento e per conoscere gente nuova. Ma in questo periodo in cui la pandemia da Coronavirus ci espone facilmente al contagio, dove il distanziamento sociale oggi è un requisito fondamentale, dove non si sa ancora quanto questo virus possa rimanere nel tempo sulle superfici toccate da una persona positiva, dove le abitazioni e le auto dovrebbero essere sanificate completamente dopo ogni utilizzo, ci chiediamo come comportarci in questo periodo sospeso. Ci auguriamo, che con l’avvento del vaccino, tutte queste perplessità rimangano un brutto ricordo, in quanto la Sharing Economy è un pilastro fondamentale dell’economia circolare e della tutela dell’ambiente e, mai si potrà pensare di adottare un modello di economia come quella passata, dove si continuava a produrre oggetti che non si usavano pienamente.Vedi maggiori informazioni sulla sharing economy

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https://www.rmix.it/ - Greenwashing: come confondere i consumatori
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Greenwashing: come confondere i consumatori
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Pratiche di marketing per costruire informazioni ingannevoli od omissive sui prodotti di Marco ArezioIl Greenwashing è il marketing mirato alla costruzione di un’immagine vicino alle aspettative del cliente, in fatto di ambiente, sostenibilità e riciclabilità, che attribuisce al prodotto o al servizio, valori che in realtà non ha. La storia di questa parola, Greenwashing, nasce negli Stati negli anni 60 del secolo scorso quando iniziò il dibattito pubblico in merito all’ecologia e ad una vita più in sintonia con la natura. In quel periodo alcune aziende, cavalcando l’onda ecologista, si diedero in modo artefatto, un’immagine green senza comunque modificare processi e prodotti. L’espero pubblicitario Jerry Mander definì questa pratica come “ecopornografia” in quanto riteneva esserci una similitudine di comportamenti, nei confronti delle persone, tra ciò che si proponeva rispetto a ciò che in realtà veniva offerto. Ma fu a partire dagli anni novanta che, all’interno delle politiche e delle strategie di marketing, si affermò l’uso di una comunicazione che, talvolta, era meno veritiera ed esaustiva sul al prodotto o servizio stesso, ma più mirata a far apparire ciò che si voleva offrire vicino a ciò che la gente si sarebbe aspettata di ricevere. Il greenwashing non è stato applicato solo all’industria o al commercio, ma se ne è impossessato anche la politica, attraverso slogan e marchi che, per esempio, raffigurassero la tutela dell’ambiente, del lavoro, della sicurezza o di altri messaggi. A partire dal 2012 la FederalTrade Commission ha emanato negli Stati Uniti precise norme a tutela dei consumatori, nel tentativo di prevenire queste pratiche di marketing scorrette. In Italia, per esempio, l’antitrust ha sanzionato l’Eni con una multa di 5 milioni per la promozione pubblicitaria, ritenuta ingannevole ed omissiva, sulle qualità bio, presunte, del proprio carburante EniDiesel+. Le pratiche di greenwashing sono numerose e rivolte a canali differenti, acquisendo appellativi differenti: Greenwashing: indica una strategia di alcune imprese, organizzazioni o istituzioni politiche che mirano a costruire un’immagine diversa da quella che è in realtà, incline alla tutela per l’ambiente, seguendo le esigenze della gente a cui si rivolge. Pinkwashing: indica una comunicazione che tende ad ammaliare un pubblico femminile lanciando un messaggio quale l’emancipazione femminile, distogliendo l’attenzione del consumatore sulle qualità dei prodotti stressi. Genderwashing: indica una comunicazione che tende a coinvolgere il pubblico maschile con chiari riferimenti all’abbattimento di differenze di genere, allontanando il consumatore sul giudizio del prodotto stesso. Raibowwashing: indica una comunicazione che tende a proporre prodotti sostanzialmente simili alla concorrenza sui quali vengono esercitati messaggi forti che mettono in secondo piano il prodotto stesso. Nel campo del packaging un esempio lo possiamo vedere sul marketing dei flaconi del detersivo, molti ancora fatti con HDPE vergine, negli ultimi tempi abbiamo visto comparire sulle etichette parole come “riciclabile” o “green” quando il flacone è sempre fatto con materie prime da fonti fossili e non usando materiali riciclati. Ovviamente il flacone è riciclabile, ma lo era anche prima, quindi il messaggio è un greenwashing. Tuttavia, queste pratiche, in generale, non sono applicabili solo a ai prodotti o ai messaggi politici, ma trova largo impiego anche nelle comunicazioni societarie, in cui i numeri, i valori e l’immagine dell’azienda, per esempio, di carattere ambientale, potrebbe incidere sul valore della società stessa. Crearsi un’immagine “green” in modo artificioso, vicino a ciò che il cliente richiede, ha grandi impatti sui consumatori, sugli azionisti e sul mercato.Vedi maggiori informazioni sul greenwashing

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https://www.rmix.it/ - La crisi delle forniture al settore dell’auto
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La crisi delle forniture al settore dell’auto
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Quali sfide devono affrontare le case automobilistiche per superare la crisi odierna. E’ finita un’epoca felice?di Marco Arezio L’industria dell’auto è stata fin dal dopoguerra una tra le più ammirate ed invidiate attività imprenditoriali, suscitando nei loro clienti, passione, dinamismo, libertà e senso di affermazione. Tra le prime aziende veramente globalizzate e globalizzanti. Oggi però le cose stanno cambiando. Avere un’auto negli anni 60’ era, generalmente, per la gente comune, un traguardo piuttosto elevato, che dava, a molti, il senso del benessere della propria famiglia e una rivincita sociale dopo gli anni bui della guerra. Negli anni successivi la macchina assunse simboli differenti: lotta sociale e di classe, passione per un marchio come una squadra di calcio, mezzo di un lavoro in trasformazione, strumento per l’emancipazione femminile e mezzo per l’indipendenza giovanile. Per ogni periodo della nostra vita l’industria automobilistica, più di altre, ha saputo interpretare i bisogni sociali, le aspettative e i sogni dei propri clienti, diventando impresa planetaria, con un crescendo di vendite ad un ritmo tale da sostenere finanziariamente le continue evoluzioni del settore. Negli ultimi periodi molte nubi si sono addensate sopra questa industria, a causa di forti cambiamenti che potrebbero minare la stabilità dei colossi automobilistici. Vediamone alcuni: Le sempre più stringenti normative anti inquinamento che hanno portato le cause automobilistiche a iniziare la riconversione dei motori da termici verso quelli elettrici, compiendo investimenti enormi in ricerca, strutture e acquisizioni di aziende inserite nella filiera dell’elettrificazione. La digitalizzazione dei sistemi di guida ha innescato una concorrenza spietata, all’interno del sistema auto, che ha richiesto ingenti risorse finanziarie. Inoltre, si sono affacciati sul mercato, nuovi concorrenti indiretti, che stanno sviluppando i sistemi di guida assistita, le cui aziende vedono l’auto solo come un mezzo per veicolare i loro prodotti. Il car sharing sta riducendo in modo importante le richieste di acquisto da parte dei clienti, soprattutto nelle grandi città, dove la condivisione dell’auto è un sistema che permette di ottimizzare i costi e il tempo dell’uso del mezzo. Lo stravolgimento del concetto di possesso dell’auto, come valore personale e sociale, specialmente tra i giovani, che non vedono nella proprietà un elemento importante su cui investire del denaro. La recente crisi epidemica di Coronavirus che ha imposto uno stop globalizzato delle industrie automobilistiche e una conseguente riduzione della domanda internazionale. La confusione dal punto di vista normativo sulle alimentazioni (benzina o diesel), in rapporto alle misure anti inquinamento e alle possibili defiscalizzazioni, a creato un clima di incertezza tra gli utenti. A fronte di tutto ciò le industrie automobilistiche stanno ripensando il loro scenario futuro mettendo in discussione alcune previsioni precedenti. Il rispetto stringente delle normative ambientali imposte da molti stati, non ultimo l’Europa, aveva imposto una rapida transizione verso l’auto elettrica, che oggi è messa in forte dubbio a causa di un mercato decisamente in calo, che non permette di generare introiti in linea con gli investimenti programmati. Quindi, rimandare il completamento dei progetti legati alla mobilità elettrica, che aveva posto le case automobilistiche difronte a scelte onerose ma ambiziose, sta mettendo a dura prova non solo il comparto primario, ma anche l’indotto, composto dalle forniture delle materie prime, i ricambi, l’impiantistica, la logistica, la distribuzione, le strutture finanziarie, l’ingegneristica. Inoltre si potrebbe verificare una contrazione della mano d’opera del comparto valutabile, secondo l’ACEA, che rappresenta l’associazione dei costruttori Europei, in 14 milioni di unità in Europa. Un problema sociale prima che industriale.

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