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https://www.rmix.it/ - Grazie delle sue Idee: Riporterò alla Direzione e le Faremo Sapere
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Quando gli anelli deboli della catena di comando non permettono la crescita degli juniors managersdi Marco ArezioDopo i lunghi periodi di studi universitari e, talvolta, reduci da un master di specializzazione, i giovani managers sono ansiosi di misurare le loro capacità, sviluppare le loro ambizioni e raggiungere i loro obbiettivi professionali. Spesso trovano occupazioni in aziende già strutturate, in cui la catena di comando è abbastanza lunga, i passi per salirla non sempre banali e la competizione tra colleghi sempre accesa. Un buon campo di prova per misurare le proprie capacità, sviluppare competenze e, a volte, proporre novità che possano portare beneficio all’azienda, attraverso un occhio nuovo, non compromesso dalle abitudini di lavoro interno. Lo junior manager che avesse sviluppato soluzioni interessanti, magari da approfondire ulteriormente, o avesse trovato delle inefficienze da risolvere per migliorare nella catena del lavoro, si rapporterà con il proprio manager da cui dipende. Dovrà sviscerare nei dettagli il processo di miglioramento studiato, o i difetti della linea di lavoro che secondo lui potrebbe essere implementata, o portare delle efficienze nella circolazione delle attività, o suggerire cambiamenti di strategie commerciali, di marketing, degli acquisti o in altri ambiti in cui ha focalizzato il proprio interesse. Le buone idee, in certe aziende, possono pesare quanto quelle negative, nel senso che possono dare fastidio a chi le riceve, che deve, a sua volta, proporre alla catena di comando sopra di lui. Non stiamo in questo caso ad analizzare il comportamento di un manager che, sicuro delle sue competenze e del proprio ruolo, incentiva gli juniors managers a sviluppare iniziative che possano essere degne di nota da proporre in ambiti più alti dell’azienda. Oggi ci occupiamo del manager intermedio, che teme il dovere veicolare iniziative diverse dalla propria routine, che possano mettere in discussione l’ambito di lavoro e di controllo che ha esercitato, nel tempo, sul suo posto di lavoro. Il trasferimento della proposta dallo junior manager al responsabile intermedio, avviene normalmente attraverso una profonda esplicazione dei dettagli della stessa, dove spesso, ascoltandola, vuole sapere i legami interni ed esterni all’azienda, gli strumenti necessari per gestire la novità, quali ambiti aziendali dovrebbe toccare e come potrebbe cambiare il suo lavoro e la sua tranquillità. Un manager di questo tipo ascolta, domanda, crea una sorta di complicità nel progetto, chiede allo junior manager riservatezza sul progetto e mantiene un rapporto di finto privilegio comunicativo con il suo sottoposto. Cerca di dargli quell’importanza che il proponente si aspetta di avere, qualificando la sua proposta e gratificandolo verbalmente per il rischio che si è assunto esponendosi a possibili di errori personali. A questo punto il manager, anello debole della catena di comando, avendo in mano tutte le carte e conoscendo esattamente la proposta, si sente in grado di elaborare una strategia che possa tornare a suo vantaggio. Se la proposta è effettivamente migliorativa, valida e importante per l’azienda, cercherà di vendere l’idea, ai suoi superiori, come una sua iniziativa, nata da un confronto, magari, con il gruppo di lavoro che dirige, attraverso il quale ha analizzato varie opinioni ed elaborato, in modo autonomo, il progetto che potrà portare un giovamento all’azienda. Potrebbe raccogliere la gratificazione dei suoi superiori e darà un minimo riconoscimento al team che, con “tanta cura dirige”, negando uno spazio di confronto tra lo junior manager e la fascia alta dell’azienda che decide. Il successo sarà del manager in primis, del gruppo di lavoro in seconda battura, facendo cadere su di sé anche il successo del gruppo che dirige. Se, in caso contrario, l’idea fosse negativa, sbagliata o non molto produttiva, terrà conto degli errori commessi dallo junior manager, anche se solo nell’elaborazione di una proposta, in modo che possa far valere, come arma di scambio, in periodi successivi gli errori del passato. Questo anello debole della catena di comando è abbastanza diffuso nelle aziende di una certa dimensione, e gli juniors managers, prima di esporsi devono cercare di conoscere il proprio superiore e capire i risvolti del suo carattere, la sincerità e la sua sicurezza nel gestire le risorse umane, senza secondi fini.

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https://www.rmix.it/ - Bassa Autostima in Posizioni Manageriali. Quali Pericoli e come Gestire il Problema?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Bassa Autostima in Posizioni Manageriali. Quali Pericoli e come Gestire il Problema?
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Le componenti caratteriali dei managers, a tutti i livelli, sono fondamentali per la buona salute dell’aziendadi Marco ArezioIn una realtà imprenditoriale moderna ed efficiente, di qualsiasi dimensione essa sia, la componente umana fa sempre la differenza. Questa situazione non appare, solitamente, nella breve vita delle aziende, dove la tecnologia e i mezzi di comunicazioni digitali assicurano una parte importante del successo delle attività, ma se consideriamo un arco di tempo più ampio, in cui la concorrenza ha un certo equilibrio in campo, entrano in gioco le risorse umane a fare la differenza. Una volta acquisita una certa posizione nel mercato, ci si deve confrontare con le altre realtà imprenditoriali, cercando di rimanere il più a lungo possibile in una situazione di relativa competitività e sopravvivenza aziendale. Le risorse umane, attraverso le loro catene di comando, portano motivazioni, idee, impegno, dedizione e forza al marchio, imprimendo piccoli ma costanti scostamenti di posizione tra azienda e azienda. Questi piccoli successi o insuccessi sono determinati dalla qualità dei componenti dei team aziendali che, attraverso il loro impegno, la loro capacità e il loro singolo carattere, determineranno miglioramenti o peggioramenti delle posizioni sul mercato. Il carattere dei managers gioca un ruolo fondamentale, a tutti i livelli di comando, non solo quelli apicali, ma molto spesso, quelli intermedi, hanno un ruolo fondamentale. I teams di lavoro hanno leaders che devono saper indirizzare i componenti, spronarli, consigliarli e buttarsi nella mischia con loro, mantenendo la leadership, creando un clima positivo e carismatico che galvanizza il lavoro. Deve saper premiare e punire, con la giusta moderazione ed imparzialità, i componenti del team senza eccedere in favoritismi o perdoni eccessivi, così da dare un’immagine equidistante del suo lavoro e sottolineando l’importanza del gruppo prima che del singolo. Questa azione sottintende un carattere del manager sicuro e risoluto, flessibile ma imparziale, determinato ed indipendente, che ha ben chiaro quali siano gli obbiettivi che gli sono stati affidati dall’azienda. Ma cosa succede se in una posizione di leader troviamo una persona poco sicura di sé?di Marco Arezio Il primo problema da affrontare è la sua necessità di continue conferme della legittimazione sua posizione, sia nei confronti dei superiori che delle persone che dal lui dipendono. Se nel primo caso, a volte è meno impattante, invece, la ricerca di conferme tra i collaboratori che deve dirigere crea una commistione di ruoli e un indebolimento della sua posizione. Il leader insicuro ha bisogno di un gruppo di collaboratori che lo elogino, che lo rassicurino, che lo facciano sentire al centro del progetto e che colmino quella sua mancanza di sicurezza. Questa situazione però, spesso spacca i gruppi di lavoro, in quanto ci sono collaboratori che si aspettano di essere guidati e protetti dal manager e non il contrario, mettendo in cattiva luce chi crea un rapporto di eccessiva confidenza con i leaders. Inoltre, capita spesso che durante le difficoltà a raggiungere gli obbiettivi previsti dall’azienda, questa punti il dito sul leader del gruppo che, per tutelarsi, non proteggerà l’intero team, ma potrebbe scaricare le colpe verso quella parte di persone che non lo sostengono apertamente come lui vorrebbe. Qui scatta il meccanismo contrario per cui il leader cerca di difendersi, assecondando i suoi superiori, al fine di salvaguardare la sua posizione a discapito degli altri. Passata la tempesta il manager insicuro metterà, probabilmente, al margine le persone a lui non favorevoli, puntando solo su chi lo sostiene, in quanto, spesso, rimane una persona rancorosa, che vorrebbe avere un appoggio esteso ed incondizionato che lo rassicurasse. Si creeranno rapporti ambigui, non sinceri, piccole vendette, un certo lassismo, una strisciante rassegnazione a fare il minimo indispensabile da una parte del team, creando inefficienza, perdita di competitività e valore aziendale. Per superare questi rapporti dolorosi e inefficienti per l’azienda è necessario creare gruppi di lavoro o di ascolto, in cui vengano mischiate le risorse umane, seguiti da leaders che abbiano competenza con la gestione delle risorse umane o abbiano una estrazione di carattere psicologica e relazionare, in modo da liberare le persone, attraverso il confronto su altri temi, della paura di venire allo scoperto. Questo serve per indagare i lati positivi e quelli negativi o pericolosi che aleggiano nei gruppi di lavoro dell’azienda, in modo da raccogliere le maggiori informazioni possibili, confrontarle, incrociarle e intervenire.

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https://www.rmix.it/ - Come migliorare la fidelizzazione del cliente nella vendita dei polimeri riciclati
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come migliorare la fidelizzazione del cliente nella vendita dei polimeri riciclati
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Le competenze tecniche sul ciclo produttivo, sulla selezione dei rifiuti e sulla chimica dei prodotti migliorano la fiducia del cliente. di Marco ArezioIl mercato della vendita dei polimeri rigenerati, siano essi granuli o macinati, ha una storia che parte da lontano e inizia dall’approccio della forza vendita dei polimeri vergini verso prodotti rigenerati, negli stessi mercati e sugli stessi clienti. I prodotti, all’inizio, sono stati visti solo come un ripiego economico, conveniente, alla richiesta del mercato di ridurre i costi dei prodotti finiti, creando una sorta di jolly da spendere quando le condizioni le ritenessero necessarie. Come poi si è visto con l’andare del tempo, la vendita dei polimeri vergini rispetto a quelli rigenerati necessita di approcci completamente diversi, in quanto la stabilità tecnica, qualitativa, produttiva e cromatica di un polimero vergine è diversa, o completamente diversa, da un prodotto rigenerato di cui è necessario conoscerne la storia. Questo approccio alla vendita ha portato in molti casi a problematiche tecniche ed economiche molto rilevanti che, nel passato, non hanno costituito problemi importanti per via dell’esigua quantità di polimero rigenerato che si produceva e si vendeva. Tuttavia, con il passare degli anni, è diventata sempre più una problematica importante a fronte di un deciso incremento della produzione e dell’uso dei materiali rigenerati sul mercato. Teniamo in considerazione che questo trend di consumo aumenterà sempre di più e le problematiche di gestione dei rifiuti, da cui hanno origine i rigenerati, saranno sempre più complessi per via dell’aumento sul mercato, di plastiche difficili da separare e riutilizzare in modo tecnicamente corretto. Fatte queste premesse l’approccio alla vendita di un granulo o macinato rigenerato deve partire dalla preparazione del venditore su vari aspetti del processo dei polimeri e del loro impiego, in particolare: Conoscenza della struttura chimica dei polimeri Conoscenza del ciclo di raccolta e separazione dei rifiuti Conoscenza del ciclo di rigenerazione, che comprende la macinazione, la vagliatura, il lavaggio, la selezione e l’estrusione del granulo Conoscenza dei limiti di queste lavorazioni in funzioni dell’input a disposizione Una volta acquisite queste informazioni è necessario avere le informazioni tecniche per valutare le differenze della qualità dei prodotti, granulati o macinati realizzati, quale base fondamentale per l’approccio corretto alla vendita, evitando errori che comporterebbero la perdita di fiducia del cliente e un costo economico non indifferente in alcuni casi. Le informazioni principali che la nostra rete di vendita dovrebbe acquisire sono: Conoscenza del funzionamento di un laboratorio e l’importanza della sistematicità delle prove dei lotti Conoscenza, dei materiali di largo consumo come il PP, HDPE, LDPE, MDPE e PVC, che non comportano necessariamente la creazione di ricette complesse, ma di alcune prove base come la densità, il DSC, l’MFI, il contenuto di ceneri, l’IZOD e il modulo. Sarebbe buona cosa sapere fare fisicamente le prove ma, se non si dispone di un laboratorio, capire come vengono fatte. Saper interpretare i risultai delle stesse per capire la qualità del prodotto che si vuole vendere Raccolte, interpretate e capite le informazioni che vengono dai tests di laboratorio, è importante capire quali interazioni i polimeri possono avere tra di loro e quali saranno le reazioni chimiche e fisiche durante la lavorazione e nella vita del prodotto stesso. Proporre al cliente un polimero solo attraverso l’identificazione di un parametro generico, per esempio solo l’MFI o la Densità, è una cosa non professionale e molto pericolosa. Nel mondo di oggi, in cui la velocità e la fluidità delle relazioni è un fatto imperante e la conclusione di una vendita è anche frutto di pressioni sia da parte di chi compra sia da parte di chi vende, la fretta non è un buon modo per fidelizzare il cliente, in quanto i polimeri riciclati hanno bisogno di un’attenta analisi sul prodotto finito che il cliente deve realizzare con i polimeri riciclati. Qui rientra in gioco una fondamentale competenza, che è quella di conoscere le interazioni e i comportamenti che le varie famiglie di polimeri hanno tra loro e tra e altre sostanze inglobate durante il riciclo dei rifiuti, in particolare: Comportamento chimico-fisico tra HD e PP per esempio nel soffiaggio di flaconi o nel film Comportamento chimico-fisico tra HD e PP per esempio nel nell’estrusione di tubi o profili Comportamento fisico tra PP e PE nello stampaggio soprattutto in relazione alla qualità delle superfici Comportamento chimico e fisico tra LD e PP e LLD per la produzione di film Comportamento fisico dei polimeri in presenza di gas o umidità Comportamento meccanico e limiti tecnici sulla presenza di cariche minerali nei vari polimeri Comportamento meccanico e limiti tecnici nell’impiego di PVC di diversa composizione per tubi, raccordi e profili Per ultimo, ma non tale per la rilevanza delle implicazioni connesse, è importante che chi si approccia alla vendita conosca il comportamento dei prodotti rigenerati, specialmente da post consumo, nell’ambito della produzione e le conseguenze, sulla qualità dei prodotti finiti, di scelte d’impiego di polimeri non idonei. Vorrei fare solo alcuni esempi esaustivi: Prevenzione dei difetti della superficie nella produzione di tubi lisci in HD, MD, PVC e LD Prevenzione dei difetti della superficie sugli anelli dei tubi corrugati in HD e PP Prevenzione dei difetti della superficie interna di tubi corrugati doppia parete Conoscenza delle tecniche di rafforzamento meccanico dei tubi corrugati utilizzando granuli da post consumo Conoscenza delle tecniche di protezione dagli agenti atmosferici e prolungamento della vita dei prodotti Conoscenza delle problematiche di soffiaggio di flaconi e taniche utilizzando materiali rigenerati, in relazione alla qualità della superficie, resistenza alla saldatura, allo schiacciamento, al colore e alla compressione verticale nel tempo. Conoscenza del comportamento in macchina e sul prodotto finito dell’uso di LD e HD, post consumo o misto, per la produzione del film di spessori differenti, in particolare l’evitare problemi di qualità della superficie, resistenza allo strappo, elasticità e brillantezza del colore Conoscenza del comportamento durante lo stampaggio e sui prodotti finiti di polimeri con componenti miste anche in piccola quantità Conoscenza dei comportamenti di bilanciamento delle ricette tra post consumo-post industriale e polimeri vergini in virtù di miglioramenti del ciclo produttivo e della qualità estetica e meccanica dei prodotti finiti.La conoscenza dei materiali rigenerati è sicuramente un motivo di auto fiducia nelle fasi di vendita, ma lo è anche per il cliente che acquista, in quanto si minimizzano errori che hanno sempre un costo.

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https://www.rmix.it/ - Il Timore Maschile delle Donne Manager: Un'Analisi delle Radici Storiche, Psicologiche e Organizzative
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Timore Maschile delle Donne Manager: Un'Analisi delle Radici Storiche, Psicologiche e Organizzative
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Perché Alcuni Uomini Temono le Donne Manager? La leadership femminile è un argomento sempre più discusso in ambito lavorativo, eppure molte donne manager continuano a scontrarsi con resistenze e pregiudizi, specialmente da parte di colleghi uomini. Ma perché accade questo? Quali sono le radici di questa diffidenza e come può essere superata? In questo articolo analizziamo i motivi dietro il timore degli uomini nei confronti delle donne in posizioni di potere, esplorando sia gli aspetti storici e psicologici sia le dinamiche aziendali che alimentano questa percezione. Le Radici Storiche della Resistenza alle Donne Manager Per secoli, il potere è stato prerogativa maschile. Le società patriarcali hanno rafforzato l'idea che l'uomo sia il leader naturale, mentre la donna debba occuparsi della sfera domestica o di ruoli di supporto. Ancora oggi, questi retaggi culturali influenzano la percezione della leadership femminile. Modelli di ruolo tradizionaliFilm, libri e media hanno spesso raffigurato gli uomini come capi autorevoli e risoluti, mentre le donne sono state rappresentate in ruoli subordinati. Questa narrazione ha contribuito a consolidare stereotipi difficili da scardinare.Stereotipi di genere nel mondo del lavoroLe donne in posizioni di comando vengono talvolta percepite come "anomale" o "fuori posto". Questo accade perché il potere e l'autorevolezza sono ancora associati a caratteristiche tipicamente maschili, come la determinazione o l'aggressività, mentre alle donne vengono attribuite qualità di empatia e dolcezza, spesso considerate incompatibili con la leadership.Paura e Insicurezza: Gli Aspetti Psicologici Oltre agli aspetti storici e culturali, il timore delle donne manager ha anche radici psicologiche. Alcuni uomini provano disagio nell'essere guidati da una donna per diversi motivi: Minaccia all’identità di genere La leadership femminile può mettere in discussione l'idea tradizionale di mascolinità. Alcuni uomini vedono l’autorità femminile come una sfida al proprio ruolo all'interno dell'organizzazione e della società. Paura della competizione In un ambiente di lavoro sempre più competitivo, alcuni uomini temono che le donne possano dimostrare maggiore competenza e metterli in ombra. Questo senso di insicurezza può tradursi in comportamenti ostili o discriminatori. Bias inconsci Anche coloro che si considerano favorevoli alla parità di genere possono inconsapevolmente manifestare pregiudizi. Studi dimostrano che le donne in ruoli di comando vengono spesso percepite come "meno capaci" rispetto ai loro colleghi uomini, nonostante abbiano le stesse qualifiche. Come il Potere Aziendale Influisce sulle Donne Manager L’ambiente lavorativo gioca un ruolo cruciale nella percezione della leadership femminile. Spesso, le strutture aziendali tradizionali favoriscono una leadership competitiva e aggressiva, che viene vista come più adatta agli uomini. Ecco alcuni fattori che contribuiscono alla difficoltà delle donne di emergere come manager: -  Ambienti di lavoro maschili: In molti settori, la cultura aziendale è ancora prevalentemente maschile. Questo rende difficile per le donne non solo accedere ai ruoli di leadership, ma anche mantenere la propria posizione senza subire pressioni o critiche ingiustificate.- Politiche aziendali poco inclusive: Le aziende spesso non adottano strategie mirate a promuovere attivamente la diversità di genere. L'assenza di programmi di mentoring per le donne, la mancanza di trasparenza nei processi di promozione e la scarsa rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione sono solo alcuni dei problemi ancora diffusi.- Mancanza di reti di supporto: Gli uomini beneficiano spesso di reti di contatti consolidate che li aiutano a crescere professionalmente. Le donne, invece, hanno meno accesso a queste opportunità, il che le rende più vulnerabili a discriminazioni e ostacoli nella carriera.Strategie per Superare i Pregiudizi e Costruire un’Azienda Inclusiva Per abbattere il timore nei confronti delle donne leader, è necessario adottare strategie mirate a livello aziendale e culturale. Ecco alcune soluzioni efficaci: - Educazione e sensibilizzazione Programmi di formazione sulla diversità e l'inclusione possono aiutare a smantellare i pregiudizi di genere. Seminari e workshop aziendali possono favorire un cambiamento di mentalità e rendere l’ambiente di lavoro più equo. - Politiche di pari opportunità Le aziende devono implementare pratiche di reclutamento e promozione basate sul merito, garantendo trasparenza e pari opportunità per tutti. L’introduzione di quote di genere può essere una misura efficace per riequilibrare la presenza femminile nei ruoli di comando. - Mentoring e networking Creare reti di supporto per le donne leader è fondamentale. Programmi di mentoring e gruppi di networking professionale possono aiutare le donne a sviluppare le competenze necessarie per affrontare le sfide della leadership. - Modelli di leadership inclusiva Le aziende devono promuovere un modello di leadership basato sulla collaborazione e sul rispetto delle competenze individuali, indipendentemente dal genere. Un ambiente lavorativo che valorizza la diversità è più produttivo e innovativo. Conclusione: Il Futuro della Leadership Femminile Il timore degli uomini verso le donne manager è una questione complessa che affonda le sue radici nella storia, nella cultura e nella psicologia. Tuttavia, il cambiamento è possibile attraverso l’educazione, politiche aziendali inclusive e una maggiore consapevolezza dei bias inconsci. E tu cosa ne pensi? Hai mai vissuto esperienze di leadership femminile nel tuo ambiente di lavoro? Condividi la tua opinione e aiutaci a diffondere la cultura dell’uguaglianza! © Riproduzione VietataLeadership al femminile. Manuale pratico per donne che vogliono tirar fuori il meglio di sé nella vita e nel lavoroCostellazioni familiari ed aziendali per una leadership senza sforzo: Raggiungi il completo benessere dell'organizzazione tramite l'approccio no-effort management

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https://www.rmix.it/ - Supplier Relationship Management: Strategie per Superare le Sfide della Gestione dei Fornitori
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Supplier Relationship Management: Strategie per Superare le Sfide della Gestione dei Fornitori
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Come affrontare le difficoltà legate alla comunicazione, alla fiducia e alla sostenibilità per costruire relazioni solide e vantaggi competitivi nella supply chaindi Marco ArezioLa gestione delle relazioni con i fornitori è una componente essenziale per il successo di ogni organizzazione che opera in un mercato globalizzato. Oggi, il contesto competitivo impone alle imprese di andare oltre le semplici transazioni economiche e di costruire rapporti duraturi e strategici con i propri partner nella catena di approvvigionamento. La capacità di instaurare relazioni solide non dipende solo dall’efficienza operativa, ma anche dalla trasparenza, dalla fiducia reciproca e dall’allineamento agli obiettivi comuni, tra cui spiccano sempre più spesso quelli legati alla sostenibilità. Tuttavia, gestire in modo efficace queste relazioni non è privo di sfide. Barriere culturali, tecnologie non compatibili e pratiche poco sostenibili sono solo alcune delle difficoltà che le aziende devono affrontare. Un approccio strutturato e strategico al Supplier Relationship Management (SRM) può aiutare a superare tali ostacoli, consentendo di ottenere vantaggi significativi, come la riduzione dei costi, la continuità delle forniture e un posizionamento più competitivo sul mercato. Le difficoltà nella gestione delle relazioni con i fornitori La complessità delle relazioni con i fornitori deriva da una serie di fattori interconnessi che possono compromettere la collaborazione e la produttività. Tra le principali sfide emergono tre aree critiche: la comunicazione, la fiducia e la sostenibilità. La comunicazione: il cuore delle relazioni La comunicazione rappresenta la base di ogni relazione di successo, ma nel contesto delle catene di fornitura globali è spesso ostacolata da fattori come barriere linguistiche, differenze culturali e tecnologie non interoperabili. Quando i fornitori e le aziende utilizzano sistemi informativi diversi o non condividono in modo trasparente le informazioni, si creano incomprensioni che possono causare ritardi, errori e decisioni basate su dati incompleti. La fiducia: un capitale fragile La fiducia è un elemento indispensabile per costruire rapporti solidi con i fornitori, ma è anche un capitale fragile che può essere facilmente eroso. Pratiche opportunistiche, come il mancato rispetto degli accordi contrattuali, o una gestione orientata esclusivamente alla riduzione dei costi rischiano di alienare i fornitori strategici. Senza fiducia, le relazioni si riducono a meri scambi commerciali, privi della stabilità necessaria per affrontare le incertezze del mercato. La sostenibilità: un impegno comune L’adozione di pratiche sostenibili è diventata una priorità non solo per le aziende, ma anche per i loro partners nella linea di approvvigionamento. Tuttavia, molte imprese si trovano a collaborare con fornitori che non rispettano standard ambientali o etici, spesso a causa dei costi associati alle pratiche sostenibili o della mancanza di tecnologie adeguate. Questa situazione crea un divario tra le aspettative delle aziende e le reali capacità dei loro fornitori, mettendo a rischio gli obiettivi di sostenibilità. Strategie per migliorare il Supplier Relationship Management Affrontare queste sfide richiede un approccio integrato, che combini innovazione tecnologica, cambiamenti culturali e politiche collaborative. Le aziende possono adottare diverse strategie per rafforzare le relazioni con i fornitori e ottenere risultati concreti. Innovare attraverso la tecnologia L’utilizzo di strumenti digitali può migliorare significativamente la comunicazione e la gestione delle relazioni. Piattaforme condivise, come sistemi di gestione della supply chain basati su cloud, offrono una visione completa e trasparente delle attività dei fornitori, facilitando il monitoraggio delle prestazioni e il coordinamento delle operazioni. Tecnologie come la blockchain, inoltre, garantiscono la tracciabilità delle transazioni, rafforzando la fiducia tra le parti. Infine, l’intelligenza artificiale e l’analisi dei dati possono aiutare a identificare problemi potenziali e ottimizzare la pianificazione delle forniture. Costruire fiducia attraverso la collaborazione La fiducia non si crea automaticamente, ma richiede un impegno continuo e reciproco. Le aziende possono adottare politiche che promuovano la collaborazione, come contratti flessibili che si adattino alle mutevoli condizioni del mercato o audit congiunti per garantire la trasparenza. Inoltre, coinvolgere i fornitori nei processi decisionali li rende partner attivi e responsabili, rafforzando il loro senso di appartenenza agli obiettivi aziendali. Integrare la sostenibilità nelle relazioni Per incentivare i fornitori a adottare pratiche sostenibili, le aziende possono offrire supporto economico o tecnico. Ad esempio, programmi di formazione congiunta possono sensibilizzare i fornitori sull’importanza della sostenibilità e aiutarli a implementare cambiamenti significativi. Gli incentivi economici, come sconti o premi per i fornitori che raggiungono determinati standard, rappresentano un altro strumento efficace. Infine, promuovere l’adesione a certificazioni internazionali, come ISO 14001 per la gestione ambientale, può uniformare le pratiche lungo tutta la catena di fornitura. Benefici di una gestione strategica Un approccio strategico al Supplier Relationship Management offre vantaggi sia immediati che a lungo termine. La digitalizzazione dei processi e la trasparenza nei rapporti con i fornitori riducono inefficienze e sprechi, migliorando la produttività. La costruzione di relazioni basate sulla fiducia assicura una maggiore resilienza, anche in condizioni di mercato turbolente. Inoltre, l’integrazione della sostenibilità non solo migliora la reputazione aziendale, ma contribuisce a soddisfare le crescenti aspettative dei consumatori e delle normative. Conclusione La gestione delle relazioni con i fornitori è molto più di un semplice processo operativo: è una leva strategica che può determinare il successo o il fallimento di un’azienda. Superare le problematiche legate alla comunicazione, alla fiducia e alla sostenibilità richiede un impegno costante e l’adozione di soluzioni innovative. Tuttavia, i benefici di un Supplier Relationship Management efficace – in termini di efficienza, stabilità e responsabilità sociale – giustificano ampiamente gli investimenti necessari.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Rivoluzionare il Benessere Aziendale attraverso la Psicologia Organizzativa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Rivoluzionare il Benessere Aziendale attraverso la Psicologia Organizzativa
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Come l'Integrazione di Servizi Psicologici in Azienda Genera un Ambiente di Lavoro Innovativo e Supportivo, Mantenendo Allo Stesso Tempo Riservatezza e Sicurezza di Marco ArezioNel contesto aziendale contemporaneo, caratterizzato da ritmi frenetici e da una costante pressione verso l'innovazione e l'efficienza, emerge con forza l'esigenza di rivisitare e potenziare le strategie volte al benessere dei dipendenti. La crescita sostenibile di un'impresa, infatti, non può prescindere dalla salute psicofisica e dalla soddisfazione dei suoi lavoratori. In questo scenario, l'introduzione della figura dello psicologo organizzativo rappresenta non solo un investimento etico ma una scelta strategica di inestimabile valore per il futuro dell'azienda. Il ruolo dello psicologo aziendale trascende la semplice gestione del disagio lavorativo; esso si configura come una leva strategica per la costruzione di un ambiente lavorativo resiliente, stimolante e inclusivo. Attraverso un approccio scientifico e personalizzato, lo psicologo organizzativo interviene sul tessuto connettivo dell'impresa, ottimizzando le dinamiche di gruppo, potenziando le soft skills dei singoli e promuovendo pratiche di leadership positive. Questa figura professionale opera in sinergia con i managers e i teams HR per sviluppare strategie su misura che rispondano efficacemente alle esigenze emotive e professionali dei dipendenti, favorendo così un clima aziendale che alimenta la motivazione, la creatività e l'engagement. L'Impatto della Psicologia Organizzativa sul Business L'integrazione della psicologia nel contesto aziendale apporta benefici misurabili su molteplici livelli: Innovazione e Performance: Un ambiente lavorativo che promuove il benessere mentale è un terreno fertile per l'innovazione. Dipendenti mentalmente supportati e stimolati tendono a essere più creativi, proattivi e aperti al cambiamento, fattori chiave per il mantenimento di un vantaggio competitivo nel mercato. Riduzione del Turnover e dell'Assenteismo: La presenza di uno psicologo aziendale contribuisce a diminuire significativamente i livelli di stress lavorativo, riducendo il turnover e l'assenteismo. Ciò si traduce in un risparmio economico notevole per l'azienda, oltre che in una maggiore continuità operativa. Sviluppo delle Leadership Skills: Attraverso la formazione e il coaching psicologico, i leader aziendali acquisiscono strumenti efficaci per la gestione delle risorse umane, migliorando la loro capacità di ascolto, empatia e decision-making. Una leadership consapevole e orientata al benessere dei dipendenti è fondamentale per costruire team coesi e performanti. Successo Aziendale Attraverso la Psicologia Organizzativa La decisione di integrare la psicologia organizzativa nella gestione aziendale rappresenta un passo audace verso un nuovo paradigma di successo, dove la crescita economica e la sostenibilità sociale ed emotiva dei lavoratori procedono di pari passo. Per i manager e i decision-makers, questo approccio richiede una visione lungimirante e un impegno costante; tuttavia, i benefici in termini di clima aziendale, performance e immagine del brand giustificano ampiamente l'investimento. L'invito, dunque, è a considerare la psicologia organizzativa non come un costo, ma come un asset strategico che può trasformare profondamente la cultura aziendale, migliorando la vita dei dipendenti e incrementando, di conseguenza, la competitività e la resilienza dell'impresa nel suo complesso. E' necessario costruire ambienti di lavoro dove il benessere psicologico è la norma e non l'eccezione, dove ogni dipendente si senta valorizzato e parte integrante di un progetto collettivo di crescita e innovazione. La Privacy del Dipendente e la Gestione delle Informazioni Riservate Nel contesto dell'integrazione della psicologia organizzativa in azienda, uno degli aspetti più delicati e cruciali è la gestione della privacy del dipendente e delle informazioni riservate emerse durante i colloqui con lo psicologo aziendale. Questa tematica tocca i fondamenti etici della professione psicologica e le normative sulla protezione dei dati personali, richiedendo un'attenzione meticolosa e sistematica da parte dell'organizzazione. Principi Guida per la Gestione della Privacy Confidenzialità Assoluta: La confidenzialità è la pietra angolare della relazione tra psicologo e dipendente. È essenziale garantire che tutte le informazioni divulgate durante le sessioni restino strettamente confidenziali. Questo principio deve essere comunicato chiaramente ai dipendenti prima dell'inizio di qualsiasi intervento psicologico. Consenso Informato: Prima di iniziare qualsiasi percorso di supporto psicologico, è necessario ottenere il consenso informato del dipendente. Questo documento deve delineare in modo trasparente come verranno gestite le informazioni raccolte, comprese le eventuali limitazioni alla confidenzialità secondo la legge. Minimizzazione dei Dati: Raccogliere solo le informazioni strettamente necessarie per fornire supporto psicologico. Questo approccio rispetta il diritto alla privacy del dipendente e riduce il rischio di esposizione accidentale di dati sensibili. Sicurezza dei Dati: Adottare misure tecniche e organizzative avanzate per proteggere i dati raccolti da accessi non autorizzati, perdite o distruzioni. Ciò include la crittografia delle comunicazioni, l'uso di sistemi di archiviazione sicuri e la formazione del personale sulla sicurezza dei dati. Gestione delle Informazioni Riservate La gestione delle informazioni riservate emerse durante i colloqui psicologici richiede un equilibrio tra il rispetto della privacy del dipendente e le esigenze organizzative. In alcuni casi, le informazioni raccolte possono avere implicazioni per la sicurezza o il benessere collettivo in azienda. In tali situazioni, lo psicologo aziendale deve navigare tra il dovere di riservatezza e la responsabilità verso l'organizzazione, seguendo queste linee guida: Valutazione Caso per Caso: Ogni decisione riguardante la divulgazione di informazioni riservate deve essere presa valutando attentamente la specificità del caso, le possibili conseguenze della divulgazione e le alternative disponibili. Procedure Chiare: Stabilire procedure chiare e condivise per il trattamento delle informazioni sensibili che potrebbero richiedere una divulgazione limitata. Queste procedure devono essere conosciute e accettate dai dipendenti come parte del consenso informato. Coinvolgimento del Dipendente: Quando possibile, coinvolgere il dipendente nella decisione di divulgare informazioni riservate, esplorando soluzioni che rispettino la sua privacy e allo stesso tempo rispondano alle necessità organizzative. Lo psicologo deve tutelare la riservatezza delle informazioni raccolte durante i colloqui con i lavoratori in quasi tutte le circostanze. Questa confidenzialità è essenziale per creare un ambiente di fiducia in cui i dipendenti si sentano liberi di esprimersi senza timori di giudizio o di ripercussioni. La tutela della privacy è sancita anche da codici etici professionali e dalla normativa sulla protezione dei dati (come il GDPR in Europa). Eccezioni alla Regola della Confidenzialità Esistono, tuttavia, alcune situazioni specifiche in cui lo psicologo aziendale può essere moralmente e legalmente obbligato a divulgare informazioni senza necessariamente ledere la privacy o il principio di riservatezza: Rischio di Danno Grave: Se durante il colloquio emergono informazioni che indicano un rischio imminente di danno grave al dipendente stesso o ad altri (ad esempio, minacce di violenza, autolesionismo, o altre situazioni di pericolo), lo psicologo può avere il dovere di intervenire per prevenire il danno. In questi casi, la divulgazione è limitata alle informazioni strettamente necessarie per proteggere la sicurezza delle persone coinvolte. Obblighi Legali: In alcune giurisdizioni, gli psicologi possono essere tenuti per legge a segnalare determinate informazioni, come casi sospetti di abuso o di altre illegalità. Anche in questi casi, la divulgazione dovrebbe limitarsi al minimo indispensabile richiesto dalla legge. Procedure per la Divulgazione Per gestire queste eccezioni nel rispetto dei principi etici e legali, è fondamentale adottare procedure chiare e trasparenti: Valutazione Attenta: Prima di procedere con qualsiasi divulgazione, lo psicologo dovrebbe valutare attentamente la situazione, considerando la gravità del rischio, le alternative disponibili e l'eventuale possibilità di coinvolgere il dipendente nella decisione di divulgare. Minimizzazione della Divulgazione: Qualsiasi informazione condivisa con il datore di lavoro o altre parti dovrebbe essere limitata al necessario per affrontare la situazione specifica, cercando di proteggere al massimo la privacy del dipendente. Documentazione: Le decisioni relative alla divulgazione di informazioni riservate dovrebbero essere accuratamente documentate, inclusa la base della decisione e le misure adottate per limitare la divulgazione. In conclusione, mentre la tutela della riservatezza dei colloqui è la regola generale nella pratica psicologica aziendale, esistono eccezioni legate principalmente alla sicurezza e agli obblighi legali. La gestione di queste eccezioni richiede un'attenta valutazione e un impegno costante alla trasparenza, all'etica professionale e al rispetto dei diritti dei dipendenti.

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Management

Dopo la pandemia, ed ora, nel pieno di una crisi internazionale, i lavoratori sono  profondamente cambiatiStiamo attraversando un periodo di profondo stress sociale, cominciato dall’isolamento creato dalla pandemia all’interno delle nostre case, dall’utilizzo a tappeto dello smart working, dalla perdita della socialità lavorativa e da nuove regole e paure nella vita privata. Siamo stati per decenni convinti che la massima forma di realizzazione personale e sociale fosse una buona posizione lavorativa, il raggiungimento di un centro di potere, piccolo o grande che sia, una visibilità sociale positiva, frutto della propria posizione conquistata a fatica negli anni e, infine, un benessere finanziario che sottoscrivesse il nostro successo. Per questi motivi e, probabilmente, per altri del tutto personali, ci si è immolati ad una intensa attività lavorativa, dedicando tutte le proprie forze disponibili per i propri obbiettivi, ben oltre quello che poteva essere racchiuso in un contratto di lavoro. Un’idea di abnegazione al lavoro socialmente accettata e valutata in modo normale e positivo da tutti, retaggio di un concetto di laboriosità e responsabilità dell’individuo all’interno della società. Ma poi arrivò il Covid, le aziende si svuotarono, molti lavoratori furono parcheggiati a casa, in attesa che l’epidemia passasse, altri venivano organizzati per il lavoro da remoto, cambiando completamento il rapporto tra l’azienda, il lavoratore e l’ambito lavorativo. I dipendenti che hanno continuato a lavorare da casa si sono spogliati delle vesti e delle maschere che spesso si portavano con loro, la mancanza di socialità ha concentrato lo sforzo esclusivamente sul lavoro e non anche sul contesto lavorativo, creando un abbassamento delle tensioni personali. I lavoratori hanno avuto modo, attraverso l’esperienza della produttività remota, di ripensare al modello aziendale in cui vivevano, alle contraddizioni, agli sforzi profusi negli anni, alle soddisfazioni e alle brucianti amarezze subite, ai dispetti e alla marginalizzazione a volte provate, alle motivazioni passate e a quelle attuali, al risvolto economico ed al tempo che si spende dentro un’azienda rispetto a quello all’esterno di essa. Molti hanno fatto dei bilanci, hanno sperimentato nuove priorità, creato un nuovo rapporto con il denaro guadagnato, con i desideri, le ambizioni e i progetti futuri. Al rientro in presenza nelle aziende i lavoratori non erano più gli stessi di due anni prima, ognuno segnato dalle proprie trasformazioni, alcuni più profondamente per la perdita di parenti od amici, con diverse centralità rispetto al passato e nuove aspettative. Un contesto del tutto nuovo anche per i managers, che dovevano continuare a gestire la forza lavoro ed elaborare strategie per ricominciare un percorso lavorativo insieme. In questa particolare occasione il comparto dirigenziale si è distinto in due categorie: la prima che ha preso coscienza che non era possibile non considerare quello che il mondo, e i lavoratori avevano vissuto, cercando di avere un approccio empatico e comunicativo con la forza lavoro, in modo da considerare nuove strategie di gestione che tenessero conto del carico di stress accumulato, per capire come evitare dei pericolosi punti di rottura. Managers che si sono improvvisati un po’ psicologi, il cui intento era capire come fosse cambiato il singolo lavoratore, quali nuove aspettative potesse avere e quali problemi si portava con sé, quali fossero le sue ambizioni e come si potesse farle coincidere con la crescita aziendale, insomma creare soddisfazione e appartenenza al gruppo. La seconda categoria di managers ha continuato a rapportarsi e a gestire i dipendenti come se nulla fosse successo, contando sulla dedizione al lavoro della squadra, sui loro sacrifici in termini intellettivi e di tempo e spronandoli a correre come prima, anzi più di prima, visto il tempo perso durante il Covid, facendogli capire ogni giorno che dovevano ringraziare l’azienda per la conservazione del loro posto di lavoro. Questa seconda categoria non si è accorta che il suo esercito è composto di persone che non vedono più nella loro divisa l’unica soddisfazione della propria vita, cerando, giorno per giorno, una frattura sempre più ampia. La presa di coscienza di una minore motivazione che le persone trovavano in un’azienda gestita da managers distanti, senza la capacità di una concreta comunicazione, con la mancanza di ascoltare il proprio gruppo, può creare al fenomeno chiamato Quiet Quitting. Il Quiet Quitting è un atteggiamento da parte dei lavoratori che, sintetizzato, significa fare il minimo sforzo possibile entro i termini corretti del contratto di lavoro, senza più farsi trascinare nel consumo delle proprie energie mentali e di tempo per l’azienda. Un modello di approccio al lavoro che è fortemente destabilizzante per le aziende, se non lo si capisce in tempo e se non si trovano gli strumenti corretti per arginarlo ed evitarlo. Non ci sono, richiami, minacce, allusioni ad aumenti di stipendio o altri bonus che possono risolvere il problema, in quanto il lavoratore non sta violando nessuna regola e la carota dei soldi non fa più presa come un tempo. Se il manager non capisce che nella propria squadra è nata un’insoddisfazione profonda, dove i lavoratori non hanno la possibilità di esprimersi, di realizzarsi, di trarre piacere da quello che fanno, all’interno dell’azienda, i dipendenti hanno due strade: cambiare lavoro o restare applicando il Quiet Quitting. Per i quadri direttivi è importante capire che il mondo è cambiato, che l’inquietudine e le difficoltà fuori dall’azienda hanno trasformato soprattutto i giovani, la forza più propositiva e dinamica di un’impresa, e che i rapporti e gli ambiti lavorativi devono essere diversi e gestiti in modo più collegiale ed empatico.

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Management

I lavoratori che sono selezionati dal manager danno interessanti spunti per fare un quadro della sua personalitàdi Marco ArezioCi sono aziende in cui la selezione dei collaboratori non è affidata ad un ufficio del personale, o scelti direttamente dal proprietario, ma spesso sono selezionati e scelti direttamente dai managers di area. Un direttore commerciale può selezionare i venditori, i collaboratori del back office, del settore post vendita e a volte dei responsabili marketing. Un direttore amministrativo potrebbe scegliere i componenti dell’ufficio contabilità, di quello delle paghe, del settore di controllo ecc.. Dove troviamo delle figure apicali, che potrebbero coinvolgere anche il direttore generale che hanno la responsabilità dell’azienda per conto del proprietario o dei proprietari, è interessante analizzare i collaboratori per capire come sono, caratterialmente il propri superiori. I managers possono essere competenti e determinati, ma possono avere due tipologie di carattere: • sicuro di sé stesso • insicuro di sé stesso Vi chiederete come possa essere importante il carattere personale di un manager se sono riscontrate e avvalorate la loro capacità e determinazione nell’affrontare il lavoro. Il carattere conta molto, invece, in quanto i requisiti che un manager sceglie durante le selezioni dei propri collaboratori, a parità di lavoro, sono decisamente diverse e, nello stesso verso, conoscendo i caratteri dei dipendenti scelti dal manager, è abbastanza facile farsi un quadro della sua personalità. Il manager sicuro di sé cerca delle figure capaci di reggere lo stress del lavoro, che abbiano un carattere forte, che accettino lo scontro di opinioni, che siano propositivi nei cambiamenti, leali con gli altri collaboratori, non accettino scorciatoie, che sappiano dire quando sbagliano e riconoscere anche i successi degli altri. Il collaboratore deve sapere fare squadra, non ha bisogno dell’approvazione degli altri e nemmeno del proprio superiore e ha un rapporto aperto ma corretto. Il manager sicuro darà ampie deleghe nelle attività, senza la paura che qualcuno lo possa scavalcare, farà lavorare al meglio la squadra e darà loro le giuste soddisfazioni, mettendosi a volte anche in ombra. Il manager insicuro di sé seleziona i propri collaboratori che abbiano una passione per il lavoro, diretto da altri, capaci ma non intraprendenti, che abbiano idee ma non il carattere di farle valere in un gruppo aperto, che siano psicologicamente un po' manipolabili in modo da creare un rapporto di sudditanza e di necessità verso il capo. Il manager insicuro non selezionerà figure che possono metterlo in ombra con i suoi superiori, che possano avere delle idee vincenti prima di lui, che possano fare squadra con gli altri lavoratori, ma tenderà a verticalizzare la piramide del suo potere per gestire e controllare ogni posizione a sé. Non delegherà molto e cercherà di ridurre le autonomie lavorative per paura di essere un giorno scavalcato, tenderà a mettere in competizione personale i collaboratori, gestirà divisioni e litigi, dissapori e vendette. Considererà ogni sforzo che le fazioni del gruppo spenderanno per contendersi la visibilità verso il manager come una forma di controllo indiretto e non si preoccuperà delle tante energie perse. Le aziende che selezioneranno, a loro volta questi managers, devono, per il bene dell'impresa, cercare di capire il loro carattere perché, la sicurezza o l’insicurezza di sé, crea dei reparti aziendali con performaces nel tempo molto diverse.

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Management

Come le aziende di successo creano connessioni emotive che vanno oltre il semplice acquistodi Marco ArezioQuando pensiamo al marketing, la prima immagine che spesso ci viene in mente è la pubblicità di un prodotto su un cartellone o in televisione. In molti casi, l’approccio più comune e superficiale al marketing si concentra soltanto sulla presentazione di caratteristiche tecniche, offerte promozionali e prezzi competitivi. Eppure, le aziende che hanno saputo lasciare un’impronta profonda nel cuore dei consumatori si distinguono proprio perché scelgono di andare al di là di questo schema: trasformano il prodotto in un sogno e parlano direttamente alle emozioni e alle aspirazioni del pubblico. Il marketing strategico moderno, infatti, non si limita a persuadere i consumatori a comprare un determinato articolo o servizio: punta a creare un ecosistema valoriale in cui le persone si riconoscano e che vogliano continuare a vivere. Un’auto non è più soltanto un mezzo di trasporto; un brand di abbigliamento non vende soltanto capi alla moda; persino una semplice bottiglia d’acqua può trasformarsi in un simbolo di benessere, sostenibilità o stile di vita. Questa differenza sostanziale è ciò che permette di costruire un legame duraturo e profondo con il cliente, trasformandolo in un sostenitore attivo. Di seguito, esploreremo in maniera approfondita come le aziende possono passare dal prodotto al sogno, focalizzandoci sui principi cardine di un marketing strategico realmente efficace e su come questi principi si traducano in risultati tangibili per il brand e per i consumatori. 1. Perché le Emozioni Sono il Vettore Principale del Valore 1.1. La percezione del valore.Il valore di un prodotto non risiede soltanto nei materiali impiegati o nelle funzionalità intrinseche, ma soprattutto in ciò che il prodotto rappresenta agli occhi di chi lo acquista. Da un punto di vista psicologico, la nostra decisione di acquisto è fortemente influenzata da impulsi emotivi. Ciò vale per beni di lusso, ma anche per prodotti quotidiani. Un noto esempio è quello del caffè. Se guardiamo al mercato delle cialde o delle capsule, ci rendiamo conto che spesso il prezzo al chilo è molto più alto rispetto a quello del caffè macinato tradizionale. Eppure, i consumatori pagano volentieri questo sovrapprezzo, perché associazioni come la praticità, lo stile di vita moderno, la qualità dell’espresso “come al bar” e il brand di appartenenza diventano parte integrante dell’esperienza d’uso. Il marketing, in questo senso, vende un sogno di comfort e praticità, una sorta di rituale gratificante che supera di gran lunga il semplice gusto del caffè. 1.2. Componente aspirazionale ed esperienziale.La dimensione del sogno si manifesta ancor più chiaramente quando parliamo di prodotti di fascia alta o di settore lusso. Tuttavia, anche nei segmenti popolari le aziende più abili riescono a trasmettere valori emotivi potentissimi. Pensiamo a un brand sportivo che non vende solo abbigliamento, ma veicola un messaggio di determinazione e spirito di squadra. In questo modo, indossare quei capi equivale a entrare in un universo narrativo specifico, in cui si è parte di una community che condivide gli stessi ideali.Col passare degli anni, le persone si sono abituate a ricercare in un brand la coerenza tra il messaggio veicolato e l’esperienza vissuta. L’autenticità, dunque, è centrale: promuovere un sogno irrealizzabile o non rispecchiato dai fatti può trasformarsi in un boomerang per la reputazione aziendale. 2. Dal Sogno alla Strategia: Come Costruire Connessioni Emotive 2.1. Conoscere il pubblico in profondità. Una strategia di marketing che punta sulle emozioni richiede uno studio approfondito del target. È necessario andare ben oltre i semplici dati anagrafici (età, sesso, località) o i comportamenti di acquisto ripetitivi. Bisogna scavare nei desideri inespressi, nelle frustrazioni quotidiane, nei valori che muovono le scelte delle persone. Le aziende che riescono a farlo in modo accurato adottano ricerche di mercato qualitative, focus group, interviste in profondità, analisi dei trend sociali e degli stili di vita. Questi strumenti consentono di individuare “insight emotivi” inaspettati: le leve che permettono di far scattare un’autentica connessione. Ad esempio, comprendere che il proprio target ha il desiderio latente di ritagliare momenti di libertà durante una routine frenetica può ispirare un’intera campagna di marketing incentrata su messaggi di evasione o relax. 2.2. Elaborare una proposta di valore emotiva. Una volta compresi i desideri e le aspirazioni profonde del pubblico, occorre tradurli in una proposta di valore che il brand possa realmente incarnare. Tale proposta diventa il fulcro di tutte le attività comunicative e dell’offerta stessa. Non si tratta solo di creare uno slogan accattivante, ma di definire chi è l’azienda in relazione ai sogni dei consumatori. Questa fase può prevedere la costruzione di una brand identity che abbracci valori emotivi ben precisi. Qualora si vendano prodotti ecosostenibili, ad esempio, la narrazione potrebbe ruotare intorno all’idea di contribuire a un pianeta migliore per le generazioni future. Ogni elemento (dal design del packaging ai contenuti social) dovrà riflettere la medesima promessa emotiva, in modo da creare coerenza percepita e rafforzare la fiducia. 2.3. Utilizzare la narrazione e lo storytelling. Lo storytelling è lo strumento privilegiato per veicolare emozioni e sogni. Le storie hanno il potere di farci immedesimare in situazioni, personaggi e valori. Per un brand, questo significa costruire un racconto in cui il consumatore si sente protagonista e non semplice spettatore. Raccontare la genesi di un prodotto, la passione e la ricerca dietro la sua creazione, o l’impatto positivo che l’azienda desidera avere sul mondo, può suscitare un coinvolgimento ben più elevato rispetto all’elenco delle specifiche tecniche. Questa narrazione si esprime attraverso campagne video, blog aziendali, testimonianze reali dei clienti, social media e qualsiasi canale dove la storia può essere messa in scena. 3. Dalla Comunicazione all’Esperienza: Costruire Relazioni Durature 3.1. Creare “ecosistemi di marca”. Il marketing odierno si gioca su molteplici touchpoint: negozi fisici, e-commerce, social network, eventi, app. Ogni interazione diventa un tassello che compone il mosaico dell’esperienza che l’azienda offre. Per vendere sogni, però, non basta un messaggio pubblicitario isolato: serve un vero e proprio ecosistema di marca, in cui ogni aspetto si integri coerentemente con l’idea emotiva che si intende trasmettere. Quando il cliente entra in un negozio fisico, deve percepire gli stessi valori e la stessa storia raccontati sui social media o nelle campagne pubblicitarie. L’atmosfera, la cura dei dettagli, la formazione del personale, persino la musica di sottofondo o l’illuminazione, tutto concorre a rendere tangibile l’emozione che si vuole veicolare. 3.2. L’importanza dell’esperienza condivisa. Uno degli aspetti più potenti del marketing emozionale è la creazione di community attorno al brand. Le persone amano condividere i propri sogni e le proprie passioni con altri individui affini. Un marchio che facilita queste connessioni diventa un catalizzatore di relazioni: non è più soltanto un venditore, ma un aggregatore di persone che si sentono parte di qualcosa di più grande. Si pensi a come alcuni brand organizzino raduni, workshop, webinar o gare sportive, offrendo l’opportunità di incontrarsi e condividere interessi comuni. In questi contesti, il prodotto è quasi un pretesto: ciò che conta è il senso di appartenenza e il piacere di incontrare altre persone che si riconoscono negli stessi valori. Questo genera un attaccamento emotivo molto più profondo, trasformando il semplice consumatore in vero “fan” e ambasciatore del marchio. 3.3. La tecnologia come abilitatore di esperienze. Se da un lato l’esperienza fisica rimane fondamentale per rafforzare il legame emotivo, dall’altro la tecnologia digitale offre infinite possibilità di amplificare il sogno e mantenerlo vivo nel tempo. Attraverso app, realtà aumentata, community virtuali e piattaforme di gamification, il brand può creare un legame continuo con il cliente, permettendogli di vivere e rivivere l’esperienza in contesti differenti. Ad esempio, un brand di automobili di lusso può fornire un’app che simula la guida virtuale del modello preferito, offrendo all’utente un assaggio di quello che sarà possedere realmente l’auto. Questi strumenti non sostituiscono la realtà, ma la potenziano, rafforzando il sogno e mantenendo acceso il desiderio. 4. Benefici Strategici di un Marketing Incentrato sul Sogno 4.1. Fidelizzazione e difesa del pricing.Quando un marchio vende sogni, il prezzo diventa quasi un fattore secondario agli occhi del consumatore. L’acquisto non è più percepito come un costo, ma come un investimento in un’esperienza o in uno stile di vita. Ecco perché molti brand che puntano sulla connessione emotiva possono adottare politiche di prezzo premium, senza per questo scoraggiare la clientela. In aggiunta, i clienti fidelizzati sono più propensi a perdonare eventuali piccoli errori e meno inclini a essere attratti da offerte concorrenti. Il legame affettivo ed emotivo crea una barriera d’ingresso difficile da superare per altri marchi che non hanno costruito lo stesso rapporto di fiducia. 4.2. Differenziazione competitiva. In mercati maturi, dove la concorrenza è forte e i prodotti possono essere simili nelle caratteristiche di base, la differenziazione basata sul sogno risulta particolarmente efficace. Mentre i competitor puntano su logiche di sconto o piccole variazioni di prodotto, il brand che riesce a vendere un’idea, un valore, una promessa emozionale si posiziona su un piano difficilmente replicabile. Infatti, un legame emotivo non si può riprodurre semplicemente copiando una feature tecnica o un prezzo: occorre empatia, autenticità e coerenza di lungo periodo. 4.3. Brand advocacy e passaparola. Il sogno genera entusiasmo. Le persone, quando vivono un’esperienza positiva e appagante sul piano emotivo, sentono il desiderio di condividerla. Questo innesca un passaparola virtuoso sia offline (incontri, eventi, chiacchiere tra amici) sia online (recensioni, post sui social, video su YouTube e TikTok). Il marketing più potente di tutti è quello che non sembra marketing: quando i clienti si trasformano volontariamente in ambasciatori del marchio, si crea un circolo virtuoso di reputazione e visibilità. 5. Autenticità e Coerenza: Pilastri di un Sogno Credibile 5.1. Il rischio di cadere nell’iperbole. “Vendere sogni” può essere una lama a doppio taglio se non è sostenuto da una reale coerenza tra quanto promesso e quanto effettivamente offerto. I consumatori di oggi sono molto attenti e informati: sanno riconoscere le operazioni di puro greenwashing, le campagne pubblicitarie ingannevoli o le promesse non mantenute. Per questo, un brand deve sempre assicurarsi che il sogno che vende sia basato su valori e pratiche aziendali concrete. Se un marchio si presenta come paladino dell’ambiente, deve impegnarsi davvero in processi produttivi sostenibili, tracciabili e certificati. In caso contrario, la dissonanza tra messaggio e realtà di fatto verrà rapidamente portata a galla da media e consumatori, danneggiando reputazione e vendite. 5.2. Sviluppare una strategia di contenuto coerente.L’autenticità si costruisce anche attraverso i contenuti prodotti dall’azienda. Articoli sul blog corporate, post sui social, comunicati stampa e soprattutto il dialogo diretto con la community devono rispecchiare il DNA valoriale del marchio. Per vendere sogni a lungo termine, il sogno stesso deve evolversi, adattarsi ai cambiamenti del contesto e della società, ma senza tradire i principi fondanti. La coerenza va mantenuta su tutti i livelli aziendali: dal design del prodotto al servizio clienti, dall’ufficio comunicazione alla politica di responsabilità sociale d’impresa. Solo così si crea quella “cultura di marca” che trasforma l’idea di fondo in un vero e proprio stile di vita, portando le persone a rimanere legate al brand anche in tempi incerti. 6. Oltre il Profitto: Il Marketing che Ispira e Crea Valore Sociale 6.1. Il ruolo crescente della responsabilità sociale. Nell’era contemporanea, molte aziende stanno cercando di ampliare il proprio raggio d’azione abbracciando cause sociali o ambientali. Questo non significa strumentalizzare temi caldi per vendere di più, ma piuttosto interpretare un ruolo attivo nella trasformazione della società verso modelli di consumo più responsabili e sostenibili. Quando il sogno che un marchio vende coincide con un impatto positivo nel mondo, l’appeal emotivo risulta ancora più forte. Le persone, specialmente le nuove generazioni, desiderano sentirsi protagoniste di un cambiamento. In questo senso, le campagne di marketing che promuovono anche valori di solidarietà, inclusione o tutela ambientale parlano a un pubblico sensibile, e consolidano un senso di appartenenza ancor più profondo. Ciò si traduce in fedeltà di lungo periodo e in un passaparola positivo, oltre a offrire un contributo etico alla collettività. 6.2. Stimolare il coinvolgimento di tutti gli stakeholder. Vendere sogni non significa un approccio unidirezionale: le aziende di successo sanno creare occasioni di dialogo e partecipazione. Dai dipendenti ai fornitori, dai clienti ai partner, tutti gli attori coinvolti possono diventare testimoni e artefici dell’idea di fondo. Questo si traduce in iniziative di co-creazione, di open innovation e di formazione, in cui il brand offre ai suoi stakeholder la possibilità di contribuire a dare forma al sogno. Tale prospettiva “partecipativa” non solo rafforza il senso di identità condivisa, ma favorisce anche l’emergere di soluzioni innovative e creative, capaci di alimentare ulteriormente la visione emotiva su cui si fonda il brand. 7. Conclusioni: Dal Prodotto al Sogno, Verso un Nuovo Paradigma del Marketing Il marketing strategico orientato alle emozioni e ai sogni rappresenta un cambiamento di paradigma per molte aziende. Non si tratta più di competere esclusivamente su prezzo, disponibilità o caratteristiche tecniche, bensì di creare un legame più profondo, che soddisfi bisogni emotivi e identitari. Trasformare un semplice prodotto in un sogno significa costruire attorno a esso una narrazione capace di incarnare le aspirazioni delle persone. La ricompensa di questo approccio è duplice: da un lato, genera relazioni di lungo periodo basate sulla fiducia e la stima reciproca; dall’altro, permette alle aziende di differenziarsi radicalmente in un mercato sempre più saturo. I consumatori diventano così parte di una comunità che non acquisisce solo un bene materiale, ma un intero universo di significati e valori condivisi. In un contesto in cui la tecnologia e l’automazione possono rendere facilmente replicabili i prodotti, la forza di un sogno risiede nella sua unicità emotiva. Per renderla credibile e duratura servono coerenza, autenticità e una visione chiara. Chi riesce a bilanciare innovazione, creatività ed empatia si posiziona come leader non solo di mercato, ma anche di pensiero, influenzando stili di vita, modi di comunicare e scelte di consumo. In ultima analisi, vendere sogni non è un semplice slogan: è la base di una filosofia che mette al centro la persona nella sua dimensione più profonda. Un buon marketing, dunque, non si limita a spingere vendite: è un patto emotivo con il cliente, un invito a partecipare a un viaggio condiviso, in cui l’azienda propone un ideale di vita – e chi acquista ne diventa co-creatore. È questo il valore più alto del marketing strategico: riuscire a vedere, nel rapporto tra brand e consumatore, la nascita di una comunità di significato, capace di crescere e di rinnovarsi nel tempo, trasformando il prodotto in una vera e propria esperienza di vita.© Riproduzione Vietata

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Come la resilienza e l'entusiasmo possono trasformare le sfide aziendali in opportunità di crescita e innovazione di Marco Arezio"Il successo è l'abilità di passare da un fallimento all'altro senza perdere l'entusiasmo." Questa frase racchiude una saggezza profonda, particolarmente rilevante nel mondo del management. Immaginiamoci un manager che affronta quotidianamente sfide, decisioni difficili e, inevitabilmente, qualche fallimento. È in questo contesto che l'entusiasmo e la resilienza diventano strumenti indispensabili. La Resilienza nel Management Nel management, la resilienza è come un muscolo che bisogna allenare continuamente. I manager devono prendere decisioni importanti spesso in condizioni di incertezza, e non tutte si rivelano vincenti. Ma è proprio la capacità di affrontare i fallimenti e imparare da essi che distingue un buon leader. Pensiamo a un manager che deve affrontare una crisi aziendale. La prima reazione potrebbe essere di panico, ma un leader resiliente mantiene la calma, analizza la situazione e pianifica i prossimi passi. Questo non solo aiuta a risolvere la crisi, ma trasmette anche sicurezza al team. È fondamentale non lasciarsi abbattere dai fallimenti, ma usarli come trampolino di lancio per migliorare e crescere. L'Importanza dell'Entusiasmo L'entusiasmo è l'ingrediente segreto che rende tutto possibile. È quel fuoco interiore che motiva, ispira e spinge a dare il meglio di sé. Un manager entusiasta ha il potere di trasformare un ambiente di lavoro grigio e monotono in un luogo vibrante e stimolante. Ricordo di un manager con cui ho lavorato tempo fa. Ogni mattina arrivava in ufficio con un sorriso, pieno di energia e pronto ad affrontare la giornata. Il suo entusiasmo era contagioso. Quando ci trovavamo di fronte a un problema, lui lo vedeva come una sfida entusiasmante da risolvere insieme, e questo atteggiamento ci motivava a cercare soluzioni creative e a non mollare mai. Applicazioni Pratiche nel Management Ma come si applica tutto questo nella pratica? Prendiamo ad esempio la gestione del cambiamento. Le aziende devono spesso adattarsi a nuove tecnologie, mercati in evoluzione o cambiamenti organizzativi. Questi processi possono essere stressanti e incontrare resistenze. Un manager resiliente e entusiasta guida il team attraverso queste transizioni, affrontando le difficoltà con un sorriso e una mentalità positiva. Inoltre, quando si tratta di problem solving, un approccio entusiastico è fondamentale. Invece di vedere i problemi come ostacoli insormontabili, li si affronta con creatività e ottimismo. Questo non solo porta a soluzioni più innovative, ma rafforza anche lo spirito di squadra, facendo sentire ogni membro del team parte di qualcosa di più grande.Il Ruolo della Formazione Continua Per mantenere alta la resilienza e l'entusiasmo, la formazione continua gioca un ruolo cruciale. I manager devono essere sempre aggiornati sulle nuove tendenze, tecnologie e migliori pratiche. Questo non solo li rende più competenti, ma offre anche nuovi stimoli e opportunità di crescita personale e professionale. Conclusione In definitiva, il successo nel management non si misura solo dai risultati immediati, ma anche dalla capacità di affrontare e superare i fallimenti con entusiasmo. Un manager che sa mantenere alto il morale del proprio team e che affronta le sfide con una mentalità positiva, costruisce le basi per un futuro solido e prospero. La citazione che abbiamo esaminato ci ricorda che il vero successo non sta nel non fallire mai, ma nel saper trasformare ogni fallimento in un'opportunità di crescita, mantenendo sempre vivo l'entusiasmo. E questa, in fondo, è la chiave per un management efficace e ispirato.

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https://www.rmix.it/ - Crisi della plastica in Europa: crolla produzione e riciclo, cresce la dipendenza dall’estero
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Crisi della plastica in Europa: crolla produzione e riciclo, cresce la dipendenza dall’estero
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La plastica europea in crisi: calo della competitività, chiusura degli impianti e minacce alla transizione verde, mentre aumentano le importazioni da Stati Uniti, Cina e Medio Orientedi Marco ArezioIl settore della plastica in Europa attraversa una crisi profonda e articolata, che si estende dalla produzione alla capacità di riciclo, compromettendo non solo la competitività del continente, ma anche gli ambiziosi obiettivi della transizione ecologica. Questo è quanto emerge dagli ultimi dati diffusi da Plastics Europe, l’associazione che rappresenta il comparto, che denuncia un quadro sempre più preoccupante per l’intero settore industriale e ambientale. Produzione in calo: la fine di un’epoca? Nel 2023 la produzione di plastica in Europa ha subito un crollo significativo, registrando un -8,3% rispetto all’anno precedente. Si tratta di un calo senza precedenti, con un ritorno ai livelli produttivi di oltre un decennio fa. Se nel 2022 si contavano quasi 59 milioni di tonnellate prodotte, nel 2023 il totale è sceso a 54 milioni di tonnellate, di cui 42,9 milioni derivanti da plastica vergine, ottenuta dai combustibili fossili. Anche la plastica riciclata, una delle punte di diamante del modello europeo di economia circolare, ha mostrato segni di sofferenza. La produzione di plastica secondaria riciclata meccanicamente è diminuita del 7,8%, fermandosi a 7,1 milioni di tonnellate. Questa è la prima contrazione registrata dal 2018, segnale di una decelerazione che mette in discussione l’intero sistema di circolarità europeo. Sul fronte del riciclo chimico, considerato una delle strade più promettenti per il futuro, i numeri rimangono trascurabili: appena 120.000 tonnellate prodotte nel 2023. Le bioplastiche, benché in crescita, rappresentano una parte marginale del mercato, passando da 700.000 a 800.000 tonnellate. Competitività in declino: un continente che perde terreno Nonostante il mercato globale della plastica abbia registrato un aumento del 3,4% nel 2023, passando da 400 a 413 milioni di tonnellate, la quota europea continua a contrarsi. Dal 28% del 2006, l’Europa rappresenta oggi solo il 12% della produzione globale. Questa riduzione della competitività industriale è legata a fattori strutturali, come i costi elevati di energia e manodopera, e a fattori esterni, quali la concorrenza da parte di Stati Uniti, Medio Oriente e Cina. I dati commerciali evidenziano un saldo sempre più negativo: se in termini di valore l’Europa riesce ancora a vantare un surplus di 12,7 miliardi di euro, in termini di volumi è diventata importatrice netta di resine dal 2022 e di prodotti finiti dal 2021. Tra il 2020 e il 2023, le esportazioni di resine dalla UE sono crollate del 25,4%, aggravando ulteriormente la dipendenza dalle importazioni. Deindustrializzazione e chiusure di impianti L’erosione della competitività sta già portando a chiusure significative di impianti produttivi in Europa. Tra le aziende coinvolte si contano colossi internazionali come ExxonMobil e Sabic, oltre all’italiana Versalis, controllata da Eni. Versalis ha annunciato la chiusura degli impianti di cracking a Brindisi e Priolo e del polietilene a Ragusa, motivando la scelta con un piano di trasformazione mirato alla decarbonizzazione e alla riduzione delle perdite economiche. Questa tendenza non riguarda solo il settore della chimica di base, ma anche quello dei polimeri, sempre più frammentato o acquisito da gruppi stranieri. Emblematico è il caso di Covestro, gigante tedesco recentemente acquistato dalla società emiratina Adnoc per 14,7 miliardi di euro. Dipendenza dall’estero: una minaccia per la transizione verde L’industria della plastica in Europa impiega oltre 1,5 milioni di persone in circa 51.700 aziende, generando un fatturato di 365 miliardi di euro. Tuttavia, il calo della produzione interna e il crescente affidamento sulle importazioni mettono a rischio sia l’occupazione sia gli investimenti. La dipendenza dall’estero non riguarda solo la competitività economica, ma tocca anche la sostenibilità ambientale. Le importazioni da paesi come Cina, Stati Uniti e Medio Oriente spesso non rispettano gli standard europei in termini di sostenibilità e sicurezza. Questo potrebbe compromettere gli sforzi per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Plastics Transition Roadmap, che prevede una rapida crescita del tasso di circolarità. Ad oggi, la plastica derivante da riciclo rappresenta solo il 14,8% della produzione totale europea, con un incremento dello 0,7% rispetto al 2022, un ritmo insufficiente per soddisfare le ambizioni europee. Conclusioni La crisi della plastica in Europa rappresenta un allarme non solo per l’industria, ma per l’intero sistema economico e ambientale del continente. La perdita di competitività, unita alla crescente dipendenza dall’estero, mette in discussione la capacità dell’Europa di guidare la transizione verso un modello sostenibile e circolare. Occorrono interventi strutturali per invertire questa tendenza: dall’adozione di politiche industriali più favorevoli agli investimenti, alla promozione di nuove tecnologie per il riciclo avanzato. Senza un cambiamento deciso, l’Europa rischia di perdere non solo una delle sue industrie chiave, ma anche la credibilità come leader globale nella transizione verde.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Una Storia di Successo nel Mondo della Plastica che Dura da 60 anni. I° Parte
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Una Storia di Successo nel Mondo della Plastica che Dura da 60 anni. I° Parte
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Nell’era del boom economico, il 1963 segna una data importante per un’azienda lungimirante che pensava fuori dagli schemidi Marco ArezioI primi anni ’60 la plastica iniziava a compiere i primi e decisivi passi che avrebbero poi caratterizzato lo sviluppo economico e sociale del secolo scorso. Pochi anni prima Giulio Natta aveva ottenuto il Nobel per la chimica per le sue ricerche che lo portarono alla scoperta del polipropilene. I Caroselli nella TV in bianco e nero di allora magnificavano i molteplici usi del Moplen, con il quale si potevano realizzare contenitori leggeri, resistenti e colorati, perfettamente in grado si sostituire quelli fatti in lamiera verniciata, pesanti e che potevano arrugginirsi. Nella sale cinematografiche, intanto, gli italiani si appassionavano al Gattopardo. È infatti nel 1963, come abbiamo detto, in pieno boom economico, che grazie all’intuizione e ad una visione illuminata di Innocente Caldara e del cognato Mario Pontiggia, nasce la “Pontiggia & Caldara” che sessant’anni più tardi sarebbe diventata la Caldara Plast che conosciamo oggi. Il Sig. Innocente girava instancabilmente l’Italia con il suo camion, un OM Tigrotto, in un periodo di grandi innovazioni in tutti i settori. È in questo scenario, in un’Italia in grande fermento, in cui tutti gli scantinati di Milano erano occupati da qualche laboratorio dove si produceva “qualcosa”, che Innocente Caldara vide due residui plastici che molte industrie eliminavano, una risorsa da riutilizzare e riportare a nuova vita. Erano solo gli anni Sessanta ma questa è l’idea che oggi sta alla base dell’economia circolare. In quei primi faticosi ma emozionanti anni, l’azienda faceva trasporti per varie società situate nella provincia di Lecco, operanti nella distillazione del metacrilato, portando il monomero ai clienti di queste ditte. Il modus operandi era semplice ma efficace: da queste ditte che producevano lastre di metacrilato venivano ritirati gli scarti prodotti e, successivamente, gli stessi venivano venduti alle aziende che si occupavano di distillazione. Con l’evoluzione del mercato e dei materiali, (erano anni di gran fermento nell’industria dei polimeri), al metacrilato trattato inizialmente si aggiunsero presto anche gli scarti di Policarbonato, dell’ABS, della Poliammide e del Polistirolo. Così, anche l’azienda, come il mercato, stava cambiando. Negli anni Settanta venne costruito, non con pochi sacrifici, il capannone di Caslino d’Erba, paese d’origine della famiglia Caldara, necessario ormai per contenere tutti gli scarti ritirati. Qui vennero posizionati i primi mulini acquistati per macinare le diverse tipologia di materiali, e stoccare il macinato pronto da rivendere in Italia ma anche all’estero. Giungono in fretta gli anni Novanta e la ditta diventa “Innocente Caldara snc”. Accanto al Sig. Innocente inizia a lavorare a 17 anni il figlio Attilio, il secondo dei suoi figli, che si occupa della macinazione degli scarti. Anche Massimiliano, il figlio maggiore, lascia la società in cui lavorava ed entra nell’azienda di famiglia. Avendo la patente per guidare il camion si alterna al papà nella guida del nuovo Iveco 190, anche lui girando l’Italia recuperando scarti di polimeri da avviare alla macinazione. Nel 1994, il terzo figlio, Alessandro, si unisce ai fratelli e al padre occupandosi anche lui di trasporti e macinazione. A supportare tutto questo gran lavoro negli uffici arriva Ester, che si occupa di amministrazione e contabilità e che affianca la Sig.ra Angela, moglie del Sig. Innocente, che da sempre, con costanza e rigore, tiene le fila della parte amministrativa dell’azienda. Ora, che la quantità di scarti aumenta, sorge un dubbio ai Caldara “ma che ce ne facciamo di tutti questi scarti acquistati e macinati? Sono belli, colorati, perfino simpatici, gli ambientalisti non sono ancora intervenuti gridando che la plastica è uno dei mali del mondo, ma nel nostro magazzino incominciano a diventare un po' troppi.” E allora? Internet e il web ancora non esistevano... così si incominciò con il telefono e le pagine gialle a trovare potenziali clienti a cui interessassero le plastiche macinate, e altri potenziali fornitori da cui acquistare scarti di lavorazione. Massimiliano, approfittando di uno stop forzato a seguito di un incidente in moto, iniziò a stare al telefono e ad occuparsi in prima persona della ricerca di clienti e dei rapporti con i fornitori. Siamo negli anni Novanta e in Caldara è già iniziata l’era dell’economia circolare. Continua… Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.Fonte: Caldara

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https://www.rmix.it/ - Come Scegliere tra un Agente di Vendita o un Distributore di Area?
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La scelta di chi presidierà una zona commerciale dipende da molti fattori interni ed esterni l’aziendadi Marco ArezioCreare una presenza commerciale in una zona, o migliorare quella esistente, che possa seguire una serie di clienti o da una determinata un’area geografica, più o meno ampia, comporta affidarsi, in alcuni casi, a venditori o distributori che possano presentare, vendere e gestire localmente la vendita e il post vendita. Prendiamo in considerazione, tra i molti esempi che potremmo citare, un’azienda che produce beni rappresentati da materie prime o prodotti finiti, come per il settore dell’edilizia, dell’idraulica, del giardinaggio ecc.. Un’area nuova deve essere preventivamente analizzata nel complesso, cioè capire la presenza e l’incidenza della concorrenza, i prodotti che vengono maggiormente richiesti, la dimensione dei clienti, il possibile fatturato, il taglio economico degli acquisti medi, le problematiche e i costi per la logistica, i canali distributivi e la solvibilità media della zona. Una prima macro selezione la possiamo fare sapendo se il nostro prodotto, che necessita di un trasporto dalla nostra sede al cliente finale, può essere venduto direttamente e nei tempi che si aspetta il cliente ad un prezzo favorevole per entrambi. Se vendiamo prodotti che non necessitano di un magazzino locale, in quanto il valore e la quantità di merce trasportata giustifica il costo del viaggio, possiamo pensare ad una vendita azienda – cliente finale. Se, viceversa, le quantità, l’assortimento alto o la tempistica di approvvigionamento collide con i costi e le tempistiche di consegne dirette, potrebbe essere necessario aprire depositi locali per la distribuzione. Queste due ipotesi possono già dar un’indicazione se, localmente, può essere necessario un agente di vendita o se si deve optare per un distributore che possa acquistare e rivendere, nelle quantità e nei tempi che il cliente finale chiede. La scelta di avere un distributore locale comporta una certa perdita di marginalità sui prodotti, in quanto bisogna assicurare all’azienda che fa il servizio, un guadagno sulle operazioni di logistica e di vendita. In caso non ci fossero queste marginalità, si può optare per l’apertura di un magazzino decentrato presso un corriere o un trasportatore, che terrà a deposito le nostre merci e ci assicurerà le consegne locali a prezzi inferiori rispetto all’attività di un distributore. Un altro aspetto da considerare è l’importanza della presenza del marchio dell’azienda produttrice nell’area di riferimento, in quanto attraverso l’azione di vendita di un agente, libero professionista o dipendente, l’interlocuzione tra cliente finale e produttore è sempre diretta, nel caso ci si appoggiasse ad un distributore la presenza del marchio e dei contatti diretti verrebbero meno. C’è poi da considerare, in linea generale, la differenza di gestione del parco clienti tra una vendita diretta tramite un agente o tramite un distributore. Il fatturato che risulta nell’area di competenza del distributore, è la somma di attività di più clienti, senza distinzioni tra uno o l’altro, senza informazioni sul grado di fiducia del cliente, sulle sue potenzialità e sulle sue necessità. Diciamo che questo approccio alla vendita potrebbe essere un modo più semplice per l’azienda produttrice, perché può evitare un maggior lavoro di gestione commerciale dei singoli clienti, con le problematiche che ne possono scaturire se moltiplichiamo l’impegno per un certo numero di aree in cui opera l’azienda. Dall’altro lato, il non avere un contatto diretto con il cliente può essere un deficit nell’imposizione del proprio marchio, per avere informazioni di come si muove la concorrenza, di quali politiche di prezzo applicano, delle campagne di incentivazione che vengono proposte, e molte altre cose. Dal punto di vista prettamente finanziario, invece, esiste un rischio che riguarda l’esposizione sulle vendite, infatti, considerando una dilazione tra acquisto e pagamento delle merci, il distributore lavora con esposizioni finanziarie più alte rispetto al singolo cliente, quindi con un maggior rischio per il produttore, e quando dovessero esserci dei problemi legati agli incassi, diventerebbe difficile non continuare a fornirlo, in quanto i clienti del distributore potrebbero essere ignari dei motivi per cui il produttore potrebbe fermare le forniture. In questo caso si creerebbe un danno diretto al produttore in quanto, non essendo in contatto diretto con il cliente, potrebbe rischiare di perderlo, o peggio, il distributore potrebbe continuare a servire i clienti finali attraverso un altro produttore. La scelta se affidare un’area a un agente diretto o ad un distributore passa quindi dall’analisi delle problematiche logistiche, commerciali, finanziarie e di marketing, riuscendo a prendere una decisione soppesando i pro e i contro delle strade che si prospettano. Infatti, ci sono prodotti che non possono essere venduti senza un distributore locale, altri che permettono maggiore flessione lasciando aperte varie ipotesi, scegliendo la migliore per quell’area, e, infine, merci che possono essere vendute direttamente senza necessità del distributore locale. Non è una scelta sbagliata farsi anche un’idea del sistema di vendita che applica in zona la concorrenza, la quale probabilmente, partita prima a vendere in zona, può avere, a parità di prodotti, già analizzato le problematiche. Infine c’è un aspetto prettamente tecnico, in quanto se il prodotto per la sua collocazione ha bisogno di un supporto tecnico sostanziale, la presenza di un agente diretto che può aiutare i clienti in situazioni di difficoltà a risolvere i problemi, può anche essere una discriminante.

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https://www.rmix.it/ - Intelligenza artificiale, robotica e biotecnologie: molti resteranno indietro
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Intelligenza artificiale, robotica e biotecnologie: molti resteranno indietro
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E’ probabile che il progresso tecnologico aumenterà ulteriormente il divario tra ricchi e poveridi Marco Arezio Stiamo vivendo in un periodo di profonda trasformazione sociale dove ci siamo improvvisamente accorti che la terra, su cui viviamo, potrebbe collassare sotto l’incalzante e forsennato delirio di sfruttamento a cui l’abbiamo sottoposta. Da una parte esiste l’accecante luccichio del denaro e dall’altra la ragionevolezza che ci dice che dobbiamo cambiare il nostro modello di vita. Ricordo che nel 2015 gli stati membri delle Nazioni Unite avevano raggiunto un accordo per rispettare una serie di obbiettivi di sviluppo sostenibile al fine di invertire la tendenza al riscaldamento globale. Oggi si è fatto poco o niente e il 2030, anno entro il quale si sarebbero dovuti raggiungere questi obbiettivi, è così vicino rispetto alle trasformazioni che si devono fare. L’impegno per le emissioni zero entro il 2030 imporrebbe il ripensamento della mobilità su gomma, delle reti energetiche, dell’industria pesante, dell’alimentazione, della gestione dei rifiuti, della tipologia di costruzione degli edifici e dell’uso della chimica pulita. Questo vuol dire una rivoluzione globale, epocale e uno stile di vita completamente diverso da quello di oggi, che, sembra, negli ultimi quattro anni trascorsi, non abbiamo minimamente modificato. Infatti il riscaldamento globale non si è mai ridotto, la CO2 non è diminuita, le morti a causate delle complicazioni sanitarie dell’inquinamento non sono sotto controllo, la distruzione della biodiversità e delle foreste continua nei paesi che le conservano e, infine, il problema dei rifiuti, in particolare quelli plastici, non ha trovato ancora una soluzione corretta e condivisa. Viviamo in un periodo di inerzia, affascinati dalle nuove tecnologie e dall’intelligenza artificiale, dalle quali ci aspettiamo soluzioni ai nostri problemi. L’era digitale che è da poco cominciata, ha la prospettiva di migliorare la vita delle persone, attraverso l’elaborazione, ad alta velocità, di dati raccolti e immagazzinati, che possono aiutare a prendere decisioni più corrette, a far crescere nuovi business, che sarebbero stati impensabili fino a poco tempo fà e a potenziare la ricerca per far nascere nuovi prodotti e risolvere problemi tecnici. Il contributo dell’intelligenza artificiale, della robotica, delle biotecnologie lo potremo vedere in uno sterminato numero di settori che vanno dalla medicina, attraverso nuove apparecchiatura di diagnostica, ma anche attraverso all’interpretazione dei dati provenienti dalle analisi di laboratorio e strumentali, che possono aiutare i medici a ridurre gli errori in fase di diagnosi. Potremo trovare l’intelligenza artificiale avanzata nei nuovi sistemi di commercializzazione dei beni e servizi, nelle tecnologie legate alla gestione dei rifiuti, nei sistemi di immagazzinamento dell’energia pulita, nelle nuove frontiere delle biotecnologie applicate all’agricoltura e alla meccanizzazione intelligente del lavoro. Ci sono ottime speranze che la nuova era tecnologica ci possa aiutare a risolvere i problemi di cui il mondo sta ancora soffrendo ma, se da una parte la strada è segnata e l’applicazione dell’intelligenza artificiale e della tecnologia crescerà sempre più, portando miglioramenti nelle condizioni di vita dei cittadini rispetto ai problemi che abbiamo visto prima, dall’altra segnerà, probabilmente, un solco profondo tra nuovo e vecchio mondo. La comprensione della nuova era digitale, a cui saranno collegate tutte le attività vitali, necessita di scolarizzazione medio-alta per poter usufruire delle nuove tecnologie. Ma forse ci dimentichiamo che al mondo esistono circa un miliardo di persone che non sanno nè leggere nè scrivere, che un numero cospicuo di popolazione ha una scolarità così elementare che non sarebbe in grado di capire, oggi, il nuovo mondo in arrivo, che queste persone, bambini compresi, hanno problematiche di sopravvivenza fisica ed economica come priorità per la loro vita. Che una buona parte della popolazione, specie in Africa, non ha accesso alla corrente elettrica, all’acqua, non può usufruire di strade e vive di sussidi o muore di fame. Loro si alzano alla mattina e pensano come poter arrivare a sera, per sé stessi e per le loro famiglie, nessun altro ragionamento accademico o scientifico. Inoltre il fenomeno delle migrazioni di massa dai paesi sud Americani o Africani, che tanto inorridisce le nostre società evolute, sono un campanello dall’allarme di ciò che la gente è disposta a fare per trovare una vita dignitosa in cui si possa assicurare i beni essenziali per vivere. Nella parte di mondo in cui il benessere invece è più diffuso, l’intelligenza artificiale e la robotica porterà alla distruzione di un tessuto sociale produttivo fatto da persone di età media che non è e non sarà in grado di gestire e interpretare le trasformazioni tecnologiche e soprattutto, perderà il posto di lavoro proprio a seguito dell’efficienza ed economicità dei sistemi. Di questo nessuno se ne preoccupa, non ci sono reti sociali pubbliche che pensino di proteggere i più deboli dalle sfide che ci aspettano. Nessuno si sta preoccupando della piaga della disoccupazione che potrebbe avanzare velocemente andando ad intaccare anche i bilanci statali. Credo sia un dovere per tutti che le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale non lascino indietro nessuno.Vedi maggiori informazioni sulle nuove povertà

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https://www.rmix.it/ - La Nascita della Moderna Logistica: Carrelli Elevatori e Pallets
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La storia dei mezzi di movimentazione meccanica delle merci e dei pallets in legnodi Marco ArezioFino agli inizi degli anni ’20 del secolo scorso, le industrie e le attività commerciali non sentivano il bisogno di mezzi meccanici e dei futuri bancali per lo spostamento delle merci.Il motivo principale lo possiamo attribuire alla grande disponibilità di mano d’opera che caratterizzava il mondo del lavoro, alla quale affidare la movimentazione dei prodotti dai mezzi di trasporto e il loro accatastamento nei magazzini. Nonostante questa situazione nel 1917, l’Americano Eugene Clark, che gestiva un’azienda che produceva assali per camion, inventò il primo modello di muletto con motore a scoppio, dando la possibilità di spostare le merci pesanti all’interno delle aziende. Il modello era composto da un mezzo a tre ruote, senza freni, con un accessorio di contenimento che poteva trasportare fino a 2 tonnellate di merce. Lo sviluppo di questo nuovo mercato però restò sonnecchiante negli Stati Uniti per ancora un ventennio, con la costruzione e vendita di nuovi carrelli elevatori che non decollò in modo eguale rispetto alle sue grandi potenzialità, complice anche della bassa diffusone del bancale in legno e dei sistemi di stoccaggio delle merci in altezza nelle aziende. Le cose cambiarono in modo del tutto repentino e radicale quando gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale, dove le operazioni belliche erano posizionate lontane dal paese, costringendo l’esercito a creare una logistica, precisa, imponente per numero di merci spedite, ricevute e stoccate nei depositi. A questo punto il carrello elevatore diventa il fulcro della logistica militare quanto il pallet in legno, in quanto i rifornimenti dovevano essere spostati, caricati, scaricati e depositati velocemente e in modo funzionale. Si aggiunga anche il fatto che in quel periodo la mano d’opera scarseggiava, in quanto molti uomini erano stati inviati nei vari fronti di guerra e, quindi, questa carenza ha permesso che i muletti e i bancali rivoluzionassero la logistica militare. Le merci sui bancali risultavano facili da movimentare, più stabili anche nei lunghi tragitti navali e permettevano di ridurre, al fronte, le aree di stoccaggio. A partire dal 1941, l’Esercito e la Marina Americana invasero di ordini le aziende private che si occupavano di mezzi a motore, meccanica e packaging in legno, creando non pochi problemi nel reperimento della materia prima per soddisfarli. Infatti, alcune materie prime, come l’acciaio, erano destinati alla costruzione di armamenti, mezzi blindati da terra, navi, mezzi da sbarco anfibi e molti altri prodotti destinati alla fase offensiva delle operazioni. Ci fu allora uno scontro all’interno dello Stato Maggiore dell’Esercito per la gestione delle materie prime, dove una parte degli interessati considerava i carrelli elevatori un bene di lusso, rispetto alle armi e ai mezzi corazzati. Alla fine lo Stato Maggiore decise che la logistica fosse importante quanto le attrezzature offensive, in quanto senza rifornimenti nessuno poteva fare una guerra. Così a partire dal 1943, la maggior parte dei fornitori dei carrelli elevatori dell’esercito e della marina Americana furono costituiti da aziende straniere, che produssero in modo continuativo tutti i mezzi che la guerra richiedeva. Con la fine del conflitto il sistema logistico militare influenzò la gestione logistica delle aziende private, permettendo così la crescita del settore dei carrelli elevatori e dei bancali per la movimentazione della merce. Foto: Okeypart

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https://www.rmix.it/ - Gallio, Germanio e Oro. La Guerra delle Materie Prime per i Semiconduttori
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Gallio, Germanio e Oro. La Guerra delle Materie Prime per i Semiconduttori
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Da quando l’elettronica sia civile che militare è diventata irrinunciabile, chi detiene le materie prime detta leggedi Marco ArezioLa nostra vita è dominata dall’elettronica, anche per le operazioni più banali che facciamo attraverso un telefonino, come inviare e ricevere documenti, pagare, mostrare titoli come biglietti o ricevute, prenotare vacanze, beni.Puoi accendere o spegnere il riscaldamento, l’aria condizionata, l’irrigazione del giardino, rinfrescare o scaldare la macchina, controllare dove l’hai parcheggiata, vedere il tempo ecc.. Ma tutta questa tecnologia, quella che possiamo vedere e quella che non conosciamo nel dettaglio, essendo parte di un prodotto, ha bisogno di materiali per poter vivere e, alcuni di questi, sono decisamente rari, costosi e non disponibili a tutti. Ci siamo accorti ancora di più, dallo scoppio della guerra Russo-Ucraina, che molta, se non tutta, della tecnologia militare fa largo uso dei semiconduttori, sia per la guerra attiva che per quella di controllo ed intercettazione. Missili e droni che colpiscono i bersagli, bombe teleguidate, guerra di disturbo elettronico, sono solo una parte dell’uso che gli eserciti fanno nel campo militare. Come si costruiscono i microchips La costruzione di un microchip, anche chiamato circuito integrato, è un processo complesso che coinvolge diverse fasi di fabbricazione. La prima fase, quella di progettazione, parte dall'ideazione e dalla progettazione del microchip. Gli ingegneri definiscono la funzionalità e la disposizione dei componenti all'interno del chip utilizzando software specializzati. Si passa poi alla fabbricazione dei wafer, realizzati utilizzando il silicio come materiale di base. Un wafer di silicio viene prodotto mediante un processo chiamato "crescita del cristallo". In questo processo, il silicio fuso viene fatto crescere su un seme di silicio fino a formare un grande cilindro di cristallo. Successivamente, il cilindro viene tagliato in sottili fette chiamate wafer. Successivamente i wafer di silicio vengono sottoposti a un processo di pulizia per rimuovere eventuali impurità superficiali e garantire la massima purezza del materiale. A questo punto avviene la creazione del circuito, attraverso l'utilizzo di una serie di maschere fotolitografiche per "stampare" il modello del circuito sul wafer. Le maschere sono realizzate con un materiale fotosensibile e vengono esposte a una luce ultravioletta attraverso il wafer. Questo processo trasferisce il modello del circuito sullo strato fotosensibile del wafer. Dopo la fotolitografia, il wafer viene sottoposto a un processo di incisione chimica o al plasma per rimuovere lo strato fotosensibile e i materiali non desiderati, lasciando solo le regioni desiderate del circuito. Vengono quindi aggiunti strati sottili di materiali, come metalli (solitamente alluminio o rame), ossidi e nitriti, mediante tecniche di deposizione chimica in fase di vapore (CVD) o sputtering. Questi strati servono a formare i contatti e isolare le varie parti del circuito. Un altro processo di fotolitografia viene eseguito per definire e incidere i dettagli delle strutture dei componenti sul chip, come transistor, condensatori e linee di interconnessione. Dopo la seconda fotolitografia, si depositano degli strati di metalli conduttivi e successivamente incisi per creare le linee di interconnessione che collegano i vari componenti sul chip. Dopo la fabbricazione del wafer, i chips vengono testati per assicurarsi che funzionino correttamente. Quindi, i chip funzionanti vengono tagliati dal wafer e vengono confezionati in involucri protettivi, spesso in plastica o ceramica, con piedini di contatto per collegarli ai circuiti esterni. Quali sono le principali materie prime utilizzate per produrre i semiconduttori I microchips contengono diversi materiali, inclusi alcuni che possono essere considerati "materie prime rare". I maggiori componenti utilizzati sono i seguenti: Il silicio è il materiale di base predominante utilizzato per la fabbricazione dei microchip. È abbondante nella crosta terrestre ed è ampiamente disponibile. L'oro viene utilizzato per i contatti e le interconnessioni all'interno dei microchip a causa della sua eccellente conducibilità e resistenza alla corrosione. Il rame viene impiegato nelle interconnessioni e nei circuiti stampati all'interno del microchip per la sua elevata conducibilità elettrica. Il rame è un materiale abbondante e ampiamente utilizzato in molti settori. L'alluminio viene spesso utilizzato per i contatti e gli strati di conduttori all'interno dei microchip. Ha una buona conducibilità elettrica ed è ampiamente disponibile. Il germanio è meno comune rispetto al silicio ma può essere utilizzato in alcune applicazioni specializzate come i transistor ad alta velocità. L'indio viene utilizzato per la produzione di transistor ad alta frequenza e display a cristalli liquidi (LCD). È un materiale relativamente raro e costoso. Il gallio viene utilizzato in alcuni dispositivi a semiconduttore ad alte prestazioni. È un materiale raro e costoso. Cosa sono il Gallio e il Germanio Il gallio è un elemento chimico che ha il simbolo Ga nella tavola periodica. È un metallo tenero, di colore argento chiaro e viene utilizzato in diverse applicazioni tecnologiche, inclusi i semiconduttori. Viene spesso impiegato per la produzione di dispositivi a semiconduttore ad alte prestazioni come transistor ad alta frequenza, LED, laser e celle solari a film sottile. Il gallio è relativamente abbondante nella crosta terrestre, ma di solito viene estratto come sottoprodotto dalla lavorazione del minerale di alluminio. Il germanio è un elemento chimico con il simbolo Ge nella tavola periodica. È un semimetallo grigio-argento ed è ampiamente utilizzato nella produzione di semiconduttori. Il germanio è stato uno dei primi materiali utilizzati per produrre transistor e diodi, ed è ancora utilizzato in dispositivi a semiconduttore ad alte prestazioni. È anche impiegato in fibre ottiche e lenti per la spettroscopia infrarossa. Il germanio si trova principalmente nel minerale di zinco, nella sfalerite e nell'argirodite, ed è estratto principalmente da miniere di zinco, rame e carbone. Produzione Mondiale di Gallio e Germanio Per quanto tutti conosciamo il valore dell’oro e la sua provenienza geografica, è bene ricordare da dove vengono estratti il gallio e il germanio e chi ne detiene il mercato. Vediamo chi sono i maggiori produttori di gallio aggiornati al 2021: La Cina è il principale produttore mondiale di gallio, con una quota significativa della produzione globale. Il Giappone è un altro importante produttore di gallio, con diverse aziende che si occupano della produzione di questo elemento. Gli Stati Uniti hanno anche una produzione significativa di gallio, con diverse società impegnate nella sua estrazione e produzione. La Russia è un produttore notevole di gallio, con diverse miniere e impianti di produzione. La Germania ha una produzione modesta di gallio. Maggiori produttori di Germanio aggiornati al 2021: La Cina è il principale produttore mondiale di germanio, con una quota significativa della produzione globale. La Russia è un importante produttore di germanio, con diverse miniere e impianti di lavorazione. Gli Stati Uniti hanno anche una produzione significativa di germanio, con miniere attive e aziende che si occupano della sua estrazione. Il Canada è un altro paese che contribuisce alla produzione mondiale di germanio. Il Belgio ospita alcune aziende che si occupano della lavorazione e produzione di germanio. Nell’ottica di uno spostamento degli assi politici-militari mondiali e la nascita di nuove coalizioni internazionali, la disponibilità delle materie prime e delle terre rare per le necessità civili ed industriali, diventa un’arma politica, un ricatto economico, un vantaggio strategico. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.

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https://www.rmix.it/ - L'Impatto dell'Elezione di Trump: Sfide ed Opportunità per le Aziende Europee
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Come il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe ridefinire le dinamiche commerciali e finanziarie in Europadi Marco ArezioL'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe segnare un ritorno a politiche economiche caratterizzate da protezionismo e nazionalismo, con profonde ripercussioni per le aziende europee. La storia recente mostra come le decisioni politiche di Trump possano avere un impatto diretto non solo sugli accordi commerciali, ma anche sulla stabilità dei mercati finanziari e sulla cooperazione internazionale in materia di sostenibilità. Le aziende europee dovranno affrontare sfide che riguardano tariffe doganali più elevate, problemi di gestione della catena di fornitura e una diminuzione della competitività sui mercati globali. In questo articolo esploreremo le principali problematiche che potrebbero emergere nei prossimi anni e come queste potrebbero influire sulle strategie commerciali e finanziarie delle imprese europee. Instabilità delle Relazioni Commerciali Internazionali L'elezione di Trump potrebbe portare a una revisione degli accordi commerciali tra Stati Uniti ed Europa. La precedente amministrazione Trump era caratterizzata da un marcato protezionismo, con aumenti delle tariffe su diversi beni, in particolare nei settori dell'acciaio e dell'alluminio. Un simile approccio potrebbe riprendere, portando a: Tariffe Aumentate: Le aziende europee potrebbero trovarsi di fronte a nuove tariffe sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, incrementando i costi di accesso al mercato statunitense. Accordi Commerciali a Rischio: L'incertezza sugli accordi commerciali e la possibile disdetta di patti esistenti potrebbe frenare gli investimenti delle aziende europee, soprattutto nei settori automobilistico e aerospaziale, storicamente vulnerabili alle dispute tariffarie. Effetti sulle Valute e Volatilità del Mercato Trump ha una storia di politiche che tendono a influenzare direttamente il valore del dollaro. Una strategia di "America First" potrebbe spingere verso una svalutazione competitiva del dollaro per favorire le esportazioni: Valutazione dell'Euro: Un dollaro più debole potrebbe rendere i prodotti europei meno competitivi rispetto a quelli statunitensi sui mercati globali, aumentando i costi per le aziende esportatrici dell'UE. Volatilità del Mercato: Le decisioni di Trump potrebbero generare una forte volatilità sui mercati finanziari. Le aziende europee esposte al mercato statunitense potrebbero risultare più vulnerabili alle fluttuazioni, creando difficoltà nella pianificazione strategica a medio e lungo termine. Settori Industriali Sotto Pressione Alcuni settori potrebbero essere particolarmente esposti agli effetti delle politiche economiche di Trump: Settore Automotive: Il settore automobilistico europeo, già sotto pressione durante la precedente amministrazione, potrebbe dover affrontare nuovamente tariffe elevate e restrizioni alle esportazioni verso gli Stati Uniti. Tecnologia e Telecomunicazioni: Le tensioni in campo tecnologico, come quelle riguardanti la rete 5G e le partnership con aziende come Huawei, potrebbero portare a nuove restrizioni commerciali e a un blocco delle collaborazioni tecnologiche strategiche. Transizione Energetica e Impatti Ambientali La posizione scettica di Trump riguardo ai cambiamenti climatici e il possibile abbandono di accordi internazionali come l'Accordo di Parigi potrebbero rallentare gli sforzi per una transizione energetica globale coordinata. Concorrenza sulle Energie Rinnovabili: Le aziende europee, che investono massicciamente nelle energie rinnovabili, potrebbero vedere diminuire la domanda globale per queste soluzioni a causa di una minore cooperazione internazionale. Crescita del Settore dei Combustibili Fossili: Un rilancio dell'industria del petrolio e del gas negli Stati Uniti potrebbe portare a un eccesso di offerta di combustibili fossili, minacciando le politiche europee di riduzione delle emissioni e le aziende del settore energetico sostenibile. Difficoltà nella Catena di Fornitura Le politiche nazionalistiche potrebbero minacciare l'efficienza delle catene di fornitura globali. Rischio di Interruzioni: L'accento sulla produzione locale negli Stati Uniti potrebbe rendere più difficile per le aziende europee accedere a componenti critici prodotti oltreoceano, costringendole a ristrutturare le proprie linee di fornitura a costi elevati. Aumento dei Costi di Logistica: La logistica internazionale potrebbe risentire delle tensioni commerciali e dell'aumento delle tariffe doganali, influenzando negativamente i costi di trasporto e di import/export. Accesso Limitato ai Mercati Finanziari Statunitensi Le restrizioni sugli investimenti esteri potrebbero rappresentare un'ulteriore difficoltà significativa: Riduzione degli Investimenti: Un quadro normativo più rigido potrebbe scoraggiare gli investimenti diretti delle aziende europee negli Stati Uniti, limitando le opportunità di crescita e la diversificazione dei mercati. Restrizioni Bancarie: Sanzioni o restrizioni finanziarie potrebbero rendere più difficile l'accesso ai servizi bancari statunitensi per le aziende europee, incidendo sulla liquidità e sulla capacità di finanziare le operazioni oltreoceano. Conclusione L'elezione di Trump potrebbe creare un contesto commerciale e finanziario difficile per le aziende europee, caratterizzato da instabilità, protezionismo e maggiore competizione sui mercati globali. Le aziende dovranno prepararsi a scenari di alta incertezza, rivedendo le loro strategie di esportazione, diversificando i mercati e puntando sull'innovazione per mantenere la competitività. Essere proattivi nella gestione delle linee di fornitura e nella valutazione del rischio politico e finanziario sarà fondamentale per affrontare le sfide future. Nel contesto di un panorama globale sempre più incerto, le aziende europee dovranno mostrare resilienza e capacità di adattamento per prosperare. Puntare su nuovi mercati, migliorare l'efficienza operativa e rafforzare la cooperazione con altri partner internazionali saranno elementi chiave per superare gli ostacoli e cogliere le opportunità emergenti. © Riproduzione Vietata

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Come influisce la scelta del pallet in legno o in plastica in un magazzino a bassa o bassissima  rotazionedi Marco ArezioIl manager della logistica aziendale ha ben presente i flussi dei materiali che arrivano dalla produzione o dai fornitori, e i tempi di sosta nei propri magazzini prima che vengano venduti.Conoscere il movimento delle merci in un magazzino non è fondamentale solo per l’ufficio acquisti, per programmare l’ingresso delle materie prime o dei semilavorati o dei materiali commercializzati, ma diventa importante anche per l’ufficio commerciale, per sapere quale prodotto è in pronto per la vendita e in quanto tempo il cliente potrà ricevere ciò che ha comprato. Inoltre, l’ufficio amministrativo vede i flussi di magazzino trasformati in liquidità circolante o non circolante, con conseguenza sugli impegni finanziari dell’azienda. Molte cose girano intorno alla logistica di un’azienda e la velocità di rotazione del magazzino implica alcune considerazioni importanti per chi si occupa di questa attività. Oggi vorrei analizzare un aspetto che riguarda la durabilità degli imballi dei prodotti in un magazzino a bassa e bassissima rotazione, specialmente per quelle aziende che devono produrre ampi stocks di merce, secondo campagne stabilite o per determinati impegni sugli impianti o per avere una gamma di prodotti disponibili molto ampia. Non potendo generalizzare, considerando la grandissima quantità di articoli imballati diversi tra loro, prendiamo in considerazione un bene durevole, contenuto in un Big Bag su bancale in legno. Supponiamo, inoltre, che il materiale prodotto o acquistato venga depositato in un’area esterna, non coperta, esposto agli agenti atmosferici. Per motivi economici spesso si prendono in considerazione i bancali in legno, nuovi o usati, per depositare in magazzino i big bags con la merce da vendere, senza preoccuparci troppo dell’origine del legno e della sua situazione fitosanitaria, a meno che non venga espressamente richiesta per spedizioni in determinati paesi. In un magazzino a media od alta rotazione, la qualità del legno che compone il bancale è normalmente controllata principalmente per una questione di resistenza meccanica del bancale. Si controlla la robustezza a discapito della durata, in quanto, in questa condizione di magazzino, è un parametro non totalmente necessario. Se, invece, il magazzino ha una bassa o bassissima rotazione delle merci, la durabilità del bancale in legno diventa un aspetto da controllare attentamente. Infatti, la permanenza dei pallets in magazzino, non solo sono soggetti agli agenti atmosferici, ma può succedere di dover anche considerare la presenza di funghi, batteri o insetti che potrebbero vivere all’interno del bancale, riducendone la qualità. Soprattutto è da tenere presente la dimensione del magazzino, espresso in numero di bancali depositati e la permanenza degli stessi nel tempo. Maggiori saranno questi due numeri e maggiori saranno i rischi sulla durabilità del legno. I bancali in legno sono soggetti all’attacco di numerosi elementi che tendono a nutrirsi del legno stesso, o a colonizzare la struttura con il pericolo di infettare i pallets ancora sani. I più comuni organismi e parassiti che possiamo incontrare sono: Lictidi Bostrichidi Buprestidi Nematodi Curculionidi Anobidi Siricidi Cerambicidi Edemeridi Isoptera Scolitidi L’acquisto di pallets non trattati dal punto di vista fitosanitario, comporta il rischio, con il tempo, di rendere possibile una contaminazione generale del magazzino, con un possibile aumento dei costi di stoccaggio e movimentazione per l’eventuale sostituzione dei bancali ammalorati, senza contare la probabilità di non poter garantire la stabilità del big bags al momento della sostituzione. Il problema si può risolvere acquistando, sempre, bancali a cui è stato effettuato il trattamento fitosanitario termico, o chimico (a spruzzo, ad immersione o a pressione), o la fumigazione o altri interventi previsti dalla certificazione IPPC. Se l’acquisto di bancali trattati dal punto di vista fitosanitario aiuta ad aumentare la loro durabilità rispetto ai parassiti e gli insetti, c’è anche da considerare la variabile della pioggia, della rugiada, del gelo o di tutte quelle condizioni atmosferiche che permettono al bancale in legno di assorbire l’acqua. In questi casi, in un magazzino a bassa o bassissima rotazione, può essere consigliabile prendere in considerazione un bancale di plastica, che non è soggetto alle problematiche meteorologiche, escludendo il gelo e il sole. Per ovviare a questi due inconvenienti è importante informarsi sulla qualità della plastica utilizzata per iniettare il bancale, che dovrà avere una sufficiente elasticità, oltre che una buona resistenza alla compressione e flessione. Inoltre, per questo tipo di magazzino, è consigliabile acquistare bancali in plastica che contengano un master anti U.V. di almeno 12 mesi, che si può ottenere inserendo, durante la produzione, specifici additivi o con aumentando il carbon black nell’impasto polimerico, se il bancale sarà nero.

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