Caricamento in corso...
96 risultati
https://www.rmix.it/ - Densificazione del polipropilene da post consumo: quali accortezze
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Densificazione del polipropilene da post consumo: quali accortezze
Informazioni Tecniche

Densificazione del polipropilene: la riduzione dell’umidità del prodotto deve tener conto delle problematiche di imballo e stoccaggiodi Marco ArezioLa densificazione del polipropilene proveniente dalla raccolta differenziata, è un’operazione che permette di utilizzare uno scarto composto prevalentemente da imballi alimentari, in cui la componente media di polipropilene sopra l’85% permette la produzione di molti prodotti finiti non estetici. La raccolta differenziata che viene realizzata nelle nostre case, comporta la separazione delle plastiche miste dalla carta, dal vetro, dai metalli e dalla carta. La plastica mista viene avviata agli impianti di selezione dei materiali che hanno il compito di separare le varie tipologie di plastiche presenti nei sacchi raccolti. Le preponderanti quantità sono rappresentate dall’HDPE, dal PET, dal Polipropilene, dalle plastiche miste e dal Polistirolo. La separazione avviene attraverso il caricamento sui nastri trasportatori del contenuto dei sacchi, che viene avviato alla separazione attraverso macchine a lettura ottica, permettono una divisione per famiglia di plastiche omogenee. Una di queste famiglie è rappresentata dagli imballi alimentari in polipropilene che vengono separati dagli altri materiali ed avviati alla fase di riciclo. Queste operazioni contemplano la triturazione del materiale e il successivo lavaggio, attraverso la centrifugazione e la decantazione in vasca del polipropilene, con lo scopo di separare per azione meccanica e per gravità inquinanti o plastiche differenti non intercettare dai lettori ottici. La fase successiva è rappresentata dalla densificazione del materiale in PP che ha lo scopo di ridurre drasticamente la quantità di acqua presente nel polipropilene macinato, con la conseguenza di permettere l’estrusione del materiale ma anche una riduzione del peso complessivo al metro cubo. La densificazione del polipropilene avviene attraverso la frizione sulle coclee o viti controrotanti, che svolgono un’azione di plastificazione e di asciugatura, se non è previsto un impianto dedicato per questo scopo, e la successiva fase di bricchettatura del materiale. Se il materiale densificato non viene incanalato automaticamente in un estrusore per produrre granulo, ma viene insaccato in Big Bags per un uso successivo o perché il densificato verrà venduto tal quale, è importante seguire alcuni accorgimenti: Se il materiale venisse venduto per fare compounds, la dimensione della pezzatura dovrebbe essere, preferibilmente, tra i 10 e i 12 mm., permettendo così una più semplice azione di miscelazione con altri polipropileni sotto forma di densificati o macinati. Questo potrebbe comportare una rimacinazione del densificato per ridurne le dimensioni.Bisogna stare molto attenti a misurare la temperatura del densificato prima di insaccarlo, in quanto è facile che un’operazione di riempimento dei Big Bags con materiale caldo, possa indurre a fenomeni di autocombustione interna del materiale. Questo fenomeno può capitare in quanto il cuore del materiale nel Big Bag difficilmente si raffredda, anzi, tende ad accumulare calore rischiando di entrare nella fase di autocombustione. Per evitare questo fenomeno è importante che all’uscita del densificatore si provveda ad un raffreddamento ad aria del materiale e, se possibile, evitare l’insaccatura diretta finché il materiale non si è raffreddato tutto in modo uniforme.La giusta percentuale di umidità media di ogni Big Bag dovrebbe essere misurata con il materiale freddo ed apparentemente asciutto, se la destinazione del polipropilene è quella di essere venduto per fare i compounds. Non è solo una questione di peso, infatti ad una percentuale più alta di umidità corrisponde un peso maggiore del carico non gradito al cliente, ma, cosa molto più importante, una maggiore umidità potrebbe comportare problemi in fase di estrusione e possibili difetti estetici dei prodotti finiti realizzati.Un’ultima accortezza riguarda la percentuale di polipropilene che dovrà avere il vostro densificato, in quanto la selezione del materiale a monte nei centri di selezione dei rifiuti, ne determinerà il valore. Se il cliente ha esigenze particolari in termini di percentuali minime di polipropilene nel densificato che acquisterà, è importante verificare regolarmente questo valore attraverso la prova del DSC delle varie partite di rifiuti selezionati ricevute. Il densificato in polipropilene da post consumo può essere, come abbiamo visto, utilizzato per la produzione dei granuli con il prodotto tal quale, per la realizzazione di compounds in granuli, mischiando scarti post industriali, ed infine può essere impiegato anche per lo stampaggio diretto, per prodotti non estetici, attraverso stampi con punti di iniezione adatti alla dimensione delle scaglie.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - densificazione - PP - post consumo

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Come saldare le materie plastiche riciclate
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come saldare le materie plastiche riciclate
Informazioni Tecniche

Sistemi, attrezzature e materiali utilizzati per la saldatura di due articoli plastici di Marco ArezioDal punto di vista normativo la saldatura delle materie plastiche avviene nel collegamento di materiali termoplastici attraverso il calore, la pressione e, in certi casi, l’uso di materiali atti a favorire la saldatura. Dal punto di vista paratico l’operazione si svolge attraverso il riscaldamento delle due superfici da saldare, ad una temperatura leggermente superiore a quella di fusione dei materiali da unire, applicando una certa forza per collegare le due parti, in modo che i punti scelti per la saldatura diventino i più omogenei possibili. I materiali più adatti a questa operazione sono i termoplastici e i termoelastomeri, mentre i termoindurenti e gli elastomeri presentano alcune difficoltà nel creare le giuste condizioni termiche per le saldature a caldo. E’ possibile unire, in qualche caso, anche materiali diversi tra loro, avendo cura di accertarsi che abbiamo una compatibilità chimica e di temperature di fusione. Vediamo quali sono i principali sistemi di saldatura delle materie plastiche: Riscaldamento diretto con attrezzo caldo, si intende il collegamento delle due superfici da unire, esercitando una leggera pressione, attraverso l’uso di attrezzi metallici che inducono calore ad una temperatura stabilita. Una volta riscaldate le due superfici deputate alla saldatura si uniscono con una pressione in modo che il materiale fuso faccia da collante tra le due parti. Saldatura a gas caldo, avviene attraverso l’utilizzo di aria calda, con temperature comprese tra gli 80 e i 500° a secondo dei materiali da unire, utilizzando un filo di saldatura. L’applicazione d questa tecnologia può avvenire manualmente o attraverso apposite macchine. Le saldature possono definirsi a “ventaglio”, tipicamente una saldatura manuale, a “trascinamento a gas caldo”, attraverso l’uso di macchine, a “estrusione”, che è un’evoluzione del precedente metodo e si usa per saldature di grandi quantità. Saldatura ad ultrasuoni, avviene attraverso l’uso di onde sonore, con una frequenza tra 20 e 25 kHz, che creano un attrito tra le superfici e il conseguente riscaldamento delle parti da unire, creando le condizioni ideali di saldatura per elementi rigidi in tempi molto ristretti. Saldatura ad alta frequenza, si intende la creazione di un campo elettrico alternato ad alta frequenza all’interno del quale, con una dovuta pressione, si possono saldare plastiche come il PVC, EVA, PET, ABS PUR. Questi materiali hanno un fattore di perdita dielettrico abbastanza elevato quindi si consiglia il preriscaldamento degli elementi da unire. Saldatura a laser, detta anche saldatura penetrante, colpisce le superfici delle materie plastiche e successivamente queste trasmettono il calore al loro interno per alcuni millimetri di spessore. Questo sistema ha dei vantaggi di utilizzo dati dalla velocità di esecuzione, dalla possibilità di saldare in punti poco accessibili e con elementi non perfettamente uniti. Lo svantaggio sono gli alti costi e quindi viene utilizzata quando si vogliono realizzare saldature in tempi molto rapidi o quando gli altri sistemi tradizionali non sono efficaci. Una volta eseguite le saldature secondo il miglior metodo scelto è raccomandabile e in alcuni casi obbligatorio, eseguire prove di laboratorio per verificare la buona riuscita del lavoro. A seconda del tipo di saldatura e del tipo di manufatto su cui si è fatto l’intervento di unione, vengono eseguite prove di laboratorio che ne certifichino la qualità dell’intervento. Queste possono esser prove di tenuta stagna, per esempio su manufatti quali tubi, sacchetti, contenitori ed imballaggi, e prove meccaniche. Le prove indicate sono quelle a flessione, trazione, flessione con piegatura e flessione con urto, oppure all’urto per trazione. Per quanto riguarda i tubi si possono effettuare prove di scorrimento e di resistenza alla pressione delle saldature.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - saldatura

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Il tuo estrusore si lamenta? prova un cambia filtri in continuo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il tuo estrusore si lamenta? prova un cambia filtri in continuo
Informazioni Tecniche

Cambia filtri in continuo: la pulizia delle impurità nella produzione di granuli plastici da post consumo è diventata una sfida interessantedi Marco ArezioCome abbiamo avuto modo di affrontare in altri articoli, la qualità dell’input della plastica proveniente dalla raccolta differenziata, ha subito negli ultimi anni un generale peggioramento, anche a causa della chiusura delle importazioni sul mercato cinese della fine del 2017. L’aumento della presenza di plastiche miste, come i poli accoppiati, il PVC o le contaminazioni di altre plastiche all’interno della balla di scarti da post consumo che arriva agli impianti di lavorazione delle materie plastiche, mette in difficoltà il produttore di polimeri sul mantenimento di un’idonea qualità dei polimeri da produrre. Mai come in questi periodi la qualità degli impianti di lavaggio degli scarti, sono un fatto fondamentale per selezionare, pulire e limitare, parti non facilmente lavorabili negli estrusori. Meno materiale incompatibile con quello principale da lavorare, come l’HDPE, il PP l’LDPE, l’MDPE, il PS e altri, più ne guadagna la produzione, in termini di velocità, qualità e costi. Il processo di lavaggio deve essere ben progettato in funzione dell’input da lavorare e, il suo utilizzo, non deve essere spinto per massimizzare la produzione, in quanto il ciclo di lavorazione degli scarti all’interno delle vasche prevede corretti tempi di passaggio del materiale, di movimentazione e una lunghezza sufficiente del percorso in acqua per la giusta decantazione del materiale. Non sempre si può disporre di impianti di lavaggio corretti e, non sempre a monte di questi, si può disporre di moderni impianti di selezione ottica dei materiali plastici in entrata, che possono dividere le plastiche per famiglie omogenee di prodotti. Quando il binomio tecnico, selezione automatica efficiente e lavaggi correttamente dimensionati, non sono disponibili o sono sottodimensionati, l’utilizzo del materiale da post consumo per la produzione di granuli riciclati potrebbe comportare molte difficoltà di produzione dei granuli. Sul mercato esistono degli impianti di filtrazione delle impurità che si abbinano agli estrusori e che possono sostituire i tradizionali filtri a cassetta, permettendo di dare alla produzione un aiuto in termini di qualità del granulo realizzato, riduzione degli scarti e velocità di produzione. Stiamo parlando dei cambia filtri in continuo che prevedono un sistema di auto pulizia in continuo dei residui sui filtri, provvedendo all’espulsone delle parti di scarto, il mantenimento della pressione dell’estrusore, con perdite valutabili in 5-10 Bar e una modularità sulla capacità di filtrazione fino a 50 micron. I cambia filtri automatici possono essere impiegati anche per plastiche con instabilità di fluidità all’interno dell’estrusione, come il PET e il Naylon. Per quanto siano ottimi strumenti per migliorare il processo produttivo delle plastiche da post consumo, non bisogna dimenticare che questo tipo di rifiuti, in quanto provenienti da un mix eterogeneo di plastiche miste, avrebbero bisogno di un’attenta filiera di lavorazione che contempla tutti i passaggi inerenti al riciclo meccanico.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - filtri - estrusori

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Perchè oggi sono così importanti i tests sui polimeri riciclati?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Perchè oggi sono così importanti i tests sui polimeri riciclati?
Informazioni Tecniche

Le condizioni di acquisto e vendita della plastica riciclata sono cambiate dopo lo stop della Cina per questo sono così importanti i tests sui polimeri riciclatidi Marco ArezioIl mondo dei controlli sulla qualità sui polimeri riciclati ha vissuto due epoche storiche: il prima e il dopo rispetto al blocco delle importazioni dei rifiuti da parte della Cina. Vediamo perché. Fino al 2017 i materiali plastici di scarto, specialmente quelli più difficili da trattare o quelli non riciclabili con gli impianti di trattamento dei rifiuti di tipo meccanico, trovavano un semplice sbocco sul mercato cinese, senza quindi doversi preoccupare di investire in ricerca e sviluppo sul riciclo di questa tipologia di prodotti. La conseguenza dell’afflusso nel mercato cinese di questi materiali, era la minor presenza sui mercati mondiali di materia prima di bassa o bassissima qualità, in quanto i riciclatori occidentali trattenevano presso le proprie fabbriche i materiali riciclati nobili o nobilissimi, per creare un commercio diretto. Questi scarti plastici qualitativi venivano rivenduti sotto forma di balle, macinati o granuli per poter produrre prodotti riciclati di buona qualità. Nel momento in cui la Cina ha iniziato a rifiutare la “spazzatura” plastica che arrivava ai loro porti, i riciclatori mondiali si sono trovati di fronte ad un grave problema circa il loro smaltimento su mercati alternativi. In un primo momento hanno trovato strade alternative verso i paesi vicino alla Cina, come la Thailandia, il Vietnam, le Filippine, il Laos, la Cambogia e altri, ma nel giro di breve tempo i governi locali, sommersi dai rifiuti, hanno adottato un sistema di respingimento cinese. Anche l’Africa è stata interessata in questo fenomeno di smaltimento internazionale dei rifiuti, ma anche in questo continente stanno aumentando le opposizioni a questo traffico. Con l’aumento della presenza dei rifiuti plastici scadenti nei paesi di produzione, è iniziata a peggiorare la qualità media dei prodotti di base che contemplavano il paniere delle plastiche di derivazione della raccolta differenziata. Si sono verificati fenomeni di mix di materiali tecnicamente non lavorabili, che peggioravano in modo evidente le qualità delle materie prime riciclate, creando un fenomeno di maggior attenzione e di necessari controlli tecnici sulle partite in acquisto o in vendita. L’esplosione poi delle transazioni on line sui polimeri riciclati e sugli scarti da parte dei portali specializzati, ha reso necessario un nuovo approccio all’acquisto e alla vendita dei prodotti plastici. Si è reso indispensabile, prima dell’acquisto, alcune analisi minimali per la definizione della qualità del prodotto proposto per evitare acquisti incauti. I tre tests basilari sono il Melt Index, il DSC e la Densità, che si possono chiedere sia per il campione in arrivo, che sul carico consegnato, per controllare la corrispondenza della qualità tra i due tests e legare il pagamento all’esito delle prove fatte da un laboratorio indipendente. La società Arezio Marco si occupa di questi servizi on-line, attraverso un laboratorio indipendente, per facilitare le transazioni tra i soggetti interessati. Tra i tre tests di base, necessari per identificare un polimero riciclato, troviamo la prova della fluidità del materiale che viene fatta su un campione che può essere rappresentato da un granulo, ma può essere anche realizzato su un prodotto macinato. Il valore del Melt Flow Index (MFI) è un valore necessario per indentificare la fluidità del materiale all’interno di un cilindro, sotto l’effetto di un peso, ad una determinata temperatura e per un preciso intervallo di tempo. Siccome esiste un chiaro rapporto tra la fluidità e la viscosità dei polimeri immessi nella macchina, si può genericamente affermare che più un polimero è fluido e meno è viscoso, e viceversa. Il valore dell’MFI è importante per capire il comportamento fluidodinamico del materiale nelle fasi estrusione, soffiaggio o stampaggio e, anche, per poter combinare altre tipologie di materiali nell’ambito dei compounds polimerici. La prova dell’MFI può anche dare alcune altre indicazioni collaterali osservando gli spaghetti che escono dalla macchina, infatti se gli spaghetti in uscita diventano progressivamente più pesanti, si può dedurre che il materiale sia in fase di degradazione sotto l’effetto della temperatura. Se invece lo spaghetto diventasse più leggero e ruvido, questo può indicare che il materiale sia in fase di reticolazione che ne riduce lo scorrimento. Il calcolo dell’MFI può essere fatto secondo il metodo gravimetrico o volumetrico. Nel caso della prova secondo il principio gravimetrico, il polimero viene caricato in un cilindro riscaldato ad una temperatura stabilità, esercitando poi una forza costante che spinge il polimero fuso attraverso un ugello calibrato. La massa che attraversa questo ugello, per un tempo stabilito, determina il valore dell’MFI. La temperatura di riscaldamento del cilindro e il peso da esercitare sul polimero dipendono dalla tipologia di plastica da provare. Nel caso della prova secondo il principio volumetrico, l’impianto è anche dotato di un accessorio che può stabilire quanti cm3 di materiale passeranno dall’ugello calibrato in un determinato intervallo di tempo. Il valore dell’MFI ci indicherà anche il volume di materia che sarà transitata dall’ugello, in base al peso e al tempo stabilito in prova, indicandoci una stima del peso molecolare medio.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - test

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Le cariche nel polipropilene rigenerato
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le cariche nel polipropilene rigenerato
Informazioni Tecniche

Vantaggi e svantaggi nell’uso delle cariche per il polipropilene rigeneratodi Marco ArezioIl polipropilene rigenerato proveniente dalla lavorazione dello scarto rigido e semirigido da post consumo, porta con sé una presenza più o meno marginale di altre plastiche, specialmente il polietilene, che non vengono intercettate completamente durante la fase di separazione degli imballi. Inoltre, a seconda della provenienza dell’input, possiamo trovare anche cariche minerali che possono essere composte da talco, carbonato di calcio, fibre di vetro e altre tipologie di cariche di minor uso. La base della ricetta, che proviene dallo scarto eterogeneo selezionato che andrà a costituire il granulo in PP da post consumo, può essere modificata additivando nella fase di realizzazione del granulo con cariche minerali per variare il comportamento delle performance del polipropilene e di conseguenza del manufatto. Il talco è una delle cariche minerali più usate nella modifica delle ricette del polipropilene rigenerato in quanto migliora la rigidità e la stabilità dimensionale, la resistenza al calore e il comportamento di scorrimento. Ci sono però alcuni svantaggi da soppesare quando si decide di additivare un polipropilene con una carica di talco, infatti dobbiamo registrare una diminuzione della resistenza agli urti alle basse temperature, la diminuzione della saldabilità e la formazione di superfici opache. Il carbonato di calcio agisce come il talco ma presenta alcuni indiscussi vantaggi: migliore capacità di dispersione, migliore scorrimento della massa fusa, maggiore stabilità ai raggi U.V., minore usura nel tempo del manufatto realizzato e minor tempo di ciclo durante la fase di stampaggio a parità di percentuale di cariche aggiunte. Le fibre di vetro possono essere mischiate nella ricetta sotto forma di macinato o fibre tagliate e si distinguono in fibre corte e lunghe. Utilizzando quelle corte aumenteremo la rigidità e la tenacità del manufatto, mentre utilizzando quelle lunghe aumentano oltremodo la resistenza del prodotto e la resistenza di scorrimento. C’è però da tenere in considerazione che le fibre molto lunghe aumentano il comportamento anisotropo dovuto all’orientamento delle fibre, con pericolo di distorsione, superfici opache e maggiore usura del manufatto. Per ovviare al problema della distorsione, si può aggiungere in miscela una certa percentuale di sfere di fibra di vetro che contribuiscono ad accrescere la resistenza a compressione e la rigidità, contrapponendosi efficacemente al fenomeno della distorsione. Il vantaggio dell’impiego delle fibre di vetro in polipropileni rigenerati è anche la tendenza a contribuire alla riduzione dell’odore tipico di questa famiglia di prodotti. Altre fibre, meno utilizzate, sono la mica, che ha il vantaggio di raggiungere la stessa rigidità di un polipropilene caricato in fibra di vetro al 30% con un utilizzo di una percentuale al 40 di mica ad un prezzo inferiore. Inoltre la farina di legno migliora l’isolamento acustico, i silicati di calcio migliorano le proprietà elettriche e termiche, mentre l’ossido di zinco protegge dai microrganismi e aumenta la resistenza ai raggi U.V.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PP - cariche

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Lo scarto del pulper delle cartiere: un rifiuto o una risorsa?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Lo scarto del pulper delle cartiere: un rifiuto o una risorsa?
Informazioni Tecniche

Riutilizzare lo scarto del pulper per creare polimeri adatti allo stampaggiodi Marco ArezioLe cartiere utilizzano un processo meccanico per riciclare la carta da recupero che entra nei loro stabilimenti. Il processo industriale parte dalla macerazione in vasca del cartone e della carta di uso quotidiano, attraverso l’acqua e un movimento rotatorio di apparecchiature che hanno lo scopo di separare le fibre di cellulosa dai materiali non utilizzabili. Da questo processo, semplificando, si forma lo scarto del pulper. Questi materiali sono composti, prevalentemente, da alluminio e polietilene che si trovano all’interno degli imballi alimentari, come il Tetrapak o altri imballi similari, che non possono essere impiegati nel processo di produzione delle cartiere. I numeri che compongono lo scarto del pulper sono davvero impressionanti in quanto si considera che circa il 10%, in peso, della carta prodotta, generi questo tipo di rifiuto, con costi di smaltimento a carico delle cartiere molto onerosi. Oggi ci sono delle tecnologie che permettono di riutilizzare lo scarto del pulper delle cartiere recuperando il polimero in LDPE che si trova all’interno, attraverso il processo di separazione, triturazione, lavaggio e granulazione dello scarto del pulper. I problemi che si incontrano per riciclare questo composto, PE+Alluminio sono però importanti, sia a livello produttivo che di qualità finale del prodotto: 1. Lo scarto del pulper presenta una percentuale di umidità elevata, superiore al 10%, che deve essere abbattuta in modo sostanziale per evitare problemi di granulazione e di perdita di produzione. 2. L’umidità residua all’interno del granulo può creare, in fase di stampaggio, problemi di gas, con conseguenti riduzioni della resistenza del manufatto e difetti estetici sulle superfici. 3. La presenza residuale di carta all’interno del composto da lavorare, comporta un lavoro aggiuntivo nelle fasi di filtraggio della granulazione. Infatti la micro-presenze di carta nella produzione del granulo finale porterebbe alla creazione di micro-pori dannosi al granulo finale. 4. La presenza di alluminio, anche sotto forma di elemento flessibile, quindi non ostacolante in fase di stampaggio, comporta un effetto estetico che deve essere tollerato in quanto le superfici colorate non saranno omogenee. Non c’è dubbio che tutti questi problemi possono essere gestiti sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista dell’effetto ottico del prodotto finale, che deve essere accettato come una caratteristica peculiare del prodotto stesso. Il granulo che ne deriva è solitamente un LDPE con fluidità intorno a 1 a 2,16 Kg. /190° con una percentuale di LD oltre il 90% e residui di alluminio ed eventualmente di carta. Per quanto riguarda l’impego del granulo derivante dallo scarto del pulper, fermo restando la soluzione dei punti precedenti, è indicato per lo stampaggio di prodotti non estetici ma dove sono richieste qualità del polimero in termini di flessibilità e uniformità di composizione. Possiamo citare i bancali in plastica, vasi e mastelli, accessori per l’edilizia, grigliati non carrabili, ecc.. Il prodotto si adatta alla creazione di compound con PP, PO e HD a seconda degli impieghi che il cliente ne deve fare creando così un composto molto flessibile dal punto di vista delle ricette polimeriche. Ovviamente, visto che normalmente ha un DSC regolare, si presta facilmente all’aggiunta di cariche minerali, specialmente CACO3, che aiutano la ricetta a dare minore flessibilità, insita nell’LDPE, se il cliente ne facesse richiesta.Categoria: notizie - tecnica - carta - riciclo

SCOPRI DI PIU'
96 risultati
1 2 3 4 5 6

CONTATTACI

Copyright © 2024 - Privacy Policy - Cookie Policy | Tailor made by plastica riciclata da post consumoeWeb

plastica riciclata da post consumo