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https://www.rmix.it/ - Cosa è il Processo di Devulcanizzazione per il Riciclo degli Pneumatici
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cosa è il Processo di Devulcanizzazione per il Riciclo degli Pneumatici
Informazioni Tecniche

Come avviene il processo di Devulcanizzazione per il Riciclo degli Pneumaticidi Marco ArezioSe pensiamo che ogni macchina, moto, camion, corriera o qualsiasi altro mezzo su ruote impiega gli pneumatici per un periodo medio di 1-2 anni, per poi sostituirli con nuove coperture, possiamo incominciare a capire quanti pneumatici usati ci possono essere nel mondo.Se poi facciamo un rapido conto di quanti milioni di mezzi su ruote circolino sulla terra, possiamo facilmente moltiplicare il numero di mezzi per il numero medio degli pneumatici che montano, ottenendo un numero strabiliante. Questo numero strabiliante ogni 1-2 anni esprime i rifiuti, sotto forma degli pneumatici esausti, con cui dobbiamo fare i conti, rifiuti che se non trattati correttamente e rimessi in circolo, gravano pericolosamente sull’ambiente. Se raccolti e gestiti correttamente gli PFU (gli pneumatici esausti) possono però diventare una risorsa perché al loro interno contengono gomma, acciaio e fibre tessili che attraverso un processo di riciclo possono generare materie prime seconde. In particolare, i polverini e granuli di gomma ottenuti dalla riduzione volumetrica degli pneumatici, se sottoposti ad azione meccanica, chimica, termica o irradiati con ultrasuoni, subiscono un processo definito devulcanizzazione, con risultati variabili in funzione del materiale di partenza e della tecnologia utilizzata, come riportato da uno studio recente del dipartimento di ingegneria meccanica e strutturale dell’Università di Brescia. Esso permette di riottenere una materia prima seconda attraverso la rottura dei legami creati tra le catene polimeriche durante la fase di vulcanizzazione. Questo processo della gomma costituente gli pneumatici non è solo un potenziale metodo di riciclo degli stessi, ma rappresenta, allo stato attuale, l’approccio più promettente per risolvere le difficoltà legate al problema di impatto ambientale causato dalle enormi quantità di pneumatici a fine vita. Attraverso il processo definito devulcanizzazione la gomma viene riportata ad una struttura chimica vicina a quella dell’elastomero di partenza; questo ne permette l’aggiunta alle normali mescole. La devulcanizzazione, in genere, è effettuata in autoclave mediante processi termochimici sfruttando l’azione congiunta di temperatura, pressione ed additivi chimici. La composizione delle gomme riciclate è molto simile a quella del materiale vergine di provenienza. Sotto forma di granulato o polverino, può entrare a far parte delle mescole utilizzate dall’industria per numerose applicazioni. Il concetto di “economia circolare” assume attualmente una valenza predominante in quanto le sostanze di cui sono fatti i prodotti saranno sempre più trattate come una risorsa uguale alle materie prime e non più solamente smaltite. La prospettiva è quindi mirata alla valorizzazione delle attività finalizzate al riutilizzo degli pneumatici a fine vita (PFU). LA DEVULCANIZZAZIONE La devulcanizzazione è il processo attraverso cui si cerca di scindere i legami chimici tra gomma e zolfo, creati grazie alla vulcanizzazione, e responsabili delle proprietà elastiche e di resistenza meccanica che fanno della gomma un materiale molto apprezzato. La devulcanizzazione prevede l’utilizzo di processi chimici, termici e meccanici che risultano essere altamente inquinanti, in quanto potrebbero rilasciare gas tossici nell’ambiente; inoltre, richiedono un ingente consumo energetico. A causa dell’utilizzo di additivi chimici o di alte temperature, c’è un elevato rischio che si rompano anche le catene polimeriche che costituiscono la gomma stessa, la quale verrebbe denaturata perdendo tutte le sue caratteristiche chimiche e fisiche. In particolare, di seguito vengono elencate le diverse modalità attualmente utilizzate per tale processo: Chimica: viene aggiunto al polverino di gomma una quantità di reagenti chimici a temperature e pressioni elevate specifiche. Una volta terminato il processo, i residui vengono risciacquati, filtrati ed asciugati per eliminare le eventuali impurità chimiche indesiderate. Possono essere utilizzati diversi agenti devulcanizzanti e, a seconda della tipologia scelta e delle caratteristiche della materia prima impiegata, si otterranno delle diverse sostanze in uscita dal reattore. Ad esempio, utilizzando disolfuri nel processo si potrebbe ottenere la formazione di idrogeno solforato (H2S), metile o altri tioli (composti organici assimilabili ad alcoli in cui l'atomo di ossigeno è stato sostituito da un atomo di zolfo, aventi quindi formula generale R-SH: il gruppo funzionale SH viene denominato sia come gruppo tiolo che come gruppo solfanile). Poiché la produzione di pneumatici utilizza ossido di zinco e carbonato di zinco, la devulcanizzazione chimica potrebbe anche produrre particelle metalliche sospese nell'aria; pertanto prima del rilascio in atmosfera è necessario prevederne un trattamento specifico. Ultrasuoni: in tale metodologia i residui vengono caricati in testa ad una tramoggia e successivamente introdotti in un estrusore che tramite un’azione meccanica riscalda ed ammorbidisce la gomma. Successivamente il materiale viene sottoposto all’azione di onde ultrasoniche con un’esposizione di pochi secondi. L’attività sinergica dell’energia ultrasonica, del calore, della pressione e dell’azione meccanica contribuisce alla devulcanizzazione della gomma. La temperatura raggiunta in questo processo è di circa 110°C quindi si genererà una minore emissione di vapore e dal momento che non vengono utilizzati additivi chimici per rompere i legami dello zolfo formati nella vulcanizzazione, non si verificheranno nemmeno pericolose emissioni in atmosfera. Tuttavia, i residui gassosi verranno comunque trattati con filtri a carboni attivi. Microonde: questa metodologia utilizza l’energia controllata a microonde per devulcanizzare gli elastomeri contenenti zolfo. Il materiale da sottoporre a tale processo deve essere sufficientemente polare da poter accettare energia ad una velocità tale da poter generare il calore necessario per devulcanizzare la gomma. Biologica: vengono utilizzati determinati microorganismi per attaccare i legami di zolfo formatisi durante la vulcanizzazione della gomma naturale. Il tempo di contatto biologico necessario per tale processo è variabile tra i 10 e poche centinaia di giorni. Detti microrganismi essendo dotati di vie metaboliche desolforanti riescono ad effettuare una rottura selettiva dei ponti zolfo presenti nella gomma vulcanizzata, senza intaccare la catena polimerica. I microrganismi impiegati, infatti, sono dotati di pathway metabolici, in cui specifici enzimi intervengono in maniera selettiva a catalizzare la rottura dei legami carbonio-zolfo e zolfo-zolfo della gomma, senza intaccare i polimeri costituitivi dell’elastomero stesso, il quale quindi non viene distrutto.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - devulcanizzazione - pneumatici

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https://www.rmix.it/ - Difetti di iniezione con materiali riciclati: striature superficiali
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Difetti di iniezione con materiali riciclati: striature superficiali
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Da cosa sono causati i difetti di iniezione e come è possibile risolverli quando si utilizzano dei polimeri riciclati? di Marco ArezioCi sono dei difetti estetici che potrebbero formarsi durante il lavoro di iniezione utilizzando dei granuli rigenerati, che siano da provenienza post consumo o post industriali. Il granulo post consumo si presta maggiormente, in ogni caso, alla possibile creazione di difetti estetici in quanto la composizione polimerica del granulo stesso può comprendere frazioni di materiali non del tutto omogenei (PP/PE per esempio). Le carenze estetiche espresse in striature superficiali, dette anche marmoree, normalmente non causano un difetto tecnico del prodotto stampato, ma solitamente un difetto estetico che, in ogni caso, può comportare il rifiuto del prodotto da parte del cliente finale. Abbiamo già affrontato l’argomento che riguarda la riconsiderazione degli aspetti estetici dei manufatti realizzati con un granulo riciclato, in presenza di piccoli difetti, in un’ottica di incremento della circolarità dei rifiuti plastici, proprio per avere un giudizio corretto sulle aspettative estetiche di prodotti che impiegano la plastica riciclata. Nella fase di stampaggio, la plastica utilizzata come materia prima, raggiunge temperature tra i 175° e i 400°, in base al materiale utilizzato, creando vari processi di trasformazione all’interno della massa fusa. L’acqua viene vaporizzata, e alcuni additivi e polimeri a basso peso molecolare si potrebbero degradare producendo sostanze volatili che accompagneranno la massa fusa all’interno dello stampo. Inoltre la velocità di stampaggio potrebbe agire sulle molecole polimeriche creando una certa percentuale di degradazione plastica. A causa della differenza di densità tra la massa fusa, le sostanze volatili e quelle degradate, ci sarà all’interno dello stampo una separazione tra le parti più pesanti e quelle più leggere, dove queste ultime arriveranno per prime verso le pareti dello stampo stesso, seguite poi dalla massa fusa, di cui si sporcheranno. Quindi, qualsiasi parte volatile e/o degradata che verrà spinta verso la parete dello stampo dal polimero riciclato fuso, creerà sulle pareti del prodotto finito, striature o parti marmorizzate che possono essere antiestetiche. Le cause di questi difetti si possono riassumere in: • Umidità del materiale • Degrado delle parti in plastica a causa dell’alta temperatura • Tempi di stampaggio eccessivi con degradazione dei polimeri • Contropressione troppo bassa • Punti di iniezione troppo piccoli che potrebbero degradare la materia prima • Eccessiva usura del mandrino • Sporco vicino ai punti di espulsione del gas nello stampo o numero insufficiente di punti In considerazione di quanto sopra esposto, per evitare o ridurre questi fenomeni antiestetici, bisognerebbe prendere tutti gli accorgimenti necessari per la regolazione dei parametri macchina e stampo, oltre a verificare, attraverso lo studio del DSC del polimero riciclato da usare, il peso delle componenti che potrebbero degradare.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - iniezione - stampi - produzione

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https://www.rmix.it/ - Come Viene Formato un Flacone in Plastica Riciclata
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come Viene Formato un Flacone in Plastica Riciclata
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Estrusione del polimero riciclato, formazione del parison, soffiaggio del flacone e distacco delle materozzedi Marco ArezioI flaconi dei prodotti per la pulizia della casa o per i liquidi industriali, realizzati in plastica riciclata, comprati abitualmente nei negozi, hanno avuto una grandissima diffusione negli ultimi anni, andando a sostituire progressivamente quelli in vetro e in metallo. Sono senza dubbio più leggeri, hanno un costo di produzione più basso e sono facilmente riciclabili con un impatto ambientale inferiore ad altri imballi per liquidi. Un flacone prodotto con la platica riciclata può essere prodotto, usato, riciclato e riusato per un numero elevato di volte con un consistente risparmio di materie prime naturali. Ma ci siamo mai chiesti come viene prodotto un flacone di detersivo in plastica? L’industria del riciclo ha fatto enormi passi avanti creando granuli in HDPE, il polimero principe per i flaconi dei prodotti liquidi per la pulizia della casa, sempre più performanti e puliti, che possono essere impiegati al 100% almeno fino ad un volume di 5 litri di prodotto. Questi polimeri provengono principalmente dal riciclo dei flaconi degli stessi detersivi, attraverso un attento lavoro di selezione del rifiuto raccolto e una serie di operazioni di miglioramento della materia prima seconda, che permette la creazione di un altro flacone dagli spessori di pochi micron. Per poter produrre un falcone in HDPE riciclato, oltre al polimero, dobbiamo disporre di un impianto di estrusione e soffiaggio dell’imballo. Questi impianti sono composti, in modo molto schematico, da un alimentatore in cui si metterà il polimero di HDPE in granuli, un estrusore che avrà il compito di sciogliere il granulo plastico creando un fuso modellabile, un filtro che avrà il compito, specialmente se si utilizza un HDPE riciclato da post consumo, di ridurre al massimo eventuali inquinanti presenti nel polimero ed infine uno stampo in cui avviene la formazione del flacone. Sorvolando sulla prima parte del processo di estrusione, argomento già trattato in un articolo precedente, vediamo cosa succede nel processo di produzione a valle dell’estrusione. L’HDPE fuso dall’estrusore sarà incanalato in un impianto atto alla produzione di una lingua di materiale plastico, detto parison, che costituirà la materia prima per il nostro futuro flacone. Una volta regolata la quantità di materiale che costituisce il parison, le due parti dello stampo si chiuderanno fra loro imprigionandolo. A questo punto verrà insufflata dell’aria all’interno del parison, che gonfierà il materiale sulle pareti dello stampo creando e raffreddando il flacone. La forza con cui viene immessa l’aria non è, generalmente, superiore a 10 Bar, permettendo una corretta formazione del prodotto all’interno dello stampo, ma la durata di soffiatura dipende dalla dimensione volumetrica del flacone da realizzare. Essendo questo processo il più lungo rispetto ai precedenti, è possibile ottimizzare le tempistiche utilizzando, per esempio, il ricambio dell’aria di soffiaggio per permettere una più veloce fase di raffreddamento del prodotto all’interno dello stampo. Come in tutte le operazioni di stampaggio, anche nella produzione dei flaconi è possibile che si creino delle materozze intorno al flacone grezzo, che un tempo venivano tolte a mano. Attualmente le soffiatrici dispongono di appostiti taglienti che, in modo automatico, rifilano le eccedenze di plastica presenti sui flaconi, velocizzando notevolmente il lavoro. Una volta formato il flacone, un nastro trasportatore lo indirizzerà ad un altro impianto di soffiatura automatico che avrà il compito, attraverso l’insufflazione di aria al suo interno, di verificare che non vi siano imperfezioni costruttive, come dei fori, che ne comprometterebbe la tenuta una volta riempiti di prodotto. Superata questa fase di controllo il flacone potrà essere idoneo alla successiva fase di riempimento con i detersivi o gli altri liquidi da commercializzare. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - produzione - soffiaggio - flacone - HDPE

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https://www.rmix.it/ - Progettazione e Costruzione di una Linea Fognaria con Tubi in Plastica Riciclata
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Progettazione e Costruzione di una Linea Fognaria con Tubi in Plastica Riciclata
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I tubi in plastica riciclata si sono dimostrati nel tempo affidabili, economici e duraturi di Marco ArezioLa costruzione di linee fognarie moderne deve tener conto di alcuni elementi imprescindibili, sia tecnici, come vedremo, ma anche ambientali, in modo da minimizzare l’impatto dei prodotti utilizzati per l’opera idraulica. In passato le canalizzazioni erano realizzate con tubi in metallo o in cemento, ma da quando l’industria delle materie plastiche è stata in grado di realizzare prodotti alternativi, la diffusione dei tubi corrugati in HDPE a doppia parete si è largamente diffusa. Il primo passo da compiere nella realizzazione di una linea fognaria è la sua progettazione, la quale deve tenere presente vari aspetti che influiscono sull’area di costruzione. Come si dimensiona una linea di fognatura che utilizza i tubi in plastica Come ogni buon progetto che si deve realizzare, la raccolta di informazioni, precise, dettagliate ed attendibili, sono la base del lavoro successivo. Possiamo elencare alcuni punti che entreranno nella valutazione progettuale: La stima la portata massima giornaliera che la fognatura dovrà gestire. Per far questo, sarà necessario considerare l'area di raccolta delle acque reflue, la densità abitativa, gli utilizzi industriali e altri fattori che potrebbero influenzare la quantità dei liquidi da raccogliere. Inoltre è importante determinare la pendenza disponibile o desiderata per la linea di fognatura e il suo diametro. Per queste informazioni potranno essere utili le formule idrauliche (ad es. formula di Manning) per calcolare la velocità di flusso in base al diametro del tubo in plastica riciclata, alla pendenza e alla rugosità del materiale. Sarà importante scegliere un diametro dei tubi in plastica che garantisca una velocità di flusso adeguata (ad es., tra 0,6 m/s e 3 m/s) in condizioni di flusso pieno o quasi pieno. Inoltre, sarà necessario assicurarsi che la profondità della fognatura sia sufficiente per prevenire il congelamento (in climi freddi) e per mantenere una copertura adeguata sopra il tubo in plastica riciclata. Dal punto di vista strutturale si dovrà verificare che il tubo in HDPE scelto possa sopportare i carichi esterni, come il peso del terreno sopra di esso e il traffico sovrastante (se applicabile). Si dovrà pensare agli elementi di raccordo dei tubi in plastica riciclata, verificando la corretta distanza tra i pozzetti di ispezione e che le connessioni tra i tubi e i pozzetti siano stagne. Nella progettazione della linea fognaria rientrano anche gli aspetti ambientali per cui sono da considerare e prevenire la possibilità di infiltrazioni o perdita di acque reflue della linea. Tuttavia, l’uso di tubi in HDPE, in quanto stagni, danno una buona sicurezza, considerando le giunzioni tra i vari tubi fatte a regola d’arte, anche in considerazione se nelle vicinanze si possa trovare una falda acquifera. Infine sarà necessario assicurarsi che la progettazione rispetti tutte le normative e le linee guida locali in materia di fognature. Quali caratteristiche tecniche deve avere un tubo corrugato in HDPE per fognatura I tubi corrugati in HDPE per fognatura devono soddisfare specifiche caratteristiche tecniche per garantire la loro idoneità all'uso e la loro durata nel tempo. - Il polimero riciclato con cui si costruisce il tubo corrugato deve essere di buona qualità e resistente ai raggi U.V. - Il tubo corrugato deve presentare una buona resistenza meccanica allo schiacciamento e alle deformazioni laterali sollecitate dal terreno senza che si possa rompere - Le giunzioni tra i tubi o tra tubo e raccordi devono garantire la tenuta stagna, evitando dispersioni delle acque reflue nel terreno - La parte interna dovrà essere sufficientemente liscia da permettere lo scorrimento dei liquidi così da facilitarne il deflusso - Il tubo in HDPE dovrà resistere alla corrosione da parte delle acque reflue e di altre sostanze chimiche presenti nella fognatura - Sotto l’effetto delle variazioni di temperature del terreno il tubo deve essere in grado di sopportarle senza perdere integrità strutturale Quali son i vantaggi nell’uso dei tubi corrugati in HDPE per fognatura rispetto al pvc, al cemento e al metallo I tubi corrugati in HDPE offrono diversi vantaggi, specialmente quando utilizzati in applicazioni fognarie: Durabilità e Resistenza alla Corrosione L'HDPE è intrinsecamente resistente alla corrosione, a differenza dei tubi metallici che possono arrugginirsi o corrodersi in presenza di acque reflue o terreni aggressivi, garantendone una maggiore durata. Flessibilità I tubi in HDPE sono flessibili, il che significa che possono adattarsi a movimenti del terreno, come assestamenti o sismi, senza rompersi. Un vantaggio particolarmente importante rispetto ai tubi in cemento, che sono rigidi e possono rompersi con movimenti del terreno. Leggerezza I tubi in plastica sono significativamente più leggeri rispetto a quelli in cemento o metallo. Ciò semplifica il trasporto, la movimentazione e la posa, riducendo i costi di manodopera e le esigenze di attrezzature pesanti. Saldature Stagne I tubi in HDPE possono essere saldati per creare giunzioni stagne, riducendo il rischio di perdite o infiltrazioni. Questo può essere un vantaggio rispetto ai tubi in PVC o cemento, dove le giunzioni potrebbero essere meno affidabili in termini di tenuta. Resistenza Chimica Il polimero in HDPE che costituisce i tubi, è resiste a molti agenti chimici, rendendolo ideale per applicazioni fognarie dove possono essere presenti sostanze chimiche aggressive. Costi Ridotti In molti casi, i costi complessivi di installazione dei tubi in HDPE possono essere inferiori rispetto ad altre opzioni. Ecocompatibilità L'HDPE è un materiale riciclato e riciclabile, il che può rendere i tubi in HDPE una scelta più sostenibile rispetto ad alcune alternative. Vita Utile Prolungata Con una corretta installazione e manutenzione, i tubi in HDPE possono avere una vita utile molto lunga, spesso superiore a 50 anni. Bassa Rugosità Interna La superficie interna liscia realizzata con l’impiego dell’HDPE, permette un flusso efficiente, riducendo il rischio di ostruzioni. Come si posa un tubo corrugato in HDPE per fognatura Entrando nella fase realizzativa la posa di un tubo corrugato in HDPE per fognatura segue una serie di passaggi chiave, al fine di garantire un'installazione sicura e duratura. Prima di tutto, sarà necessario scavare una trincea della profondità e larghezza adatte al tubo che si è deciso di installare, creando un fondo della trincea piatto e solido. Sul fondo di essa, si dovrebbe posizionare uno strato di sabbia o di ghiaia fine compattata per creare una base stabile per il tubo, il cui spessore dovrebbe avere uno spessore di almeno 10-15 cm. Creata la trincea e il fondo idoneo si passa alla posa del tubo corrugato HDPE, facendo attenzione a non danneggiarlo con le macchine per la posa. Assicurarsi, inoltre, che il tubo sia dritto e privo di piegature o tensioni. Una volta posato la linea di tubi, si inizierà a riempire la trincea con materiale come sabbia o ghiaia fine. Sarà necessario posizionare accuratamente il materiale di riempimento attorno al tubo per garantire una base solida e per evitare che il tubo si sposti. Dopo aver verificato che non ci siano perdite nella linea fognaria si potrà completare la trincea con il terreno scavato in precedenza, compattando il tutto dall’esterno. Come si saldano due tubi corrugati in HDPE per fognatura Molte materie plastiche, compreso l’HDPE, si prestano all’esecuzione di saldature durature ed efficaci tra tubi, pozzetti e raccordi. Ma per la saldatura due tubi corrugati in HDPE sono necessarie attrezzature speciali e una certa esperienza. Sarà necessario che le estremità dei tubi da saldare siano pulite e prive di sporco, grasso o altre impurità, per garantire una saldatura di alta qualità. Si posizioneranno poi i tubi in modo che le loro estremità siano perfettamente allineate e a contatto l'una con l'altra. A questo punto si impiegherà una macchina di saldatura per HDPE, assicurandosi che sia correttamente impostata secondo le specifiche del produttore dei tubi. La maggior parte delle saldature per l’HDPE vengono eseguite utilizzando un piatto riscaldante per portare le estremità dei tubi alla temperatura di fusione. Si inserirà il piatto riscaldante tra le estremità dei tubi e attendendo che raggiungano la temperatura adeguata. Una volta che le estremità dei tubi saranno adeguatamente riscaldate, si rimuoverà il piatto riscaldante e si avvicineranno le estremità dei tubi, permettendo loro di fondersi insieme. Si dovrà, nel contempo, mantenere una pressione uniforme durante questo processo per garantire una buona saldatura. Una volta saldati, i tubi devono essere lasciati raffreddare per un certo periodo di tempo, infatti, durante questo tempo, la saldatura si solidifica e si rinforza. Terminata la saldatura, si dovrà controllare visivamente la giunzione per assicurarti che non ci siano bolle d'aria, crepe o altri difetti. A seconda delle specifiche del progetto, potrebbe essere necessario eseguire test di pressione o altri test per verificare la qualità della saldatura. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in italiano

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https://www.rmix.it/ - Caprolattame e Poliammide: Composizione Chimica, Impatto Ambientale e Strategie per una Produzione Sostenibile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Caprolattame e Poliammide: Composizione Chimica, Impatto Ambientale e Strategie per una Produzione Sostenibile
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Scopri come si producono le poliammidi a partire dal caprolattame, quali sono i componenti chimici coinvolti, i rischi ambientali legati al processo industriale e le tecnologie per renderlo più sostenibiledi Marco ArezioQuando pensiamo al nylon – la celebre poliammide sintetica – spesso lo associamo all'industria tessile, a corde robuste, a ingranaggi di precisione o a componenti leggeri e resistenti per l’automotive. Ma raramente ci si sofferma sulla complessa sequenza di reazioni chimiche che rendono possibile la sua esistenza. Dietro ogni fibra di nylon si cela una catena industriale basata su composti aromatici, ossidazioni controllate, reazioni acide e una quantità non trascurabile di sottoprodotti che pongono seri interrogativi in termini di sostenibilità. Uno dei punti chiave di questa catena è la produzione del caprolattame, il monomero ciclico da cui prende forma la poliammide 6 (PA6), attraverso una reazione di polimerizzazione ad apertura d’anello. Comprendere i componenti necessari per la sua sintesi e le implicazioni ambientali di questi processi non è solo un esercizio accademico: è un passo fondamentale per valutare come l’industria delle poliammidi possa evolversi in direzione di un modello più sostenibile. Dalle molecole aromatiche ai monomeri ciclici: una trasformazione complessa Tutto ha inizio con il benzene, una delle molecole più semplici e stabili della chimica organica aromatica. Derivato principalmente dalla distillazione frazionata del petrolio, il benzene è il punto di partenza per numerosi processi dell’industria chimica pesante. Nel caso della poliammide, esso viene convertito in cicloesano attraverso una reazione di idrogenazione. Questa trasformazione richiede alte pressioni, temperature elevate e catalizzatori metallici come nichel o platino, e rappresenta una delle prime tappe nella direzione della chimica "alifatica" richiesta per produrre il monomero. Il cicloesano, a sua volta, viene ossidato in cicloesanone, un chetone ciclico che rappresenta un nodo centrale della catena produttiva. Questa ossidazione può avvenire in due modi: o direttamente dal cicloesano, con ossigeno e catalizzatori metallici, oppure partendo dal fenolo tramite una riduzione selettiva. Il risultato, spesso, è una miscela che contiene anche cicloesanolo: il cosiddetto KA-oil. Il cicloesanone viene poi separato e purificato, pronto per affrontare una nuova trasformazione. È a questo punto che entra in gioco una molecola particolarmente reattiva: l’idrossilammina, la quale viene fatta reagire con il cicloesanone per formare l’ossima di cicloesanone. Questo composto è chimicamente instabile, ma è essenziale per la reazione di Beckmann, un classico della chimica organica. Grazie a un ambiente fortemente acido – spesso con acido solforico – l’ossima viene convertita in ε-caprolattame, il monomero ciclico destinato a diventare nylon. Il caprolattame, a temperatura ambiente, si presenta come un solido bianco, cristallino, solubile in acqua. È una molecola relativamente sicura da maneggiare rispetto ad altri precursori della catena, ma la sua produzione comporta una serie di criticità. Uno degli effetti collaterali più significativi della reazione di Beckmann è la produzione di solfato di ammonio, un sottoprodotto salino che viene generato in quantità quasi pari a quella del caprolattame stesso. Anche se può essere impiegato come fertilizzante, il suo smaltimento o riutilizzo rappresenta una sfida logistica ed ecologica. L’impronta ambientale dei precursori La sintesi del caprolattame è tutt’altro che innocua. La produzione di precursori come benzene e idrossilammina implica l’uso di sostanze pericolose, reazioni ad alta intensità energetica e, non di rado, la formazione di sottoprodotti inquinanti. Il benzene, ad esempio, è classificato come cancerogeno certo per l’essere umano e richiede standard di sicurezza rigorosi per il suo impiego. L’idrossilammina, invece, è instabile, reattiva e, in alcuni casi, potenzialmente esplosiva. Anche il cicloesanone, pur essendo meno pericoloso, è volatile e può contribuire all’inquinamento atmosferico sotto forma di VOC (composti organici volatili). Uno degli aspetti più critici riguarda le emissioni di protossido di azoto (N₂O), un sottoprodotto secondario che può emergere in diverse fasi della produzione industriale, soprattutto nella sintesi di ammoniaca e nitrati impiegati per l’idrossilammina. Il N₂O è un gas serra circa 273 volte più potente della CO₂ e ha un effetto diretto sull’assottigliamento dello strato di ozono. In alcune configurazioni impiantistiche obsolete, la produzione di una tonnellata di caprolattame può generare fino a 9 kg di N₂O. Verso una produzione sostenibile: limiti e prospettive Negli ultimi anni, l’industria chimica ha compiuto passi importanti per ridurre l’impatto ambientale del caprolattame e dei suoi precursori. Alcuni impianti si sono dotati di sistemi di abbattimento catalitico per il protossido di azoto, capaci di ridurne le emissioni fino al 98%. Altri stanno sperimentando la produzione del cicloesanone a partire da fonti rinnovabili, come biomasse o zuccheri, in modo da sganciarsi progressivamente dalla dipendenza da fonti fossili. Sul fronte della chimica verde, si moltiplicano le ricerche per ottenere caprolattame bio-based, mediante processi di fermentazione e sintesi intermedia da acido adipico biologico. Tuttavia, la scalabilità e la competitività di questi metodi restano per ora limitate, soprattutto se confrontate con le vie consolidate e già ottimizzate della chimica petrolchimica. Un altro fronte aperto riguarda la valorizzazione dei sottoprodotti, in particolare del solfato di ammonio, che può essere destinato all’industria dei fertilizzanti. Tuttavia, in un’ottica di sostenibilità sistemica, non basta trovare un impiego a valle per uno scarto: è necessario ridurne la formazione fin dall’origine, ripensando l’intero schema produttivo. Conclusione La produzione della poliammide 6 è un perfetto esempio di come una molecola apparentemente semplice e onnipresente possa nascondere una complessità chimica ed ecologica profonda. Dalle aromatiche come il benzene ai composti reattivi come l’idrossilammina, ogni passaggio della catena produttiva comporta scelte tecniche con pesanti implicazioni ambientali. Per rendere sostenibile il futuro della poliammide – e, più in generale, dei materiali plastici ingegnerizzati – non basta puntare sul riciclo del prodotto finale. Occorre agire a monte, ripensando la chimica dei monomeri, scegliendo precursori più sicuri e meno impattanti, e adottando tecnologie capaci di minimizzare gli sprechi e le emissioni. La transizione verso una chimica più verde inizia da qui: dalla consapevolezza delle molecole che compongono il nostro presente.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Coltelli per Macinatori in Acciaio e Carburo di Tungsteno per Materiali da Riciclo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Coltelli per Macinatori in Acciaio e Carburo di Tungsteno per Materiali da Riciclo
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Coltelli per Macinatori in Acciaio e Carburo di Tungsteno per Materiali da Riciclodi Marco ArezioGli strumenti di taglio in acciaio a disposizione degli impianti di macinazione per i materiali da riciclo, sono soggetti ad una notevole usura in virtù del loro impiego e, tanto maggiore sarà l’abrasività dei materiali da ridurre di dimensioni, tanto maggiore sarà la loro usura e tanto minore sarà il tempo necessario al loro consumo. Tutto questo si traduce in costi. Infatti, un’usura veloce dei coltelli di taglio comporta frequenti fermi della macchina per la loro sostituzione, con una perdita della produzione giornaliera, che non si compensa con l’utilizzo di coltelli più economici e meno performanti. Inoltre, quando inizia l’usura dell’acciaio, aumentano, generalmente, le vibrazioni della macchina, la polvere per un’imperfezione di taglio e un consumo maggiore di energia elettrica in quanto la macchina impiega più tempo per svolgere il lavoro. C’è poi da considerare che i materiali da frantumare hanno durezze diverse e che per questo la scelta della composizione dei coltelli deve tener conto di questo importante fattore. A volte non è sufficiente scegliere tipologie di acciaio con durezza differente, ma occorre impiegare coltelli che abbiano degli inserti con materiali estremamente tenaci come il carburo di tungsteno. Ma cos’è il carburo di tungsteno e perché è così efficace nei coltelli dei macinatori? Il carburo di tungsteno si prepara principalmente tramite carburizzazione, facendo reagire tungsteno metallico con nerofumo o grafite a 1400–2000 °C, in atmosfera di idrogeno o sotto vuoto. Si presenta come una polvere di colore grigio con lucentezza metallica, praticamente insolubile in acqua e in acidi diluiti, ma solubile in miscele di acido nitrico e acido fluoridrico. In soluzione acquosa viene ossidato facilmente dal perossido di idrogeno Il carburo di tungsteno ha un punto di fusione di 2 785 °C quindi è un materiale estremamente duro, situandosi a circa 9 nella Scala di Mohs e a circa 2600 nella Scala Vickers. Ha un modulo di Young di circa 700 GPa, un modulo di compressibilità di 630–655 GPa[3] e un modulo di taglio di 274 GPa. Per usi pratici lo si unisce a metalli di transizione, principalmente cobalto o nichel lavorandolo a partire da polveri, con tecniche di sinterizzazione a temperature intorno ai 1200–1500 ºC. Il composto che ne deriva è un materiale ceramico-metallico denominato carburo cementato, metallo duro o widia. Per ottenere del metallo duro possono essere aggiunti anche altri elementi come cromo o tantalio, allo scopo di evitare la crescita dei grani di carburo, fungendo da inibitori.Le polveri di carburo di tungsteno e del metallo subiscono tre passaggi: Macinazione, per mescolare tra di loro polveri di diversa qualità e creare una miscela omogenea di polveri. • Riscaldamento a 100 °C con aggiunta di legante (cobalto) per formare una massa solida grazie all'unione dei granelli. • Sinterizzazione tra 1200 e 1600 °C, per consentire al cobalto di fondere, saldare i grani ed eliminare le porosità. Nel caso degli utensili da taglio destinati agli impianti di macinazione dei rifiuti riciclabili, questi hanno una grande tenacità e durevolezza che permettono un risparmio generale dei costi di macinazione, anche se i coltelli costino di più rispetto ai comuni coltelli in acciaio, ma permettono anche di ottenere un prodotto tagliato in modo uniforme senza sbavature o polveri eccessive. I coltelli in metallo e carburo di tungsteno sono indicati per i seguenti materiali tenaci:• PET • Plastiche caricate con fibra • Plastiche caricate con cariche minerali • Raffia • Polietilene da serra o proveniente dalla campagna • Rifiuti elettronici • Pneumatici • LegnoCategoria: notizie - tecnica - acciaio - riciclo - coltelli - macinazione

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https://www.rmix.it/ - Polimeri Intelligenti per il Rilevamento Ambientale: La Nuova Frontiera della Sensoristica Sostenibile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Polimeri Intelligenti per il Rilevamento Ambientale: La Nuova Frontiera della Sensoristica Sostenibile
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Materiali avanzati capaci di reagire a stimoli esterni come pH, temperatura e inquinanti chimici, per una gestione ambientale più efficiente e accuratadi Marco ArezioNegli ultimi decenni, i progressi nella scienza dei materiali hanno portato allo sviluppo dei polimeri intelligenti, noti anche come smart polymers o stimuli-responsive polymers. Questi materiali sono in grado di rispondere in modo controllato a stimoli esterni come pH, temperatura, luce, campi elettrici e magnetici, e sostanze chimiche specifiche, inclusi inquinanti. Queste caratteristiche uniche hanno aperto nuovi orizzonti nella sensoristica ambientale, permettendo la creazione di dispositivi capaci di monitorare in tempo reale le condizioni ambientali, con applicazioni che spaziano dal controllo della qualità dell'acqua all'analisi dell'aria. I polimeri intelligenti si distinguono per la capacità di subire variazioni significative delle proprietà fisico-chimiche in risposta a stimoli specifici, un processo che può essere sfruttato per il rilevamento preciso e sensibile di inquinanti o alterazioni ambientali. In questo articolo esploreremo il funzionamento di questi materiali, i principali stimoli a cui rispondono e le loro applicazioni nella sensoristica ambientale. Caratteristiche dei Polimeri Intelligenti I polimeri intelligenti sono macromolecole che possono cambiare le loro proprietà in modo reversibile in risposta a stimoli esterni. Questi cambiamenti possono riguardare la conformazione, la solubilità, la conducibilità elettrica o altre proprietà fisico-chimiche. Materiali progettati per rispondere a stimoli specifici trovano applicazione in settori come la medicina, l'elettronica e, più recentemente, la sensoristica ambientale.Le principali tipologie di risposta includono: Risposta al pH: Alcuni polimeri cambiano conformazione o solubilità in base al pH dell'ambiente. Questi materiali possono essere usati per monitorare l'acidità delle acque o del suolo, un parametro cruciale per la salute degli ecosistemi. Risposta alla temperatura: I polimeri termoresponsivi cambiano struttura o fase a determinate temperature di transizione, consentendo di creare sensori per rilevare variazioni termiche negli ecosistemi o nei processi industriali che possono contribuire al riscaldamento globale. Risposta agli inquinanti chimici: Alcuni polimeri intelligenti sono progettati per interagire selettivamente con molecole di inquinanti, alterando le loro proprietà ottiche o elettriche, il che li rende utili per rilevare sostanze pericolose nell'aria o nell'acqua. Stimoli Esterni e Risposte Polimeriche pH I polimeri sensibili al pH rilevano variazioni nell'acidità dell'ambiente grazie alla presenza di gruppi ionizzabili lungo la catena polimerica. In ambiente acido o basico, questi gruppi possono protonarsi o deprotonarsi, cambiando la solubilità o la conformazione del polimero. Ad esempio, polimeri con gruppi carbossilici o amminici possono rispondere in modo significativo a piccole variazioni di pH, rendendoli ideali per monitorare la qualità dell'acqua in contesti industriali o agricoli. Un esempio è il poliacido metacrilico, che in ambienti acidi si comporta come una molecola rigida, mentre in ambienti basici si estende, alterando le sue proprietà ottiche o la capacità di legare composti specifici. Temperatura I polimeri termoresponsivi mostrano cambiamenti strutturali a specifiche temperature, note come temperature critiche di soluzione superiore o inferiore (LCST o UCST). Al di sopra o al di sotto di queste temperature, i polimeri possono passare da uno stato solubile a uno stato insolubile o viceversa, modificando la loro configurazione. Questo comportamento è utile in contesti in cui la temperatura è un indicatore di cambiamenti climatici o processi industriali fuori controllo. Un esempio di polimero termoresponsivo è il poli N-isopropilacrilammide (PNIPAM), che ha una LCST intorno ai 32°C. Al di sopra di questa temperatura, il PNIPAM passa da uno stato idratato (solubile in acqua) a uno stato disidratato (insolubile), proprietà sfruttata in sensori per monitorare la temperatura di sistemi idrici e atmosferici. Inquinanti Chimici I polimeri progettati per reagire a inquinanti specifici, come metalli pesanti o composti organici volatili, offrono un'opportunità unica per il monitoraggio in tempo reale dell'inquinamento. Questi polimeri possono essere funzionalizzati con gruppi che interagiscono selettivamente con un inquinante target, provocando variazioni nelle proprietà ottiche, elettriche o meccaniche del materiale. Ad esempio, polimeri contenenti chelanti metallici possono legare metalli pesanti come piombo o mercurio, risultando in variazioni di colore o conducibilità elettrica, misurabili per rilevare contaminazioni nelle acque o nei terreni. Applicazioni nella Sensoristica Ambientale I polimeri intelligenti sono già utilizzati in diversi dispositivi avanzati di monitoraggio ambientale per rilevare rapidamente e con precisione cambiamenti critici negli ecosistemi e nelle risorse naturali. Ecco alcune delle applicazioni più promettenti: Monitoraggio della Qualità dell'Acqua: I sensori basati su polimeri intelligenti rilevano inquinanti chimici e biologici, come metalli pesanti, pesticidi e batteri patogeni, in modo rapido e preciso. Ad esempio, polimeri sensibili al pH possono monitorare l'acidità delle acque, un indicatore essenziale della qualità e salubrità delle risorse idriche. Rilevamento di Gas Inquinanti: Polimeri progettati per rispondere a composti organici volatili o gas nocivi, come biossido di azoto o monossido di carbonio, sono utilizzati in sensori per il controllo della qualità dell'aria. Questi dispositivi sono cruciali per monitorare le emissioni industriali e i livelli di inquinamento urbano, fornendo dati fondamentali per la gestione dell'inquinamento atmosferico. Monitoraggio di Processi Industriali: La sensibilità dei polimeri intelligenti alla temperatura e agli inquinanti chimici li rende ideali anche per il controllo dei processi industriali. Ad esempio, sensori termici possono rilevare variazioni nei processi di riscaldamento, mentre sensori chimici possono monitorare la presenza di contaminanti nei reflui industriali. Prospettive Future Lo sviluppo dei polimeri intelligenti per la sensoristica ambientale è in rapida crescita, con un crescente interesse verso la creazione di materiali più selettivi e sensibili, in grado di funzionare in condizioni ambientali complesse e rilevare una gamma più ampia di inquinanti. Le future ricerche si concentreranno sull'ottimizzazione delle prestazioni dei polimeri in ambienti estremi, come temperature elevate o bassi livelli di umidità, e sulla loro integrazione con sistemi di raccolta dati e analisi in tempo reale. Un altro ambito promettente riguarda l'uso di polimeri biodegradabili, che possono minimizzare l'impatto ambientale dei dispositivi di monitoraggio stessi, un aspetto cruciale in un'ottica di economia circolare e sostenibilità ambientale. Conclusione I polimeri intelligenti rappresentano una tecnologia emergente con un grande potenziale nel rilevamento ambientale. La loro capacità di rispondere a stimoli esterni come pH, temperatura e inquinanti chimici li rende ideali per lo sviluppo di sensori avanzati, capaci di monitorare e proteggere l'ambiente in modo efficiente e sostenibile. Le ricerche in questo settore continueranno a migliorare questi materiali, permettendo una maggiore integrazione tra scienza dei materiali e protezione dell'ambiente.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Come saldare le materie plastiche riciclate
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Come saldare le materie plastiche riciclate
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Sistemi, attrezzature e materiali utilizzati per la saldatura di due articoli plastici di Marco ArezioDal punto di vista normativo la saldatura delle materie plastiche avviene nel collegamento di materiali termoplastici attraverso il calore, la pressione e, in certi casi, l’uso di materiali atti a favorire la saldatura. Dal punto di vista paratico l’operazione si svolge attraverso il riscaldamento delle due superfici da saldare, ad una temperatura leggermente superiore a quella di fusione dei materiali da unire, applicando una certa forza per collegare le due parti, in modo che i punti scelti per la saldatura diventino i più omogenei possibili. I materiali più adatti a questa operazione sono i termoplastici e i termoelastomeri, mentre i termoindurenti e gli elastomeri presentano alcune difficoltà nel creare le giuste condizioni termiche per le saldature a caldo. E’ possibile unire, in qualche caso, anche materiali diversi tra loro, avendo cura di accertarsi che abbiamo una compatibilità chimica e di temperature di fusione. Vediamo quali sono i principali sistemi di saldatura delle materie plastiche: Riscaldamento diretto con attrezzo caldo, si intende il collegamento delle due superfici da unire, esercitando una leggera pressione, attraverso l’uso di attrezzi metallici che inducono calore ad una temperatura stabilita. Una volta riscaldate le due superfici deputate alla saldatura si uniscono con una pressione in modo che il materiale fuso faccia da collante tra le due parti. Saldatura a gas caldo, avviene attraverso l’utilizzo di aria calda, con temperature comprese tra gli 80 e i 500° a secondo dei materiali da unire, utilizzando un filo di saldatura. L’applicazione d questa tecnologia può avvenire manualmente o attraverso apposite macchine. Le saldature possono definirsi a “ventaglio”, tipicamente una saldatura manuale, a “trascinamento a gas caldo”, attraverso l’uso di macchine, a “estrusione”, che è un’evoluzione del precedente metodo e si usa per saldature di grandi quantità. Saldatura ad ultrasuoni, avviene attraverso l’uso di onde sonore, con una frequenza tra 20 e 25 kHz, che creano un attrito tra le superfici e il conseguente riscaldamento delle parti da unire, creando le condizioni ideali di saldatura per elementi rigidi in tempi molto ristretti. Saldatura ad alta frequenza, si intende la creazione di un campo elettrico alternato ad alta frequenza all’interno del quale, con una dovuta pressione, si possono saldare plastiche come il PVC, EVA, PET, ABS PUR. Questi materiali hanno un fattore di perdita dielettrico abbastanza elevato quindi si consiglia il preriscaldamento degli elementi da unire. Saldatura a laser, detta anche saldatura penetrante, colpisce le superfici delle materie plastiche e successivamente queste trasmettono il calore al loro interno per alcuni millimetri di spessore. Questo sistema ha dei vantaggi di utilizzo dati dalla velocità di esecuzione, dalla possibilità di saldare in punti poco accessibili e con elementi non perfettamente uniti. Lo svantaggio sono gli alti costi e quindi viene utilizzata quando si vogliono realizzare saldature in tempi molto rapidi o quando gli altri sistemi tradizionali non sono efficaci. Una volta eseguite le saldature secondo il miglior metodo scelto è raccomandabile e in alcuni casi obbligatorio, eseguire prove di laboratorio per verificare la buona riuscita del lavoro. A seconda del tipo di saldatura e del tipo di manufatto su cui si è fatto l’intervento di unione, vengono eseguite prove di laboratorio che ne certifichino la qualità dell’intervento. Queste possono esser prove di tenuta stagna, per esempio su manufatti quali tubi, sacchetti, contenitori ed imballaggi, e prove meccaniche. Le prove indicate sono quelle a flessione, trazione, flessione con piegatura e flessione con urto, oppure all’urto per trazione. Per quanto riguarda i tubi si possono effettuare prove di scorrimento e di resistenza alla pressione delle saldature.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - saldatura

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https://www.rmix.it/ - Progettazione ed Installazione di Linee di Tubazioni Industriali
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Progettazione ed Installazione di Linee di Tubazioni Industriali
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Quali sono le caratteristiche delle linnee di trasporto dei fluidi in una produzione industriale di Marco ArezioUna produzione industriale ha, normalmente, la necessità di essere supportata da una serie di fluidi, come l’acqua, l’aria compressa o il vapore.Per poter trasportare i diversi fluidi necessari al funzionamento degli impianti di produzione, bisogna poter contare su tubazioni progettate in base al fluido che dovranno contenere, la distanza del trasporto, il loro diametro e la pressione di lavoro. In questo articolo affrontiamo gli elementi che costituiscono una rete di distribuzione industriale dei fluidi e cosa dobbiamo tenere in considerazione per scegliere i migliori materiali adatti allo scopo. Una rete di tubi per il trasporto dei fluidi industriali può rientrare nella voce delle reti di servizio alla produzione e, per questo motivo, la loro installazione e manutenzione deve essere considerato nei costi degli impianti e in quelli di manutenzione. Quindi, è importante progettare, realizzare ed installare la miglior rete di tubature possibili, in modo da minimizzare i costi generali ed aumentarne la durata nel tempo. Infatti, è sempre utile prevedere un sovradimensionamento, ma con attenzione, della linea e degli elementi che sono a supporto, in quanto potrebbe essere necessario, in futuro, un aumento del fabbisogno di fluidi richiesto da un possibile incremento dei volumi di produzione, senza dover rifare le linee di trasporto. Gli elementi che costituiscono una linea di trasporto della fluida sono costituiti dai seguenti prodotti: • Tubi • Elementi di raccordo • Accessori In primo luogo possiamo dire che le linee di servizio alla produzione dovrebbero essere visibili e di facile accesso, in modo da poter svolgere le eventuali riparazioni o ispezioni, in modo veloce ed agevole, senza pregiudicare i tempi della produzione. Inoltre, ogni linea deve essere ben riconoscibile in base al flusso che in essa scorre, infatti, i dati che indicano la natura del fluido possono essere riportati sui tubi, in varie forme, quali il nome per esteso, l’abbreviazione o la formula chimica. Per le tubazioni convoglianti fluidi pericolosi, oltre al colore di base, deve essere presente il simbolo di pericolo e il nome o la formula del fluido. Occorre, infine, tenere presente che le tubazioni e tutti i componenti devono essere installati in modo da: • non intralciare il transito • non occupare spazi di lavoro • non essere danneggiati da mezzi di trasporto • non costituire barriera alla diffusione della luce naturale Scelta dei tubi da installare I materiali più comuni che compongono i tubi, utilizzati nelle linee di trasporto dei fluidi in produzione, sono la plastica, il rame, l’acciaio, la ghisa e, misura minore, il calcestruzzo. Per la scelta di una tipologia piuttosto che un’altra, deve essere considerato il tipo di fluido da trasportare, la pressione all’interno del tubo, la temperatura di esercizio, l’aggressività del fluido sulla linea e alcune considerazioni ambientali dello stabilimento, come l’umidità, il calore e l’aggressività di componenti esterni. Inoltre, influisce sulla scelta del tubo, in merito al fluido da trasportare, la filettatura o la saldatura delle giunzioni tra i tubi stessi, che dovrà tenere in considerazione le caratteristiche generali del fluido. Una volta scelto il materiale ed il tipo giuntura più adatta, viene determinato il diametro e lo spessore del tubo. Il diametro viene determinato in base alla portata del fluido da convogliare, tenendo conto di bilanciare economicamente i costi di installazione, crescenti al crescere del diametro delle tubazioni. Tubi in acciaio I tubi in acciaio sono, di gran lunga, la tipologia più usata nelle linee di produzione e vengono classificati in base al loro impiego: • Tubi filettabili • Tubi commerciali • Tubi per applicazioni meccaniche • Tubi per condotte • Tubi speciali • Tubi zincati I tubi in acciaio sono impiegati per il trasporto dei liquidi, anche in presenza di alte temperature, di gas, di sostanze non alterabili e di pressione. Tubi in ghisa I tubi di ghisa sferoidale sono ottenuti per centrifugazione e sono normalmente dotati di giunto a bicchiere con guarnizione in elastomero, oppure per particolari applicazioni, sono disponibili in versione flangiata. Vengono impiegati, normalmente, nel trasporto delle acque nere o del gas, attraverso degli appositi strati di rivestimento in base alla tipologia di fluido da contenere. Tubi in rame I tubi in rame sono caratterizzati da una conducibilità elettrica e termica elevatissime, superate solo da quelle dell'argento, inoltre il rame è molto resistente alla corrosione e non è magnetico. Vengono impiegati per trasportare l’acqua potabile, il gas combustibili, i gas medicali, l’acqua per il riscaldamento e i fluidi per condizionamento e refrigerazione. Infatti, il rame è impermeabile ai gas, facilmente piegabile, resiste alla corrosione e non invecchia se esposto alla radiazione solare. Tubi in plastica I tubi in plastica hanno avuto una veloce diffusione negli ultimi decenni, impiegandoli per il trasporto di liquidi e dei gas, in quanto possiedono una buona resistenza alla corrosione da parte degli agenti chimici, sono leggeri. flessibili e hanno ottime proprietà dielettriche. Grazie a tali caratteristiche, i tubi in plastica hanno trovato applicazione anche per il convogliamento (in pressione e per gravita) delle acque reflue inquinate. Per contro, quelli in PVC, per esempio, non sono adatti per pressioni di esercizio superiori a 16 bar e per temperature superiori a 60 °C o per frequenti variazioni di temperatura. Infine subiscono un sensibile invecchiamento (che li rende fragili) se sono sottoposti all’esposizione prolungata della luce e frequenti sbalzi termici. I principali materiali di cui sono costituiti i tubi di materiale polimerico sono: • Polipropilene (PP) • Polietilene (PE) • Policloruro di vinile (PVC) • Plastici rinforzati con fibre di vetro (PRFV) Un altro vantaggio molto importante delle tubature realizzate con i polimeri plastici è la loro notevole durata, specialmente quelli prodotti in PVC, che può raggiungere anche i 50 anni di esercizio se conservati e protetti in modo idoneo. Dilatazioni termiche La presenza di calore nella linea deve far riflettere, non solo sulla tipologia di materia prima da utilizzare per i tubi, ma anche sui comportamenti che queste materie prime possono avere durante le variazioni di temperatura in funzione della lunghezza della linea stessa. Non solo sono da tener presente, al fine della corretta progettazione dei tubi, le temperature di esercizio e di picco, ma anche gli sbalzi termici che possono avvenire tra parti di impianti più freddi e altri più caldi. Inoltre, in una tubazione rettilinea di diametro contenuto, l’allungamento può comportare una flessione (carico di punta) in grado di sollecitare pericolosamente le flange di collegamento della tubazione alle apparecchiature.Categoria: notizie - tecnica - produzione - linee di tubazioni

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https://www.rmix.it/ - Gli Elastomeri Termoplastici Riciclati - TPE: Quali sono e Come si Utilizzano
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Gli Elastomeri Termoplastici Riciclati - TPE: Quali sono e Come si Utilizzano
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Le giuste ricette portano alla creazione di miscele di TPE riciclabili dalle caratteristiche sorprendentidi Marco ArezioGli elastomeri termoplastici (TPE) sono degli elementi costituiti da famiglie differenti di materiali che si associano per creare un composto con caratteristiche migliorative. Chiamati anche gomme termoplastiche, sono, appunto, l’unione tra una plastica e una gomma, questo matrimonio permette di sfruttare le caratteristiche elastiche delle gomme, che si esprimono nella capacità di essere deformate in base ad una forza applicata, sia in lunghezze che in larghezza, per poi riprendere la forma originaria quando verrà meno la forza, e dall’altra la possibilità, come tutti i polimeri termoplastici, di essere lavorati e riciclati. Gli elastomeri termoplastici, quindi, possono essere facilmente impiegati nello stampaggio ad iniezione e nell’estrusione dei manufatti. I primi TPE furono messi sul mercato negli anni ’50 del secolo scorso, attraverso la produzione del polimero poliuretanico termoplastico, per poi allargare la gamma delle miscele, nei decenni successivi, ad altre tipologie di elastomeri termoplastici. I vantaggi dei TPE - Innanzitutto le miscele di TPE possono essere riciclate attraverso il sistema di riciclo meccanico e riutilizzati come nuova materia prima- Facilità di lavorazione rispetto alle gomme vulcanizzate, quindi con tempi di processo più veloci e costi minori dei prodotti finali - Ottima resistenza agli oli anche superiore alle gomme - Saldabilità e trasparenza in alcune formulazioni - Ottima resistenze sia alle basse temperature che a quelle alte - Possibilità di realizzare prodotti finiti più leggeri rispetto alle gomme vulcanizzate Quali sono i principali TPE - Compound poliolefinici come il TPO - Compound stirenici come l’SBS e SEBS - Compound poliuretanici - Compound a base Copoliestere - Compound vulcanizzati come il TPV Dove vengono impiegati gli Elastomeri Termoplastici - Settore medicale e farmaceutico per guarnizioni, valvole, tubi e oggetti che vanno in autoclave - Settore delle calzature per la produzione di suole, tacchi, sotto tacchi e scarpe antinfortunistiche - Settore alimentare ed agricolo come i supporti per i codici a barre, tubi da irrigazione, erba sintetica, cavi di blocco, separatori per frutta e verdura, supporti di marchiatura. - Edilizia come i rivestimenti tubi in acciaio, ingredienti per la modifica di bitumi stradali, elementi fonoassorbenti e antivibranti - Articoli sportivi come il rivestimento rigido per gli scarponi da sci, punte e code degli sci, tavole da snowboard, abbigliamento sportivo e per il nuoto - Automotive come i cruscotti, alcune parti della carrozzeria e del cambio, guarnizioni, coperture delle zone degli airbags, pannelli di portiere e rivestimenti vari. Come si riciclano i TPE La maggior parte dei prodotti fatti in TPE sono riciclabili attraverso gli impianti di riciclo meccanico, quindi, le operazioni che si effettueranno riguarderanno, la selezione del materiale, dividendo le varie tipologie di elastomeri termoplastici, la macinazione, il lavaggio se necessario, e la granulazione del materiale per riutilizzarlo in produzione. Una fase importante del processo riguarda sicuramente la selezione degli scarti in quanto, a volte, è possibile trovare rifiuti di TPE sui quali rimangono quantità anche apprezzabili di altri materiali di natura diversa, come per esempio le schiume poliuretaniche o i polietileni reticolati, che possono inquinare il prodotto finale.

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https://www.rmix.it/ - Polimeri Plastici nel Settore Calzaturiero: Materiali e Impieghi
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Polimeri Plastici nel Settore Calzaturiero: Materiali e Impieghi
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Polimeri Plastici nel settore Calzaturiero: Materiali e Impieghidi Marco ArezioL’Industria della plastica si è creata uno spazio importante nel campo delle suole e delle calzature che erano fino a qualche decennio fa di esclusiva del cuoio e ad altri materiali minori.La creazione di nuove ricette, il progresso chimico e tecnologico sugli impianti, ha permesso ai polimeri plastici di creare una valida alternativa alle suole tradizionali da impiegare in calzature sottoposte a forte usura, con una valenza protettiva per il piede, di isolamento termico, di flessibilità ed impermeabilità. Inoltre di pari passo alla crescita delle nuove formulazioni fatte con i polimeri vergini, il mercato dei polimeri riciclati sta offrendo diverse alternative attraverso prodotti sostenibili specialmente nel campo del PVC e dell’ABS. I materiali plastici che si usano maggiormente nel settore calzaturiero sono:Termoplastici: ABS, PVC, TR e TPU Poliuretanici bi-componenti: PUR a base polietere, PUR a base poliestere Copolimeri quali gomma ed EVA Vediamo nel dettaglio le caratteristiche e le applicazioni: ABS Anche se l’ABS non è un polimero di uso comune nelle calzature, trova impiego spesso nelle calzature antiinfortunistiche, come elemento di protezione della punta della scarpa. Il puntale, infatti, viene spesso fatto in ABS riciclato, da scarti post industriali, la cui ricetta viene adattata per conferire al puntale robustezza agli urti e flessibilità. TR o Gomma Termoplastica Con questo materiale si possono fabbricare suole da applicare o da inserite nella scarpa per iniezione diretta. Le gomme termoplastiche sono compounds il cui componente fondamentale è lo stirolo-butadiene-stirolo (SBS) addizionato con oli, polistiroli, cariche minerali, pigmenti, antiossidanti, ecc. Attraverso una corretta formulazione della ricetta del materiale le suole non presentano problemi di resistenza al freddo e possono mantenere un’ottima flessibilità a temperature molto inferiori allo 0° C. PVC, Cloruro di Polivinile Plastificato Il PVC è una delle materie plastiche più diffuse al mondo, non solo nel settore calzaturiero, ma viene usato anche per la creazione di zerbini, tappeti, fili, tubi, canne dell’acqua e molti altri prodotti. Nel settore delle calzature impermeabili, come gli stivali, le suole, i sandali, le ciabatte e gli accessori, il PVC ha trovato un vasto impiego essendo un materiale in continuo sviluppo tecnologico, avendo raggiunto oggi un buon livello di efficienza ambientale e garantendo una buona sicurezza in tutte le fasi del suo ciclo di vita. Infatti, nel mercato delle calzature, sono presenti volumi importanti di manufatti realizzati in PVC riciclato che permettono la costruzione di suole e calzature sostenibili, quindi riciclate e riciclabili. TPU, Poliuretano TermoplasticoIl TPU è un composto chimico formato da elastomeri poliuretanici trattati con le tecniche dei materiali termoplastici. La sua realizzazione passa attraverso il processo di addizione dell’isocianato, in un determinato intervallo di temperature, ricreando le caratteristiche elastiche della gomma. I Poliuretani termoplastici sono impiegati per diverse tipologie di suole destinate ad alcuni segmenti di calzature come lo sport, il lavoro e tempo libero. Le formule che caratterizzano i materiali per le suole in TPU cambiano a seconda delle tipologie di impiego della stessa e di conseguenza della calzatura. PUR, Poliuretano Bi-ComponenteIl Poliolo e l’Isocianato, in forma liquida, che fanno parte delle famiglie dei Polieteri e dei Poliesteri, sono due elementi chimici che caratterizzano la formazione del Poliuretano Bicomponente. La differenza tra queste due classi di appartenenza è basata sulla struttura della schiuma che si andrà a realizzare, infatti, utilizzando il polietere si crea una pelle superficiale compatta e, all’interno, la suola si presenterà con le cellule aperte, mentre utilizzando il poliestere si creerà una struttura con cellule chiuse. Eva, Etilvinil AcetatoEtilene e Acetato di Vinile sono i due principali componenti del polimero chiamato EVA, un polimero utilizzato per la costruzione di suole morbide e resistenti. La suola però non è costituita solo dai due componenti che formano il polimero principale ma, attraverso la giusta calibrazione di questi elementi e di reticolanti, cariche, espandenti, ed altro, si determinano le caratteristiche prestazionali del prodotto finale. Le caratteristiche principali sono la leggerezza, flessibilità, elasticità e una buona propensione a mantenere la forma originaria. Materiali Compositi L’evoluzione della moda, delle esigenze tecniche e dei costi generali del prodotto finito, hanno permesso la creazione di materiali composti da polimeri differenti ma affini tra di loro. I materiali Poliuretanici, la gomma e l’Eva sono i principali polimeri che vengono impiegati con lo scopo di creare combinazioni differenti in termini di aspetto estetico, di costi e di tecnica di impiego, allargando in modo sorprendente l’offerta sul mercato. Caratteristiche dei prodotti finitiLo studio e la realizzazione di nuove ricette polimeriche, per la creazione di nuove opportunità commerciali, non deve far dimenticare che le calzature e le suole stesse, devono rispondere a caratteristiche ben definite per il cliente finale. Esistono delle normative precise che devono essere rispettate nella costruzione di un prodotto per il settore calzaturiero, nelle quali si chiede che vengano sottoposti gli articoli a tests di comportamento. Vediamo i principali: Resistenza alle flessioni Resistenza all’ abrasione Resistenza alla delaminazione Resistenza allo scivolamento Stabilità dimensionale Resistenza all’invecchiamento Resistenza alla compressione Capacità di incollaggio Resistenza alla trazione Resistenza alla penetrazione dell’acqua Capacità di tenuta del punto di cucituraCategoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - calzature Vedi maggiori informazioni sui polimeri plastici

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https://www.rmix.it/ - Qualità del rifiuto in pvc per la produzione di un granulo riciclato
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Qualità del rifiuto in pvc per la produzione di un granulo riciclato
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Una buona selezione dello scarto di PVC determina una migliore qualità del granulo riciclato per produrre i raccordi stampati per i tubidi Marco ArezioCome accade per la produzione dei tubi lisci per il convogliamento dell’acqua fatti con granuli in PVC riciclato, anche la produzione dei raccordi dei tubi segue delle regole di produzione consigliabili. Tubi e raccordi in PVC, adatti per far defluire le acque dagli edifici, senza pressione, hanno un buon alleato che si sta rapidamente diffondendo nel mondo. Il materiale riciclato sta prendendo sempre più piede in questo campo dando una grande mano all’economia circolare e soprattutto all’ambiente. Il riutilizzare degli scarti in PVC per trasformarli in altri prodotti, non solo crea un’indipendenza dall’industria petrolifera che, per quanto utile, è la maggiore responsabile dell’effetto serra e del prosciugamento delle risorse naturali. Ove fosse possibile, l’evitare di sostenere ulteriormente l’industria dei polimeri vergini, di derivazione petrolifera, costituirebbe di certo un grande regalo all’ambiente e quindi a noi stessi. C’è poi da considerare l’aspetto dell’inquinamento creato dai rifiuti solidi, che la società produce ad un ritmo impressionante a causa di un consumismo senza freni. Questi rifiuti, attraverso i principi dell’economia circolare, sono da riutilizzare per ridurne il loro impatto sulla nostra vita. Nel mondo della produzione dei tubi e raccordi in PVC, gli scarti hanno assunto un ruolo importante in quanto, attraverso una corretta selezione di essi, si possono estrudere tubi ed iniettare raccordi senza utilizzare il materiale vergine. Per i raccordi, che vengono realizzati in forme e diametri differenti, gioca un ruolo molto importante l’origine del materiale che vogliamo riciclare e che destineremo alla produzione dei manufatti. Ci sono alcune tipologie di rifiuti che possono essere usati per questa tipologie di prodotto: I profili dei serramenti che devono essere completamente puliti da gomme, siliconi, guarnizioni e ogni parte metallica presente nelle finestre.Le tapparelle che devono presentare la completa asportazione dei meccanismi di movimento in metalloI tubi di scarico prodotti o raccolti, devono essere macinati senza essere mischiati con altri tubi (PP-LD o HD)Carte di credito come scarti di produzioneAnime per avvolgere prodotti in carta o film plasticiManufatti per la tornitura a forma cilindrica piena o con altre forme, risultanti dallo scarto di lavorazione da materiali vergini o riciclati La scelta di utilizzare sempre materiali altamente selezionati e provenienti da una filiera che non sia quella del post consumo, garantisce un vantaggio qualitativo alla fonte e, soprattutto, si evita il pericoloso problema dell’inquinamento dei macinati da estrusione o stampaggio con altre tipologie di plastiche che non sono distinguibili ad occhio nudo. Se non si dispone di un controllo diretto dell’input del PVC in entrata, ma si acquista il macinato o il granulo finito, prima di utilizzarlo è importante poter fare un’analisi di laboratorio per capire la composizione della materia prima in entrata. Sarebbe inoltre una buona regola disporre di un piccolo estrusore da laboratorio per simulare una produzione campione, verificando i comportamenti del materiale in fase di fusione.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - pvc

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https://www.rmix.it/ - L'Importanza degli Agenti di Adesione nelle Materie Plastiche: Innovazione e Sostenibilità
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L'Importanza degli Agenti di Adesione nelle Materie Plastiche: Innovazione e Sostenibilità
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Come la chimica degli agenti di adesione migliora l'efficacia dei materiali plastici e favorisce il riciclo in un'economia circolaredi Marco ArezioGli agenti di adesione sono composti fondamentali nell'industria delle materie plastiche e delle superfici composite, utilizzati per migliorare l'adesività tra materiali diversi. Questi agenti chimici, grazie alla loro capacità di formare ponti molecolari tra superfici eterogenee, rendono possibile la coesione tra materiali organici e inorganici, come plastiche, metalli, vetro o materiali polimerici. In un contesto di economia circolare, dove la riciclabilità dei materiali plastici è un obiettivo primario, l'uso di agenti di adesione gioca un ruolo chiave nell'ottimizzare la compatibilità tra diversi polimeri e additivi. Struttura Chimica e Funzionamento degli Agenti di Adesione Gli agenti di adesione operano grazie alla loro struttura chimica bifunzionale, che include un gruppo funzionale capace di legarsi a superfici inorganiche, come vetro, metalli o fibre, e un altro gruppo che può interagire con matrici polimeriche organiche. Ad esempio, i silani semi-organici e i titanati sono tra i più utilizzati per legare resine reattive rinforzate con fibre di vetro. Questi agenti agiscono creando un'interfaccia chimica che migliora la forza di adesione attraverso l'interazione tra i gruppi chimici presenti sulle superfici.L’efficacia dell'agente dipende dalla chimica superficiale del substrato e dalla natura del polimero. I gruppi funzionali devono essere scelti in base ai materiali da legare, garantendo compatibilità e reattività chimica. Per esempio, l'utilizzo di silani con gruppi idrolizzabili permette la formazione di legami covalenti tra superfici inorganiche e gruppi organici presenti nel polimero. Applicazioni degli Agenti di Adesione Gli agenti di adesione trovano vasta applicazione in vari settori industriali. Nella produzione di materiali plastici rinforzati o compositi come quelli utilizzati nei settori automobilistico e aerospaziale, essi sono cruciali per migliorare la resistenza meccanica e la durata dei componenti. Inoltre, vengono impiegati nella produzione di film multistrato per l'imballaggio, dove più strati di materiali plastici con proprietà diverse devono essere accoppiati senza che vi sia delaminazione.Inoltre, sono ampiamente utilizzati nel coating e nelle vernici, in cui è essenziale garantire una buona adesione tra il rivestimento e il substrato sottostante, sia esso metallico, plastico o composito. In molti casi, vengono utilizzati stearati come fase di pretrattamento per migliorare ulteriormente l'adesione di un additivo inorganico. In questo modo, il rivestimento non solo aderisce meglio, ma fornisce anche una protezione aggiuntiva contro la corrosione o il degrado termico. Compatibilità e Riciclo delle Materie Plastiche Una sfida rilevante nell’uso degli agenti di adesione è rappresentata dalla compatibilità tra i diversi materiali, soprattutto quando si tratta di materie plastiche miste o riciclate. In un'economia circolare, la gestione delle plastiche miste richiede una particolare attenzione per garantire che i diversi componenti non compatibili o debolmente compatibili possano essere trattati insieme senza comprometterne le prestazioni. Gli agenti di adesione possono essere utilizzati per migliorare la compatibilità tra polimeri differenti e per facilitare il riciclo delle materie plastiche, specialmente quando si ha a che fare con plastiche che normalmente non formerebbero legami forti.In questo contesto, i copolimeri VC, polimeri vinilpiridinici o polimeri acrilonitrile-acido metacrilico, vengono impiegati per migliorare la compatibilità tra plastiche miste. Questi copolimeri offrono la possibilità di creare un'interfaccia coesa tra polimeri differenti, facilitando così il riciclo e aumentando il valore del materiale riciclato. L'aggiunta di questi agenti consente di ottenere un prodotto finale con proprietà meccaniche ed estetiche ottimali, anche a partire da materiali di scarto o derivati dal riciclo. Innovazioni e Prospettive Future Con il continuo avanzamento delle tecnologie di produzione, l'uso degli agenti di adesione è destinato a crescere. Innovazioni nella chimica dei copolimeri e lo sviluppo di agenti di adesione bio-based rappresentano aree di ricerca promettenti. Questi nuovi materiali potrebbero ridurre l'impatto ambientale dei prodotti, rendendo l'intero processo più sostenibile.Inoltre, con la crescente attenzione verso il riciclo e la sostenibilità, si prevede che gli agenti di adesione continueranno a svolgere un ruolo fondamentale nel migliorare la compatibilità tra materiali, facilitando così l'integrazione di materiali riciclati all'interno di catene di produzione esistenti. Un esempio potrebbe essere l'impiego di resine epossidiche (EP) o resine fenoliche insieme a copolimeri per accoppiare materiali con proprietà chimiche molto diverse. Conclusioni Gli agenti di adesione rappresentano un elemento chiave per migliorare l'efficacia e la sostenibilità dei materiali plastici. Grazie alla loro capacità di creare legami chimici tra materiali diversi, essi migliorano la resistenza, la durabilità e la compatibilità tra i polimeri, rendendo possibile lo sviluppo di nuovi prodotti più performanti e facili da riciclare. L'innovazione in questo campo contribuirà sicuramente a una maggiore sostenibilità dei processi produttivi e all'integrazione di soluzioni più ecologiche nelle catene industriali, un aspetto cruciale per il futuro dell’economia circolare.© Riproduzione Vietata

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https://www.rmix.it/ - Polipropilene Atattico vs Isotattico: Caratteristiche, Produzione e Applicazioni
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Polipropilene Atattico vs Isotattico: Caratteristiche, Produzione e Applicazioni
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Conosciamo meglio i componenti della famiglia del Polipropilenedi Marco ArezioIl polipropilene, un polimero termoplastico ampiamente utilizzato in vari settori, esiste in diverse forme configurazionali, tra cui le più note sono l'atattico e l'isotattico. Questi termini descrivono la disposizione tattica (ordine di successione) dei gruppi metilici (-CH3) lungo la catena principale del polimero. La comprensione di queste forme e le loro proprietà è cruciale per l'industria delle materie plastiche, in quanto determina le applicazioni e i metodi di produzione del materiale. Cosa è il Polipropilene Atattico? Il polipropilene atattico (a-PP) presenta una disposizione casuale dei gruppi metilici lungo la catena polimerica. Questa configurazione atattica conferisce al materiale una flessibilità maggiore rispetto alla sua controparte isotattica, ma con una minore cristallinità e resistenza termica. L'a-PP è tipicamente amorfo, con una bassa densità e una resistenza chimica relativamente alta. La sua produzione avviene attraverso processi di polimerizzazione in fase gassosa, in soluzione o in sospensione, utilizzando catalizzatori specifici che favoriscono questa disposizione casuale. Cosa è il Polipropilene Isotattico? Il polipropilene isotattico (i-PP), al contrario, si caratterizza per la disposizione uniforme dei gruppi metilici, tutti orientati dalla stessa parte della catena polimerica. Questa configurazione conferisce al materiale un'elevata cristallinità, rendendolo più rigido e resistente al calore rispetto al polipropilene atattico. L'i-PP è prodotto mediante catalizzatori Ziegler-Natta o metalloceni, che consentono un controllo preciso sull'orientamento dei gruppi metilici. Questo tipo di polipropilene trova ampio uso in applicazioni che richiedono robustezza e resistenza termica, come l'imballaggio alimentare, i componenti automobilistici e i tessuti non tessuti. Produzione e Vantaggi sulle Miscele Plastiche La produzione di entrambe le forme di polipropilene richiede accurati processi di controllo per ottenere le proprietà desiderate. Il polipropilene isotattico, grazie alla sua cristallinità e resistenza termica, è ideale per applicazioni strutturali e di imballaggio, mentre l'atattico, con la sua flessibilità, trova applicazione come additivo per migliorare l'impatto e la lavorabilità di altre materie plastiche. I vantaggi dell'utilizzo di miscele di polipropilene includono la possibilità di ottimizzare le proprietà del materiale finale, come la resistenza agli urti, la trasparenza, e la lavorabilità, combinando le caratteristiche uniche di polimeri diversi. Ad esempio, l'aggiunta di polipropilene atattico a miscele plastiche può migliorare la loro elasticità e flessibilità, rendendole più adatte per applicazioni specifiche che richiedono tali caratteristiche. Differenze Tecniche nella Produzione di Prodotti Finiti La scelta tra polipropilene atattico e isotattico nella produzione di prodotti finiti dipende strettamente dalle proprietà fisiche richieste dall'applicazione finale. Il polipropilene isotattico, essendo più rigido e resistente, è spesso preferito per creare oggetti che devono sopportare carichi o temperature elevate. D'altra parte, l'atattico, con la sua maggiore flessibilità, è ideale per applicazioni che richiedono una certa elasticità, come film sottili o componenti che devono assorbire gli urti senza rompersi. In conclusione, la comprensione delle differenze tra polipropilene atattico e isotattico è fondamentale per l'industria delle materie plastiche. Questa conoscenza permette di scegliere il materiale più adatto in base alle esigenze specifiche di ogni applicazione, sfruttando al meglio le proprietà uniche di ciascuna forma per produrre articoli con le prestazioni desiderate. Con l'evoluzione continua dei processi produttivi e dei catalizzatori, si prevede che l'innovazione nel campo dei polimeri continuerà a offrire nuove opportunità per lo sviluppo di materiali sempre più avanzati e sostenibili.

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https://www.rmix.it/ - Quando e Come Usare la Cera di Polietilene nei Polimeri Riciclati
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Quando e Come Usare la Cera di Polietilene nei Polimeri Riciclati
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Un additivo di grande efficacia per migliorare alcune prestazioni dei prodotti plasticidi Marco ArezioNella realizzazione di ricette polimeriche con alte prestazioni fisico-meccaniche ed estetiche, la cera di polietilene si è ricavata uno spazio di tutto rispetto. Se diventa più istintivo e facile da abbinare ad un polimero vergine, l’impiego della cera di polietilene nei polimeri riciclati ha bisogno di alcune nozioni suppletive.Cosa è la cera di polietilene La cera di polietilene è un tipo di elemento prodotto dalla polimerizzazione dell'etilene, un idrocarburo, infatti essa è spesso utilizzata in una serie di applicazioni industriali in virtù della sua resistenza, flessibilità e impermeabilità all'acqua. E’ comunemente usata in prodotti come vernici, rivestimenti, cosmetici, polimeri e prodotti per la cura dell'auto. Nei cosmetici, per esempio, può essere utilizzata come agente condizionante della pelle o per dare struttura e consistenza al prodotto. Va ricordato che, essendo un prodotto sintetico, non è biodegradabile e può avere un impatto ambientale se non gestita in maniera responsabile. Come viene usata la cera di polietilene nei polimeri riciclati La cera di polietilene viene utilizzata nei polimeri riciclati principalmente come agente di processo. Questo significa che viene aggiunta durante la fase di produzione per migliorare le proprietà del materiale finale. Uno dei principali problemi con il riciclo dei polimeri è che il processo può degradare le proprietà del materiale, rendendolo meno utile per le applicazioni future. Tuttavia, l'aggiunta di cera di polietilene può aiutare a contrastare questo problema. La cera di polietilene può migliorare quindi la lavorabilità dei polimeri riciclati, rendendoli più facili da modellare. Può anche migliorare le proprietà superficiali del prodotto in plastica riciclato, come la lucentezza e la resistenza all'abrasione. Inoltre, può agire come un lubrificante, riducendo l'attrito tra le particelle del polimero durante la lavorazione. Questo può aiutare a prevenire problemi come l'adesione eccessiva o l'agglomerazione delle masse polimeriche. In definitiva, l'uso della cera di polietilene nei polimeri riciclati può contribuire a produrre un materiale di migliore qualità che può essere utilizzato in una gamma più ampia di applicazioni. Con quali polimeri si può usare la cera di polietilene e quali vantaggi si ricavano La cera di polietilene è versatile e può essere utilizzata con una varietà di polimeri, sia sintetici che naturali. Polietilene (PE) La cera di polietilene può essere utilizzata con il polietilene stesso per migliorare la lavorabilità, la lucentezza e la resistenza all'abrasione dei prodotti. Polipropilene (PP) Quando utilizzata con il polipropilene, la cera può migliorare le proprietà di flusso del materiale, facilitandone la lavorazione. Policloruro di vinile (PVC) E’ spesso utilizzata come lubrificante interno ed esterno nella lavorazione del PVC. Come lubrificante interno, migliora il processo di fusione e miscelazione del PVC, mentre come lubrificante esterno, aiuta a prevenire l'adesione del PVC caldo agli attrezzi e alle apparecchiature di lavorazione. Polistirene (PS) e altri polimeri stirenici In questi materiali, la cera di polietilene può aiutare a migliorare le proprietà di flusso e la resistenza al calore. Poliacrilonitrile butadiene stirene (ABS) Può migliorare le proprietà di flusso del ABS durante la lavorazione, rendendo il materiale più facile da modellare e lavorare. Nell'industria dei colori e delle vernici, la cera di polietilene viene spesso utilizzata per migliorare la resistenza all'abrasione, la resistenza all'acqua, la durezza e la brillantezza dei rivestimenti. Inoltre, può essere utilizzata per modulare la viscosità di vernici e inchiostri. Come la cera di polietilene può migliorare la lucentezza della plastica Quando la plastica si raffredda e si solidifica, la cera di polietilene aiuta a produrre una superficie più liscia e lucida. Questo accade perché riempie le microscopiche irregolarità della superficie del polimero, creando una superficie più riflettente e quindi più lucente. Inoltre, la cera di polietilene può anche agire come un agente rilasciante durante l'estrusione, prevenendo l'adesione del polimero fuso all'attrezzatura di lavorazione. Questo può aiutare a produrre prodotti finiti con una superficie più liscia e uniforme, che contribuisce ad aumentare la lucentezza. Come la cera di polietilene può migliorare la resistenza all'abrasione? La resistenza all'abrasione di un materiale si riferisce alla sua capacità di resistere all'usura quando viene sfregato o graffiato. Nei polimeri, l'aggiunta di cera di polietilene può migliorare la resistenza all'abrasione in vari modi: Riduzione del coefficiente di attrito La cera di polietilene agisce come un lubrificante, riduce il coefficiente di attrito sulla superficie del polimero. Questo significa che quando un oggetto viene sfregato contro la superficie, scivola più facilmente e causa meno danni. Riempimento delle microcavità In questo caso può riempire le microscopiche irregolarità sulla superficie del polimero, creando una superficie più liscia e uniforme che è meno suscettibile all'abrasione. Aumento della durezza della superficie Quando la cera si solidifica nella matrice del polimero contribuisce ad aumentare la durezza della superficie, rendendola più resistente all'usura. Miglioramento della compatibilità dei materiali di riempimento In alcuni polimeri, il prodotto può migliorare la compatibilità tra il polimero e i materiali di riempimento utilizzati, che possono favorire la resistenza all'abrasione. Tuttavia, è importante notare che l'effetto della cera di polietilene sulla resistenza all'abrasione può variare a seconda del tipo di polimero e delle specifiche del processo di produzione. Inoltre, l'aggiunta di troppa cera di polietilene può avere l'effetto opposto e ridurre la resistenza all'abrasione, quindi è importante trovare il giusto equilibrio. Perchè unendo la cera di polietilene ai polimeri ne aumentiamo la lavorabilità? L'aggiunta di cera di polietilene ai polimeri può migliorare la loro lavorabilità attraverso vari meccanismi: La cera di polietilene funge da lubrificante durante il processo di lavorazione dei polimeri, riducendo l'attrito tra le particelle stesse. Questo può facilitare la lavorazione, riducendo l'energia necessaria per modellare o deformare il materiale. La cera di polietilene può anche migliorare le proprietà di flusso del polimero durante la fusione. Questo significa che il materiale fuso fluisce più facilmente, il che può favorire la lavorazione e ridurre il rischio di difetti nel prodotto finale. Può inoltre aiutare a ridurre l'adesione del polimero fuso all'attrezzatura di lavorazione. Questo aiuta a prevenire problemi come l'agglomerazione e facilitare la rimozione del prodotto finale dall'attrezzatura. In alcuni polimeri, la cera di polietilene può migliorare anche la compatibilità tra il polimero e i materiali di riempimento utilizzati. Questo può facilitare la lavorazione e aiutare a ottenere un prodotto finale di migliore qualità. Come dosare la cera di polietilene con i polimeri durante l'estrusione? Il dosaggio della cera di polietilene in un polimero durante il processo di estrusione può variare a seconda di vari fattori, tra cui il tipo di polimero, le specifiche del processo di estrusione, e le proprietà desiderate del prodotto finale. Tuttavia, ci sono alcuni principi generali che possono essere utilizzati come punto di partenza. In generale, la cera di polietilene è solitamente utilizzata in concentrazioni che variano dall'1% al 5% in peso rispetto al polimero. Questo significa che per ogni 100 grammi di polimero, si potrebbe utilizzare da 1 a 5 grammi di cera di polietilene. Durante il processo di estrusione, la cera di polietilene viene generalmente aggiunta al polimero mentre è in fase di fusione. Dopo l'aggiunta di questo additivo, il mix di polimero e cera viene raffreddato e solidificato per formare il prodotto finale. Durante questo processo, la cera di polietilene può aiutare a migliorare, come abbiamo detto, le proprietà del prodotto, come la lucentezza, la resistenza all'abrasione, e la lavorabilità. Come si presenta la cera di polietilene per essere additivata ai polimeri? La cera di polietilene, quando pronta per essere additivata ai polimeri, di solito si presenta in forma solida a temperatura ambiente. Può essere disponibile in diverse forme fisiche, tra cui granuli, fiocchi, polvere, o perle. La forma esatta può variare a seconda delle esigenze di produzione e delle preferenze del produttore. Le cere in forma di granuli o perle sono spesso preferite per la loro facilità di manipolazione e dosaggio. Possono essere facilmente misurate e aggiunte al polimero durante il processo di produzione.

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https://www.rmix.it/ - I Cavi Sottomarini per le Telecomunicazioni: Struttura, Materiali, Produzione, Posa, Durata e Riciclo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I Cavi Sottomarini per le Telecomunicazioni: Struttura, Materiali, Produzione, Posa, Durata e Riciclo
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Dal polietilene ad alta densità al poliuretano: come sono fatti, come vengono posati e quanto durano i cavi sottomarini che mantengono il mondo connessodi Marco ArezioI cavi sottomarini per le telecomunicazioni sono la spina dorsale del traffico globale di dati, permettendo a Internet e alle reti telefoniche di collegare continenti distanti. Nonostante l'immagine spesso invisibile che abbiamo di queste infrastrutture, i cavi sottomarini sono essenziali per mantenere il mondo connesso. Ma come sono fatti? Quali materiali vengono utilizzati e come riescono a durare così a lungo negli ambienti ostili degli oceani? Esploriamo questi aspetti con un focus particolare sui polimeri utilizzati e le loro funzioni. Struttura di un Cavo Sottomarino per le Telecomunicazioni La struttura di un cavo sottomarino può sembrare semplice, ma è un concentrato di tecnologia progettato per resistere a pressioni enormi e a condizioni ambientali difficili. Al cuore del cavo troviamo le fibre ottiche, che trasportano segnali sotto forma di luce, rendendo possibile la trasmissione di grandi quantità di dati. Queste fibre sono incredibilmente sottili e fragili, quindi devono essere protette da diversi strati di materiali. Il nucleo delle fibre è circondato da un rivestimento protettivo in polimero, solitamente un polimero acrilico. Questo strato è fondamentale per mantenere l'integrità delle fibre, evitando che subiscano danni fisici o vengano a contatto con l'umidità. Tra le fibre ottiche e i successivi strati del cavo, spesso si utilizza un gel impermeabile che agisce come barriera ulteriore contro l'acqua. Man mano che si aggiungono strati di protezione, troviamo una guaina metallica, generalmente in acciaio o alluminio, per proteggere il nucleo del cavo. Questo strato di metallo è resistente alla corrosione e impedisce che il cavo venga danneggiato da pressioni esterne, colpi o persino morsi di creature marine. Il rivestimento finale del cavo è composto da materiali polimerici, i quali offrono la protezione più esterna e determinano la sua longevità nelle profondità marine. Polimeri Utilizzati nella Costruzione del Cavo Uno dei principali protagonisti della costruzione dei cavi sottomarini è il polietilene ad alta densità (HDPE). Questo polimero è largamente utilizzato grazie alle sue proprietà: è resistente all'acqua, chimicamente stabile, durevole e relativamente economico da produrre. Essendo un polimero termoplastico, l'HDPE è anche facile da modellare e lavorare in spessori sottili o più consistenti, a seconda delle esigenze strutturali del cavo. Oltre alla sua funzione di isolante, l'HDPE è fondamentale per proteggere il cavo dall'usura causata da correnti marine, sabbia e detriti sottomarini. Un altro polimero chiave è il poliuretano, utilizzato principalmente come rivestimento esterno nei cavi destinati a condizioni particolarmente estreme, come zone vulcaniche o aree a elevata attività sismica. Il poliuretano è elastico e ha un'alta resistenza all'abrasione, due caratteristiche che lo rendono ideale per proteggere il cavo da eventuali danni fisici. Oltre ai polimeri principali come HDPE e poliuretano, altri materiali polimerici, come le resine acriliche, vengono utilizzati nei rivestimenti interni che avvolgono le singole fibre ottiche, proteggendole dall'umidità e da micro urti che potrebbero comprometterne la funzionalità. Infine, in alcune applicazioni specifiche si possono utilizzare materiali come il polipropilene, che ha una resistenza chimica superiore e viene talvolta preferito nei cavi posati in acque particolarmente aggressive dal punto di vista chimico. Produzione dei Cavi Sottomarini per le Telecomunicazioni La produzione di un cavo sottomarino è un processo estremamente complesso, suddiviso in varie fasi. In primo luogo, vengono prodotte le fibre ottiche, le vere protagoniste del trasporto dei dati. Queste fibre vengono realizzate tramite un processo chiamato tiratura, in cui un preformato di vetro viene riscaldato e allungato fino a ottenere un filo sottile. Una volta pronte, le fibre vengono avvolte nei polimeri acrilici, che le proteggono dai danni fisici. Successivamente, si procede con l’aggiunta degli strati di protezione in acciaio o alluminio. Questi materiali metallici sono essenziali per proteggere il cavo dalle forze esterne e dalla corrosione. L’intero nucleo viene poi rivestito con strati multipli di HDPE o poliuretano, a seconda delle esigenze del cavo e delle condizioni a cui sarà sottoposto. Prima di essere inviati per la posa in mare, i cavi sono sottoposti a test rigorosi per assicurare che siano in grado di resistere alle enormi pressioni sottomarine e alle sollecitazioni meccaniche che incontreranno durante la loro lunga vita operativa. Posa dei Cavi Cavi Sottomarini per le Telecomunicazioni La posa di un cavo sottomarino è un'operazione che richiede una pianificazione meticolosa e un’attrezzatura altamente specializzata. Il primo passo è la mappatura dei fondali marini, un’operazione che prevede l’utilizzo di sonar e altri strumenti di rilevamento per trovare il percorso ottimale. Le navi posacavi, enormi e dotate di attrezzature avanzate, hanno il compito di rilasciare lentamente il cavo sul fondale, evitando qualsiasi danno durante il processo. In alcune zone, dove il fondale è particolarmente accidentato o dove c’è rischio di collisioni con altre infrastrutture o attività umane, vengono utilizzati aratri sottomarini che scavano una trincea in cui posare il cavo. Questa operazione consente al cavo di rimanere protetto da eventuali urti o incidenti. Una volta che il cavo raggiunge la costa, viene collegato alle infrastrutture terrestri e testato per verificare che tutto funzioni correttamente. Durata e Manutenzione dei Cavi Cavi Sottomarini per le Telecomunicazioni I cavi sottomarini sono progettati per durare tra i 25 e i 30 anni, ma la loro durata può variare in base alle condizioni ambientali. Alcuni cavi possono necessitare di manutenzione prima del termine della loro vita operativa, specialmente in aree caratterizzate da attività umane, come la pesca o il traffico marittimo. La manutenzione di un cavo sottomarino è un'operazione delicata. Se si verifica un guasto, navi specializzate vengono inviate a localizzare il punto danneggiato, sollevare il cavo dalla profondità del mare e ripararlo in superficie. Questo processo può essere molto costoso e richiede tempo, ma è essenziale per garantire la continuità delle comunicazioni globali. Riciclo dei Cavi Sottomarini per le TelecomuunicazioniUna volta che un cavo sottomarino ha terminato la sua vita utile, sorge la questione del riciclo. Tradizionalmente, molti cavi venivano lasciati sul fondo del mare, ma oggi, con l'attenzione crescente verso la sostenibilità, si cerca sempre più di recuperare e riciclare queste infrastrutture. Il processo di riciclo inizia con il recupero del cavo dal fondale, un'operazione simile a quella della posa. Una volta portato a terra, il cavo viene trasportato in impianti specializzati, dove viene separato in componenti. I metalli come il rame e l'acciaio vengono recuperati e riutilizzati in nuovi processi produttivi, mentre i polimeri possono essere riciclati o, in alcuni casi, utilizzati per il recupero energetico. Il riciclo dei cavi sottomarini è un passo importante verso la creazione di un’economia circolare e sostenibile, riducendo al minimo l'impatto ambientale delle infrastrutture telecomunicative. Conclusioni I cavi sottomarini per le telecomunicazioni sono delle vere e proprie meraviglie tecnologiche. Costruiti con materiali avanzati come l'HDPE e il poliuretano, questi cavi sono progettati per resistere per decenni nelle profondità marine, trasmettendo dati e comunicazioni vitali per l'economia globale. Nonostante la loro complessità, il futuro dei cavi sottomarini guarda sempre più verso un approccio sostenibile, puntando sul riciclo e sull'uso di materiali che possano essere recuperati e riutilizzati in modo efficace.

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https://www.rmix.it/ - Prestazioni di Polimeri ad Alto Contenuto di Solfoni per lo Stoccaggio Energetico
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Prestazioni di Polimeri ad Alto Contenuto di Solfoni per lo Stoccaggio Energetico
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Miglioramento delle Membrane a Scambio Protonico per le Tecnologie Energetiche del Futurodi Marco Arezio Il crescente bisogno di tecnologie di stoccaggio energetico efficienti e sostenibili ha spinto la ricerca verso materiali innovativi, tra cui i polimeri ad alto contenuto di solfoni. Questi polimeri sono utilizzati per migliorare le prestazioni delle membrane a scambio protonico, una componente essenziale per molte tecnologie energetiche, tra cui celle a combustibile e batterie a flusso redox. In questo articolo verranno esplorati i recenti sviluppi nell'uso di polimeri solfonati per lo stoccaggio energetico, con un approfondimento sulle loro proprietà chimiche, sulle prestazioni e sui progressi nella stabilità termica e meccanica, nonché una spiegazione dettagliata del funzionamento delle membrane a scambio protonico, delle celle a combustibile e delle batterie a flusso redox. Introduzione alle Membrane a Scambio Protonico (PEM) Le membrane a scambio protonico (PEM, Proton Exchange Membranes) sono dispositivi chiave per numerose applicazioni nel campo delle energie rinnovabili, in particolare nelle celle a combustibile e nelle batterie a flusso redox. Le PEM sono membrane polimeriche che permettono il passaggio selettivo dei protoni (ioni H⁺) mentre impediscono il passaggio di altri ioni e gas. Questa caratteristica è fondamentale per la conversione e lo stoccaggio dell'energia elettrochimica, in quanto consente un efficiente trasferimento di carica nelle reazioni redox. Le PEM sono costituite principalmente da materiali polimerici solfonati, che favoriscono una conduttività protonica elevata, necessaria per il buon funzionamento delle tecnologie energetiche avanzate. Struttura e Proprietà dei Polimeri Solfonati I polimeri ad alto contenuto di solfoni sono caratterizzati dalla presenza di gruppi solfonici (-SO₃H) lungo la catena polimerica. Questi gruppi sono responsabili dell'elevata conduzione protonica, fondamentale per l'efficienza delle PEM. Il contenuto di solfoni influisce direttamente sulla capacità del polimero di trasportare protoni, poiché i gruppi solfonici forniscono i siti necessari per la migrazione protonica. Tuttavia, la presenza di un elevato numero di gruppi solfonici può compromettere la stabilità meccanica e termica del polimero, rendendo necessaria un'ottimizzazione tra conduttività e resistenza strutturale. Modifiche Strutturali per Migliorare le Prestazioni Per migliorare le prestazioni delle membrane, i polimeri ad alto contenuto di solfoni vengono spesso modificati con l'introduzione di rinforzi fisici o chimici. Un approccio comune è l'uso di materiali compositi, in cui i polimeri solfonati sono combinati con microcristalli di cellulosa o altre nanoparticelle per aumentare la stabilità meccanica senza ridurre significativamente la conduttività protonica. Altri metodi prevedono la reticolazione chimica, che migliora la resistenza termica del materiale, riducendo la solubilizzazione in acqua, una delle principali cause di degrado delle PEM. Prestazioni Elettrochimiche e Stoccaggio Energetico Le prestazioni elettrochimiche dei polimeri solfonati dipendono in gran parte dalla loro capacità di mantenere elevati livelli di conduzione protonica in condizioni operative variabili. I polimeri con un elevato contenuto di solfoni mostrano un'elevata conduttività, ma sono suscettibili a problemi di idratazione e stabilità termica. Recenti sviluppi hanno portato all'introduzione di nuovi polimeri che combinano un'elevata densità di gruppi solfonici con miglioramenti nella resistenza meccanica, grazie all'uso di reticolanti o materiali rinforzanti. Celle a Combustibile a Membrana a Scambio Protonico (PEMFC) Le celle a combustibile a membrana a scambio protonico (PEMFC) sono dispositivi elettrochimici che convertono l'energia chimica di un combustibile (generalmente idrogeno) direttamente in energia elettrica, con l'acqua come unico prodotto di scarto. Nelle PEMFC, la membrana a scambio protonico agisce come un elettrolita solido, separando i reagenti (idrogeno e ossigeno) e facilitando il trasferimento di protoni dall'anodo al catodo. Questo processo è cruciale per la produzione di energia elettrica, poiché consente un'elevata efficienza di conversione e riduce significativamente le emissioni inquinanti rispetto ai metodi tradizionali di produzione di energia. Batterie a Flusso Redox e il Ruolo delle Membrane a Scambio Protonico Le batterie a flusso redox sono un'altra applicazione significativa delle membrane a scambio protonico. Queste batterie immagazzinano energia in soluzioni elettrolitiche contenenti specie redox, che circolano attraverso una cella elettrochimica. Le PEM fungono da barriera selettiva tra i due serbatoi di elettroliti, permettendo il passaggio dei protoni e impedendo la miscelazione delle soluzioni. Questa separazione è fondamentale per mantenere l'efficienza della reazione redox e garantire una lunga durata della batteria. Le batterie a flusso redox sono particolarmente interessanti per l'accumulo di energia da fonti rinnovabili intermittenti, come l'energia solare ed eolica, poiché offrono una grande flessibilità e scalabilità. Sfide e Prospettive Future nello Sviluppo di Polimeri per lo Stoccaggio Energetico Nonostante i progressi, rimangono problemi significativi per l'uso diffuso di polimeri solfonati nelle applicazioni energetiche. La principale sfida è rappresentata dalla necessità di bilanciare la conduttività protonica con la stabilità meccanica e chimica. Studi futuri potrebbero concentrarsi su nuovi approcci di reticolazione o sulla sintesi di polimeri con una distribuzione più ottimale dei gruppi solfonici lungo la catena polimerica. Inoltre, lo sviluppo di materiali compositi e l'uso di nanomateriali rappresentano promettenti direzioni di ricerca per migliorare le prestazioni delle PEM senza compromettere la loro stabilità. Conclusioni I polimeri ad alto contenuto di solfoni rappresentano una soluzione promettente per lo stoccaggio energetico, grazie alla loro elevata conduttività protonica e alle applicazioni nelle tecnologie elettrochimiche avanzate come le celle a combustibile e le batterie a flusso redox. La ricerca è in continua evoluzione per superare le limitazioni attuali, e i recenti progressi nella modifica strutturale dei polimeri e nello sviluppo di compositi indicano un percorso promettente verso l'adozione su larga scala di queste tecnologie.© Riproduzione Vietata

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