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https://www.rmix.it/ - Africa: Discarica Occulta d'Europa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Africa: Discarica Occulta d'Europa
Ambiente

L'oscuro viaggio dei rifiuti tossici dall'Italia all'Africa, un affare criminale da 20 miliardi di euro di Marco ArezioL'Africa, da tempo al centro di una crisi ambientale aggravata dall'importazione illegale di rifiuti dall'Europa, è diventata la destinazione finale per enormi quantità di materiale spesso pericoloso. Questo business illegale, che vede l'Italia come uno dei principali snodi, genera un giro d'affari mondiale stimato in 20 miliardi di euro. Nel corso degli ultimi mesi, sono stati effettuati significativi sequestri in Toscana, Campania e Emilia-Romagna, che hanno messo in luce la portata di questa attività criminale. Il Meccanismo del Traffico Illecito Il processo di trasporto di rifiuti dall'Europa all'Africa è complesso e altamente organizzato. I rifiuti, spesso di natura pericolosa come materiali tossici, elettronici o plastici non riciclabili, vengono stipati in container e spediti ufficialmente come "materiali per il riciclo". Paesi come Tunisia, Ghana, Senegal e Mauritania finiscono per essere le destinazioni principali di questi carichi illeciti. Queste spedizioni sono spesso camuffate da legittime esportazioni di rifiuti destinati al riciclaggio. Tuttavia, una volta giunti a destinazione, i rifiuti vengono frequentemente abbandonati in discariche all'aperto o bruciati, causando gravi danni ambientali e rischi per la salute pubblica. Le regolamentazioni esistenti, come la Convenzione di Basilea sulla movimentazione transfrontaliera dei rifiuti, sono sistematicamente violate in questo processo. L'Inchiesta e i Sequestri in Italia Le autorità italiane, in risposta a crescenti preoccupazioni, hanno intensificato le indagini e i controlli sui movimenti di rifiuti destinati all'esportazione. Negli ultimi mesi, significativi sequestri sono stati effettuati in diverse regioni, tra cui Toscana, Campania e Emilia-Romagna. Questi sequestri hanno rivelato non solo la scala dell'illecito ma anche le sofisticate tecniche di mascheramento usate dagli operatori del settore. Le indagini hanno evidenziato come molte delle aziende coinvolte utilizzino documentazione falsa per classificare i rifiuti come materiali non pericolosi. Inoltre, sono stati scoperti accordi corrotti con funzionari locali, sia in Italia che nei paesi di destinazione, per facilitare l'ingresso dei rifiuti nei mercati africani senza le dovute verifiche. Impatto Ambientale e Sanitario L'impatto di queste pratiche illecite è devastante per l'ambiente e la salute delle popolazioni locali. Le discariche illegali, spesso situate vicino a comunità vulnerabili, contaminano il suolo e le acque, portando malattie e problemi sanitari a lungo termine. Inoltre, la combustione incontrollata di plastica e rifiuti elettronici rilascia sostanze chimiche tossiche nell'aria, contribuendo a un più ampio problema di inquinamento atmosferico. Risposta Internazionale e Azioni Future La comunità internazionale, comprese le organizzazioni ambientali e le agenzie delle Nazioni Unite, ha richiamato ad una maggiore cooperazione tra i paesi per fermare il traffico di rifiuti. È urgente un rafforzamento delle leggi e delle misure di controllo, nonché una maggiore trasparenza e tracciabilità delle spedizioni di rifiuti. Inoltre, è fondamentale che i paesi europei, inclusa l'Italia, investano in tecnologie di riciclaggio più avanzate e in politiche di gestione dei rifiuti sostenibili, per ridurre la quantità di rifiuti prodotti e la loro pericolosità. Il traffico illecito di rifiuti verso l'Africa rappresenta non solo un grave rischio ambientale e sanitario, ma solleva anche questioni morali e etiche urgenti che richiedono un'immediata azione collettiva. La gestione irresponsabile e illegale dei rifiuti, specialmente quelli pericolosi, non è solo un problema di non conformità alle normative internazionali, ma riflette una più ampia crisi di responsabilità ambientale e umanitaria. Per affrontare efficacemente il fenomeno, è essenziale esaminare ulteriormente le dinamiche di questo traffico, le sue conseguenze e le misure necessarie per eradicarlo.

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https://www.rmix.it/ - Un Viaggio Storico tra gli Impatti e le Conseguenze dei Tests Atomici
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Un Viaggio Storico tra gli Impatti e le Conseguenze dei Tests Atomici
Ambiente

Dal 1945 ad Oggi: Esaminando l'Eredità e le Ripercussioni degli Esperimenti Nucleari nel Mondodi Marco ArezioIl ventesimo secolo ha segnato l'ingresso dell'umanità nell'era nucleare, un periodo definito non solo da un'accelerazione tecnologica senza precedenti ma anche da una crescente consapevolezza dei rischi associati all'energia nucleare. Gli esperimenti nucleari condotti in diverse parti del mondo hanno avuto conseguenze di vasta portata, incidendo profondamente sull'ambiente e sulla salute delle popolazioni vicine. Questo articolo scientifico si propone di esaminare in dettaglio tali esperimenti, le loro ripercussioni e le lotte delle comunità esposte alle radiazioni. Lo Sviluppo delle Armi Nucleari e la Sperimentazione Globale La corsa al nucleare iniziò con il Progetto Manhattan Americano e culminò con il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Questi eventi non solo posero fine alla Seconda Guerra Mondiale ma aprirono anche la strada a un'era di sperimentazione nucleare da parte di varie nazioni. Questi test variavano dalla detonazione di bombe atomiche a fissione alle più potenti bombe all'idrogeno, testate in atmosfera, sott'acqua e sottoterra. Contaminazione Radioattiva e gli Effetti sulla Salute La contaminazione radioattiva deriva dal rilascio non controllato di materiali radioattivi nell'ambiente a seguito di esplosioni nucleari. Questi materiali possono avere un'emivita che varia da pochi giorni a migliaia di anni, il che significa che la loro presenza nell'ambiente può essere prolungata e potenzialmente pericolosa per lungo tempo. Dispersione di Isotopi Radioattivi: Durante un'esplosione nucleare, isotopi come il cesio-137, lo iodio-131 e lo stronzio-90 vengono rilasciati nell'atmosfera. Essi possono depositarsi sul suolo e nell'acqua, entrando nelle catene alimentari. Il cesio-137, ad esempio, può essere assorbito dalle piante e, successivamente, dai vegetali e dagli animali che le consumano, raggiungendo infine gli esseri umani. Impatto Ambientale: La contaminazione del suolo e dell'acqua compromette gli ecosistemi, riducendo la biodiversità e alterando gli equilibri ecologici. Inoltre, la contaminazione di grandi estensioni di terra può rendere inabitabili vaste aree, con effetti devastanti per le comunità umane e animali che in quelle aree vivono. Effetti sulla Salute Umana L'esposizione alle radiazioni può avere un ampio spettro di effetti sulla salute, la cui gravità dipende dalla dose di radiazione assorbita, dal tipo di radiazione e dalla durata dell'esposizione. Cancro e Leucemia: L'effetto più noto dell'esposizione alle radiazioni è l'aumento del rischio di sviluppare cancro, in particolare leucemia e tumori solidi. Le radiazioni danneggiano il DNA delle cellule, aumentando la probabilità di mutazioni genetiche che possono portare allo sviluppo di tumori. Effetti Genetici: Esiste anche il rischio di effetti genetici, dove le radiazioni possono causare danni al DNA delle cellule riproduttive, portando a mutazioni che possono essere trasmesse alla prole. Questo può risultare in un aumento delle malformazioni congenite e di altri problemi genetici nelle generazioni future. Malattie Non Maligne: Oltre al cancro, l'esposizione alle radiazioni può portare a una varietà di condizioni non maligne, come malattie cardiovascolari, cataratte, e disfunzioni del sistema immunitario. Questi effetti possono manifestarsi anni dopo l'esposizione, complicando l'attribuzione diretta delle cause. Gli Esperimenti Nucleari all'Atollo di Bikini (USA)L'Atollo di Bikini, parte delle Isole Marshall nell'Oceano Pacifico, è diventato tristemente noto per gli esperimenti nucleari condotti dagli Stati Uniti tra il 1946 e il 1958. Questa serie di test ha avuto profonde ripercussioni sull'ambiente, sulla salute degli abitanti locali e sulla percezione globale dell'energia nucleare. Preparazione e Spostamento della Popolazione Nel 1946, gli Stati Uniti scelsero l'Atollo di Bikini come sito per testare gli effetti delle armi nucleari sull'equipaggiamento navale e sull'ambiente marino. La scelta dell'atollo fu motivata dalla sua posizione remota e dalla presenza di una laguna che poteva contenere una flotta navale destinata ad essere bersaglio delle esplosioni. Gli abitanti di Bikini, circa 167 persone all'epoca, furono costretti a trasferirsi per far posto agli esperimenti, dopo che il commodoro Ben H. Wyatt li persuase, promettendo che il sacrificio del loro atollo avrebbe contribuito al benessere dell'umanità intera. L'Operazione Crossroads e Altri Test L'operazione Crossroads fu la prima serie di test nucleari sull'atollo, iniziando nel 1946 con due detonazioni, Able e Baker, che coinvolsero l'uso di bombe atomiche sganciate da aerei e detonate sott'acqua. Questi test furono seguiti da numerosi altri, culminando nell'Operazione Castle nel 1954, che includeva la detonazione della bomba all'idrogeno Castle Bravo. Con una potenza molto superiore alle aspettative, questa esplosione fu la più potente bomba nucleare mai testata dagli Stati Uniti, causando significative contaminazioni radioattive. Conseguenze Ambientali e Umane Le conseguenze degli esperimenti nucleari a Bikini furono devastanti. La contaminazione radioattiva dell'atollo e delle acque circostanti ha avuto effetti duraturi sull'ambiente marino e terrestre. La fauna marina e i coralli subirono danni significativi, mentre la terra divenne inabitabile per decenni a causa della radioattività residua. Per le popolazioni locali, le conseguenze furono altrettanto gravi. Gli abitanti originari di Bikini e le popolazioni di atolli vicini furono esposti a livelli pericolosi di radiazioni, che hanno causato malattie, tra cui il cancro, e hanno avuto un impatto sulle generazioni successive a causa degli effetti genetici delle radiazioni. Nonostante le promesse di un ritorno sicuro, l'atollo di Bikini rimane largamente inabitabile, e molti Bikiniani vivono ancora in esilio, dispersi nelle Isole Marshall o negli Stati Uniti. Riparazioni e Riconoscimenti Negli anni, gli abitanti delle Isole Marshall hanno lottato per ottenere riconoscimento e giustizia per le sofferenze subite. Sebbene gli Stati Uniti abbiano fornito alcuni compensi e assistenza per la ricollocazione, molti ritengono che questi sforzi non siano sufficienti per affrontare l'entità del danno subito. Il dibattito sulle riparazioni e sul sostegno continua, con richieste di ulteriori studi sulla salute, pulizia ambientale e compensi finanziari adeguati. Gli Esperimenti Nucleari nel Nevada Test Site (USA)Il Nevada Test Site (NTS), noto oggi come Nevada National Security Site (NNSS), è stato uno dei principali teatri per gli esperimenti nucleari degli Stati Uniti. Situato a circa 105 chilometri a nord-ovest di Las Vegas, il sito è stato utilizzato dal 1951 al 1992 per testare armi nucleari, sia atmosferiche che sotterranee. La storia degli esperimenti nel NTS riflette l'era della Guerra Fredda, la corsa agli armamenti nucleari e le sue conseguenze sulla salute pubblica e sull'ambiente. Inizio degli Esperimenti L'NTS fu scelto per la sua relativa vicinanza a Los Alamos, Nuovo Messico, dove le prime bombe atomiche furono sviluppate durante il Progetto Manhattan. Il primo test nucleare nell'area, denominato "Able", avvenne il 27 gennaio 1951, segnando l'inizio di una serie di oltre mille test nucleari che si sarebbero svolti nel corso dei successivi quattro decenni. Test Atmosferici e Sotterranei La maggior parte degli esperimenti nucleari all'NTS fino al 1963 fu condotta in atmosfera, portando alla liberazione di significative quantità di materiale radioattivo nell'ambiente. Questi test atmosferici furono poi vietati dal Trattato di messa al bando parziale dei test nucleari del 1963, che costrinse gli Stati Uniti e altre potenze nucleari a spostare i test sottoterra. Nonostante ciò, la contaminazione radioattiva e le fughe accidentali continuarono a rappresentare una seria preoccupazione. Impatti sulla Salute e sull'Ambiente Le conseguenze degli esperimenti nucleari nell'NTS sono state ampie e durature. Le popolazioni residenti "a valle del vento" (downwinders) in Nevada, Utah, Arizona e altri stati limitrofi furono esposte a nubi radioattive, con un aumento documentato di casi di cancro e altre malattie legate alle radiazioni. L'ambiente circostante l'NTS ha subito contaminazioni del suolo e dell'acqua sotterranea, con impatti negativi sulla flora e sulla fauna locali. La Lotta per il Riconoscimento e la Giustizia Negli anni, le comunità colpite dalla contaminazione radioattiva legata ai test nucleari hanno cercato riconoscimento, risarcimento e assistenza sanitaria dal governo degli Stati Uniti. La Radiation Exposure Compensation Act (RECA) del 1990 ha rappresentato un passo importante verso il riconoscimento dei diritti delle vittime delle radiazioni, offrendo compensi economici agli individui qualificati esposti alla radiazione a seguito dei test nucleari o del lavoro nell'industria dell'uranio. Tuttavia, molti sostengono che le misure adottate siano insufficienti e che numerosi individui colpiti rimangano esclusi dai benefici. Sforzi di Bonifica e la Situazione Attuale Negli anni successivi alla cessazione dei test nucleari, l'NTS è stato oggetto di sforzi di bonifica e monitoraggio ambientale. Il sito è utilizzato ora per la ricerca sulla sicurezza nazionale, lo smantellamento di armi nucleari, e come deposito per rifiuti radioattivi a basso livello. Il dibattito sull'eredità degli esperimenti nucleari e sul loro impatto continua, con nuove ricerche e testimonianze che emergono regolarmente. La storia degli esperimenti nucleari nel Nevada Test Site è una testimonianza vivente delle complesse questioni etiche, ambientali e sanitarie legate allo sviluppo e al test delle armi nucleari. Riflette la tensione tra progresso tecnologico e responsabilità umana, sollevando interrogativi fondamentali su come le società gestiscono tecnologie potenzialmente devastanti. Gli Esperimenti Nucleari a Semipalatinsk (ex URSS)Il Poligono di Semipalatinsk, situato nell'attuale Kazakistan, è stato uno dei principali siti di test nucleari dell'Unione Sovietica. Dal 1949 al 1989, l'area ha ospitato oltre 450 test nucleari, inclusi esplosioni atmosferiche, sotterranee e sopra il suolo. Questi esperimenti hanno lasciato un'eredità di contaminazione radioattiva e gravi problemi di salute pubblica che persistono fino ad oggi, influenzando la vita di generazioni di abitanti della regione. Stabilimento del Poligono di Semipalatinsk La decisione di localizzare il poligono di test nucleari in Kazakhstan fu presa nel 1947, sotto la direzione di Josef Stalin, come parte dello sforzo sovietico di sviluppare armamenti nucleari in risposta al programma nucleare statunitense. Il primo test nucleare sovietico, noto come "First Lightning", fu condotto nel sito il 29 agosto 1949, segnando l'inizio di una lunga serie di esperimenti nucleari che si sarebbero svolti nell'area per i successivi quaranta anni. Gli Esperimenti e le Loro Conseguenze I test condotti a Semipalatinsk variavano in potenza e tipo, con alcuni dei più significativi e potenti test nucleari della storia, inclusi quelli di bombe all'idrogeno. Molti di questi test furono condotti senza adeguate misure di sicurezza per la popolazione locale o per l'ambiente, risultando in una vasta contaminazione radioattiva dell'aria, del suolo e dell'acqua. Le comunità nelle vicinanze del poligono, molte delle quali erano villaggi rurali con poca informazione sulle attività svolte nel sito o sui rischi associati, furono esposte a livelli elevati di radiazioni. Ciò ha causato un aumento significativo di malattie legate alle radiazioni, tra cui vari tipi di cancro, malattie della tiroide, difetti congeniti e altre gravi condizioni di salute. La Lotta per il Riconoscimento e la Chiusura del Sito Nonostante le evidenti implicazioni per la salute pubblica, il governo sovietico continuò i test fino alla fine degli anni '80. La crescente consapevolezza pubblica e il dissenso interno, uniti al movimento anti-nucleare globale, portarono alla formazione del movimento "Nevada-Semipalatinsk", che giocò un ruolo cruciale nella sensibilizzazione sui pericoli dei test nucleari e nella lotta per la chiusura del sito. La campagna ebbe successo e contribuì a portare alla chiusura definitiva del poligono di Semipalatinsk il 29 agosto 1991, poco prima del collasso dell'Unione Sovietica. Questa data è ora commemorata come il Giorno Internazionale contro i Test Nucleari, istituito dalle Nazioni Unite per promuovere la consapevolezza e la prevenzione degli esperimenti nucleari. Eredità e Sforzi di Bonifica La chiusura del poligono non ha segnato la fine delle sfide per la regione. La contaminazione radioattiva rimane un problema grave, con ampie aree ancora fortemente contaminate. Gli sforzi di bonifica e di assistenza sanitaria per le vittime delle radiazioni sono in corso, ma la scala del disastro ha reso difficile un'efficace mitigazione del danno. Il governo kazako, con il supporto della comunità internazionale, ha lavorato per migliorare la situazione sanitaria e ambientale della regione, ma le conseguenze degli esperimenti condotti decenni fa continueranno a influenzare la vita degli abitanti di Semipalatinsk per molte generazioni a venire. Gli Esperimenti Nucleari della FranciaLa Francia, come molte altre potenze mondiali nel periodo post-seconda guerra mondiale, ha intrapreso un ampio programma di test nucleari per sviluppare e perfezionare il proprio arsenale nucleare. Questi esperimenti si sono svolti in diverse località, sia nel territorio metropolitano francese che in alcune delle sue colonie o territori d'oltremare, con conseguenze significative sul piano ambientale e sanitario.Sahara AlgerinoIl programma di test nucleari francese ebbe inizio nel Sahara algerino, presso Reggane e poi a In Ekker, durante gli ultimi anni del colonialismo francese in Algeria. Il primo test, denominato "Gerboise Bleue", fu condotto il 13 febbraio 1960, e segnò l'ingresso della Francia nel club delle potenze nucleari. Questo e i successivi test atmosferici e sotterranei hanno lasciato un'eredità di contaminazione radioattiva, con conseguenze ancora oggi evidenti per l'ambiente e la salute delle popolazioni locali.Polinesia Francese: Moruroa e Fangataufa Con l'indipendenza dell'Algeria nel 1962 e la crescente opposizione internazionale ai test atmosferici, la Francia spostò il suo programma nucleare nella Polinesia Francese, su due atolli remoti dell'Oceano Pacifico: Moruroa e Fangataufa. Questi siti furono teatro di numerosi test, sia atmosferici che sotterranei, dall'inizio degli anni '60 fino alla cessazione dei test nucleari francesi nel 1996.I test atmosferici, condotti fino al 1974, hanno rilasciato significative quantità di fallout radioattivo nell'ambiente, esponendo le popolazioni locali e i lavoratori del sito a rischi per la salute. Dopo il 1974, i test proseguirono sotto forma di detonazioni sotterranee, che, pur riducendo l'esposizione immediata alle radiazioni, hanno sollevato preoccupazioni per la stabilità geologica degli atolli e per la contaminazione delle acque sotterranee.Conseguenze Ambientali e Umane Le conseguenze degli esperimenti nucleari francesi sono state ampie. In Algeria, le zone intorno ai siti di test rimangono fortemente contaminate, con un impatto significativo sulla salute delle comunità beduine locali. In Polinesia Francese, oltre ai problemi di salute, gli esperimenti hanno provocato profonde fratture sociali e politiche, con un forte movimento indipendentista che in parte trae origine dalla rabbia per gli effetti dei test.Verso la Fine dei Test e il Dibattito Attuale La Francia cessò i suoi test nucleari nel 1996, poco dopo l'ultimo ciclo di test a Moruroa e Fangataufa, in risposta alle pressioni internazionali e all'evoluzione del contesto geopolitico. Tuttavia, il dibattito sugli esperimenti nucleari e le loro conseguenze continua, con richieste di maggiori compensazioni per le vittime, di bonifica dei siti contaminati e di trasparenza sui dati relativi all'esposizione alle radiazioni.La storia degli esperimenti nucleari francesi rappresenta un capitolo significativo nella storia del nucleare, mettendo in luce le complesse questioni etiche, ambientali, sanitarie e politiche legate allo sviluppo degli arsenali nucleari nazionali.Gli Esperimenti Nucleari del Regno UnitoIl Regno Unito intraprese il suo viaggio nell'era nucleare poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, diventando la terza nazione a testare un'arma nucleare nel 1952. Questa decisione segnò l'inizio di un programma di sperimentazione che avrebbe avuto luoghi dispersi in tutto il mondo e conseguenze a lungo termine.La Corsa al Nucleare Nel contesto della Guerra Fredda e della corsa agli armamenti nucleari, il Regno Unito cercava di affermare la sua sovranità e la sua posizione come potenza mondiale. Il successo degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica nel testare bombe atomiche spinse il Regno Unito a sviluppare il proprio arsenale nucleare.Primi Test: Monte Bello, Australia Il primo test nucleare britannico, denominato "Operation Hurricane", fu condotto il 3 ottobre 1952 nelle Isole Monte Bello, al largo della costa dell'Australia Occidentale. Questo test mirava a dimostrare che il Regno Unito poteva costruire una bomba atomica e integrarla sui suoi velivoli. Le Isole Monte Bello furono scelte per il loro isolamento, ma le conseguenze della radiazione furono comunque motivo di preoccupazione per l'ambiente circostante e la salute pubblica.Espansione in Oceania: Christmas Island e Malden Island Dopo i test a Monte Bello, il Regno Unito spostò le sue attività di sperimentazione nell'area dell'Oceano Pacifico, in particolare su Christmas Island (Kiritimati) e Malden Island. Tra il 1957 e il 1958, furono condotte serie di test atmosferici, che culminarono nell'esplosione di bombe all'idrogeno. Questi test atmosferici rilasciarono significative quantità di fallout radioattivo, influenzando negativamente l'ambiente marino e la salute delle persone che vivevano nelle isole circostanti e dei militari e del personale coinvolti.Trasferimento a Nevada, USA A seguito di un accordo con gli Stati Uniti, il Regno Unito iniziò a condurre alcuni dei suoi test nucleari presso il Nevada Test Site negli anni '60. Questa collaborazione era parte di un accordo più ampio che vedeva gli Stati Uniti fornire al Regno Unito tecnologie e materiali nucleari in cambio di test e ricerche condivise.Conseguenze a Lungo Termine Le conseguenze degli esperimenti nucleari britannici furono vaste. I test atmosferici, in particolare, hanno lasciato un'eredità di contaminazione radioattiva che ha influenzato non solo l'ambiente immediato ma anche aree più vaste a causa del fallout trasportato dai venti. I veterani coinvolti nei test e le popolazioni locali delle aree di test hanno riportato tassi più elevati di certe malattie, sollevando questioni sulla responsabilità del governo e sui risarcimenti.Gli Esperimenti Nucleari dell'India L'India ha segnato il suo ingresso nel club delle nazioni dotate di tecnologia nucleare con una serie di test che hanno attirato l'attenzione mondiale per le loro implicazioni politiche, ambientali e di sicurezza. La prima dimostrazione di questa capacità si è verificata il 18 maggio 1974 con il test "Smiling Buddha", condotto nel sito di Pokhran, nel deserto del Rajasthan. Questo test sotterraneo, presentato come un'esplosione nucleare pacifica, ha inaugurato un'era di capacità nucleare per l'India, sollevando al contempo preoccupazioni internazionali sulla diffusione delle armi nucleari.Dopo un lungo intervallo, l'India ha riaffermato la sua potenza nucleare con l'Operazione Shakti, una serie di cinque esplosioni condotte tra l'11 e il 13 maggio 1998, nello stesso sito di Pokhran. Questa serie, che includeva test di dispositivi termonucleari e atomici, ha non solo rafforzato la posizione internazionale dell'India ma ha anche scatenato una corsa agli armamenti nucleare nel subcontinente, specialmente con il Pakistan, che ha risposto poco dopo con i propri test nucleari.Questi esperimenti hanno avuto conseguenze significative, innescando tensioni geopolitiche, preoccupazioni ambientali per la possibile contaminazione radioattiva e una serie di sanzioni economiche internazionali, che sono state in seguito allentate in riconoscimento del ruolo dell'India nella stabilità regionale. L'India, dal canto suo, ha continuato a sostenere una politica di "No First Use", impegnandosi a mantenere il suo arsenale nucleare esclusivamente come misura di deterrenza. La storia nucleare dell'India illustra così la delicata bilancia tra aspirazioni di difesa nazionale e responsabilità internazionale.Gli Esperimenti  Nucleari della Cina La Cina ha iniziato il suo percorso verso lo sviluppo delle armi nucleari nel contesto della Guerra Fredda, con l'obiettivo di affermare la sua sovranità e posizione geopolitica a livello globale. Questo viaggio ha avuto profonde implicazioni non solo per la sicurezza regionale ma anche per le questioni di salute pubblica e ambientale.Primi Passi e Sviluppo Il primo test nucleare della Cina si è verificato il 16 ottobre 1964, nel sito di test di Lop Nur, nella regione del Xinjiang, nord-ovest del paese. Questo test, denominato "596", ha segnato l'ingresso della Cina nel ristretto gruppo di nazioni dotate di armi nucleari. Il sito di Lop Nur è stato scelto per la sua remota ubicazione, il che riduceva il rischio di esposizione immediata per la popolazione generale, ma non senza conseguenze a lungo termine.Espansione dell'Arsenale e Serie di Test Dopo il suo primo successo, la Cina ha condotto una serie di test nucleari che si sono estesi fino al 1996, anno in cui ha aderito al Comprehensive Test Ban Treaty (CTBT), impegnandosi a cessare tutti i test nucleari. In totale, la Cina ha condotto 45 test nucleari, tra cui esplosioni atmosferiche, sotterranee e aeree, che hanno significativamente avanzato il suo programma di armamenti nucleari.Conseguenze dei Test Nucleari Le conseguenze dei test nucleari della Cina sono molteplici, riguardando tanto la geopolitica quanto l'ambiente e la salute pubblica.Implicazioni Geopolitiche: I test nucleari hanno rafforzato la posizione della Cina come potenza mondiale, accrescendo la sua capacità di deterrenza militare ma anche aumentando le tensioni regionali, specialmente con India e Russia.Impatti Ambientali e sulla Salute: La contaminazione umana e del suolo e delle acque sotterranee con materiali radioattivi rappresenta un'eredità tossica che continua a rappresentare un rischio per l'ecosistema e le comunità locali.Sanzioni e Isolamento Internazionale: Analogamente ad altre nazioni che hanno condotto test nucleari, la Cina ha affrontato critiche e preoccupazioni internazionali che hanno portato a periodi di isolamento diplomatico e sanzioni, sebbene tali misure non abbiano avuto un impatto significativo sulla determinazione della Cina di sviluppare il suo arsenale nucleare.La Cina nel Contesto del Non-Proliferazione Nucleare Con la sua adesione al CTBT nel 1996 e il crescente impegno in iniziative di non-proliferazione, la Cina ha cercato di riorientare la sua immagine da stato di test nucleari a promotore della sicurezza e stabilità regionale. Tuttavia, l'eredità dei suoi test nucleari e le sfide relative alla sicurezza nucleare rimangono questioni aperte che la Cina e la comunità internazionale continuano ad affrontare.La potenza Nucleare Israeliana La questione dei test nucleari e dello sviluppo delle armi nucleari da parte di Israele è avvolta in una notevole segretezza e non ci sono conferme ufficiali o dettagli pubblici disponibili sui test nucleari condotti dal paese. Israele non ha mai confermato né negato pubblicamente di possedere armi nucleari, adottando una politica di ambiguità deliberata in merito al suo arsenale nucleare, una strategia nota come "ambiguità nucleare".Origini dell'Ambiguità Nucleare di Israele Le origini del programma nucleare israeliano possono essere fatte risalire agli anni '50, con lo sviluppo iniziato sotto il primo ministro David Ben-Gurion. L'obiettivo era quello di fornire a Israele un deterrente contro le minacce circostanti alla sua sicurezza in un Medio Oriente estremamente volatile. La costruzione del reattore nucleare di Dimona, nel deserto del Negev, iniziata nel tardo anni '50 e all'inizio degli anni '60 con l'assistenza della Francia, è stata la pietra angolare di questo sforzo.Assenza di Test Confermati A differenza di altre potenze nucleari, non ci sono registrazioni pubbliche o conferme internazionali che Israele abbia mai condotto un test nucleare esplosivo. Tuttavia, nel 1979, un evento noto come l'"incidente del Vela" ha suscitato speculazioni internazionali. Un satellite statunitense di rilevamento di test nucleari ha rilevato quello che sembrava essere un lampo di luce associato a un'esplosione nucleare nell'Oceano Indiano meridionale. Alcune speculazioni suggeriscono che questo potrebbe essere stato un test nucleare congiunto israelo-sudafricano, ma nessuna prova conclusiva è stata mai presentata, e sia Israele che il Sudafrica hanno negato il coinvolgimento.Implicazioni e Speculazioni L'approccio di ambiguità nucleare adottato da Israele ha avuto un impatto significativo sulla politica di non proliferazione e sulla stabilità regionale. Mentre ha fornito a Israele un deterrente credibile senza dichiarare apertamente il suo arsenale, ha anche sollevato questioni sul controllo delle armi nucleari e sulla trasparenza nel Medio Oriente.Israele non ha firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT), e le sue installazioni nucleari, come il reattore di Dimona, non sono soggette a ispezioni dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA). Questa posizione ha contribuito a mantenere il programma nucleare israeliano al di fuori del quadro formale di controllo delle armi nucleari internazionali, generando dibattiti sulla parità di trattamento e sulla non proliferazione nucleare.Conclusione In assenza di conferme ufficiali o dettagli pubblici, la storia dei test nucleari di Israele rimane un argomento di speculazione e analisi piuttosto che di record storico documentato. La politica di ambiguità nucleare di Israele continua a essere una componente centrale della sua strategia di sicurezza nazionale, influenzando le dinamiche regionali e le discussioni internazionali sulla non proliferazione e sulla sicurezza nel Medio Oriente.Esperimenti Nucleari del PakistanIl Pakistan è una delle nazioni che nel corso degli anni ha sviluppato e testato armi nucleari, diventando un attore chiave nella dinamica della proliferazione nucleare nel Sud Asia. La storia del programma nucleare pakistano è strettamente legata alla sua rivalità con l'India, con la questione della sicurezza nazionale e del deterrente nucleare al centro delle sue politiche di difesa.Sviluppo del Programma Nucleare Il programma nucleare del Pakistan ha avuto inizio dopo la perdita contro l'India nella guerra del 1971, che ha portato alla creazione del Bangladesh. Questa sconfitta ha motivato il Pakistan a cercare un deterrente nucleare per prevenire future umiliazioni militari. Il primo ministro Zulfikar Ali Bhutto è stato un promotore chiave del programma nucleare pakistano, con la famosa dichiarazione che i pakistani avrebbero mangiato erba pur di sviluppare l'arma nucleare.Il Padre della Bomba Atomica Pakistana Il dottor Abdul Qadeer Khan, uno scienziato formatosi in Europa, è spesso citato come il "padre della bomba atomica pakistana". Khan ha giocato un ruolo cruciale nello sviluppo delle capacità di arricchimento dell'uranio del Pakistan, portando alla realizzazione della bomba atomica.Test Nucleari: Chagai-I e Chagai-II Il Pakistan ha condotto i suoi primi test nucleari il 28 maggio 1998, nel sito di test di Ras Koh Hills, nella regione di Chagai, in Balochistan, in risposta ai test nucleari condotti dall'India solo due settimane prima. Questa serie di test, denominata Chagai-I, è stata seguita il 30 maggio 1998 da un altro test, Chagai-II, consolidando il status di potenza nucleare del Pakistan.Conseguenze Internazionali I test nucleari del Pakistan hanno portato a una condanna internazionale e all'imposizione di sanzioni economiche da parte di numerosi paesi, inclusi gli Stati Uniti. Tuttavia, queste sanzioni sono state in gran parte allentate negli anni successivi, in parte a causa della posizione strategica del Pakistan nella lotta contro il terrorismo.Impatti e Preoccupazioni L'ingresso del Pakistan nel club nucleare ha avuto un impatto significativo sulla sicurezza regionale, intensificando la corsa agli armamenti nucleari nel Sud Asia. La rivalità tra India e Pakistan, entrambi paesi dotati di armi nucleari, continua a essere fonte di preoccupazione globale per il rischio di un potenziale conflitto nucleare. Inoltre, ci sono state preoccupazioni internazionali riguardo alla sicurezza delle armi nucleari pakistane, date le sfide interne del paese, tra cui il terrorismo e l'instabilità politica..Gli Esperimenti Nucleari della Corea del Nord La Repubblica Popolare Democratica di Corea, comunemente nota come Corea del Nord, è entrata nella storia come una delle nazioni più isolate e militarizzate del mondo, specialmente per quanto riguarda lo sviluppo e il test sulle armi nucleari. Il programma nucleare nordcoreano, avvolto in segretezza ma segnato da momenti di spettacolare manifestazione pubblica, rappresenta una dei pericoli più significativi alla non proliferazione nucleare del XXI secolo.Gli Inizi del Programma NucleareLa Corea del Nord ha iniziato lo sviluppo del suo programma nucleare nei primi anni '60, ricevendo inizialmente l'assistenza dell'Unione Sovietica per costruire un reattore nucleare a ricerca presso Yongbyon. Negli anni '80, è diventato evidente che Pyongyang stava perseguendo la capacità di produrre armi nucleari, nonostante le sue assicurazioni internazionali del contrario.L'Escalation del Programma e i Test NucleariPrimo Test (2006): La Corea del Nord ha condotto il suo primo test nucleare il 9 ottobre 2006, dichiarando di aver fatto detonare con successo un'arma nucleare sotterranea. Questo evento ha segnato la fine definitiva dell'ambiguità sulle capacità nucleari nordcoreane, suscitando condanne internazionali e l'imposizione di sanzioni da parte delle Nazioni Unite.Test Successivi: Dopo il primo test, la Corea del Nord ha effettuato altri cinque test nucleari: nel 2009, nel 2013, due nel 2016 e l'ultimo nel settembre 2017. Ogni test è stato più potente del precedente, con il regime che ha sostenuto di aver testato con successo bombe all'idrogeno e dispositivi miniaturizzati adatti per missili balistici.Conseguenze e Reazioni InternazionaliLa serie di test nucleari e missilistici della Corea del Nord ha provocato una grave tensione nelle relazioni internazionali, specialmente con i paesi vicini e gli Stati Uniti. Le azioni di Pyongyang sono state ampiamente condannate come violazioni dei trattati internazionali, inclusi il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT) e vari accordi precedenti mirati a mantenere la penisola coreana libera da armi nucleari.Le Nazioni Unite hanno risposto con una serie di sanzioni economiche sempre più rigorose, volte a costringere la Corea del Nord a negoziare la denuclearizzazione. Tuttavia, il regime ha continuato a sviluppare il suo programma nucleare e missilistico, sostenendo di necessitare di deterrenza contro l'ostilità percepita, in particolare da parte degli Stati Uniti.Sfide e Preoccupazioni AttualiLa persistenza della Corea del Nord nel suo programma nucleare solleva serie preoccupazioni per la stabilità regionale e globale, compresa la possibilità di una corsa agli armamenti in Asia orientale e di una potenziale proliferazione nucleare. Inoltre, ci sono preoccupazioni sul benessere della popolazione nordcoreana, dato che le risorse significative vengono deviate al programma nucleare in un paese già afflitto da carenze alimentari e isolamento economico. Il Caso Nucleare Iraniano: Depistaggi, Spionaggio e SanzioniIl programma nucleare dell'Iran è stato al centro di controversie internazionali per decenni, tra sospetti di depistaggi, operazioni di spionaggio e l'imposizione di sanzioni. Questa vicenda si colloca in un contesto di tensioni geopolitiche, sforzi diplomatici e preoccupazioni per la non proliferazione nucleare.Le Origini e lo Sviluppo del Programma NucleareIl programma nucleare iraniano ha le sue radici negli anni '50 e '60, sotto la dinastia Pahlavi, con il sostegno degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali nell'ambito del programma "Atomi per la Pace". Tuttavia, dopo la Rivoluzione Islamica del 1979, le relazioni tra l'Iran e l'Occidente si sono deteriorate, e il programma nucleare è diventato motivo di crescente preoccupazione internazionale.Negli anni '90 e all'inizio degli anni 2000, l'Iran ha ampliato il suo programma nucleare, includendo l'arricchimento dell'uranio e la costruzione di reattori. Questi sviluppi hanno suscitato il sospetto che l'Iran potesse cercare di sviluppare armi nucleari, nonostante le sue affermazioni di perseguire solo scopi pacifici, come la produzione di energia e la ricerca medica.Depistaggi e SpionaggioIl caso nucleare iraniano è stato segnato da una serie di depistaggi e operazioni di spionaggio. Informazioni cruciali sul programma nucleare iraniano sono state scoperte tramite agenzie di spionaggio internazionali e dissidenti iraniani, rivelando strutture non dichiarate e attività sospette. Queste rivelazioni hanno portato a intense ispezioni da parte dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) e a richieste internazionali per una maggiore trasparenza e cooperazione da parte dell'Iran.Sanzioni e Tensioni InternazionaliIn risposta alle preoccupazioni sul suo programma nucleare, l'Iran è stato soggetto a una serie di sanzioni economiche e diplomatiche da parte delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea, degli Stati Uniti e di altri paesi. Queste sanzioni hanno avuto un impatto significativo sull'economia iraniana, mirando a costringere l'Iran a negoziare sul suo programma nucleare.Il JCPOA e gli Sviluppi RecentiIl punto di svolta nelle controversie sul programma nucleare iraniano è stato l'accordo del 2015, noto come Piano d'Azione Congiunto Globale (JCPOA), tra l'Iran e il gruppo P5+1 (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti e Germania). L'accordo prevedeva la riduzione dell'arricchimento dell'uranio da parte dell'Iran e un regime di ispezioni rigoroso in cambio dell'allentamento delle sanzioni.Tuttavia, nel 2018, gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dall'accordo, reimponendo sanzioni sull'Iran e intensificando le tensioni. Da allora, l'Iran ha ripreso alcune delle sue attività nucleari e ha ridotto la cooperazione con l'AIEA, sollevando nuove preoccupazioni sulla possibile direzione del suo programma nucleare.ConclusioneLa storia del nucleare iraniano è una narrazione complessa di aspirazioni nazionali, sospetti internazionali e giochi di potere geopolitico. Tra depistaggi, operazioni di spionaggio, sanzioni e tentativi di diplomazia, il caso nucleare iraniano rimane una questione aperta nel panorama internazionale, con implicazioni significative per la sicurezza regionale e globale.Quantità di Tests Nucleari eseguiti dal 1945 ad OggiDalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino all'ultimo periodo documentato nel 2023, si stima che siano stati condotti oltre 2.000 test nucleari da parte delle nazioni dotate di armi nucleari. Questi test sono stati eseguiti da un ristretto gruppo di paesi: Stati Uniti, Unione Sovietica (e successivamente la Russia), Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, e Corea del Nord. Ogni paese ha condotto test in diverse località, sia nel proprio territorio sia in aree remote o colonie.La maggior parte di questi test è stata effettuata durante la Guerra Fredda, periodo in cui la corsa agli armamenti nucleari tra Stati Uniti e Unione Sovietica ha raggiunto il suo apice. Dopo la fine della Guerra Fredda, il numero di test è diminuito significativamente, grazie anche a trattati internazionali come il Trattato di messa al bando parziale dei test nucleari (Limited Test Ban Treaty, LTBT) del 1963, che proibiva i test nucleari nell'atmosfera, nello spazio e sott'acqua, e il Trattato di divieto completo dei test nucleari (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty, CTBT) del 1996, che mirava a proibire tutti i test nucleari, ma che non è ancora entrato in vigore poiché non è stato ratificato da tutti i paesi necessari.Casi di Studio di Incidenti Civili: Chernobyl e Fukushima Gli incidenti nucleari di Chernobyl e Fukushima offrono esempi concreti delle conseguenze a lungo termine della contaminazione radioattiva. Chernobyl (1986): La catastrofe di Chernobyl ha rilasciato grandi quantità di isotopi radioattivi nell'ambiente, con un impatto sanitario che ha interessato migliaia di persone, tra cui un aumento significativo di casi di cancro alla tiroide tra i bambini esposti alle radiazioni. Fukushima (2011): L'incidente di Fukushima ha portato alla contaminazione dell'acqua e del suolo con cesio-137 e iodio-131. Sebbene le misure preventive abbiano limitato l'esposizione della popolazione, la paura della contaminazione alimentare e le conseguenze psicologiche dell'evacuazione hanno avuto un impatto duraturo sulle comunità colpite.

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https://www.rmix.it/ - L'Ombra Invisibile dei PFAS sull'Agricoltura: Una Minaccia Crescente
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L'Ombra Invisibile dei PFAS sull'Agricoltura: Una Minaccia Crescente
Ambiente

Dall'imballaggio ai campi, esplorando le vie della contaminazione e le strategie per un futuro agricolo privo di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFSA) di Marco ArezioLa ricerca svolta dalla Rete di Azione Europea sui Pesticidi (PAN Europe) rivela un inquietante aumento della contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS), comunemente note come "sostanze chimiche per sempre", negli ortofrutticoli consumati nell'Unione Europea. Questi composti chimici, caratterizzati dalla loro incredibile resistenza alla degradazione ambientale e dai loro potenziali rischi per la salute umana, sono stati segnalati per la loro presenza sempre più frequente nei raccolti a seguito dell'utilizzo nei pesticidi, nonostante la Commissione Europea abbia rinunciato ai piani di proibirli l'anno scorso. L'uso in Agricoltura dei PFAS L'uso dei composti per- e polifluoroalchilici (PFAS) in agricoltura, sebbene non sia l'applicazione più nota o diffusa di queste sostanze chimiche, può verificarsi in varie forme, spesso legate indirettamente attraverso l'utilizzo di prodotti industriali che contengono PFAS o la contaminazione ambientale piuttosto che un impiego diretto sui raccolti. Questi composti sono utilizzati in numerosi settori per le loro proprietà uniche, tra cui la resistenza al calore, la capacità di respingere olio e acqua, e la stabilità chimica. Vediamo alcuni modi in cui i PFAS possono trovarsi coinvolti in contesti agricoli: Imballaggi Alimentari: I PFAS sono spesso utilizzati negli imballaggi alimentari per le loro proprietà antiaderenti e resistenti all'acqua e agli oli. Questi imballaggi possono essere utilizzati per trasportare e conservare prodotti agricoli, aumentando il rischio di contaminazione indiretta dei prodotti alimentari. Prodotti per il Trattamento del Suolo e dei Raccolti: Alcuni prodotti utilizzati per migliorare la resistenza dei raccolti agli elementi o per il trattamento dei suoli potrebbero contenere PFAS. Queste applicazioni sono generalmente più rare e sottoposte a regolamentazione in molte giurisdizioni. Acqua Contaminata: L'uso di acqua contaminata da PFAS per l'irrigazione è una delle vie principali attraverso cui questi composti possono entrare nel sistema agricolo. I PFAS, a causa della loro resistenza alla degradazione, possono accumularsi nell'ambiente, comprese le fonti d'acqua utilizzate in agricoltura. Biosolidi come Fertilizzanti: I biosolidi, che sono sottoprodotti trattati di acque reflue, possono essere utilizzati come fertilizzanti in agricoltura. Se le acque reflue contengono PFAS, questi composti possono accumularsi nei biosolidi e, quando applicati ai campi, possono contaminare il suolo e, di conseguenza, i prodotti agricoli. L'uso specifico dei PFAS in agricoltura è limitato, ma la loro presenza diffusa nell'ambiente e in vari prodotti può portare a contaminazioni indirette. La consapevolezza crescente dei rischi per la salute e l'ambiente associati ai PFAS, ha portato a un esame più attento e a richieste di regolamentazione e limitazione del loro utilizzo. Ridurre l'esposizione ai PFAS in agricoltura e in altri settori richiede un approccio olistico che includa il monitoraggio e la pulizia delle fonti di contaminazione, lo sviluppo di alternative più sicure e la regolamentazione dell'uso di questi composti chimici persistenti. Crescita della presenza dei PFAS in agricoltura L'analisi temporale del decennio 2011-2021 mostra che la presenza di residui di PFAS nei prodotti agricoli è drasticamente aumentata, evidenziando una crescita del 220% nella frutta e del 274% nella verdura contaminata. L'uso di queste sostanze in applicazioni industriali diverse, come i rivestimenti antiaderenti, i materiali resistenti al calore e impermeabili, oltre agli imballaggi alimentari, contribuisce significativamente alla loro diffusione nell'ambiente e, di conseguenza, nella catena alimentare. Il fenomeno è tanto più preoccupante se si considera che nel 2021 il 20% della frutta prodotta nell'UE era contaminata da residui di almeno un PFAS. L'allarme è stato ulteriormente rafforzato dall'appello di quattro Stati membri dell'UE e della Norvegia, all'Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA) per una nuova valutazione del rischio associato a questi composti all'inizio del 2023. Nonostante l'introduzione di una "strategia chimica per la sostenibilità" da parte della Commissione Europea nel 2020, volta a eliminare progressivamente i PFAS a meno che non risultino essenziali per la società, non sono stati ancora presi provvedimenti concreti per limitarne l'uso. Ciò mette in luce le lacune nelle attuali valutazioni dei rischi dei pesticidi e la necessità di un'azione più decisa per proteggere la salute pubblica e l'ambiente. La persistenza e le proprietà tossiche dei PFAS avrebbero dovuto accelerare il loro divieto, secondo Angeliki Lysimachou, capo scienziato del PAN Europe. I dati più allarmanti provengono da Austria e Grecia, dove si registrano i maggiori incrementi di contaminazione da PFAS. Le sostanze più frequentemente rilevate includono il fungicida fluopyram, l'insetticida flonicamid e il fungicida trifloxystrobin. La distinzione tra frutta e verdura mostra che, benché una minor percentuale di verdure (12%) risulti contaminata rispetto alla frutta (20%), alcune verdure presentano tassi di contaminazione comparabili a quelli dei frutti più colpiti. In particolare, cicoria, cetrioli e peperoni mostrano alti livelli di residui PFAS, così come fragole, pesche e albicocche tra i frutti. Soluzioni per ridurre l'impatto ambientale e sanitario dei PFSA Per affrontare il problema dei PFAS e ridurne l'impatto ambientale e sanitario, è necessaria un'azione coordinata che includa: Rafforzamento della legislazione: Imporre restrizioni più severe sull'uso dei PFAS nei prodotti industriali e agricoli, promuovendo alternative più sicure. Valutazione del rischio più approfondita: Migliorare le metodologie di valutazione per considerare l'effetto cumulativo e a lungo termine dei PFAS sulla salute umana e sull'ambiente. Sviluppo di tecnologie di depurazione: Investire nella ricerca di metodi efficaci per rimuovere i PFAS dall'acqua e dal suolo, limitando così l'esposizione attraverso il consumo di alimenti e acqua potabile. Promozione dell'agricoltura biologica: Incoraggiare pratiche agricole che non fanno affidamento su sostanze chimiche pericolose, offrendo ai consumatori alternative più salutari. Per difendersi dai Perfluoroalchilici e Polifluoroalchilici (PFAS), è fondamentale adottare un approccio multidimensionale che coinvolga sia la prevenzione della contaminazione sia il trattamento degli inquinanti già presenti nell'ambiente e negli organismi viventi. Inoltre, una comprensione dettagliata degli effetti dei PFAS sulla salute umana e animale è cruciale per sviluppare strategie di mitigazione efficaci. Effetti sui PFAS sull'Uomo e sugli Animali I PFAS sono stati associati a una serie di effetti negativi sulla salute umana e animale. Questi effetti sono dovuti alla loro capacità di resistere alla degradazione ambientale e biologica, accumulandosi negli organismi viventi. Effetti sulla Salute Umana Disfunzioni del Sistema Immunitario: L'esposizione ai PFAS può ridurre la risposta immunitaria, rendendo gli individui più suscettibili alle infezioni. Effetti sulla Riproduzione: Alcuni studi hanno collegato l'esposizione ai PFAS a ridotti tassi di fertilità, ritardi nello sviluppo prenatale e alterazioni ormonali. Impatto sul Metabolismo: Esiste una correlazione tra i PFAS e l'aumento del colesterolo, modificazioni nel metabolismo dei lipidi e potenziale sviluppo di obesità e diabete di tipo 2. Cancro: L'acido perfluoroottanoico (PFOA), un tipo di PFAS, è stato classificato come possibile cancerogeno per l'uomo, con studi che suggeriscono un legame con alcuni tipi di cancro, come il tumore ai reni e ai testicoli. Effetti sugli Animali Tossicità Acuta e Cronica: Gli animali esposti ai PFAS possono soffrire di effetti tossici acuti e di accumulo a lungo termine che porta a disfunzioni di organi vitali. Alterazioni del Comportamento e della Riproduzione: L'esposizione ai PFAS può influenzare negativamente la riproduzione degli animali e causare cambiamenti nel comportamento, potenzialmente compromettendo la sopravvivenza delle specie. Impatti sugli Ecosistemi Acquatici: Gli animali acquatici, come pesci e molluschi, sono particolarmente vulnerabili agli effetti dei PFAS, che possono alterare la catena alimentare e l'equilibrio degli ecosistemi. La lotta contro i PFAS richiede un'azione coordinata a livello globale, incentrata su prevenzione, innovazione e mitigazione. La riduzione dell'esposizione umana e animale ai PFAS e la ricerca di alternative più sicure sono passaggi cruciali per proteggere la salute pubblica e l'integrità degli ecosistemi.

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https://www.rmix.it/ - Dalla CO2 all’ Etilene: Rivoluzione Verde con i Catalizzatori di Rame
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Dalla CO2 all’ Etilene: Rivoluzione Verde con i Catalizzatori di Rame
Ambiente

Scopri Come la Tecnologia Avanzata Trasforma l'Anidride Carbonica in Risorse Sostenibili per il Futuro di Marco ArezioIl processo di trasformazione dell'anidride carbonica (CO2) atmosferica in etilene mediante l'uso di catalizzatori in rame rappresenta un'avanzata significativa nella chimica sostenibile e nell'economia circolare. Questa tecnologia non solo promette di ridurre i livelli di CO2, un potente gas serra, ma offre anche un metodo per produrre etilene, un importante composto chimico utilizzato in varie applicazioni industriali, in modo più sostenibile. La conversione tecnica dell'anidride carbonica (CO2) in etilene avviene attraverso un processo elettrochimico che utilizza catalizzatori a base di rame. Questo processo si inserisce nel più ampio contesto della decarbonizzazione, offrendo una strategia per ridurre le emissioni di CO2, trasformandole in prodotti chimici utili, come l'etilene, un idrocarburo utilizzato in molte applicazioni industriali. Processo Elettrochimico di Riduzione della CO2 Il processo di riduzione della CO2 in etilene avviene in un elettrolizzatore che contiene un elettrodo positivo (anodo) e uno negativo (catodo), immersi in una soluzione elettrolitica che contiene ioni per condurre l'elettricità. La CO2 è disciolta in questa soluzione e, quando viene applicata una tensione elettrica, avviene la riduzione della CO2 all'elettrodo negativo (catodo), mentre l'ossigeno si evolve all'anodo. Riduzione della CO2: All'elettrodo di rame (catodo), la CO2 disciolta reagisce con elettroni per formare vari prodotti, tra cui l'etilene, secondo la reazione semplificata:  CO2+4H++4e−→C2H4+2H2O Questo processo è facilitato dalla superficie del catalizzatore di rame che assorbe le molecole di CO2 e le riduce a etilene. Ossigeno: All'anodo avviene la reazione di ossidazione dell'acqua, che genera ossigeno e ioni idrogeno (protoni) che contribuiscono al ciclo dell'elettrolita: 2H2O→O2+4H++4e− Ruolo dei Catalizzatori in Rame I catalizzatori in rame sono cruciali per la selettività del processo verso l'etilene. La superficie del rame può essere ingegnerizzata a livello nanoscopico per aumentare la sua efficacia e selettività verso la produzione di etilene. La modifica della superficie può includere l'aggiunta di promotori, la creazione di leghe con altri metalli, o l'introduzione di nanoparticelle o nanostrutture specifiche che cambiano le proprietà elettrocatalitiche del rame. Come è Fatto un Catalizzatore di Rame Un catalizzatore di rame è composto principalmente da rame metallico, che può essere utilizzato in diverse forme e strutture per catalizzare specifiche reazioni chimiche, tra cui la riduzione dell'anidride carbonica (CO2) in composti chimici utili come l'etilene. La preparazione e la strutturazione di questi catalizzatori sono cruciali per la loro efficienza e selettività nelle reazioni. Ecco come possono essere fatti e strutturati i catalizzatori di rame: 1. Forme Fisiche Nanoparticelle: Il rame può essere sintetizzato in nanoparticelle, che presentano una grande area superficiale rispetto al volume, aumentando così l'attività catalitica per la riduzione della CO2. Film sottile: Il rame può essere depositato come film sottile su supporti conduttivi attraverso tecniche come la deposizione fisica da vapore (PVD) o la deposizione chimica da vapore (CVD). Schiume o reti metalliche: Queste strutture porose di rame offrono un'elevata superficie per la reazione e possono essere utilizzate come elettrodi in processi elettrochimici. 2. Trattamenti Superficiali e Leghe Trattamenti superficiali: La superficie dei catalizzatori di rame può essere modificata chimicamente o fisicamente per migliorare la selettività verso specifici prodotti, come l'etilene. Leghe con altri metalli: Il rame può essere combinato con altri metalli (come l'oro, l'argento o lo zinco) per formare leghe che modificano le proprietà catalitiche del rame, migliorando l'efficienza e la selettività. 3. Supporti e Promotori Supporti: I catalizzatori di rame possono essere supportati su vari materiali (come carbonio, ossidi metallici, o polimeri) per migliorare la dispersione del catalizzatore e la stabilità termica. Promotori: Sostanze chimiche aggiuntive possono essere aggiunte per promuovere specifiche vie reattive o per stabilizzare il catalizzatore, migliorando ulteriormente la selettività e l'attività. 4. Sintesi e Caratterizzazione Sintesi: La preparazione di catalizzatori di rame può avvenire attraverso metodi chimici, come la precipitazione, la riduzione chimica, o metodi elettrochimici. Questi metodi consentono un controllo preciso sulle dimensioni, la forma e la composizione del catalizzatore. Caratterizzazione: Dopo la sintesi, i catalizzatori di rame sono caratterizzati usando tecniche come la microscopia elettronica (SEM, TEM), la spettroscopia (XPS, FTIR), e la diffrazione dei raggi X (XRD) per analizzare la struttura, la composizione e la morfologia. Questi catalizzatori sono studiati e ottimizzati per specifiche reazioni, come la riduzione elettrochimica della CO2, dove l'efficacia del catalizzatore di rame dipende fortemente dalla sua struttura, composizione, e dalla natura del processo catalitico. Utilizzo per la Decarbonizzazione L'utilizzo di questo processo per la decarbonizzazione si basa sulla capacità di trasformare la CO2, un sottoprodotto industriale e un potente gas serra, in un prodotto chimico prezioso come l'etilene. Ciò offre un doppio vantaggio: ridurre le emissioni di CO2 e produrre elementi chimici di valore da una fonte sostenibile. Per massimizzare l'impatto sulla decarbonizzazione, è essenziale che l'energia utilizzata per l'elettrolisi provenga da fonti rinnovabili, come il solare o l'eolico, per minimizzare l'impronta di carbonio complessiva del processo. Vantaggi Ambientali ed Economici La conversione della CO2 in etilene non solo aiuta a mitigare il cambiamento climatico riducendo la concentrazione di CO2 nell'atmosfera, ma offre anche benefici economici. L'etilene è una materia prima chiave per la produzione di plastica, solventi, e altri prodotti chimici. Attualmente, l'etilene è prodotto principalmente dal petrolio e dal gas naturale, processi che rilasciano ulteriori gas serra. Utilizzando la CO2 come materia prima, il processo riduce la dipendenza dalle fonti fossili e si muove verso un'economia più circolare e sostenibile. Problematiche e Prospettive Future Nonostante i notevoli progressi, ci sono ancora problematiche da superare prima che la tecnologia possa essere implementata su larga scala. Queste includono l'aumento dell'efficienza energetica del processo, la riduzione dei costi dei catalizzatori e dell'infrastruttura necessaria, e l'integrazione di fonti di energia rinnovabile per alimentare l'elettrolisi in modo sostenibile. La ricerca continua nel campo della catalisi e dell'ingegneria dei processi è fondamentale per superare queste sfide. Conclusione La conversione dell'anidride carbonica atmosferica in etilene utilizzando catalizzatori in rame rappresenta una frontiera promettente per l'industria chimica sostenibile. Questo approccio non solo ha il potenziale per ridurre l'impatto ambientale della produzione chimica ma anche per contribuire significativamente alla lotta contro il cambiamento climatico. Con ulteriori ricerche e sviluppo, questa tecnologia potrebbe diventare un pilastro dell'economia circolare, offrendo una soluzione efficace per trasformare i rifiuti di CO2 in risorse preziose.

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https://www.rmix.it/ - Forestazione Urbana: Strategie Verdi per Città Sostenibili
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Forestazione Urbana: Strategie Verdi per Città Sostenibili
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Benefici Ambientali, Salute Pubblica e Mitigazione del Cambiamento Climaticodi Marco ArezioLa forestazione urbana rappresenta una strategia fondamentale per migliorare la qualità della vita nelle città. Attraverso la piantumazione di alberi e la creazione di spazi verdi, è possibile ottenere numerosi benefici ambientali, sociali ed economici. Questo articolo esplora i vantaggi della forestazione urbana, concentrandosi sulla salute umana, sulla riduzione degli inquinanti atmosferici e sull'attenuazione delle isole di calore urbane. Verranno inoltre proposte simulazioni su quantità e tipologie di piante necessarie per abitante per massimizzare questi benefici. Forestazione Urbana - Vantaggi sulla Salute Purificazione dell'Aria e riduzione degli inquinantiGli alberi urbani sono essenziali per filtrare gli inquinanti atmosferici, tra cui particolato fine, ozono, biossido di azoto e monossido di carbonio. Uno studio del 2019 ha dimostrato che in una città media europea, piantare almeno tre alberi per abitante può ridurre significativamente la concentrazione di particolato fine nell'aria, migliorando la salute respiratoria della popolazione.Assorbimento di CO2 Gli alberi giocano un ruolo cruciale nell'assorbimento del biossido di carbonio, contribuendo significativamente alla lotta contro il cambiamento climatico. Un singolo albero maturo può assorbire fino a 150 kg di CO2 all'anno. Implementando piani di forestazione urbana, le città possono compensare una parte delle loro emissioni di gas serra.Riduzione del Particolato Fine La capacità degli alberi di trattenere particelle sottili dall'aria è un altro beneficio importante. Studi hanno dimostrato che la forestazione urbana può ridurre le concentrazioni di PM2.5, particolato fine che rappresenta un serio rischio per la salute umana, fino al 20-30%. Attenuazione delle Isole di Calore Urbane Effetto Refrigerante Le isole di calore urbane, aree della città significativamente più calde del loro circondario rurale, sono mitigate efficacemente attraverso la forestazione urbana. La traspirazione degli alberi e l'ombreggiatura contribuiscono a ridurre le temperature ambientali. Un'area ben piantumata può essere fino a 8°C più fresca rispetto a zone urbane senza copertura verde. Incremento del Comfort Abitativo La riduzione delle temperature estive grazie alla presenza di alberi migliora il comfort abitativo e riduce la necessità di condizionamento d'aria, portando a un significativo risparmio energetico. Un'analisi del 2021 ha rivelato che incrementare del 30% la copertura arborea in una città può ridurre il consumo di energia per il raffrescamento fino al 50%. Benefici Psicologici La presenza di spazi verdi urbani contribuisce anche al benessere psicologico, riducendo lo stress e promuovendo attività fisica. Secondo una ricerca pubblicata nel 2020, le persone che vivono entro 500 metri da aree verdi urbane riportano livelli di stress inferiore e una migliore qualità della vita. Strategie di Implementazione: Pianificazione e Gestione La pianificazione e la gestione della forestazione urbana richiedono un approccio olistico che tenga conto di variabili ambientali, sociali ed economiche. Pianificazione Urbana: Integrare la forestazione urbana nelle politiche di pianificazione urbana è essenziale. Ciò include la definizione di zone verdi protette, la creazione di corridoi verdi che collegano diversi spazi verdi della città, e l'implementazione di normative che incoraggiano o impongono la piantumazione di alberi in nuovi sviluppi urbani. Gestione Sostenibile: La manutenzione degli spazi verdi urbani richiede una gestione attenta per garantire la loro sostenibilità a lungo termine. Questo include pratiche di irrigazione efficienti, la scelta di piante adatte al clima locale, e programmi di sostituzione per gli alberi malati o vecchi. Casi Studio: Esempi di Successo Internazionali Casi studio da tutto il mondo dimostrano l'efficacia della forestazione urbana nell'affrontare le sfide ambientali e sociali delle città moderne. Conosciuta come la "Città Giardino", Singapore è un esempio primario di forestazione urbana integrata nella pianificazione città. Attraverso un impegno governativo decennale, Singapore ha trasformato il suo paesaggio urbano in uno degli spazi urbani più verdi del mondo, migliorando significativamente la qualità dell'aria e riducendo le temperature urbane. La città di Milano ha intrapreso il progetto "Forestami" con l'obiettivo di piantare 3 milioni di alberi entro il 2030. Questo progetto punta a incrementare la biodiversità, migliorare la qualità dell'aria e combattere le isole di calore, trasformando Milano in un modello di sostenibilità urbana. Quantità e Tipologia di Piante per Abitante Per realizzare una forestazione urbana efficace, è fondamentale adottare un approccio basato su dati scientifici. Le simulazioni effettuate da studi recenti forniscono linee guida precise su quantità e tipologie di piante per ottenere i massimi benefici in termini di qualità dell'aria, riduzione delle isole di calore e benessere psicofisico. Quantità di Piante: La densità ottimale di piantumazione varia in base alle dimensioni della città e alla sua struttura urbanistica. Generalmente, si raccomanda la piantumazione di almeno 3-5 alberi di grande taglia per abitante. Questo target permette di creare una copertura arborea capillare che può offrire benefici tangibili in termini di riduzione dell'inquinamento e miglioramento del microclima urbano. Tipologia di Piante: La selezione delle specie è critica. Alberi come querce, platani e frassini sono preferibili per la loro grande capacità di assorbimento del CO2 e per la loro efficacia nel filtrare particolato fine dall'aria. Allo stesso tempo, è importante includere specie a foglia caduca per garantire una copertura solare in inverno e ombreggiamento in estate, oltre a specie sempreverdi per un verde urbano costante. Conclusione La forestazione urbana rappresenta una strategia ecologica e sostenibile per affrontare molteplici sfide ambientali e sociali nelle aree urbane. Attraverso la piantumazione mirata e la manutenzione di spazi verdi, le città possono diventare più vivibili, salutari e resilienti ai cambiamenti climatici.

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https://www.rmix.it/ - Relazione tra lo Smog e l’Insorgenza dei tumori in Europa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Relazione tra lo Smog e l’Insorgenza dei tumori in Europa
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Non ci sono solo fonti conosciute di produzione del PM 2,5 come i motori termici o le caldaie, ma anche molti altri aspetti che dovremmo conoscere megliodi Marco ArezioNonostante abbiamo imboccato la strada della consapevolezza ambientale, l’enorme massa di interventi che dobbiamo fare per rendere l’aria che respiriamo, non eccelsa ma almeno meno nociva, è ancora da sbrogliare. Ad ogni passo avanti, come le normative europee per l’elettrificazione della mobilità privata e commerciale, la produzione di energia rinnovabile eolica, idraulica, solare e l’idrogeno verde, sembra si compia anche un passo indietro, a causa delle crisi internazionali che hanno minato l’indipendenza energetica di molti stati, con il ricorso alla produzione di elettricità con sistemi, come il carbone, che erano sulla via dello smantellamento. Purtroppo, nel frattempo, dobbiamo registrare il protrarsi di situazioni ambientali negative, specialmente nelle grandi città, che rendono l’aria un killer per la salute pubblica, causa di numerosi tumori per la popolazione. Questo perché lo smog contiene agenti riconosciuti come cancerogeni, come le particelle sottili di PM 2,5 e PM 10, idrocarburi policiclici aromatici, benzene, formaldeide e metalli pesanti come l'arsenico, il cadmio e il nichel. Per quanto i comuni delle grandi città europee e, soprattutto, quelli nella pianura Padana italiana, tra le zone più inquinate d’Europa, stiano facendo molti sforzi per ridurre la concentrazioni di inquinanti in atmosfera attraverso la creazione di aree pedonali, le zone a traffico limitato, la riduzione della velocità veicolare in città, il potenziamento del trasporto pubblico, l’incentivazione del bike sharing, la creazioni di piste ciclabili ove possibile, le restrizioni delle emissioni delle caldaie e la facilitazione al traffico delle auto elettriche, quello che ancora manca è la mentalità dei cittadini a fare concretamente qualche cosa che possa aiutare la collettività e la propria salute. In molti paesi e in molte città il traffico privato non perde sostenitori, muovendoci così all’unisono con le nostre auto private, creando congestione e inquinamento inutile. Cosa è il PM 2,5Dal punto di vista chimico il particolato, è composto da tre classi principali: - gli ioni inorganici: solfati (SO42-), nitrati (NO3-), ammonio (NH4+) - la frazione carboniosa (TC) formata dal carbonio organico e dal carbonio elementare - il materiale crostale che può presentarsi o associato al pulviscolo atmosferico (Si, Ca, Al, ecc.) o a elementi in traccia (Pb, Zn, ecc.); - una frazione non meglio identificata che spesso corrisponde all'acqua ma non solo. Questi componenti, che insieme costituiscono il particolato, presentano dimensioni diverse e quindi contribuiscono in maniera differente alla produzione di PM 2,5 o PM 10. Parlando del PM 2,5 possiamo dire che sono particelle atmosferiche con un diametro di 2,5 micrometri o meno, queste frazioni, infatti, sono estremamente piccole e possono essere inalate profondamente nei polmoni ed entrare perfino nel flusso sanguigno. Da dove nasce il PM 2,5 Il traffico veicolare privato e le caldaie per il riscaldamento sono una componente importante per la generazione del PM 2,5, ma dobbiamo anche considerare le zone industriali vicino alle città, il traffico pesante e commerciale che viaggia a ridosso di esse e al suo interno, e l’annoso problema del traffico aereo che incide in maniera importante in un’area urbana, in quanto ogni grande città ha solitamente un aeroporto nelle vicinanze. Vi sono poi dei comportamenti del tutto personali, come il fumo di sigaretta, che possono accumularsi ad altri fattori di rischio che abbiamo visto, rendendo più precaria la vita delle persone. La sintesi di questi problemi sulla salute dell’uomo, legati allo smog, possiamo banalmente sintetizzarlo nella presenza del particolato PM 10 e PM 2,5 che si forma nell’aria, tra cui il PM 2,5 è sicuramente il più pericoloso. Ci sono anche da considerare aspetti inquinanti meno conosciuti che incidono sulle polveri sottili dei centri urbani, infatti, quando si parla di PM 2,5 prodotte dal traffico veicolare si è portati a pensare subito alle emissioni dei motori termici, ma esistono anche altre fonti di inquinamento che dobbiamo tenere presente. Produzione di PM 2,5 dagli pneumatici Gli pneumatici delle auto o di altri mezzi di trasporto sono una somma di prodotti, di diversa natura che, attraverso il loro rotolamento permettono di far muovere un veicolo. Questo rotolamento comporta un’abrasione continua della superficie dell’pneumatico rilasciando piccole o piccolissime particelle di composti. Per capire cosa possiamo inalare dagli pneumatici, sotto forma di polveri sottili da usura come il PM 2,5, vediamo come è composto: La gomma è la componente primaria degli pneumatici, che può essere una miscela di gomma naturale e gomma sintetica. Quella naturale offre elasticità e flessibilità, mentre la gomma sintetica può migliorare la resistenza all'usura e all'invecchiamento. Il nero carbonio è una forma di carbonio particellare, aggiunto alla miscela di gomma per migliorare la resistenza all'usura e le proprietà di trazione dell’pneumatico. Serve anche come rinforzo e come agente colorante. La silice è utilizzata come rinforzo alternativo o in aggiunta al nero di carbonio, migliorando la trazione sul bagnato e la resistenza al rotolamento, portando quindi una maggiore efficienza nel consumo di carburante. Nella "carcassa" dell'pneumatico, cioè la struttura interna che dà forma e flessibilità all'pneumatico, vengono spesso utilizzati materiali tessili come il poliestere, il nylon o il rayon. Nella "cintura" dell'pneumatico, esistono una serie di strati posti tra la carcassa e il battistrada, in cui vengono spesso posizionati fili d'acciaio per fornire rinforzo e stabilità. Il solfuro è utilizzato nel processo di vulcanizzazione, aiutando a stabilizzare la struttura molecolare della gomma, rendendola quindi più resistente ed elastica. Inoltre, sono utilizzati vari additivi chimici per migliorarne le proprietà generali, tra questi possiamo citare gli antiossidanti per prevenire l'invecchiamento, i plastificanti per migliorare la flessibilità, e gli acceleratori che aiutano nel processo di vulcanizzazione. Inoltre è possibile trovare altri materiali come lo zinco, lo zolfo e altri composti organici Produzione di PM 2,5 dai freni degli autoveicoli Anche per i freni valgono le stesse considerazione degli pneumatici, in quanto la rotazione del disco del freno sulle pinze dello stesso, crea un attrito con il relativo consumo delle due parti a contatto, che causano il rilascio di polveri sottili PM 2,5. Il particolato ultra sottile che viene rilasciato da una serie di frenate potrebbe essere liberato nell’aria e respirato dall’uomo, per questo vediamo come è composto un impianto frenante per capire le scorie che produce: In primo luogo dobbiamo considerare che anche il sistema frenante, dichi e pastiglie, sono composti da molti e materiali differenti. Per quanto riguarda le pastiglie dei freni contenute nelle pinze, i componenti sono legati tra loro dalle resine termoindurenti, materiali duri e resistenti che hanno la capacità di contenere vari prodotti. Quando le pastiglie sono sottoposte a calore durante il processo di frenata, i leganti aiutano a mantenere la loro integrità strutturale. Per l’alto sforzo esercitato dall’impianto frenante tra pastiglia e disco, rende necessario l’utilizzo di prodotti di rinforzo, si tratta spesso di fibre, come la fibra di vetro, la fibra di aramide o la fibra di carbonio. Questi rinforzanti danno una maggiore resistenza meccanica alle pastiglie e aiutano a prevenire la rottura e la fessurazione. Inoltre, componenti come la grafite o vari tipi di metalli come il rame, lo zinco o il bronzo, vengono aggiunti per migliorare le prestazioni di attrito della pastiglia. Questi materiali aiutano a mantenere una superficie ruvida e pulita sul disco dei freni. Durante una frenata l’attrito genera calore, ed è per questo che si prevede l’uso in miscela di vari metalli, come il rame, lo zinco, l'alluminio o il ferro. I metalli servono per vari scopi, tra cui la conduzione del calore, il miglioramento dell'attrito e la resistenza all'usura. Per quanto riguarda la stabilizzazione e la riduzione del rumore vengono usati materiali come il molibdeno, disolfuro o la grafite. Produzione di PM 2,5 dall’usura del manto stradale Anche il manto stradale, subisce uno sforzo di attrito da parte degli pneumatici causando un logoramento e un consumo del tappetino finale, sotto forma di micro particelle di composti bituminosi che si possono liberare nell’aria, causando la possibile respirazione delle particelle di PM 2,5 da parte dell’uomo. Per capire cosa possiamo respirare nei pressi di un’arteria stradale vediamo come è fatto un manto stradale per capire quali componenti si liberano nell’aria. Tralasciano la stratificazione più profonda che difficilmente viene in contatto con gli pneumatici, concentriamoci su quello che viene definito il tappetino finale, la superficie in cui avviene l’attrito con i mezzi di trasporto. Il tappetino finale è composto prevalentemente da bitume, un materiale viscoso, nero e adesivo derivato dalla distillazione del petrolio grezzo. Il bitume agisce come legante, mantenendo insieme gli altri componenti del manto stradale e fornendo impermeabilità. Questo strato di bitume ingloba una serie di additivi chimici quali: Plastificanti: per migliorare la flessibilità del manto stradale Stabilizzatori: per migliorare la resistenza all'usura e alla deformazione Agenti anti-invecchiamento: per aumentare la durata del manto stradale Agenti rigeneranti: materiali riciclati, come l'asfalto fresato, che possono essere reintrodotti nella miscela Quali sono gli effetti del PM 2,5 sulla salute dell'uomoL'inalazione di PM 2,5 può causare irritazione alle vie respiratorie e aggravare patologie croniche come asma, bronchite e altre malattie polmonari. Infatti, a seconda della capacità di attraversare il sistema respiratorio umano, le polveri sottili si possono scomporre in: - "frazione inalabile", che può raggiungere la faringe e la laringe proprio in seguito a inalazione attraverso la bocca o il naso, e comprende praticamente tutto il particolato - "frazione toracica", che è in grado di raggiungere la trachea e i bronchi - "frazione respirabile" per indicare la classe di particelle più piccole che è in grado di raggiungere gli alveoli e attraverso questi trasmettersi nel sangue Inoltre, ci sono evidenze che collegano l'esposizione al PM 2,5 a malattie cardiovascolari, compresi infarti, ictus e altre malattie cardiache, compromettere il sistema immunitario, rendendo le persone più vulnerabili alle infezioni. Ma come descritto in precedenza, il PM 2,5 contiene agenti cancerogeni e l'esposizione a lungo termine è stata collegata a un aumento del rischio di tumori, in particolare il tumore del polmone e alla prostata. Un’incidenza sul sistema nervoso dell’inquinamento da PM 2,5 è stata notata attraverso alcune ricerche, volte a considerare il rapporto di questo inquinante con l’incremento dei casi di Alzheimer. Anche da punto della riproduzione, ci sono evidenze per cui il particolato così sottile, incamerato per lunghi periodi, possa portare ad un aumento delle nascite premature. Per quanto riguarda gli aspetti più negativi, alcuni studi epidemiologici hanno mostrato che le zone con livelli elevati di PM 2,5 tendono ad avere tassi di mortalità più alti. Possiamo comunque dire che gli effetti del PM 2,5 sulla salute dell’uomo possono variare in base all'età, alla salute generale e ad altri fattori individuali. I bambini, gli anziani e le persone con condizioni di salute critiche possono essere particolarmente vulnerabili.

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rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Sicurezza Industriale dopo il Disastro Ambientale di Seveso
Ambiente

Il disastro ambientale di Seveso rappresenta un tragico promemoria dell'importanza della sicurezza industriale e delle possibili conseguenze di incidenti chimici di Marco ArezioNel Luglio del 1976, la popolazione lombarda stava vivendo un periodo difficile, come del resto tutti gli Italiani, stretti tra il terrorismo, che faceva della lotta armata un mezzo per destabilizzare le istituzioni e la vita sociale, tra la crisi economica che metteva a rischio i posti di lavori e faceva aumentare l’inflazione, tra i litigi politici che si riproponevano puntuali, dando un senso di sfiducia e smarrimento ai cittadini e tra la tristezza per le vittime e gli sfollati del terremoto in Friuli, avvenuto due mesi prima. Il luglio del 1976 era un mese caldo, afoso, dove le attività quotidiane erano rese più difficili dalle alte temperature, mitigate solo dall’idea che dopo poche settimane gli Italiani sarebbero andati in ferie. Ma il 10 Luglio, a Seveso, un paese nell’hinterland milanese successe l’impensabile, in una fabbrica che produceva prodotti chimici, l’ICMESA, una filiale della società chimica svizzera Hoffmann-La Roche. In un reattore dell’azienda si crea una reazione incontrollata che ha portato alla liberazione di un'ampia quantità di diossina TCDD (tetraclorodibenzo-p-diossina) nell'atmosfera. La diossina si disperde velocemente nelle zone circostanti la fabbrica, estendendosi per circa 18 Km. quadrati, contaminando il suolo, l’aria, gli animali e la popolazione. Come si sa, l’hinterland di Milano ha una densità di popolazione molto elevata e Seveso che ne faceva parte, fu investito dalla diossina, esponendo circa 37.000 persone al contagio. L’Italia si trovò vulnerabile agli incidenti industriali di questa portata, ma in realtà, anche in Europa si guardò con apprensione alle tutte le attività industriali che trattavano prodotti pericolosi. Molti animali morirono nei giorni successivi alla fuoriuscita del veleno, i terreni e le coltivazioni agricole furono impregnate dalla diossina e le persone, a distanza di pochi giorni, iniziarono a manifestare allergie cutanee, note come "cloracne", che un chiaro sintono di esposizione alla diossina. L’impatto di un disastro chimico di questa dimensione, spinse il governo al trasferimento della popolazione che viveva nei pressi della fabbrica, verso altre aree abitative, all’asportazione dei terreni contaminati e all’abbattimento dei capi di bestiame destinati alla produzione di carne. Cosa è la diossina, come si produce e perché è pericolosa La diossina è un termine generico che si riferisce a un gruppo di composti chimici organici clorurati che tendono a persistere nell'ambiente per lunghi periodi di tempo. Possono essere prodotte come sottoprodotto indesiderato in vari processi industriali, come la produzione di cloro e alcuni derivati del cloro, come componente per la produzione di erbicidi e pesticidi, nella produzione di carta e polpa attraverso processi a base di cloro. Ma le diossine si possono formare anche durante l’incenerimento dei rifiuti, specialmente se contengono cloro. Ciò include l'incenerimento di rifiuti solidi urbani, rifiuti medici e rifiuti pericolosi. Sono tossiche per gli esseri umani e possono causare una serie di problemi di salute. Anche a basse dosi, con un esposizione a lungo termine, può portare a problemi immunitari, endocrini, nervosi e riproduttivi. L'esposizione alla diossina, come è successo a Seveso nel 1976, ha avuto vari effetti sulla salute della popolazione locale. Mentre gli effetti immediati furono piuttosto evidenti, quelli a lungo termine sono diventati chiari solo attraverso studi e monitoraggi effettuati nel corso di molti anni. Cloracne Questa è una delle manifestazioni più evidenti e immediate dell'esposizione alla diossina, infatti la cloracne è una grave forma di acne causata da sostanze chimiche Problemi di salute a lungo termine Studi successivi hanno dimostrato un aumento del rischio malattie cardiovascolari, diabete e ipertensione. Cancerogenicità Studi condotti negli anni successivi hanno dimostrato un leggero aumento di alcuni tipi di cancro, in particolare il linfoma non-Hodgkin, tra le persone che vivevano nelle zone più contaminate. Effetti riproduttivi Ci sono state alcune evidenze di un leggero aumento delle nascite premature e con neonati di sotto peso, tra le donne esposte alla diossina. Alterazioni endocrine Le diossine sono conosciute come interferenti endocrini, il che significa che possono provocare disfunzioni sul normale funzionamento del sistema endocrino. Ciò può portare a una serie di problemi, compresi quelli riproduttivi e dello sviluppo. Effetti immunitari La diossina può avere un effetto soppressivo sul sistema immunitario, il che può aumentare la crescita di diverse malattie. Permanenza Una volta rilasciate nell'ambiente, le diossine sono estremamente stabili e possono permanere per lunghi periodi di tempo. Questo significa che possono accumularsi nella catena alimentare, soprattutto nei tessuti grassi degli animali. Bioaccumulo Le diossine tendono ad accumularsi negli organismi viventi, quindi, mangiando animali contaminati, gli esseri umani possono accumulare concentrazioni tossiche di diossine nel proprio corpo. Quali leggi ambientali sono state adottate in seguito al disastro di Seveso L’incidente avvenuto nella fabbrica dell’ICMESA ha avuto un impatto profondo sulla percezione dei rischi industriali e ha portato a un rafforzamento della normativa ambientale, soprattutto in Europa. Il cambiamento legislativo più noto e diretto, in Italia, è stato la promulgazione della Direttiva Seveso dell'Unione Europea. Direttiva Seveso I (82/501/CEE) Adottata nel 1982, fu la prima risposta legislativa a livello europeo al disastro di Seveso. Essa obbligava gli Stati membri a identificare gli impianti industriali con un elevato rischio di incidenti gravi e a garantire che questi impianti avessero piani di emergenza adeguati, informando anche le comunità circostanti sui rischi. Direttiva Seveso II (96/82/CE) Introdotta nel 1996, la Direttiva Seveso II estese e rafforzò le disposizioni della Direttiva Seveso originale. In particolare, ampliò la gamma di attività industriali coperte dalla direttiva e introdusse nuovi requisiti per la prevenzione degli incidenti e la pianificazione delle emergenze. Ha anche posto una maggiore enfasi sulla comunicazione con il pubblico e sulla partecipazione del pubblico alla pianificazione delle emergenze. Direttiva Seveso III (2012/18/UE) Adottata nel 2012, la Direttiva Seveso III ha ulteriormente aggiornato e rafforzato le norme relative alla prevenzione degli incidenti industriali gravi. Tra le principali novità, la nuova direttiva ha introdotto cambiamenti nella classificazione delle sostanze pericolose e ha rafforzato le disposizioni relative all'accesso del pubblico alle informazioni e alla partecipazione pubblica.

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https://www.rmix.it/ - Cosa sono i Tensioattivi e che Impatto hanno sull’Ambiente
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cosa sono i Tensioattivi e che Impatto hanno sull’Ambiente
Ambiente

Saponi, detersivi, shampoo, sono solo alcuni esempi di composti che contengono i tensioattividi Marco ArezioCome ogni medaglia esiste un lato brillante e uno scuro, nel nostro caso, oggi, parliamo sia del lato brillante, cioè i prodotti della pulizia che assolvono un compito nobile e doveroso, che del lato scuro, che riguarda l’impatto ambientale dello scarico dei tensioattivi nei fiumi, laghi e mari. Cosa sono i tensioattivi I tensioattivi, noti anche come surfattanti, sono composti chimici che vengono utilizzati comunemente nei detergenti, come lo shampoo, i saponi, i detersivi e molti altri prodotti per la pulizia personale e domestica. La loro principale funzione è quella di abbassare la tensione superficiale tra due fasi immiscibili, come ad esempio l'acqua e l'olio, permettendo loro di mescolarsi in una soluzione omogenea. Questa capacità li rende efficaci per disperdere grasso e sporco, facilitando la pulizia e l'eliminazione delle impurità. I tensioattivi possono essere di diversi tipi: - come anionici - cationici - non ionici - anfoteri ciascuno con proprietà specifiche a seconda dell'applicazione desiderata. Categorie e differenze tra i tensioattivi I tensioattivi possono essere suddivisi in diverse categorie principali in base alla loro polarità e carica elettrica. Le principali categorie di tensioattivi sono: Tensioattivi anionici Questi tensioattivi hanno una carica negativa quando si dissolvono in acqua. Sono comunemente utilizzati nei detergenti per lavanderia e piatti, oltre che nei saponi. Gli esempi includono il solfato di sodio laurile (SLS) e il solfato di sodio laurilsolfonato (SLES). Tensioattivi cationici A differenza degli anionici, i tensioattivi cationici hanno una carica positiva in ambiente acquoso. Sono spesso usati come additivi per ammorbidenti, balsami per capelli e detergenti per tessuti. Esempi di tensioattivi cationici includono i cloruri di ammonio quaternario. Tensioattivi non ionici Questi tensioattivi non hanno cariche elettriche e sono spesso utilizzati in detergenti delicati, come detergenti per pelli sensibili o detergenti per lavastoviglie. Gli esempi includono gli alcoli grassi etossilati (AEO) e i nonilfenoli etossilati (NPE). Tensioattivi anfoteri Possono avere sia cariche positive che negative in diverse condizioni di pH. Sono comunemente utilizzati nei prodotti per capelli, come shampoo e balsami. Un esempio comune di tensioattivo anfotero è il cocamidopropil betaina. Le differenze tra i tensioattivi riguardano principalmente le loro cariche elettriche e le proprietà che queste conferiscono ai composti. Inoltre, il tipo di tensioattivo utilizzato può influire sulla sua efficacia per specifiche applicazioni, come la rimozione di grasso, la schiumosità e la capacità di essere stabile in diverse condizioni di pH e temperatura. La scelta del tensioattivo dipenderà dalle esigenze specifiche del prodotto e dalla sua finalità d'uso. La storia dei tensioattivi L'uso di tensioattivi naturali, come il sapone, risale a migliaia di anni fa. I primi tentativi di pulire e lavare gli oggetti hanno spinto l’uomo all'utilizzo di miscele di oli e grassi di origine animale e vegetale, che contenevano già composti tensioattivi naturali. Questi tensioattivi presenti nel sapone permettevano di ridurre la tensione superficiale dell'acqua, facilitando la pulizia. Tuttavia, la produzione su larga scala di tensioattivi sintetici, come quelli utilizzati oggi, è iniziata nel corso del XX secolo, con importanti sviluppi nella chimica industriale e delle materie prime. Infatti, i primi tensioattivi sintetici furono sviluppati durante la prima metà del XX secolo e vennero utilizzati principalmente nell'industria dei detergenti e dei saponi. Non esiste un singolo inventore dei tensioattivi sintetici, ma il merito va attribuito a molti scienziati e ricercatori che hanno contribuito a sviluppare e perfezionare questi composti chimici nel corso del tempo. La loro scoperta e applicazione hanno avuto un impatto significativo sulla pulizia, igiene e produzione di una vasta gamma di prodotti chimici e beni di consumo moderni. Cosa comporta lo scarico dei tensioattivi nell’ambiente Lo scarico dei tensioattivi nell'ambiente può avere diversi effetti negativi, poiché questi composti chimici possono essere dannosi per gli ecosistemi acquatici e terrestri. Vediamo alcune delle principali problematiche ambientali correlate allo scarico di tensioattivi in ambiente: Inquinamento dell'acqua I tensioattivi possono arrivare nei corpi d'acqua attraverso gli scarichi domestici e industriali. Questi composti possono alterare la tensione superficiale dell'acqua, riducendo la capacità degli organismi di planare o galleggiare. Ciò può avere effetti negativi su alcune specie acquatiche, come insetti o piccoli animali che si muovono sulla superficie dell'acqua per alimentarsi o riprodursi. Tossicità per la vita acquatica Alcuni tensioattivi, specialmente quelli non biodegradabili, possono essere tossici per organismi acquatici come pesci, invertebrati e piante acquatiche. Questi composti possono danneggiare gli organismi presenti negli ecosistemi acquatici, alterando la loro fisiologia e la loro capacità di sopravvivenza e riproduzione. Formazione di schiuma Lo scarico eccessivo di tensioattivi può portare alla formazione di schiuma sulla superficie dell'acqua, specialmente in corrispondenza di fonti di scarico come fiumi o laghi. Questa schiuma può interferire con il trasporto dell'ossigeno, creare ostruzioni e ostacoli per la fauna e diventare un problema estetico. Inquinamento del suolo Se i tensioattivi vengono assorbiti nel terreno, possono contaminare le acque sotterranee o influenzare negativamente i microrganismi del suolo, compromettendo la salute e la fertilità del terreno. Quali sono i tensioattivi biodegradabili I tensioattivi biodegradabili sono composti chimici che possono essere facilmente scomposti e decomposti in modo naturale dagli organismi biologici presenti nell'ambiente, come batteri e altri microrganismi. Questa caratteristica li rende meno dannosi per l'ambiente rispetto ai tensioattivi non biodegradabili, poiché si degradano rapidamente e si trasformano in sostanze meno tossiche. Vediamo quali sono i principali tensioattivi biodegradabili:Tensioattivi a base di zucchero Sono ottenuti da fonti vegetali come il mais, la canna da zucchero o il cocco. Sono considerati biodegradabili e spesso utilizzati in prodotti per la pulizia ecologici e sostenibili. Tensioattivi a base di amminoacidi Sono derivati dagli amminoacidi, i mattoni costitutivi delle proteine. Sono biodegradabili e comunemente usati in prodotti per l'igiene personale, come shampoo e detergenti delicati. Tensioattivi a base di oli vegetali Alcuni tensioattivi possono essere ottenuti dalla saponificazione di oli vegetali come l'olio di palma o l'olio di cocco. Sono biodegradabili e utilizzati in prodotti per la pulizia e per la cura della pelle. Tensioattivi enzimatici Sono basati su enzimi, che sono proteine naturali altamente biodegradabili. Sono spesso utilizzati in detergenti per lavanderia e lavastoviglie. Tensioattivi di origine naturale Alcuni tensioattivi possono essere estratti da fonti naturali come le saponarie (Sapindus spp.) o altri alberi e piante. Quando si scelgono prodotti contenenti tensioattivi, è sempre consigliabile cercare quelli con etichette "biodegradabili" o "ecologici" per contribuire a ridurre l'impatto ambientale del loro utilizzo.

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https://www.rmix.it/ - Le Concerie del Bangladesh tra Veleni e Malattie
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le Concerie del Bangladesh tra Veleni e Malattie
Ambiente

I marchi mondiali della moda fanno lavorare la pelle per i loro prodotti in un ambiente infernaledi Marco ArezioCi siamo mai chiesti, guardano una borsetta di pelle griffata o un guanto o un giubbino o un paio di scarpe, quale sia il loro percorso produttivo, e se, attraverso il nostro acquisto, sosteniamo un mercato avvelenato e mortale? Direi che poche persone se lo chiedono, attratte dalla bellezza dell’articolo in pelle che si vuole comprare, nonostante i prezzi dei capi di moda possano costare una fortuna, con l’unico intento di soddisfare il proprio desiderio.Se vi sedete comodi, vi racconto cosa ci sta dietro, solitamente, alla produzione di un capo in pelle che deve essere conciata e colorata, si perché, queste due operazioni sono, nel settore della produzione della pelle, tra le più inquinanti e dannose per la salute dell’uomo e dell’ecosistema. Siamo in Bangladesh, diventato il centro mondiale della concia delle pelli, favorito dagli ordini che arrivano dalle case di moda o per le case della moda, che in questa nazione trovano un sistema produttivo a basso costo e senza vincoli particolari. Il paese è uno dei maggiori produttori di cuoio al mondo, con un'ampia presenza di concerie che lavorano pelli di animali per produrre prodotti in cuoio come scarpe, borse e abbigliamento. Tuttavia, molte di queste concerie operano in modo non regolamentato e senza adeguati standard di sicurezza ambientale, causando gravi danni all'ambiente e alla salute umana. Come le concerie del Bangladesh incidono sull’ambiente e sulla vita delle comunità Le concerie utilizzano una vasta gamma di sostanze chimiche per il processo di concia, compresi solventi, coloranti, conservanti e prodotti chimici per la pulizia. Molte di queste sostanze chimiche sono altamente tossiche e possono contaminare le acque superficiali e sotterranee, se smaltite in modo inappropriato. La lavorazione delle pelli produce grandi quantità di rifiuti solidi, come scarti di pelli e residui di concia. Se questi rifiuti non vengono smaltiti correttamente, possono contaminare il suolo e le risorse idriche circostanti. Il processo di concia richiede enormi quantità di acqua, che viene estratta da fiumi e altre fonti. Il consumo di acqua da parte delle concerie può portare alla riduzione delle risorse idriche locali e alla siccità. Inoltre, l'inquinamento dell'acqua influisce negativamente sulle specie ittiche e sulla biodiversità dell'ecosistema acquatico. Quali inquinanti finiscono nei fiumi del Bangladesh a causa delle concerie Le concerie in Bangladesh possono scaricare diversi inquinanti nei fiumi circostanti, causando gravi danni all'ecosistema acquatico. Alcuni dei principali inquinanti che finiscono nei fiumi sono: Sostanze chimiche tossiche Durante il processo di concia, vengono utilizzate sostanze chimiche come solventi, coloranti, conservanti e prodotti chimici per la pulizia. Molte di queste sostanze sono tossiche e possono contaminare le acque dei fiumi. Cromo esavalente Il cromo esavalente, un composto chimico altamente tossico e cancerogeno, è spesso utilizzato nelle concerie per fissare il colore del cuoio. Il suo scarico incontrollato può contaminare gravemente i fiumi, rendendoli pericolosi per la vita acquatica e per le persone che dipendono dalle risorse idriche. Rifiuti solidi Le concerie generano grandi quantità di rifiuti solidi come scarti di pelli, residui di concia e peli. Questi, spesso, finiscono direttamente nei fiumi, causando l'inquinamento delle acque e danneggiando gli ecosistemi fluviali. Ammoniaca L'ammoniaca è un sottoprodotto della lavorazione delle pelli che può contaminare le acque dei fiumi. Lo scarico nei fiumi può causare la crescita eccessiva di alghe e altri organismi acquatici, portando alla riduzione dell'ossigeno nell'acqua e alla morte della vita acquatica. Inquinanti organici persistenti (POP) Alcuni prodotti chimici utilizzati nelle concerie, come i clorofenoli e gli idrocarburi aromatici policiclici (PAH), sono considerati inquinanti organici persistenti. Questi inquinanti possono accumularsi negli organismi acquatici e avere effetti nocivi sulla catena alimentare. L'inquinamento dei fiumi causato dalle concerie ha gravi conseguenze sull'ecosistema acquatico, inclusa la perdita di biodiversità, l'alterazione dell'habitat degli organismi acquatici e la compromissione della qualità dell'acqua. Come la produzione influisce sulla salute dei lavoratori L'inquinamento delle concerie ha gravi conseguenze per la salute umana e l'ecosistema locale. Le comunità che vivono vicino alle concerie sono particolarmente colpite, con un aumento dei casi di malattie respiratorie, irritazioni cutanee, problemi oculari e disturbi del sistema nervoso. Inoltre, i lavoratori delle concerie in Bangladesh, possono essere esposti a diversi rischi per la salute, a causa delle condizioni di lavoro e dell'esposizione a sostanze chimiche pericolose. Alcune delle malattie associate al lavoro nelle concerie includono: Dermatiti L'esposizione a sostanze chimiche irritanti e allergeniche utilizzate nel processo di concia può causare dermatiti, che sono infiammazioni della pelle. Queste condizioni possono manifestarsi come eruzioni cutanee, arrossamenti, prurito e irritazioni. Problemi respiratori I lavoratori delle concerie possono essere esposti a vapori e polveri nocive, che possono causare irritazione delle vie respiratorie e problemi respiratori come asma, bronchite cronica e altre malattie polmonari. Malattie oculari L'esposizione a sostanze chimiche e polveri può anche provocare irritazione agli occhi e congiuntiviti, che sono infiammazioni della membrana che riveste l'interno delle palpebre e la superficie dell'occhio. Avvelenamento da metalli pesanti Alcuni prodotti chimici utilizzati nelle concerie contengono metalli pesanti come il cromo, che possono accumularsi nell'organismo dei lavoratori e causare danni ai reni, al fegato e al sistema nervoso. Disturbi neurologici L'esposizione a solventi e altre sostanze chimiche tossiche può aumentare il rischio di disturbi neurologici come danni ai nervi periferici, disturbi cognitivi e deficit di attenzione. Cancro L'esposizione a sostanze chimiche cancerogene, come il cromo esavalente presente in alcuni processi di concia, può aumentare il rischio di sviluppare tumori maligni, in particolare tumori polmonari e del tratto respiratorio. Perché i marchi della moda mondiale continuano a far produrre la pelle conciata in Bangladesh Ci sono diverse ragioni per cui i marchi della moda mondiale continuano a far produrre pelle conciata in Bangladesh nonostante i problemi di inquinamento e le questioni legate ai lavoratori.Il Bangladesh è noto per i suoi bassi costi di produzione e per l'industria conciaria economica. I marchi della moda cercano spesso di ridurre i costi di produzione per aumentare i margini di profitto, e spostare la produzione in paesi a basso costo, come il Bangladesh, può essere un modo per raggiungere questo obiettivo. Il Bangladesh ha sviluppato una solida base manifatturiera, inclusa un'ampia capacità produttiva e infrastrutturale, adeguate per l'industria conciaria. Questo rende il paese un'opzione attraente per i marchi che cercano una produzione su larga scala. Nel corso degli anni, molte aziende hanno stabilito relazioni e catene di approvvigionamento consolidate con i produttori di pelli e concerie in Bangladesh. Cambiare la propria catena di approvvigionamento richiederebbe tempo, risorse e costi aggiuntivi. Alcuni marchi, infine, possono sfruttare le normative meno rigide o le lacune normative nel paese di produzione. Questo può consentire loro di evitare o ridurre le responsabilità ambientali e di sicurezza sulle concerie e di ridurre i costi di conformità.

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https://www.rmix.it/ - I Disastri Ambientali delle Attività Minerarie in Europa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I Disastri Ambientali delle Attività Minerarie in Europa
Ambiente

L’estrazione e la lavorazione dei minerali hanno frequentemente lasciato un segno indelebile sui territori e sulla popolazionedi Marco ArezioLe miniere e le cave di estrazione, sono state spesso ubicate in zone scarsamente abitate, dove l’impatto immediato delle attività sui luoghi abitati, era poco monitorato e non destava una grande preoccupazione sociale. In realtà, queste attività, se non gestite nel rispetto dell’ambiente, possono essere silenti avvelenatori di un territorio o, come successe tante volte, sfociare in veri e propri disastri ambientali.Ma quali sono questi rischi primari delle attività minerarie per il territorio e le persone: - Distruzione degli habitat: l'apertura di miniere può comportare la distruzione o l'alterazione degli habitat naturali, con conseguenze negative sulla biodiversità- Inquinamento dell'acqua: l'attività mineraria può provocare il rilascio di sostanze chimiche tossiche o metalli pesanti nell'acqua, contaminando le falde acquifere, i fiumi e i laghi circostanti - Inquinamento atmosferico: le attività di estrazione e lavorazione dei minerali possono rilasciare polveri sottili, gas nocivi e altre sostanze inquinanti nell'aria - Impatto del rumore e delle vibrazioni: l'estrazione mineraria può generare rumori intensi e vibrazioni che possono disturbare la fauna selvatica e le comunità locali - Gestione dei rifiuti: l'attività mineraria genera grandi quantità di scarti, come scarti di roccia, scorie e materiali di scavo - Impatto sull'uso del suolo: l'apertura di miniere comporta spesso la conversione di terreni agricoli o forestali in aree industriali Purtroppo, la storia ci ha consegnato episodi tragici, avvenuti in Europa, che sono stati generati da deficienze delle attività minerarie in Europa, che hanno comportato un importante danno ambientale e, conseguentemente, delle ricadute negative e pericolose per la popolazione che, direttamente o indirettamente, è venuta a contatto con l’inquinamento prodotto. Di questi disastri ambientali ne vogliamo ricordare tre di particolare intensità: 1. Disastro della miniera di Aznalcóllar (Spagna, 1998). Un bacino di decantazione di una miniera di pirite in Spagna si è rotto, riversando circa 5 milioni di metri cubi di liquami tossici e contenenti metalli pesanti nel fiume Guadiamar. L'inquinamento risultante ha danneggiato gravemente l'ecosistema fluviale, compresi i terreni agricoli circostanti. 2. Disastro del cianuro in Romania (2000). La rottura di una diga contenente liquami tossici provenienti da una miniera d'oro nel nord della Romania ha causato il riversamento di circa 100.000 metri cubi di acqua contaminata da cianuro nel fiume Tisza. Questo ha generato una significativa morte della fauna ittica e ha avuto effetti negativi sull'approvvigionamento di acqua per molte comunità. 3. Disastro della diga di Kolontár (Ungheria, 2010). La rottura di una diga contenente residui tossici provenienti da una miniera di alluminio ha causato il riversamento dei fanghi rossi, altamente corrosivi, in diverse città e campi agricoli. Questo incidente ha causato diversi decessi e ha avuto gravi conseguenze per l'ambiente locale. Disastro della miniera di Aznalcóllar (Spagna, 1998) Il disastro della miniera di Aznalcóllar è un grave incidente ambientale avvenuto il 25 aprile 1998 nella regione di Andalusia, in Spagna. L'incidente coinvolse la rottura di una diga di decantazione nella miniera, situata vicino al Parco Nazionale di Doñana. La miniera di Aznalcóllar era dedicata all'estrazione di minerali, in particolare di pirite, contenente elevate concentrazioni di metalli pesanti come piombo, zinco e cadmio. La diga di decantazione, che aveva lo scopo di trattenere i residui tossici generati dalla lavorazione della pirite, cedette improvvisamente, causando il riversamento di circa 5 milioni di metri cubi di liquami tossici nella regione circostante. I liquami contenenti metalli pesanti e sostanze chimiche nocive si riversarono nel fiume Agrio, che a sua volta si unisce al fiume Guadiamar. Questo provocò una vasta contaminazione delle acque e del terreno lungo il corso dei fiumi. L'area colpita includeva zone umide, habitat naturali e terreni agricoli, creando un impatto significativo sull'ecosistema locale. L'incidente suscitò preoccupazioni per l'importante riserva naturale del Parco Nazionale di Doñana, riconosciuta come sito di patrimonio mondiale dall'UNESCO. Il parco è una zona umida di importanza internazionale e un habitat cruciale per numerose specie di uccelli migratori e altri animali selvatici. L'inquinamento causato dal disastro di Aznalcóllar rappresentò una minaccia diretta per questo prezioso ecosistema. Le autorità spagnole e le organizzazioni ambientaliste intervennero rapidamente per affrontare la situazione. Furono adottate misure di emergenza per contenere l'inquinamento e ripristinare l'area colpita. Ciò includeva la costruzione di barriere per limitare la diffusione dei liquami tossici, la bonifica dei terreni contaminati e la reintroduzione di specie animali e vegetali native. Il disastro della miniera di Aznalcóllar ha messo in evidenza l'importanza di un'adeguata gestione dei rifiuti industriali e delle misure di sicurezza nelle miniere. Ha sottolineato la necessità di controlli più rigorosi e di una maggiore responsabilità da parte delle industrie minerarie nel prevenire incidenti ambientali dannosi. L'incidente ha anche contribuito a una maggiore consapevolezza dell'importanza della conservazione delle aree naturali sensibili e dell'ecosistema unico del Parco Nazionale di Doñana. Disastro del cianuro in Romania (2000) Il disastro ambientale del cianuro in Romania si riferisce a un grave incidente avvenuto il 30 gennaio 2000, quando una diga contenente liquami tossici provenienti da una miniera d'oro si ruppe nel nord della Romania. L'incidente ha causato il riversamento di una grande quantità di acqua contaminata da cianuro nel fiume Tisza e successivamente nel Danubio. La miniera coinvolta era la miniera d'oro di Baia Mare, situata nella regione di Maramureș. A seguito della rottura della diga di contenimento, circa 100.000 metri cubi di acqua contaminata, contenente elevate concentrazioni di cianuro e metalli pesanti, si sono riversati nel fiume Tisza. Il cianuro è un composto altamente tossico per gli organismi viventi e può causare danni irreversibili all'ecosistema acquatico. L'inquinamento da cianuro ha avuto effetti disastrosi sulla fauna ittica del fiume Tisza e dei suoi affluenti. Si stima che migliaia di tonnellate di pesci siano morte a causa dell'avvelenamento da cianuro. Inoltre, il fiume Tisza attraversa diversi paesi, tra cui Romania, Ucraina, Ungheria e Serbia, e l'inquinamento si è esteso anche a questi territori, causando danni all'ambiente fluviale e minacciando le risorse idriche locali.Disastro della diga di Kolontár (Ungheria, 2010)Il disastro della diga di Kolontár è un grave incidente avvenuto il 4 ottobre 2010 in Ungheria. La diga di contenimento di una miniera di alluminio situata nel villaggio di Kolontár si ruppe, causando il riversamento di grandi quantità di fanghi rossi altamente corrosivi in diverse città e campi agricoli circostanti. I fanghi rossi, noti anche come "fango bauxite", sono un sottoprodotto tossico del processo di raffinazione dell'alluminio. Contengono elevate concentrazioni di sostanze chimiche nocive, tra cui metalli pesanti, come l'arsenico e il piombo. Quando la diga si è rotta, una massa di fango rosso altamente alcalino si è riversata nella valle circostante, coprendo tutto ciò che incontrava lungo il suo cammino. L'incidente ha avuto conseguenze devastanti. Le città di Kolontár e Devecser sono state le più colpite, con case e infrastrutture completamente sommerse dai fanghi tossici, dieci persone hanno perso la vita nell'incidente e molte altre sono rimaste ferite. L'inquinamento ha avuto un impatto significativo sull'ambiente locale, distruggendo le terre agricole, uccidendo la fauna e contaminando le risorse idriche. Le autorità ungheresi hanno dichiarato lo stato di emergenza e hanno avviato un'ampia operazione di pulizia e bonifica. Le squadre di emergenza hanno lavorato per contenere il fango e cercare di prevenire il suo raggiungimento del fiume Danubio. È stato costruito un sistema di dighe temporanee per evitare ulteriori fuoriuscite e sono stati avviati sforzi per ripulire le aree colpite e ripristinare l'ambiente.

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https://www.rmix.it/ - Le Resistenze di Winston Churchill nel Varo della Prima Legge Anti Smog
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le Resistenze di Winston Churchill nel Varo della Prima Legge Anti Smog
Ambiente

Le influenze degli industriali del carbone e delle attività collegate che non volevano una legge che minasse i loro interessiSappiamo dalla storia che un motivo, tra i tanti, della grandezza dell’Inghilterra a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo fu la propria indipendenza energetica, basata sul carbone, che permetteva all’industria di lavorare, alle case di scaldarsi e poter cucinare e ai trasporti navali di funzionare. Il risvolto della medaglia di tutto questo progresso fu l’inquinamento che pervadeva le città, Londra compresa, creando fitte coltre di nebbie composte da inquinanti dannosi derivanti alla combustione del carbone. Non si comprese, in quel periodo storico, la correlazione tra le emissioni in atmosfera causate dal carbone domestico ed industriale, e la letalità della nebbia inquinata che veniva respirata dagli uomini de dagli animali, portando a patologie respiratorie spesso inquadrate come influenza. Nonostante già nel 1880, il meteorologo Rollo Russell iniziò a credere che lo smog che si formava nelle città potesse avere un’influenza sull’aumento delle malattie e delle morti, poco si fece per risolvere il problema. Tuttavia, verso la fine del XIX° secolo iniziò ad emergere la consapevolezza che lo smog potesse essere deleterio per la salute, e che la principale causa della nebbia densa e persistente venisse proprio dalla combustione del carbone. In ogni caso, la politica cercò di non fare emergere il problema di carattere socio-sanitario, anche perché una soluzione avrebbe imposto una drastica cura, che riguardava la sostituzione del carbone sia domestico che industriale, mettendo mano ad una riforma energetica costosa e avversa agli industriali del carbone. Il silenzio proseguì fino al Dicembre 1952 quando per condizioni meteorologiche particolari, Londra fu avvolta da una nebbia fitta e maleodorante che si impossessò della città per qualche giorno. In quel periodo si verificò un repentino aumento dell’inquinamento atmosferico causato dallo stazionamento dell’anticiclo delle Azzorre che creò un’inversione termica sulla città, creando uno strato di aria fredda al suolo e uno di aria calda superiore con l’assenza di vento. L’aria calda a contatto con quella fredda creava una rugiada, facendo nascere una massiccia quantità di umidità che si mescolava agli inquinanti della combustione del carbone presenti nell’ambiente. Inoltre, la permanenza dell’aria fredda spinse ad aumentare l’uso del carbone per il riscaldamento peggiorando la situazione. Un altro fattore concomitante da tenere presente è che il carbone disponibile in Inghilterra era di pessima qualità, in quanto il migliore veniva venduto all’estero, e questo faceva si che bruciando un combustibile con alto contenuto di zolfo si liberasse nell’aria una grande quantità di anidride solforosa. Si creò quindi una coltre spessa dai 100 ai 200 metri che ammorbò l’aria sia all’esterno degli edifici che all’interno, riducendo la visibilità nei trasporti ma anche per la circolazione dei pedoni. Le vittime, nell’immediata vicinanza ai giorni del grande smog, furono 4000 solo a Londra ma, nei periodi successivi ne furono censiti circa 12.000 che potevano essere ricondotte a questo fenomeno, con l’aggiunta di circa 100.000 ammalati. Nei quattro giorni sopra detti furono rilasciate nell'atmosfera enormi quantità delle seguenti sostanze impure: - 1 000 tonnellate di particelle di fumo - 140 tonnellate di acido cloridrico - 14 tonnellate di composti di fluoro - 370 tonnellate di anidride solforosa convertite in 800 tonnellate di acido solforico Nel 1954 il ministero della salute, a fronte dell’aumento statisticamente così consistente dei morti e degli ammalati di malattie respiratorie, avanzò l’ipotesi che potesse trattarsi di un’influenza. Questi ipotesi, non si sa se spinta da interessi economici di parte, fu smentita successivamente attraverso l’osservazione della medicina generale della zona di Londra e della situazione vaccinale della popolazione, portando ad una conferma che il fenomeno era stato causato dallo smog. Il governo di allora, presieduto da Winston Churchill, cercò una via d’uscita difronte alle informazioni scientifiche presentate dal ministero della salute, per evitare una trasformazione sociale ed industriale che non sarebbe stata gradita agli elettori.Questa trasformazione contemplava: - l’abbandono dell’uso del carbone nelle abitazioni e nelle fabbriche per passare al gas, che avrebbe comportato la fine del particolato proveniente dal carbone e presente nell’aria, con una qualità della stessa in deciso miglioramento- la conversione del combustibile nelle macchine industriali - lo spostamento delle fabbriche fuori dalle città. Il 5 Luglio 1956 il parlamento Britannico promulgò la legge denominata Clean Act, che fu firmata dalla Regina Elisabetta, restando in vigore fino al 1964. Questa legge, in quanto la prima di carattere ambientale, resterà una pietra miliare nel campo del controllo della qualità dell’aria e delle emissioni inquinanti, nonostante, nei decenni successivi, fu oggetto più volte di implementazione e aggiornamento.

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https://www.rmix.it/ - John Muir il Padre dei Movimenti Ambientalisti
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare John Muir il Padre dei Movimenti Ambientalisti
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La sua associazione, nata nel 1892, ha anticipato di quasi un secolo il WWF, Greenpeace e molte altre sigledi Marco Arezio"Nessun tempio fatto dalle mani umane può competere con Yosemite", e "lo Yosemite è il più grande di tutti i templi della Natura." John Muir era un uomo testardo, precursore in tempi non sospetti, della necessità di preservare la natura, senza compromessi e senza piegarsi alle logiche del denaro. Un amante fedele delle montagne americane, in particolar modo della valle dello Yosemite, nell’area montuosa della Sierra Nevada, dove Muir scoprì un paradiso naturale, già allora messo in pericolo dallo sfruttamento dei suoi prati per l’allevamento. John Muir nasce a Dunbar, sulla costa Scozzese, non lontano da Edimburgo il 21 Aprile del 1828 ed emigrò negli Stati Uniti, con la sua famiglia, nel 1849 con l’intento di aprire una fattoria che desse sostentamento e benessere a tutti. Frequentò l'Università del Wisconsin-Madison, ma rimase folgorato dalle lezioni di botanica e decise di percorrere un viaggio a piedi, di migliaia di chilometri, dall’Indiana alla florida negli anni 1866-67. Nel Marzo del 1868 venne a conoscenza di un luogo chiamato Yosemite e volle visitarlo, creando in lui uno stupore così grande da convincerlo a ritornarci in modo stabile, trovando un’occupazione presso le ferrovie locali. Nel 1880 sposò Louisa Wanda Strentzel ed entrò stabilmente nel ranch di famiglia in cui lavorò in modo continuativo, proseguendo ad occuparsi attivamente anche della protezione della natura. Il 30 Settembre del 1890 riuscì a far promulgare una legge, per la tutela ambientale, inserendo l’area dello Yosemite come zona di interesse naturalistico nazionale, facendo così costituire il parco nazionale dello Yosemite Valley, sotto il controllo dello stato della California. Due anni più tardi, nel 1892, John Muir, costituisce l’associazione ambientalista Sierra Club, di cui divenne il primo presidente, carica che mantenne fino alla sua morte nel 1914. Nella sua vita fu un vero combattente nella difesa integrale delle aree montane, tanto che fu costretto più di una volta a scomodare amicizie influenti, come il presidente degli Stati Uniti Roosevelt, per tentare di bloccare progetti che potessero modificare l’habitat naturale. Oltre all’avanzare delle ferrovie, in quell’epoca venne progettata la costruzione di una diga sul fiume Toulumne, che avrebbe permesso di creare una riserva d’acqua per la città di San Francisco, comportando però lo scavo e l’allagamento della valle di Hetch Hetchy, che Muir paragonò per bellezza alla Yosemite Valley. Attraverso l’associazione Sierra Club diede battaglia legale per fermare il progetto, esortando il presidente degli Stati Uniti a bloccare l’iniziativa. Le cause legali si susseguirono negli anni, ma con l’elezione del nuovo presidente americano, Woodrow Wilson, Muir perse la battaglia e la costruzione della diga si tramutò in legge il 19 Dicembre 1913. I sostenitori del Sierra Club ricorderanno la morte di Muir, avvenuta l’anno successivo nel 1914, come conseguenza del dolore, che gli spezzò il cuore, per aver perso la sua battaglia ambientalista, ma clinicamente morì per una polmonite. John Muir operò in periodo in cui l’industrializzazione, la chimica e lo sviluppo demografico ed economico non aveva ancora creato un abbraccio di morte con la natura, ma lui capì, quasi un secolo prima che nascessero le più conosciute sigle ambientaliste moderne, a partire dal WWF o da Greenpeace e molte altre, che la natura va protetta senza compromessi.

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https://www.rmix.it/ - Plastiche e Microplastiche nei Mari: Chi Pulisce, Quando e Come?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Plastiche e Microplastiche nei Mari: Chi Pulisce, Quando e Come?
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Sappiamo chi le genera, da dove partono e come risolvere il problema. Ma i soldi e la politica fanno sempre la differenzadi Marco ArezioSi è molto parlato, negli anni scorsi, dei rifiuti plastici e delle microplastiche nei mari e negli oceani, tanto che il problema ha impegnato per molto tempo i canali di informazione tradizionali e via web. Si sono mobilitati ambientalisti, aziende che cavalcavano l’onda emotiva della gente con campagne dal vago sapore di greenwashing, studiosi, scienziati, personaggi dello spettacolo, leader religiosi, nutrizionisti, sociologi, veggenti e catastrofici personaggi dell’ultima ora. Da quando sono comparse le isole galleggianti di rifiuti plastici negli oceani, come la Great Pacific Garbage Pacth, il mondo si è attivato per capire il fenomeno, da dove nascesse, come si formavano queste isole e come si sarebbe potuto intervenire per ripulire gli oceani e interrompere le nuove formazioni di rifiuti. Durante questo ciclo di attenzione mediatico-scientifico, è emerso anche il fenomeno, più subdolo, delle microplastiche, frazioni di prodotto inferiori a 5 mm., che sono spesso scambiate dai pesci per cibo, rientrando pericolosamente nella catena alimentare anche umana. Da dove vengono i rifiuti plastici che troviamo nei mari e negli oceani? Secondo studi recenti ogni anno l’uomo scarica nei mari circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, il che significa oltre 250 Kg. al secondo, creando una presenza di circa 5.000 miliardi di pezzi, di varie dimensioni, nell’ecosistema marino. Le macro plastiche, cioè rifiuti di dimensioni come una bottiglia di acqua, provengono principalmente dalle azioni deliberate dell’uomo di scaricare, attraverso i fiumi, i rifiuti domestici o quelli che provengono dalle aziende di riciclo poste in paesi poco sviluppati, dove l’attenzione per l’ambiente e la legislazione non punitiva, in materia ambientale, è inesistente o lassista, permettendo o tollerando questi comportamenti. Per quanto riguarda le microplastiche la loro origine si può far risalire a tre fattori principali, la decomposizione delle macro plastiche già presenti in mare sotto l’azione del sole e dell’acqua, i rifiuti del settore tessile e della cosmetica. Inoltre le microplastiche possono provenire anche dagli scarichi di paesi industrializzati, in cui le normative ambientali non hanno ancora risolto il problema della captazione e dell’eliminazione delle particelle più piccole di plastica. Come risolvere tecnicamente il problema Evidentemente ci sono due fattori temporali che devono essere presi inconsiderazione quando si parla di operare per trovare le giuste soluzioni da applicare. In primo luogo bisogna intervenire a monte, cioè fermare lo scarico dei rifiuti plastici nei fiumi, come fossero una fogna legalizzata, aiutando i paesi meno sviluppati a dotarsi di normative ambientali severe e soprattutto a farle rispettare, evitando che fenomeni corruttivi ne decapitino l’efficacia. Secondo, è necessario intercettare i rifiuti plastici prima che raggiungano il mare, utilizzando le reti di contenimento dei rifiuti in prossimità di restringimenti, anse o alla foce dei fiumi. Ogni soluzione di intercettazione dei rifiuti plastici galleggianti deve essere customizzata in base alle esigenze locali, quali il traffico dei natanti, la vita dei pesci, le correnti e via dicendo. Esistono poi delle piccole imbarcazioni dotate di sistemi per raccogliere i rifiuti in superficie, che percorrono i tratti di fiume dove maggiore è la presenza dei rifiuti, così da aiutare e sostenere il lavoro delle reti. Terzo riguarda le isole galleggianti, compito per assurdo, teoricamente più semplice, in quanto esiste un’area delimitata e circoscritta in cui sarebbe possibile raccogliere la plastica galleggiante, ma, di contro, le dimensioni di queste isole sono così estese che il lavoro è sicuramente problematico ed impegnativo. L’unione delle tre attività, contrasto all’immissione nei fiumi di nuove quantità di rifiuti plastici galleggianti, migliori sistemi di filtraggio degli scarichi civili ed industriali per intercettare le microplastiche e, infine, un’azione internazionale, coordinata e continuativa, per pulire i rifiuti presenti nei mari e negli oceani, porterebbe a grandi risultati per la salute dei mari e degli oceani. Chi deve farlo e chi deve finanziarlo Questo tema è stato di proposito lasciato per ultimo, in quanto, come sempre, quando c’è di mezzo la politica e il denaro, diventa difficile trovare azioni condivise, addirittura a volte non si riesce nemmeno ad affrontare il problema ai tavoli internazionali. Credo che si debba creare un nuovo approccio alla visione dei deficit ambientali, vedere la terra come un ambiente condiviso, considerando che l’azione di un paese può influenzare negativamente la vita di tutti, come lo è, in buona parte, quello di scaricare a monte, nei fiumi, i rifiuti che poi, vanno ad interessare gli oceani e i mari in tutto il mondo. Un problema sovranazionale va gestito da un consesso di paesi alleati, che si uniscono per trovare soluzioni e finanziamenti condivisi, che abbiano l’autorità per prendere delle decisione per il bene di tutti ed abbiamo anche gli strumenti per farle rispettare. Ma, in primis, ci vuole la volontà politica per farlo, non bastano le menti, le tecnologie e il denaro se manca la volontà e la lungimiranza di un consesso politico internazionale. Soldi e potere fin dai tempi bui della storia dell'uomo hanno governato le menti degli uomini, ma oggi, se non operiamo quello scatto che ci possa garantire la sopravvivenza in armonia con l’ambiente, non ci sarà più motivo di parlarne e di agire. Ah, dimenticavo, non è eliminando la produzione di plastica o credendo ai proclami di correnti di pensiero come quella della “Plastic free” che si risolvono i problemi.. Traduzione automatica, Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.

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https://www.rmix.it/ - Cosa Fece Jimmy Carter nel 1977 per il Rischio di CO2 in Atmosfera?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cosa Fece Jimmy Carter nel 1977 per il Rischio di CO2 in Atmosfera?
Ambiente

Già nel 1965 all’amministrazione Lyndon B. Johnson venne presentato un rapporto scientifico sull’inquinamento da C02.A partire dalla metà degli anni 60 gli americani si accorsero che la combustione dei carburanti fossili riversava in atmosfera miliardi di tonnellate di CO2, ed avevano capito che questo fattore poteva realmente interferire con l’ambiente. Jimmy Carter, il presidente degli Stati Uniti a metà degli anni 70 del secolo scorso, fu forse il primo a cominciare ad interessarsi dei problemi ambientali, tanto che aveva fatto istallare sul tetto della casa bianca i primi pannelli solari per la produzione di energia elettrica rinnovabile. In un discorso ai propri elettori, in quel periodo, disse "dobbiamo iniziare ora a sviluppare le nuove fonti di energia non convenzionali su cui faremo affidamento nel prossimo secolo". Fu così che incaricò Frank Press, consigliere scientifico per il presidente, di redigere un memorandum sul clima e Carter lo ricevette pochi giorni dopo la celebrazione della festa del 4 Luglio del 1977. Press scrisse che l’utilizzo dei combustibili fossili era aumentato in modo esponenziale dall’inizio del 900 e, questo, aveva portato a riversare in atmosfera una quantità di CO2 oltre il 12% rispetto al periodo preindustriale, prevedendo un incremento da 1,5 a 2 volte nei successivi 60 anni. Lo scienziato aveva già previsto la correlazione della quantità di CO2 in atmosfera con l’aumento della temperatura della terra, che avrebbe portato a cambiamenti climatici catastrofici, con conseguenze in molti settori, mettendo in ginocchio non solo le città, ma anche il sistema produttivo industriale ed agricolo. Lo studio aveva centrato esattamente il risultato, infatti, la mancata riduzione delle emissioni di CO2 nell’ambiente sta generando, oggi, problemi climatici che sono sotto gli occhi di tutti. Ma cosa successe dopo la presentazione del memorandum di Press? Lo studio sul tavolo del presidente, non solo descriveva in modo preciso quali fossero le cause che generavano un’emissione in atmosfera di CO2 così drammatica, ma raccontava nel dettaglio che se nel 1977 si fosse interrotto questo fenomeno di rilascio, la C02 non sarebbe diminuita ma solo stabilizzata. Press spiegò che per ridurre la concentrazione nell’aria di questo veleno ci sarebbero voluti migliaia di anni e che se, sempre ipoteticamente, le emissioni si fossero congelata al 1977, la temperatura della terra, per un lungo periodo non sarebbe scesa sostanzialmente, ma solo stabilizzata. Jimmy Carter non era uno sprovveduto e, sebbene fosse uno tra i primi politici ad interessarsi dell’ambiente, capì quali implicazioni politiche potevano esserci nella riduzione dell’uso del petrolio. Nel suo staff, James Schlesinger, il primo segretario all'energia americano, bollò lo studio di Press come inopportuno in quel periodo, esprimendo la sua opinione al presidente, sottolineando che le implicazioni politiche di questo problema erano ancora troppo incerte per giustificare il coinvolgimento presidenziale e iniziative politiche. Il dualismo che viveva Carter era incentrato sul riconoscimento della necessità di incoraggiare la produzione di energie rinnovabili, ma nello stesso tempo il petrolio divenne un elemento strategico della sicurezza nazionale. Infatti, dopo la crisi petrolifera internazionale del 1973, il presidente capì che gli Stati Uniti non potevano dipendere dal petrolio estero, specialmente se le fonti erano in territori instabili, politicamente e socialmente, quindi diede vita ad una politica di incremento delle estrazioni nazionali, per rendere autosufficiente il paese dal punto di vista energetico. La presidenza di Carter finì nel 1981 con la vittoria di Reagan alle elezioni e con lui finirono i progetti per spingere la produzione di energia pulita, in quanto il nuovo presidente, non solo fece subito togliere i pannelli solari dalla casa bianca, ma investi soldi pubblici per creare discredito sugli studi relativi al cambiamento climatico.

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https://www.rmix.it/ - Inquinamento dell’Aria Indoor: Sostanze Nocive e Metodi per Rilevarle
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Inquinamento dell’Aria Indoor: Sostanze Nocive e Metodi per Rilevarle
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Si monitora spesso la qualità dell’aria in ambienti aperti ma poco si fa e poco si sa dell’inquinamento indoordi Marco ArezioDell’inquinamento dell’aria nelle nostre città, in aree densamente trafficate o nelle vicinanze di insediamenti industriali si sente spesso parlare. I cittadini conoscono le centraline di rilevamento delle polveri sottili di cui i centri urbani si sono dotati, per regolare i giorni di chiusura al traffico privato, quando i valori di inquinanti superano una certa soglia. L’attenta fase di monitoraggio della qualità dell’aria che respiriamo all’aperto, oltre ad allarmare l’opinione pubblica e ad imporle restrizioni nella circolazione privata, serve poco se, da anni, non si interviene drasticamente con una politica di ripensamento dell’uso dei combustibili fossili. Ma la situazione dell’aria inquinata all’interno degli uffici, abitazioni, luoghi di aggregazione pubblica, ospedali, cinema, scuole, palazzetti dello sport, non desta particolare attenzione, pensando che il controllo dell’aria esterna sia sufficiente. In realtà non lo è, per una serie di ragioni che riguardano il basso riciclo dell’aria che respiriamo in un ambiente chiuso, gli inquinanti che si generano abitandovi come il riscaldamento, la respirazione, le possibili emissioni dagli arredamenti, i materiali da costruzione e per molti altri motivi. Se all’esterno, l’aria può essere dannosa per la salute in determinati periodi dell’anno, dobbiamo considerare che, fortunatamente, gli inquinanti sono diluiti in volumi di aria importanti, che se li comparassimo in un ambiente chiuso e poco ventilato, sarebbero estremamente pericolosi. L’aria che respiriamo dovrebbe essere composta da: • 78% azoto • 5% diossido di carbonio • 13% ossigeno • 1% argon In realtà, nei locali chiusi, possiamo trovare altre concentrazioni di inquinanti, vediamone alcuni. Il Particolato, PM10 e il PM2,5, non deriva solo dal traffico veicolare o dalle emissioni degli impianti di riscaldamento in atmosfera, ma si può sviluppare in casa attraverso la combustione di legna, carbone o altri fonti fossili. L’ Ossido e Biossido di azoto, NOx e NO2, si possono trovare all’interno delle abitazioni a causa dei processi di combustione durante la cottura dei cibi, l’uso del riscaldamento, con la probabilità di provocare irritazione oculare, nasale o a carico della gola e tosse, alterazioni della funzionalità respiratoria soprattutto in soggetti sensibili, quali bambini, persone asmatiche o affette da bronchite cronica. Gli idrocarburi aromatici policiclici, IPA, sono un ampio gruppo di composti organici presenti nell’aria indoor: le sorgenti principali sono le fonti di combustione, quali caldaie a cherosene, camini a legna e il fumo di sigaretta. L’Ozono si può formare quando gli ossidi di azoto della combustione di fonti fossili, come il carbone o altri prodotti per il riscaldamento, interagisce con la luce. Una lunga esposizione a livelli elevati di ozono può causare problemi respiratori, tra cui asma e bronchite. Monossido di Carbonio, CO, viene prodotto principalmente dal fenomeno della combustione, come ad esempio dal fumo di tabacco, stufe a legna o a gas. È incolore, inodore, insapore ma tossico. A seconda della quantità respirata può provocare cefalea, confusione e disorientamento, ma senza una ventilazione adeguata, a concentrazioni elevate, può addirittura essere mortale. I composti organici volatili, VOC, possono essere inalati e possono provenire dai prodotti cosmetici o dai deodoranti, dai dispositivi di riscaldamento, dai prodotti di pulizia, dagli strumenti di lavoro, quali stampanti e fotocopiatrici, i materiali da costruzione e di arredamento. Tra i VOC più pericolosi troviamo la Formaldeide che può essere emessa dalle resine, usate per l’isolamento, per il truciolato o per il compensato di legno, nonché in tappezzerie, moquette e tendaggi, causando alterazioni al sistema nervoso ed è potenzialmente cancerogeno. Ci sono sicuramente altre tipologie di inquinanti di cui si potrebbe parlare ma, quelle che abbiamo elencato rientrano nei composti chimici che con più probabilità e frequenza potremmo trovare negli ambienti chiusi. Come possiamo rilevare preventivamente la presenza di sostanze pericolose alla salute? Ci sono in commercio delle attrezzature di rilevazione dei volatili presenti negli ambienti chiusi che, utilizzando la gascromatografia a mobilità ionica, possono fare una fotografia reale e analiticamente precisa della situazione dell’aria e fornire le indicazioni corrette per intervenire tempestivamente. Le attrezzature che rilevano gli inquinanti sono leggere e facilmente trasportabili, dando un risultato di analisi preciso, sia su inquinanti percepibili dal naso umano, che quelli inodore. Qui di seguito riportiamo le caratteristiche di uno strumento di rilevazione basato sulla gascromatografia a mobilità ionica: • Separazione / rilevamento tecnica: Bidimensionale, separazione mediante gas cromatografia a mobilità ionica • Fonte di ionizzazione: 3H, <300 MBq, di seguito definito EUROATOM limite acc. al 2013/59 Direttiva EURATOM • Limite di rilevamento: Tipicamente livello sub-ppb • Controllo di flusso: Controllo elettronico della pressione • Campionamento: Valvola a 6 vie (Cheminert®), pompa integrata • Display: 6,4 "TFT • Trasferimento dati: Modbus TCP, corrente loop, USB, Ethernet • Risultato automatizzato output: Modbus TCP, corrente ciclo continuo • Caratteristiche di sicurezza: Watchdog hardware, autocontrollo dei parametri dei sistemi • Dimensioni (L x P x A): 449 x 435 x 287 mm

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https://www.rmix.it/ - Dall’Alpinismo di Conquista all’Arrampicata Rispettosa della Montagna
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Dall’Alpinismo di Conquista all’Arrampicata Rispettosa della Montagna
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Evoluzione storica dei mezzi di scalata delle pareti e del rapporto con l’impresa tecnicadi Marco ArezioDalla fine del 1800 quando i primi pionieri, non ancora definiti alpinisti, si avventuravano sulle montagne nel tentativo di raggiungere le vette, esisteva più una spinta conoscitiva dell’ambiente montano che sportiva. Ci salivano geologi desiderosi di studiare aree poco conosciute, militari con lo scopo di aggiornare il più possibile le carte geografiche e vi salivano, intrepidi signori, che avevano i soldi per farsi accompagnare da guide locali. Il movimento alpinista possiamo dire sia nato dopo la seconda guerra mondiale, quando iniziarono le scalate degli ottomila himalayani, intesi come terra di conquista nazionale, con una corsa a chi prima raggiungeva la vetta. Gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso trascorsero vivendo un alpinismo “militare”, dove le spedizioni erano rigidamente organizzate come assalti alle vette meticolosamente preparate, con un esercito di alpinisti, portatori, cuochi, giornalisti, dirigenti e uomini di collegamento. Nulla era lasciato al caso in quanto erano li solo per conquistare la vetta, a tutti i costi e con qualunque mezzo a disposizione. La montagna era un oggetto da prendere, mezzo con cui darsi gloria e pillola per accrescere l’autostima di un paese e di un popolo. Si usava l’ossigeno per salire in quota, corde fisse che venivano abbandonate sul posto, si attrezzavano campi avanzati con tende, fornelli, bombole del gas e dell’ossigeno che venivano lasciate sulla montagna, come fosse una pattumiera a cielo aperto. Conquistati tutti gli 8000, gli alpinisti più giovani, già alla fine degli anni ’60 si sono chiesti se non esisteva una nuova forma di rapporto con la montagna, un modo diverso e più rispettoso di approcciarsi all’ambiente alpino. I nuovi alpinisti iniziarono a risalire le pareti smettendo di pensare che l’uomo si doveva muovere con uno spirito di conquista a tutti i costi, ma doveva inserirsi nell’ambiente, creare una simbiosi con la montagna, essere leali nel gesto atletico che permetteva di scalarla. Iniziarono a contestare le salite fatte riempiendo la roccia di chiodi a pressione, inseriti con martelli pneumatici, che davano la possibilità di superare le difficoltà che opponevano le pareti, creando una sorta di scala aerea. Abbandonarono l’uso dei chiodi, mezzi visti come elemento di aiuto per facilitare le scalate, iniziando ad utilizzare dei mezzi di protezione che non sarebbero rimasti in pareti dopo la scalata, ma recuperati dal compagno di cordata, così da non lasciare traccia del passaggio. Infatti, nel 1967, l’alpinista Americano Royal Robbins vede in Inghilterra i primi prototipi di sistemi di sicurezza da inserire nelle fessure della roccia, senza che questa si rovini o si distrugga, come l’inserimento di un chiodo. Porta così in America questa novità e nel giro di qualche anno uno scalatore dello Yosemite, Yvon Chouinard, inizia la produzione di questi sistemi di sicurezza sostenibili. Si tratta di dadi, rondelle mobili, esagoni cavi, cunei, tutti in metallo e di diverse forme e grandezze chiamati nuts e friends, che vengono inserite nelle fessure naturali della riccia e recuperate dal compagno di cordata. Una rivoluzione che ha battezzato l’inizio dell’arrampicata pulita ed ecocompatibile, a cui gli scalatori tradizionali che usavano mezzi di sicurezza invasiva, guardavano con sospetto e autosufficienza. Il nuovo approccio all’arrampicata delle pareti rocciose dilagò a macchia d’olio nel mondo, marginalizzando in un paio di decenni, l’alpinismo tradizionale. Assodato che l’approccio alla montagna dovesse essere sostenibile e non invasivo, le nuove generazioni si misurarono, negli anni a avvenire, con il superamento di pareti sempre più difficili, utilizzando quello che venne definita “arrampicata libera” che si basava solo sulla forza, sull’abilita e sul coraggio dell’alpinista. Le pareti che un tempo erano state salite con chiodi e scalette, vennero percorse solo attraverso gesti atletici perfetti. Nel nuovo millennio, quando si esaurì la spinta di ripetere le pareti tecnicamente più complicate attraverso l’arrampicata libera, nacque una nuova forma di arrampicata, estrema sicuramente, che si caratterizzava nelle ripetizioni di queste vie molto difficili, senza corda e sistemi di sicurezza. Un alpinismo pericoloso, per pochi eletti, dove l’uomo è nudo nei confronti della montagna, senza protezioni di sicurezza, senza possibilità di scendere dalla parete velocemente, senza la possibilità di sbagliare. Questa disciplina è vista, da una parte dall’ambiente, come la consacrazione delle qualità tecniche di un atleta, ma dall’altra parte come un’attività suicida, dove un piccolo errore può mettere in gioco la vita. I leader di questa disciplina è l’americano Alexander Honnold che ha salito in free solo, nel 3 giugno 2017 la via Freerider a El Capitan, di 884 mt. con difficoltà di 5.12d VI in 3 ore e 56 minuti. Foto Nat Geo

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https://www.rmix.it/ - I Danni della Pesca a Strascico: Quali sono le Cause e le Conseguenze?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I Danni della Pesca a Strascico: Quali sono le Cause e le Conseguenze?
Ambiente

La pesca a strascico è un killer per la flora e la fauna dei nostri maridi Marco ArezioI problemi del mare e degli oceani non sono solo le isole galleggianti di rifiuti plastici che si decompongono in microplastiche, entrando nella nostra catena alimentare. Ci sono altri sistemi di distruzione sistematica dell’habitat dei pesci e delle piante acquatiche, con la produzione di quantità impressionanti di CO2 che si riversano in atmosfera. E’ la pesca a strascico, che è una delle più catastrofiche invenzioni dell’uomo per distruggere i mari e gli oceani, colpendo i fondali, le tane dei pesci, favorendo la pesca indiscriminata di specie protette o non commestibili e il rilascio in atmosfera di tonnellate di CO2, che in parte viene anche mischiata nell’acqua creando acidità dei mari. E’ noto infatti che i mari e gli oceani assorbono un terzo dei gas serra immessi in atmosfera, facendo depositare il carbonio nei sedimenti marini, che sono degli enormi stoccaggi per la terra. Stiamo parlando di circa un miliardo di tonnellate di CO2 annue, una quantità paragonabile alla somma delle emissioni del traffico aereo mondiale, che la pesca a strascico rimuove dai fondali, facendoli riemergere a danno per la nostra salute. Ma come avviene questo tipo di pesca? La pesca a strascico comporta la stesura di una rete a sacco molto grande, trainata da due pescherecci, con una parte della rete piombata in modo che possa lavorare sul fondo. Lo spostamento di trascinamento simultaneo, comporta un movimento a strascico che causa l’estirpazione di tutto ciò che incontra, distruggendo in modo indiscriminato i fondali e raccogliendo qualsiasi cosa. Nella rete rimangono pesci commestibili e non commestibili, specie protette, coralli, specie in estinzione come lo squalo mako, lo smeriglio, la ventresca e le tartarughe, che vengono tirate a bordo, molte volte già mortalmente ferite nel tentativo di fuggire. Inoltre la tecnica della pesca a strascico comporta spesso la rottura delle reti che sono fatte da fili di nylon, materiale non degradabile, che finiscono trasportate dalle correnti insieme agli altri rifiuti in plastica e con lo stesso destino, cioè finire sulla nostra tavola attraverso i pesci che ci mangiamo. Le reti abbandonate sono i peggiori nemici per i delfini, le tartarughe, i cuccioli dei grandi pesci, che vi finiscono dentro restando impigliati, con la conseguenza di una morte quasi certa. Secondo i dati della Fao, nei mari ci sono circa 640.000 tonnellate di reti in plastica abbandonate, costituendo il 10% dei rifiuti plastici che galleggiano o si spostano a media profondità sospinte dalle correnti. Ci sono alcuni paesi che hanno regolamentato la pesca a strascico in modo da vietare che le reti raschino il fondo, distruggendo tutto, ma permettendo questa tecnica a medie profondità, salvaguardano l’habitat delle specie viventi. Inoltre la dimensioni imposte delle maglie delle reti hanno una larghezza tale da permettere la fuoriuscita di pesci di piccola taglia, assicurando che il pesce di quelle dimensioni possa continuare a vivere e a riprodursi. Purtroppo molti altri paesi non si curano del problema, lasciando libera la pesca o controllando poco o niente le conseguenze di questa attività che, tra l’altro, comporta una quantità di scarto di pescato pari a circa 5 milioni di tonnellate all’anno, pesci morti inutilmente. Arare il fondale con questo sistema è sicuramente più vantaggioso economicamente per chi pesca, in quanto intercetta circa il 20% di pesce in più, ma lascia danni all’ambiente incalcolabili minando, nel tempo, la pesca stessa.

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https://www.rmix.it/ - Pneumatici Esausti: Il Pericolo dei Rifiuti che non Galleggiano
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Pneumatici Esausti: Il Pericolo dei Rifiuti che non Galleggiano
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In un articolo pubblicato qualche tempo fa dal titolo: "La Densità della Plastica Crea la sua Sfortuna nella Nostra Società", avevamo messo in guardia dal pericolo dei rifiuti che non si vedevano e da quelli che, molto bistrattati come la plastica, rimanevano visibili in acqua per via del loro peso specifico. Infatti, ci si indigna giustamente quando si vedono residui plastici galleggiare nei mari e nei fiumi, ma purtroppo non consideriamo altri tipi di rifiuti che, in modo scellerato, vengono abbandonati nei corsi d’acqua o nei mari stessi. Probabilmente ciò che non vediamo non ci fa paura, ma le conseguenze sull’ambiente dei rifiuti sommersi sono del tutto reali ed è meglio conoscerle. Il CNR si è preoccupato di fare delle comparazioni tra le microplastiche che galleggiano nei nostri mari e gli pneumatici che giacciono sui fondali, cercando di capire il grado di pericolosità per l’ambiente e l’uomo. Uno studio ha rilevato che, in acqua, i batteri che crescono sulle microparticelle derivate dagli pneumatici sono più pericolosi per l’ambiente rispetto a quelli che si sviluppano sui frammenti delle bottiglie di plastica, che invece potrebbero porre problemi per la salute dell’uomo. Plastiche e microplastiche sono riconosciute come un inquinante emergente con effetti nefasti sulla salute dell'ambiente, dell'uomo e degli animali acquatici. Uno studio dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa) ha dimostrato come microplastiche diverse possano causare un impatto differente sulle comunità batteriche in acqua. La ricerca è stata pubblicata su Journal of Hazardous Materials. Come ci spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa, in un sistema che replica un fiume o un lago italiano abbiamo comparato le comunità batteriche che crescono sul polietilene tereftalato (Pet) ricavato da una bottiglia di bibita, molto abbondante in acqua, con quelle che si sviluppano su particelle di pneumatico usato, quasi sconosciute a causa del fatto che tendono a non galleggiare e ad affondare molto lentamente”, spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa. Abbiamo quindi dimostrato che la prima offre rifugio a batteri patogeni umani che possono causare rischio immediato per la salute umana, senza però favorirne una crescita immediata. Le particelle di pneumatico, grazie al rilascio costante di materia organica e nutrienti, favoriscono invece la crescita abnorme di batteri cosiddetti opportunisti che, pur non causando un rischio diretto per l'uomo, causano una perdita di qualità ambientale, di biodiversità microbica, e un conseguente depauperamento dei servizi ecosistemici offerti. Generalmente le comunità batteriche che crescono sulle microplastiche come biofilm sono studiate senza approfondirne le differenze legate al tipo di plastica su cui proliferano, ma come un unico comparto, la cosiddetta plastisfera. Questo risultato ci pone, per la prima volta, di fronte alla necessità di riconsiderare i metodi di analisi dell'inquinamento da microplastiche e di tenere in conto le particelle di pneumatico, che possono avere un impatto decisivo sulla qualità degli ecosistemi acquatici in nazioni come l'Italia dove i fiumi sono particolarmente esposti a questo tipo di inquinamento. Fonti: CNR

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