Caricamento in corso...
135 risultati
https://www.rmix.it/ - Una Pista Ciclo-Pedonale Sospesa tra gli Alberi
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Una Pista Ciclo-Pedonale Sospesa tra gli Alberi
Ambiente

Una pista ciclo-pedonale sopraelevata che corre tra gli alberi, poggiata su due file parallele di piante che fungono da pilastri, sarà probabilmente un’esperienza fantastica.Abbiamo passato la seconda metà del secolo scorso nella più sfrenata cementificazione del suolo, creando città dormitorio, periferie squallide, consumato spazi verdi e costruendo senza anima. Un’edilizia anche senza cuore, fatta per il denaro e non per l’uomo, dove si consumavano le vite tra lavoro, impegni, sacrifici e poche speranze, vivendo in edifici spersonalizzati lontani dalla natura. La natura, questo è il punto. Abbiamo tentato di cancellare il rapporto primario tra l’uomo e l’ambiente, riempendolo di cemento, asfalto, macchine in una sequenza continua. Durante gli ultimi 10 anni le esigenze della popolazione sono cambiate, l’attenzione all’ambiente è diventata una spinta propulsiva e il controesodo dalle città, in cerca di abitazioni a misura d’uomo, ha fatto riflettere i progettisti e i costruttori. Una nuova esigenza abitativa ma anche sociale, con la necessità di ripensare un’urbanizzazione meno cemento-centrica, a favore di spazi verdi in cui ripristinare un equilibrio con se stessi e con il mondo. In questa filosofia si inserisce il progetto dello studio CRA-Carlo Ratti Associati e l'organizzazione no-profit GAL “The Tree Path”, che ha pensato a un percorso sopraelevato per pedoni e ciclisti supportato da più di mille alberi, come ci racconta Cuoghi Dalila. Il percorso sensoriale conduce a Sabbioneta, patrimonio mondiale dell'UNESCO nel nord Italia, ed è stato sviluppato in stretta collaborazione con OLA, il massimo esperto di una tecnica di costruzione che utilizza gli alberi come elementi architettonici. Arrivare a Sabbioneta, uno dei più famosi siti Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, in bicicletta, lungo una pista ciclo-pedonale sopraelevata che corre tra gli alberi, poggiata su due file parallele di piante che fungono da pilastri, sarà probabilmente un’esperienza fantastica. Una soluzione sostenibile e smart al tempo stesso: le persone possono camminare o andare in bicicletta su una piattaforma rialzata tra le cime degli alberi, mentre i sensori integrati nel verde tracciano le condizioni ambientali in tempo reale. Indissolubile rapporto tra architettura e natura Il sentiero degli alberi si snoda verticalmente su tre diversi livelli, salendo fino a sei metri dal suolo, aggirando il traffico stradale e i corsi d'acqua. Il percorso incorpora sensori digitali per misurare molteplici fattori nell'atmosfera, dall'inquinamento atmosferico allo stato di salute e crescita dei singoli alberi. I sensori aiuteranno anche a garantire che tutti gli organismi viventi lungo il percorso possano rispondere alle mutevoli condizioni ambientali o ai carichi strutturali, realizzando una visione di "Internet degli alberi". In questo progetto lo studio CRA segue OLA - Office for Living Architecture, l’ufficio specializzato nella tecnica del Baubotanik con il quale CRA ha collaborato per questo progetto. In passato loro hanno usato con funzione strutturale specie diverse come salice, platano, pioppo, betulla e carpino. Tutti alberi sufficientemente flessibili e vigorosi con cortecce sottili che possono essere facilmente innestate. Una volta piantumati gli alberi, quanto tempo bisognerà attendere per il loro accrescimento affinché possa essere realizzata la passerella? Questa è una caratteristica molto interessante del progetto. Non si seguiranno i ritmi della costruzione umana, ma quelli della natura. Ovviamente la tecnica del Baubotanik prevede un accompagnamento della crescita degli alberi, in modo che quest’ultimo processo possa dispiegarsi in parallelo a un sostegno sempre più solido della struttura. Si tratta di un modo di pensare l’architettura su tempi lunghi: un antidoto a certe costruzioni frettolose… Con quali materiali sarà realizzata la passerella sospesa? In questa fase di concept abbiamo ipotizzato una leggera struttura metallica, sulla quale si innestino materiali organici – legno, micelio e altro. La passerella sarà completamente sostenuta dagli alberi o sono comunque previste opere puntuali di sostegno realizzate con altri materiali? Soprattutto all’inizio ci saranno anche strutture temporanee di sostegno – il mondo del naturale e dell’artificiale che si danno la mano! Foto: studio CRA-Carlo Ratti Associati

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Perché le Cementerie Chiedono più Rifiuti non Riciclabili?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Perché le Cementerie Chiedono più Rifiuti non Riciclabili?
Ambiente

di Marco ArezioIl settore della produzione del cemento è uno tra quelli energivori e, oggi, con l’aumento del prezzo del gas, il costo di produzione è esploso.Nei forni per la produzione di cemento è possibile utilizzare, come combustibile, quella parte dei rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata che, attraverso il riciclo meccanico, vengono scartati perché non più riciclabili. Questo rifiuto del rifiuto, inutilizzabile in ottica di un reintegro nella circolarità dei prodotti può avere tre strade: • Il riciclo chimico (poco)• La discarica • L’utilizzo come combustibile Secondo i dati elaborati dalla Federbeton Confindustria i costi per produrre il cemento sono aumentati del 50% a causa del costo dell’energia, infatti il gas è aumentato di otto volte e il petcoke, combustibile utilizzato negli impianti, è aumentato di tre volte rispetto al gennaio 2020. Come mitigare il problema? Qui entra in gioco il CSS, sigla che indica appunto quella massa di rifiuti non più riciclabile, che da una buona resa termica negli impianti per la produzione di cemento in sostituzione dei combustibili fossili. Il CSS è considerato un combustibile a kilometro 0 in quanto prodotto abbondantemente in ogni paese, non soggetto a ricatti internazionali ed è economico. Nonostante questa massa di rifiuti combustibili vada ancora a finire nelle discariche o trasportato all’estero per il suo utilizzo, con costi in termini economici per il loro smaltimento e di produzione di inquinamento nelle fasi di trasporto, il loro impiego in modo strutturale è ancora abbastanza relativo in Italia. Se consideriamo che l’utilizzo del CSS in Europa varia tra il 60 e l’80%, in base ai paesi, in Italia ci fermiamo intorno al 20% o poco più. L’incremento dell’utilizzo del CSS nelle cementerie aiuterebbe sicuramente a ridurre l’impatto ambientale che i rifiuti non riciclabili hanno, riducendo lo scarico degli stessi nelle discariche, in attesa che si sviluppi, in modo consistente, il riciclo chimico dei rifiuti non riciclabili. Secondo il laboratorio REF, che ha elaborato una stima sul possibile utilizzo del CSS in Italia, la percentuale di sostituzione delle fonti fossili come combustibile attraverso i rifiuti potrebbe essere del 66%, il che comporterebbe una mancata emissione di CO2 di circa 6,8 milioni di tonnellate. Perché non decolla questo carburante?In Italia, nonostante la tecnologia degli impianti permetta un uso ampio del CSS, e nonostante gli standard emissivi possano essere controllati attraverso impianti di filtrazione comuni con quelli di altri impianti Europei, permane una diffidenza di base, sia a livello politico che sociale all’utilizzo dei rifiuti come combustibile. In alcuni paesi del nord Europa, notoriamente green, sugli impianti di incenerimento rifiuti che producono energia elettrica, si può sciare, inserendo così nel contesto urbano queste attività industriali. In Italia questi impianti sono ancora oggi, nonostante la diversificazione energetica attuale molto carente, oggetto di discriminazione da parte di alcune forze politiche. Il CSS può essere considerato una fonte rinnovabile come il vento, il sole o l’acqua, che producono energia elettrica e che dovranno sostituire le fonti fossili nel modo più rapido possibile, se vogliamo che le fabbriche continuino a funzionare, le nostre case possano ricevere la corrente per i nostri consumi e le nostre macchine elettriche possano circolare.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Pneumatici Esausti: Il Pericolo dei Rifiuti che non Galleggiano
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Pneumatici Esausti: Il Pericolo dei Rifiuti che non Galleggiano
Ambiente

In un articolo pubblicato qualche tempo fa dal titolo: "La Densità della Plastica Crea la sua Sfortuna nella Nostra Società", avevamo messo in guardia dal pericolo dei rifiuti che non si vedevano e da quelli che, molto bistrattati come la plastica, rimanevano visibili in acqua per via del loro peso specifico. Infatti, ci si indigna giustamente quando si vedono residui plastici galleggiare nei mari e nei fiumi, ma purtroppo non consideriamo altri tipi di rifiuti che, in modo scellerato, vengono abbandonati nei corsi d’acqua o nei mari stessi. Probabilmente ciò che non vediamo non ci fa paura, ma le conseguenze sull’ambiente dei rifiuti sommersi sono del tutto reali ed è meglio conoscerle. Il CNR si è preoccupato di fare delle comparazioni tra le microplastiche che galleggiano nei nostri mari e gli pneumatici che giacciono sui fondali, cercando di capire il grado di pericolosità per l’ambiente e l’uomo. Uno studio ha rilevato che, in acqua, i batteri che crescono sulle microparticelle derivate dagli pneumatici sono più pericolosi per l’ambiente rispetto a quelli che si sviluppano sui frammenti delle bottiglie di plastica, che invece potrebbero porre problemi per la salute dell’uomo. Plastiche e microplastiche sono riconosciute come un inquinante emergente con effetti nefasti sulla salute dell'ambiente, dell'uomo e degli animali acquatici. Uno studio dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa) ha dimostrato come microplastiche diverse possano causare un impatto differente sulle comunità batteriche in acqua. La ricerca è stata pubblicata su Journal of Hazardous Materials. Come ci spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa, in un sistema che replica un fiume o un lago italiano abbiamo comparato le comunità batteriche che crescono sul polietilene tereftalato (Pet) ricavato da una bottiglia di bibita, molto abbondante in acqua, con quelle che si sviluppano su particelle di pneumatico usato, quasi sconosciute a causa del fatto che tendono a non galleggiare e ad affondare molto lentamente”, spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa. Abbiamo quindi dimostrato che la prima offre rifugio a batteri patogeni umani che possono causare rischio immediato per la salute umana, senza però favorirne una crescita immediata. Le particelle di pneumatico, grazie al rilascio costante di materia organica e nutrienti, favoriscono invece la crescita abnorme di batteri cosiddetti opportunisti che, pur non causando un rischio diretto per l'uomo, causano una perdita di qualità ambientale, di biodiversità microbica, e un conseguente depauperamento dei servizi ecosistemici offerti. Generalmente le comunità batteriche che crescono sulle microplastiche come biofilm sono studiate senza approfondirne le differenze legate al tipo di plastica su cui proliferano, ma come un unico comparto, la cosiddetta plastisfera. Questo risultato ci pone, per la prima volta, di fronte alla necessità di riconsiderare i metodi di analisi dell'inquinamento da microplastiche e di tenere in conto le particelle di pneumatico, che possono avere un impatto decisivo sulla qualità degli ecosistemi acquatici in nazioni come l'Italia dove i fiumi sono particolarmente esposti a questo tipo di inquinamento. Fonti: CNR

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - L’EU sta Studiando Nuove Restrizioni sull’Uso di Molte Sostanze Chimiche
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’EU sta Studiando Nuove Restrizioni sull’Uso di Molte Sostanze Chimiche
Ambiente

di Marco ArezioI consumatori sono sempre preoccupati sulla scarsità e sulla veridicità delle informazioni che ruotano intorno alla possibile tossicità per la salute dei prodotti che acquistano, siano essi imballi per alimenti, oggetti di uso comune, cosmetici o prodotti ausiliari come vernici, isolanti o altri elementi.Nel mondo delle fake news diventa difficile stabilire, per esempio,  se l'acqua contenuta nelle bottiglie di plastica, sotto l'effetto del calore del sole o della luce, possa essere contaminata dal suo imballo in PET, oppure se il rivestimento polimerico di una lattina di piselli possa cedere sostanze nocive al cibo o se le creme che mettiamo sul corpo possano creare problemi sul lungo periodo all'organismo. Per questi motivi era necessario che, a livello governativo, si affrontasse il problema dei composti chimici che potrebbero creare un danno alla salute, cercando di catalogare ed eventualmente vietare, una volta per tutte, i composti ritenuti pericolosi.Secondo recenti informazioni, l’Unione Europea starebbe realizzando un elenco che conterrebbe fino a 12.000 sostanze chimiche, che vengono oggi usate per realizzare moltissimi prodotti e che vorrebbe considerare pericolose per la salute.L’obbiettivo sarebbe quello di vietarne l’uso realizzando così il più grande elenco di sostanze vietate che sia mai comparso in Europa. Il progetto, come ci descrive Arthur Neslen nel suo articolo, sembra sia supportato dalle analisi e dagli studi compiuti da un numero di scienziati che affermano che il tasso di inquinamento da sostanze chimiche presenti in molti prodotti, porterebbe a conseguenze irreparabili se non si interviene quanto prima. Si pensa, ad esempio, che la peronospora sintetica stia spingendo alcune specie di balene sull'orlo dell'estinzione, è stata inoltre accusata del calo dei tassi di fertilità umana e di 2 milioni di morti all'anno. Questo elenco preparato dall'UE è stato concepito come un primo passo per trasformare, in modo definitivo, la situazione attuale, riuscendo in ogni modo ad utilizzare la legislazione esistente, per mettere fuori legge le sostanze tossiche legate al cancro, all'interruzione ormonale, ai disturbi reprotossici, all'obesità, al diabete e ad altre malattie.Tatiana Santos, responsabile delle politiche chimiche, ha affermato: “I controlli chimici dell'UE sono generalmente e dolorosamente lenti, ma l'UE sta pianificando la più grande restrizione che abbiamo mai visto. Questo elenco promette di migliorare la sicurezza di quasi tutti i prodotti fabbricati e di ridurre rapidamente l'intensità chimica delle nostre scuole, case e luoghi di lavoro". Il piano si concentra per la prima volta su intere classi di sostanze chimiche, inclusi tutti i ritardanti di fiamma, i bisfenoli, le plastiche in PVC, le sostanze chimiche tossiche nei pannolini monouso e i PFAS, noti anche come " prodotti chimici per sempre " a causa del tempo prendono a degradarsi naturalmente. Tutti questi saranno inseriti in una lista di sostanze da considerare per la restrizione da parte dell'Agenzia Europea per le sostanze chimiche. L'elenco sarà regolarmente rivisto e aggiornato, prima di una revisione significativa del regolamento fondamentale dell'UE Reach per le sostanze chimiche, previsto per il 2027. Le sostanze chimiche identificate nel nuovo documento includono sostanze dei materiali a contatto con gli alimenti, pannolini monouso, IPA (idrocarburi policiclici aromatici) e per i parchi giochi dei bambini. Ma i gruppi industriali sostengono che l’inclusione in questo elenco di alcune sostanze chimiche rischierebbe di colpire anche la fascia alta del mercato, in cui si trovano crene e profumi, nelle quali verrebbero utilizzati composti chimici che l’UE vorrebbe vietare. "Molti ingredienti diversi rientrano nel gruppo dei sensibilizzanti per la pelle, quindi un'ampia gamma di prodotti cosmetici potrebbe essere influenzata", ha affermato John Chave, direttore generale di Cosmetics Europe, un ente commerciale. "L'effetto di queste restrizioni porterebbe potenzialmente ad una riduzione di offerta, meno scelta e meno efficacia funzionale per i prodotti cosmetici, senza alcun vantaggio in termini di sicurezza perché gli ingredienti erano già sicuri". Oltre ai cosmetici, i prodotti interessati alla declassazione potrebbero includere vernici, prodotti per la pulizia, adesivi, lubrificanti e pesticidi. Il sistema Reach in Europa è già il registro chimico più esteso al mondo e nuovi divieti potrebbero colpire più di un quarto del fatturato annuo del settore, pari a circa 500 miliardi di euro all'anno, secondo uno studio del gruppo commerciale Cefic. "Alcune delle restrizioni potrebbero avere un impatto significativo sull'industria e sulle catene del distributive", ha affermato Heather Kiggins, portavoce del Cefic. L'industria sostiene un approccio più mirato alle restrizioni, con incentivi e controlli sulle importazioni per aiutare a sviluppare prodotti alternativi più sicuri. Tuttavia, l'Agenzia Europea per le sostanze chimiche preferisce trattare le sostanze chimiche in gruppi più ampi, perché le aziende chimiche hanno, nel tempo, aggirato il divieto delle singole sostanze chimiche modificando la loro ricette, per creare sostanze sorelle che possono anche essere pericolose, ma che richiedono lunghe battaglie legislative per essere regolamentate. La tattica del settore, nota come " sostituzione deplorevole”, è stata criticata da gruppi ambientalisti per aver consentito la sostituzione di sostanze come il bisfenolo A, che altera il sistema endocrino, con altri bisfenoli. Santos l'ha descritta come "una tattica cinica e irresponsabile dell'industria chimica per sostituire le sostanze chimiche vietate più dannose, con altre altrettanto dannose non ancora giudicate dalle normative. Abbiamo assistito a un modello decennale di continue sostituzioni per evitare la regolamentazione delle sostanze”.Consideriamo che esistono più di 190 milioni di sostanze chimiche sintetiche registrate a livello globale e una nuova sostanza chimica industriale viene creata in media ogni 1,4 secondi. L'ONU afferma che l’attuale valore globale del settore sia di oltre 5 trilioni di dollari e che raddoppierà entro il 2030 e quadruplicherà entro il 2060. Il commissario per l'ambiente dell'UE, Virginijus Sinkevičius, ha affermato che le nuove restrizioni "mirano a ridurre l'esposizione delle persone e dell'ambiente ad alcune delle sostanze chimiche più dannose". Il commissario per i mercati interni dell'UE, Thierry Breton, ha affermato che il raggiungimento di un ambiente privo di sostanze tossiche richiederebbe trasparenza e visibilità da parte della commissione. "Il piano delle restrizioni sulle sostanze chimiche fornisce tale visibilità e consente alle aziende e alle altre parti interessate di essere meglio preparate per potenziali restrizioni imminenti", ha affermato. Milioni di tonnellate di sostanze chimiche sono state utilizzate da giganti industriali come BASF, Bayer, Dow Chemicals ed ExxonMobil senza completare i controlli di sicurezza tra il 2014 e il 2019, secondo una ricerca degli ambientalisti tedeschi.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Gli Tsunami sono Fenomeni Causati dai Cambiamenti Climatici Odierni? Non Sempre.
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Gli Tsunami sono Fenomeni Causati dai Cambiamenti Climatici Odierni? Non Sempre.
Ambiente

Studi recenti hanno documentato uno tsunami avvenuto nel 365 d.C.di Marco ArezioL'ultimo catastrofico tsunami è avvenuto in Giappone nel 2011 quando un terremoto, unito ad un gigantesco maremoto ha colpito le coste Giapponesi e ha messo in pericolo la centrale nucleare di Dai-ichi.Considerato il più grave incidente nucleare dopo quello successo nel 1986 a Cernobyl, classificato al livello 7 della scala INES, è stato possibile per la presenza di onde alte 14 metri che si sono abbattute sulla centrale. Il terremoto che aveva preceduto lo tsunami aveva fatto spegnere automaticamente i reattori per una questione di sicurezza, i quali dovevano essere comunque alimentari dall'acqua di raffreddamento. Infatti, quando la corrente elettrica fu sospesa, entrarono in funzione i generatori di corrente diesel che garantirono i processi di raffreddamento dei reattori anche se spenti. Dopo 40 minuti dal terremoto arrivò lo tsunami, che superò le barriere appositamente posizionate  ad un'altezza massima di 10 metri, permettendo quindi di essere scavalcate dal mare. L'acqua distrusse il sistema elettrico di emergenza tramite i generatori mandando in meltdown i reattori e successivamente si crearono 4 esplosioni a causa delle fughe di idrogeno. Il mondo sconcertato giudicò queste calamità frutto dei cambiamenti climatici che il nostro pianeta sta vivendo, che portano tsunami, piogge torrenziali, siccità, onde di calore e cicloni. Se in parte possiamo dire che la situazione climatica odierna è frutto anche di irresponsabili comportamenti dell'uomo, i fenomeni naturali estremi sono stati recentemente documentati anche in epoche non sospette come quello scoperto dalla Dott.ssa Polonia del CNR risalente al 365 d.C. Un deposito di sedimenti spesso fino a 25 metri, presente nel Mar Ionio, sembra essere il risultato di un forte tsunami avvenuto nel 365 d.C., originato a Creta e che ha coinvolto Calabria e Sicilia. Le caratteristiche di questo deposito hanno permesso di identificare altri due eventi più antichi avvenuti circa 15 e 40 mila anni fa. La ricerca coordinata dal Cnr-Ismar è stata pubblicata su Scientific Reports Uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Ismar) ha ricostruito le tracce di uno tsunami che circa 1600 anni fa ha colpito le coste del Mediterraneo, incluse Sicilia e Calabria meridionale. La ricerca riguarda un’area abissale nel Mar Ionio, tra l’Italia, la Grecia e l’Africa, dove un deposito di sedimenti marini che raggiunge i 25 metri di spessore è stato deposto in modo quasi istantaneo dalla forza catastrofica delle correnti indotte dall’onda di uno tsunami. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports. Il Mar Mediterraneo ospita due sistemi di subduzione lungo il limite tra le placche africana ed eurasiatica che hanno prodotto forti terremoti nel passato spesso associati a tsunami. “Sulla base di descrizioni storiche e dell’analisi dei sedimenti prelevati dai fondali del Mar Ionio, uno di questi eventi, avvenuto nel 365 d.C., ha interessato un'ampia area geografica incluse regioni distanti circa 800 km dalla zona sorgente che si trova a Creta”, spiega Alina Polonia del Cnr-Ismar. “I campioni di sedimento analizzati hanno permesso di verificare che il materiale che si trovava in condizioni di acqua molto bassa è stato strappato dalla zona costiera e depositato a 4000 metri di profondità. L'onda dello tsunami ha prodotto molteplici frane sottomarine lungo un fronte di migliaia di chilometri, dall’Italia meridionale alle coste africane. Le correnti hanno trascinato sedimenti costieri nelle profondità abissali anche in assenza di canyon, probabilmente attraverso flussi tabulari di grandi dimensioni. Questo ha permesso la deposizione di un volume straordinario di sedimenti di oltre 800 km3 in tutto il Mediterraneo orientale”. Processi molto simili sono stati descritti anche durante il mega-tsunami del 2011 che ha devastato le coste giapponesi. Le caratteristiche del deposito hanno permesso di identificare altri due eventi più antichi che rappresentano i predecessori di quello di Creta consentendo di acquisire elementi utili per una più corretta valutazione del rischio tsunamigenico sulle nostre coste. “Lo studio dimostra che uno tsunami può scaricare volumi significativi di sedimenti e carbonio organico nelle profondità oceaniche, influenzando così il ciclo geochimico globale e gli ecosistemi dei fondali marini”, conclude Polonia. “Capire come vengono prodotti i mega-tsunami, e dove sono più probabili, richiede una migliore comprensione dei processi sedimentari secondari come instabilità delle scarpate continentali, generazione di frane sottomarine e correnti di sessa in tutto il bacino”.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Prenditi Cura della Natura e la Natura si Prenderà Cura di Te
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Prenditi Cura della Natura e la Natura si Prenderà Cura di Te
Ambiente

Prenditi Cura della Natura e la Natura si Prenderà Cura di Tedi Marco ArezioQuando un leggendario climber affronta le pareti con il rispetto totale per la montagna stessa e per l'ambiente in cui è inserita, quando rifiuta qualsiasi mezzo che potrebbe incidere negativamente sul rapporto con la montagna, quando l'amore per la natura lo fa sentire "roccia, vento e pioggia", allora è nato un nuovo ambientalista.Il leggendario scalatore dello Yosemite è Ron Kauk è nato a Redwood City, in California, il 23 settembre 1957. All'età di 14 anni, Ron ha partecipato a un'esperienza di backcountry di 20 giorni organizzata dalla sua scuola.Per il gusto di farlo, uno degli adulti aveva scommesso un frullato per chiunque fosse stato in grado di completare una salita difficile, che Ron vinse con successo. Trafitto dalla bellezza dell'arrampicata e incoraggiato dai modelli di comportamento nella comunità di arrampicata su roccia in Yosemite, Ron ha dovuto scegliere se continuare la sua istruzione formale o trasferirla in un luogo diverso. Scelse la via della natura e si trasferì a Yosemite all'età di 17 anni.Nel campeggio degli scalatori nella Yosemite Valley, noto come Campo 4, Ron è stato circondato da una comunità di individui che la pensano allo stesso modo in cerca di significato nelle sfide verticali delle pareti di granito, pareti scolpite dalle forze della natura.I successi di Ron nell'arrampicata sono stati molti, ma tutti hanno implicato l'espansione degli orizzonti nell'attività. Tra i risultati più iconici c'è un boulder nel mezzo del campo 4 noto come Midnight Lightning. Un'altra salita molto famosa è Astroman, che si trova sulla parete orientale della Colonna di Washington sotto il North Dome. Ancora un'altra, Magic Line , è una fessura molto sottile che si trova sul lato destro di Vernal Falls che Ron considera una delle sue salite "di successo nella vita" a causa della sua difficoltà.Ron in anni più recenti ha lavorato per esprimere il suo apprezzamento per Yosemite. Si è attivamente impegnato con la comunità dei nativi americani che ha giustamente un legame spirituale e storico con Yosemite.Ha trascorso le estati come volontario nel campeggio di Tuolumne Meadows fornendo legna da ardere per il campo dei ranger, organizzando pulizie e ricordando ai visitatori attraverso innumerevoli conversazioni la bellezza di Yosemite. Durante le estati a Tuolumne Meadows, Ron ripete le sue numerose salite e massi familiari, rinnovando il suo apprezzamento per ogni singola fessura, nodo e superficie levigata dal ghiacciaio che rappresenta le incisioni della geologia. È come uno studioso che legge antichi manoscritti, alla ricerca di riferimenti indecifrabili e significati nascosti. Annusa il vento, apprezza i temporali, il sole e il flusso dei fiumi a cascata. La nostra consapevolezza di questi elementi è la chiave per la nostra comprensione della condizione umana. La vita e la natura sono grandi insegnanti e offrono molti percorsi di intuizione, ispirazione e apprezzamento. Per Ron, è un semplice riassunto: "Prenditi cura della natura e la natura si prenderà cura di te".Info: Sacred rok

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Montagne di rifiuti lasciati sull’Himalaya da sedicenti alpinisti
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Montagne di rifiuti lasciati sull’Himalaya da sedicenti alpinisti
Ambiente

L’alpinista è prima di tutto un fautore della conservazione integrale dell’ambiente. Chi sono questi “signori”? di Marco ArezioI Cinesi sono stati impegnati in una campagna di pulitura dei campi base dell’Everest dove una discarica faceva compagnia alle maestose pareti. Hanno raccolto 8,5 tonnellate di rifiuti lasciati sul posto dalle spedizioni commerciali, turisti alpini improvvisati, che si arrogano il diritto di violentare la natura per il solo fatto che hanno pagato per poter dire: c’ero anch’io. Si è molto parlato dei mari invasi dai rifiuti che vengono abbandonati dall’uomo sulle spiagge, dalle navi, nei fiumi e che arrivano tutti nei mari e negli oceani. Ci siamo molte volte indignati nel vedere le tartarughe impigliate nelle reti abbandonate, nelle plastiche trovate negli stomaci dei pesci, nel tappeto di microplastiche che galleggiano, formando isole infernali.  Ma poco si è parlato di un altro ecosistema sottoposto alla violenza e all’inquinamento: le montagne e in particolare le catena Himalayana, che viene percorsa ogni anno da un’orda di spedizioni commerciali che vengono organizzate per portare aspiranti alpinisti in vetta agli 8000. Queste spedizioni reclutano un numero sempre più consistente di partecipanti assicurando loro vitto e alloggio, trasporto dei pesi, il tracciamento della via verso la vetta, attrezzando tutta la salita e assistendoli con un “rinforzo” di ossigeno quando cominciano ad ansimare. La velocità delle spedizioni, data anche dalle finestre di tempo stabile, dai permessi concessi per salire le montagne, dalla convivenza degli spazi con altre spedizioni e dal reclutamento di nuovi partecipanti per nuove salite, ha comportato, negli anni, l’abbandono continuo di rifiuti di tutte le tipologie, da quelli umani a quelli tecnici a quelli di supporto logistico. I cinesi, che sono coinvolti per le salite dal loro versante, si sono posti il problema ambientale dei campi base ai piedi delle montagne. Hanno organizzato un gruppo di raccolta della spazzatura abbandonata che ha portato a valle 8,5 tonnellate di rifiuti. Di questa quantità 5,2 tonnellate erano rifiuti domestici, mentre 2,3 erano rappresentate da feci umane. Anche il Nepal e l’India si stanno ponendo il problema dell’inquinamento crescente nelle zone di alta quota, ma fanno fatica a rinunciare ai fiorenti compensi che derivano dai permessi delle scalate. Il Nepal ha imposto una cauzione di 4000 dollari, per spedizione, se i partecipanti non riportano a valle almeno 8 Kg. di rifiuti a testa, ma sinceramente, sono solo palliativi, in quanto il costo globale di una spedizione commerciale può assorbire senza il minimo trauma questa multa. Forse, a questo punto ci dobbiamo chiedere se la montagna deve essere per forza accessibile a tutti, con tutti i mezzi e, inoltre, chi è un alpinista? Le aree di alta quota sono state tra l’inizio degli anni 70 e la fine degli anni 80 del secolo scorso, il campo d’azione delle aspirazioni dei giovani alpinisti di allora, che sperimentavano, dopo l’epoca degli anni 50 e 60 fatto di un alpinismo “militare” e massicciamente organizzato, un confronto leale con la montagna e le sue estreme difficoltà, senza l’uso di centinaia di portatori, senza l’uso dell’ossigeno e senza l’uso di alpinisti che attrezzavano la salita a chi sarebbe andato in vetta. Si era sviluppato un alpinismo che rispettava le montagne, dove la misurazione dei propri limiti era leale e l’ambiente solitario e intonso, creava un nuovo mondo, fatto di riscatto personale e venerazione per le ultime aree sfuggite alla manipolazione umana. L’8 maggio 1978 Reinhold Messner e Peter Habeler hanno incarnato le speranze del nuovo alpinismo ecologista, raggiungendo la vetta dell’Everest senza ossigeno e con una spedizione leggera. “Ci dicevano che eravamo matti con tendenze suicide – ha ricordato in un’intervista all’Ansa Messner – con la nostra impresa abbiamo smentito la scienza, che sosteneva che oltre gli 8.500 metri fosse impossibile resistere, che saremmo di certo morti. Noi, invece, siamo saliti a quasi 8.900 metri, per poi scendere al campo base sani e salvi“ Messner continuò il suo alpinismo alla ricerca dei suoi limiti fisici e psicologici riuscendo, per primo, a salire tutte le vette oltre gli 8 mila, portando nel mondo un messaggio chiaro: con la montagna non si deve barare, la sfida è tra te e l’ambiente naturale, senza aiuti esterni. Le montagne in quota dovrebbero essere come le riserve naturali marine, chiuse al pubblico pagante, e accessibili solo ad esperti che ne ripettino la storia, l’ambiente e si preoccupino del loro futuro. Approfondisci l'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Un nuovo nemico potrebbe sconfiggere la potenza cinese
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Un nuovo nemico potrebbe sconfiggere la potenza cinese
Ambiente

di Marco ArezioLa Cina della grande muraglia, della rivoluzione industriale, della potenza militare, dello sviluppo iper-tecnologico, dell’espansionismo nei paesi del terzo mondo specialmente in Africa e Sud America, delle guerre commerciali, delle pressioni sull’area indocinese, non aveva fatto i conti con il suo iper liberismo che è partito ai tempi di Deng, catapultando il paese dal socialismo maoista, che assicurava una ciotola di riso per tutti, alla rincorsa frenata a condizioni di vita più agiate rispetto alla dignitosa povertà in cui il popolo cinese aveva vissuto fino agli anni della pre industrializzazione diffusa. Le emergenze nazionali sono rappresentate principalmente dall’inquinamento dell’aria e da quello delle acque che ha fatto risvegliare in modo violento la Cina da un beato sonno in cui si vedevano solo le cose positive create dallo sviluppo, mettendo sotto il tappeto le conseguenze negative.  Per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria, secondo uno studio pubblicato della Berkeley Earth, in Cina muoiono circa 4000 persone al giorno per fenomeni legati a patologie che dipendono dall’inquinamento dell’aria. Gli scienziati attribuiscono la responsabilità dei decessi soprattutto alle emissioni delle centrali a carbone e in particolare alle minuscole particelle note come PM 2,5 che possono scatenare attacchi di cuore, ictus, cancro ai polmoni e asma e che , sempre secondo lo studio di Berkeley Earth, uccidono silenziosamente 1,5 milioni di persone all’anno, il 17% del livello di mortalità della Cina. Il governo cinese ha preso atto della situazione ambientale catastrofica assumendosi decisioni che stanno andando nella giusta direzione per cercare di risolvere la pericolosità dell’aria che viene respirata. Il prezzo da pagare non è stato basso, anzi i sistemi utilizzati dal governo sono stati piuttosto drastici. Oltre alla chiusura di tutte le fabbriche obsolete a carbone, è stato limitato l’uso di carbone e legna per il riscaldamento domestico nelle città. Inoltre il governo cinese ha puntato ingenti risorse sull’eolico e sul solare, iniziando la produzione di energia verde che contribuirà ad abbassare il livello degli inquinanti nell’aria nei prossimi anni. Per quanto riguarda il settore dei trasporti il governo prevede entro il 2020 la presenza sulle proprie strade di 200.000 veicoli elettrici e la messa al bando di 500 modelli di auto in circolazione considerati inquinanti. L’azione riformatrice del governo cinese non si esaurisce qui infatti sta cercando soluzioni anche contro la desertificazione e la de- ossigenazione dell’aria prevedendo la realizzazione di un piano di piantumazione ambizioso, infatti saranno messi a dimora circa 26 miliardi di piante nei prossimi 10 anni. Per quanto riguarda invece la situazione delle acque, attualmente, un terzo delle risorse idriche nel paese non è potabile e il 15% non è utilizzabile nemmeno per l’irrigazione o la produzione, in quanto è inquinata da pesticidi, scarichi industriali e fertilizzanti. Di conseguenza l’attività ittica è globalmente compromessa visto che il pescato presenta un grado di inquinamento altamente pericoloso per la salute. Alla luce di questo problema il governo ha costituito la figura del responsabile delle acque, che non è in ogni caso del tutto nuova, infatti questa posizione è nata già dal 2007, nell’area di Shanghai, quando accadde un grave incidente ambientale nel lago di Taihu, uno dei più grandi del paese, dove ci fu un’ invasione di alghe velenose. Circa 5 milioni di abitanti della città di Wuxi non avevano la possibilità di usufruire delle risorse idriche per la vita quotidiana e fu per questo che venne costituita la figura del responsabile delle acque che aveva il potere di sovraintendere le molte autorità sciogliendo finalmente l’ingorgo dei poteri e lo stallo decisionale.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Gli USA Inondano di Rifiuti Plastici i Paesi più Poveri e Vulnerabili
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Gli USA Inondano di Rifiuti Plastici i Paesi più Poveri e Vulnerabili
Ambiente

di Marco ArezioDa quando il mercato cinese ha detto stop alle importazioni di rifiuti, ci saremmo aspettati che il paese più tecnologicamente ed economicamente avanzato, trovasse una soluzione corretta e “democratica” al riciclo dei propri materiali di scarto.Ci saremmo aspettati, come succede in Europa, che le migliori menti dell’industria e della ricerca privata e pubblica, trovassero delle soluzioni valide sul riciclo dei vari rifiuti domestici ed industriali, migliorando il business e l’ambiente. E’ stato fatto? Per nienteConsiderando che gli USA producono circa 34,5 milioni di tonnellate di rifiuti plastici ogni anno e che il loro tasso di riciclo, stabilito nel 2015 dall’ l'Environmental Protection Agency era del 9%, la Cina e Hong Kong ne gestivano circa 1,6 milioni di tonnellate all’anno per conto degli Stati Uniti. Si parla di rifiuti domestici inquinati dai residui alimentari o da altri materiali, di plastiche multistrato, di polimeri industriali non riciclabili con i sistemi meccanici tradizionali che, alla fine, finivano in discariche per il resto dei loro giorni. Nonostante l’accordo di Basilea del 2019, sancisce, di fatto, il divieto di esportare i rifiuti nei paesi in via di sviluppo in quanto non dotati strutture industriali, controlli serrati e risorse per gestirli legalmente, gli Stati Uniti non hanno ratificato l’accordo, sentendosi quindi liberi di esportare i rifiuti la dove le condizioni sociali, economiche, corruttive e legali permettano più facilmente questo commercio. Dopo il divieto della Cina, i rifiuti di plastica americani sono diventati un problema globale, facendo ping-pong da un paese all'altro. L'analisi del Guardian sui documenti di spedizione e sui dati delle esportazioni dell'US Census Bureau, ha rilevato che l'America spedisce ancora oggi oltre 1 milione di tonnellate all'anno dei suoi rifiuti di plastica all'estero, gran parte dei quali in luoghi dove le condizioni di vita, a causa delle masse di rifiuti ricevute, sono insostenibili. Ma quali sono questi paesi dopo la chiusura Cinese? Il Vietnam, nonostante ufficialmente viga un divieto di importazione, il Laos, la Cambogia, il Ghana, l’ Etiopia, il Kenya, la Turchia, il Senegal, le Filippine e molti paesi del Sud America, che in precedenza non avevano mai gestito i rifiuti americani. In Turchia, per esempio, le importazioni di plastica statunitensi potrebbero mettere a rischio l’intera catena del riciclo nazionale, aggravando la problematica del riciclo interno dei rifiuti prodotti dagli stessi abitanti Turchi. Da quando la Cina ha chiuso i battenti, la quantità di scarti di plastica che la Turchia riceve dall'estero è aumentata vertiginosamente, da 159.000 a 439.000 tonnellate in due anni. Ogni mese, circa 10 navi fanno scalo nei porti di Istanbul e Adana, trasportando circa 2.000 tonnellate di rifiuti plastici statunitensi che non trovano altre collocazioni. La maggior parte proviene dai porti della Georgia, Charleston, Baltimora e New York. Nelle Filippine, invece, arrivano circa 120 container al mese a Manila e in una zona industriale dell'ex base militare statunitense di Subic Bay. I registri di navigazione indicavano che i containers erano pieni di rifiuti di plastica spediti da luoghi come Los Angeles, Georgia e il porto di New York-Newark.Molte volte sono gli stessi imprenditori che in passato ricevevano i rifiuti dagli Stati Uniti, i quali, dopo il blocco imposto dai loro governi, si sono riorganizzati in paesi dove non esistono divieti stringenti, creando società definite di riciclo, in ambienti contadini dove le attività della gestione dei rifiuti, che vadano in discarica o che vengano separati e parzialmente riciclati, mette la popolazione a grave rischio di salute e sottopone l’ambiente ad un inquinamento senza ritorno. Questo è permesso in quanto gli uffici di frontiera non controllano se i rifiuti importati siano riciclabili o meno, inoltre non esiste un reale tracciamento dei rifiuti dal momento dell’ingresso nel paese, non esistono efficaci controlli una volta che queste sedicenti imprese del riciclo ricevono il materiale ed esiste un certo lassismo normativo-giuridico che impedisce un contrasto efficace al problema. Per questo, possiamo trovare in varie parti del mondo paesi interi trasformati in pattumiere a cielo aperto, dove la necessità di acqua per l’attività, ha creato la contaminazione di fiumi e mari, le sostanze chimiche nocive e potenzialmente mortali sono largamente disciolte nelle falde, nei terreni, e l’aria che respirano lavoratori ed abitanti si impregna di sostanze velenose. Un disastro ecologico senza precedenti, lontano dalla casa di chi produce i rifiuti e nel silenzio del mondo più avanzato al gioco del denaro, che impone la distruzione delle vite delle popolazioni e degli habitat naturali, a dispetto di tutti i principi democratici che hanno, apparentemente, fatto grandi i paesi occidentali. Foto: The Guardian

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - CO2: la Butto? No la Catturo, la Imprigiono e la Riutilizzo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare CO2: la Butto? No la Catturo, la Imprigiono e la Riutilizzo
Ambiente

L’anidride carbonica è sempre stata additata come un veleno per l’ambiente, dispersa senza criterio nell’atmosfera, distrutti gli ambienti che fungevano da moderatore delle quantità dell’aria, costruiti prodotti che ne emettono in quantità pericolose.Ma c’è un altro risvolto della medaglia che consiste nel considerare la CO2 una vera risorsa da riutilizzare in molti campi civili ed industriali. La CO2, opportunamente trattata, viene usata nel settore alimentare, nelle bibite, nel settore medicale, nella depurazione delle acque, nella lavorazione dei metalli, come gas refrigerante ecologico e in molti altri campi applicativi. Quindi catturarla, imprigionarla, lavorarla e riutilizzarla è un’opportunità importante ma anche una necessità per il bilanciamento carbonico del nostro pianeta. Tra i primi in Italia a realizzare industrialmente un processo di riciclo della CO2 è stata l’azienda Bergamasca Tenaris Dalmine, che attraverso lo stabilimento a Dalmine (Bg), iniziò a trattare questa preziosa materia prima nel settore della lavorazione dei metalli Oggi l’azienda ha aperto una collaborazione con la società Saipem e la Siad, che, attraverso l’acquisto di una innovativa tecnologia Canadese tramite Saipem, utilizza un enzima particolare per la cattura della CO2. Processo che sta interessando l’approfondimento tecnico-scientifico, con studi già in fase avanzata anche il Politecnico di Milano e di Torino. Questa tecnologia riduce notevolmente i costi di post-combustione per la cattura della C02 e permette il suo impiego in moltissimi settori di competenza delle tra aziende. Michele della Botta, Ad di TenarisDalmine, sostiene che questo progetto aiuterà l’azienda nell’obbiettivo di riduzione del 30% delle emissioni di CO2 entro il 2030.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Rinnovabili: Accumulo di Energia Tramite le Batterie a Sabbia
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Rinnovabili: Accumulo di Energia Tramite le Batterie a Sabbia
Ambiente

Parlare oggi di energie rinnovabili sfondiamo solo porte aperte, in quanto la transizione energetica verso una produzione più green dell’elettricità è ormai nei programmi dei governi, delle aziende e anche dei cittadini.Abbiamo conosciuto però anche i minus che il sistema di gestione della distribuzione dell’energia prodotta con le fonti rinnovabili portava con sé. Mi riferisco in particolar modo all’accumulo del surplus energetico, da impiegare nei momenti in cui gli impianti solari ed eolici non hanno una performance elevata a causa delle condizioni metereologiche o nelle ore notturne. Il collo di bottiglia della conversione energetica su larga scala stava proprio nel poter disporre di corrente in modo continuativo e senza interruzioni, anche quando la produzione era bassa rispetto alla domanda. Ci ha pensato una start up, la Magaldi Green Energy, che ha proposto una batteria, per l’accumulo dell’energia in surplus, attraverso un brevetto per una batteria a “sabbia”. Il sistema brevettato, si basa su una tecnologia di accumulo realizzato attraverso un letto di sabbia fluidizzato, che viene alimentato, a sua volta, da energie rinnovabili. La batteria a sabbia può essere caricata con energia elettrica o termica, in modo che vengano immagazzinate per un tempo variabile dalle 4 ore ad alcune settimane, senza registrare una perdita importante, per essere restituite alla rete quando ce ne fosse bisogno, soprattutto quando il sole e il vento non ne producono in modo efficiente attraverso gli impianti dedicati. I vantaggi della fluidizzazione della sabbia sono molto evidenti, secondo Letizia Magaldi, vicepresidente dell’azienda e riguardano le grandi capacità di accumulo termico, l’efficienza termica elevata, con la possibilità di migliorare la disponibilità in rete di energia e la riduzione delle emissioni di Co2 in atmosfera.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - La Densità della Plastica Crea la sua Sfortuna nella Nostra Società
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Densità della Plastica Crea la sua Sfortuna nella Nostra Società
Ambiente

di Marco ArezioE’ sicuramente una provocazione dire che alcune tipologie di plastica, come le bottiglie in PET, i flaconi in HDPE e altre tipologie di imballi plastici, per via della loro densità, sono destinate a galleggiare e, quindi, ad attirarsi le ira, comprensibili se non si conosce il problema, di chi dà vita ai movimenti plastic free.E’ sempre una provocazione dire che se il peso specifico dei prodotti plastici fosse diverso e, come altri materiali da imballo, andassero a fondo, probabilmente ci illuderemmo che, non vedendoli galleggiare, non esista un reale problema ambientale. Non solo sono due provocazioni, ma un insulto all’intelligenza umana, pensare di fare come lo struzzo, mettendo la testa sotto la sabbia per nasconde il problema. Ma in realtà l’effetto emotivo delle isole di plastica che galleggiano nei mari ha fatto nascere un’avversione al prodotto, senza pensare cosa succede sotto il livello di galleggiamento dei mari e come ha fatto, tutta quella plastica, ad arrivare fino a li. Bidoni in metallo, bottiglie di vetro, carcasse di auto, lavatrici, telefonini, scarti di cavi, ruote, televisori, pneumatici, reti da pesca, elettrodomestici di scarto, tubi in metallo, raccordi, sedie, tavoli, divani, lampadari, ceramiche, calcinacci, rifiuti di cantiere e molti altri prodotti, sono regolarmente riversati in mare ogni anno. Li vediamo? No, a meno che ci immergiamo con un piccolo sommergibile di profondità e andiamo a vedere i disastri che fa l’uomo, la stupidità e l’ignoranza del genere umano. Dei milioni di tonnellate di rifiuti che entrano in mare ogni anno sembra che quelli visibili siano solo l’1%, in quanto galleggiano o vengono spiaggiati dalle correnti e maree, mentre il 99% è depositato nei fondali. Ma tornando ai movimenti plastic free, tutti questi prodotti che giacciono nelle discariche in fondo al mare non vengono normalmente citati, non viene fondato un movimento “bottiglie di vetro free” o un “pneumatico free” o un “televisori free”, ciò che non si vede non impatta emotivamente e non ha audience, non movimenta le folle. Ma se cambiassimo la densità dei materiali in modo da rendere affondabile tutta la plastica e galleggiabili tutti gli altri rifiuti, forse, i mari non sarebbero più navigabili e ci scaglieremmo non più contro la plastica, che non si vedrebbe, ma con tutti i prodotti fatti con diversi materiali, come il ferro, l’alluminio, il vetro, l’acciaio, la gomma, il rame…. Ma se i fondali sono pieni di rifiuti diversi dalla plastica e la superficie dei mari e le spiagge sono pieni di plastica, di chi è la colpa? Che senso ha prendersela con un singolo prodotto quando i fondali contengono molta più spazzatura di diversa natura di quella che si vede in superficie? Il problema è l’assurda inciviltà dell’uomo che utilizza i fiumi, i mari e gli oceani come discariche, pensando di risolvere un problema dei rifiuti in casa sua, per poi rimangiarseli attraverso le catene alimentari. Dove è l’intelligenza della razza superiore rispetto agli animali? Approfondisci l'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Le Reti da Pesca in Plastica: una Lunga Storia Irrisolta
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le Reti da Pesca in Plastica: una Lunga Storia Irrisolta
Ambiente

Nylon, Polipropilene, Polietilene, Poliestere sono i principali polimeri che costituiscono le reti da pesca modernedi Marco ArezioLe reti da pesca vengono costruite in Nylon, Polipropilene, Polietilene, Poliestere ed altri materiali che ne rendono economica e tenaci le strutture, ma che comportano un grave problema ambientale se abbandonate nel mare. Questo fenomeno dipende molto spesso da situazioni accidentali in cui le navi da pesca perdono le reti o parti di esse, per svariati motivi, uno tra questi sono le perturbazioni o le condizioni difficili del mare. Il problema dell’inquinamento delle attrezzature da pesca disperse in mare era già stato segnalato nel 2009 da un rapporto della FAO quando non si parlava ancora di inquinamento da plastica nei mari. Secondo il rapporto 2020 dell'ECA Europa l’abbandono e la dispersione di plastica nell’ambiente danneggiano gli ecosistemi terrestri e marini. Ogni anno viene immessa nell’oceano una quantità di rifiuti di plastica compresa tra 4,8 a 12,7 milioni di tonnellate. Le proporzioni tra rifiuti di plastica terrestri e marini variano da regione a regione. Secondo uno studio recente, le reti da pesca costituirebbero anche il 46 % della Grande chiazza di immondizia del Pacifico (Great Pacific garbage patch). In Europa, l’85 % circa dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge è di plastica. Il 43 % circa di questi rifiuti marini è costituito da plastica monouso e il 27 % da attrezzi da pesca. In un altro rapporto scritto da Greenpeace nel novembre 2019 si stimava che 640.000 tonnellate di attrezzature da pesca abbandonate o perse, entravano nell'oceano ogni anno, equivalenti in peso a oltre 50 mila autobus a due piani. In totale, costituiscono circa il 10% dei rifiuti di plastica nei nostri oceani, intrappolando e uccidendo la vita marina. Il rapporto è stato scritto mentre la nave di Greenpeace, Arctic Sunrise, stava esaminando il Monte Vema, una montagna sottomarina biodiversa nell'Atlantico, a 1.000 chilometri al largo della costa del Sud Africa, dove si possono ancora trovare i resti dell'industria della pesca un tempo attiva. Parlando della spedizione sul Monte Vema, Thilo Maack, della campagna Protect the Oceans di Greenpeace, aveva dichiarato: "Molto tempo dopo il loro abbandono, le attrezzature da pesca continuano ad uccidere, mutilare la vita marina e inquinare anche ecosistemi remoti come la montagna sottomarina del Monte Vema. Abbiamo visto un fantastico mondo sottomarino pieno di vita e colori qui. È assolutamente triste vedere attrezzature della pesca distruttiva in un luogo così remoto come questo. “Anche il Tristan Lobster, una specie iconica del Monte Vema, che è stata per due volte sull'orlo dell'estinzione, sta ora mostrando segni di ripresa della popolazione, grazie al divieto attuale di pesca sul fondo. Questo mostra come gli oceani abbiano una straordinaria capacità di rigenerarsi. Il rapporto "Ghost Gear" mostra che il 6% di tutte le reti utilizzate, il 9% di tutte le trappole e il 29% di tutti i palangari (lenze di diversi chilometri) rimangono a inquinare il mare. Non solo i vecchi rifiuti di pesca continuano a uccidere la vita marina, ma danneggiano anche gravemente gli habitat sottomarini. Le montagne sottomarine sono particolarmente colpite perché sono spesso pesantemente sfruttate a causa della varietà di animali selvatici che vivono intorno a loro. Greenpeace chiede che venga attuata un'azione più forte contro l'attrezzatura fantasma mortale, compreso l'accordo di un forte Trattato Globale sull'Oceano alle Nazioni Unite che potrebbe proteggere almeno il 30% degli oceani del mondo entro il 2030, rendendolo off-limits per attività umane dannose, compresa la pesca industriale. Mentre secondo un rapporto della FAO, già nel 2009 si denunciava la pericolosità dell'abbandono delle reti in mare, mettendo tuttavia in evidenza che la maggior parte delle attrezzature da pesca non viene deliberatamente abbandonata ma viene persa durante le tempeste, trasportata via da forti correnti, o è il risultato dei cosiddetti "conflitti tra attrezzature", per esempio, quando si pesca con le reti in aree dove sono già state sistemate sul fondo trappole in cui le nuove reti possono incagliarsi. I principali danni causati dalle reti abbandonate o perse sono: la cattura continua di pesci - conosciuta come "pesca fantasma" - e di altri animali quali tartarughe, uccelli marini e mammiferi marini, che rimangono intrappolati e muoiono; • l'alterazione degli ecosistemi dei fondali marini; • la creazione di rischi per la navigazione in termini di possibili incidenti in mare e danni alle imbarcazioni. I tramagli, le nasse e le trappole per pesci contribuiscono alla "pesca fantasma", mentre le reti da pesca estese tendono prevalentemente a intrappolare altri organismi marini e le reti a strascico a danneggiare gli ecosistemi sottomarini. La pesca fantasma In passato, le reti da pesca mal gestite portate alla deriva dalla corrente erano additate come le principali responsabili, ma la loro messa al bando in molte aree nel 1992 ha ridotto il loro contributo alla pesca fantasma. Oggi sono i tramagli posti sui fondali ad essere più spesso riconosciuti come il principale problema. L'estremità inferiore di queste reti è ancorata al fondale marino, mentre alla sommità sono posti dei galleggianti, così da formare un muro sottomarino verticale di reti che può estendersi dai 600 ai 10 000 metri di lunghezza. Se un tramaglio viene abbandonato o perso, può continuare a pescare da solo per mesi - a volte anni - uccidendo indiscriminatamente pesci ed altri animali. Le trappole per pesci e le nasse sono un'altra principale causa di pesca fantasma. Nella Baia di Chesapeake, negli Stati Uniti, si stima vengano perse ogni anno circa 150 000 trappole per granchi, su un totale di 500 000. Solo sull'isola caraibica di Guadalupe, circa 20 000 di tutte le trappole sistemate ogni anno vengono perse in ogni stagione degli uragani, un tasso di perdita pari al 50%. Come i tramagli, queste trappole possono continuare a pescare da sole per lunghi periodi di tempo.Foto:FAO

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - L’uso del biossido di titanio nei dentifrici
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’uso del biossido di titanio nei dentifrici
Ambiente

Vediamo cosa è emerso dopo l’analisi di 408 campioni L’associazione francese Agir Pour l’Environnement ha analizzato nel totale 408 dentifrici (per bambini e per adulti) che sono venduti in diversi supermercati tra cui Auchan, Leclerc, Lid e Carrefour. Dal risultato delle analisi svolto su di essi si è evinto che in 2 su 3 è presente biossido di titanio. L’analisi sui dentifrici di Agir Pour l’Environnement L’associazione francese Agir Pour l’Environnement ha analizzato 408 dentifrici di cui 59 per bambini e 78 organici. Dall’analisi si è evinto che in 2 dentifrici su 3 è presente biossido di titanio. Nel dettaglio tale sostanza è stata rinvenuta in 271 dentifrici di cui 29 per bambini (e quindi il 49,1%) ed in 25 organici e quindi il 32%. Per chi non lo sapesse il biossido di titanio è un composto chimico che si presenta come una polvere cristallina con un colore che è tendente al bianco. Esso viene identificato con la sigla E171 quando viene utilizzato negli alimenti ma è presente come ingrediente anche nei cosmetici. Come additivo alimentare viene usato nella produzione di prodotti a base di pesce e formaggio, salse, caramelle ed in altre tipologie di alimenti come colorante mentre (ad esempio) nelle creme per cambiare il pannolino e nei dentifrici viene usato perché conferisce al prodotto una colorazione bianca ed inoltre per le sue proprietà assorbenti. I marchi importanti dell’analisi effettuata da Agir Pour l’Environnement Tra i marchi di spicco dei dentifrici analizzati dall’associazione francese “Agir Pour l’Environnement” ci sono Oral-B, Colgate, Aquafresh e Signal. In quest’ultimo, ad esempio, anche la versione bambini presenta tracce di biossido di titanio. Dall’analisi di Agir Pour l’Environnement si evince inoltre che nessuno dei 271 dentifrici incriminati specifica sulla confezione se il biossido di titanio si trova nel dentifricio sotto forma di nanoparticelle. Il regolamento Europeo numero 1223/2009 in vigore dal 2013 comunica invece che se c’è un ingrediente nei prodotti cosmetici sotto forma di nanomateriale c’è l’obbligo che esso venga indicato. Per l’esattezza il nome dell’ingrediente presente deve essere seguito dalla parola “nano” che dovrà essere messa tra parentesi. Ma quali sono gli effetti del biossido di titanio sulla salute? Come già comunicato nei prodotti cosmetici il biossido di titanio viene utilizzato per dare quel colore bianco al prodotto. Per quanto concerne gli effetti sulla salute, i pareri sono controversi. Per gli esperti, comunque, esso può portare rischi, ad esempio, al fegato e agli organi riproduttivi e va considerato anche un possibile cancerogeno. Inoltre esso è pericoloso a causa delle nanoparticelle (meno di cento nanometri di dimensione) che facilitano la penetrazione nel corpo umano. Al momento in Francia si attende un provvedimento che vieti il biossido di titanio in tutti i prodotti che possono essere anche parzialmente ingeriti (come dentifricio e medicinali) così come accade per il cibo.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - L’alba ecologica della Tanzania
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’alba ecologica della Tanzania
Ambiente

Tanzania: Il governo vieta i prodotti plastici monouso e promuove i centri ecologici Trentatrè, fin’ora, sono gli stati Africani che hanno vietato l’uso dei sacchetti di plastica per cercare di diminuire l’errato uso della plastica nella nostra vita. Dal 1° Giugno 2019 anche la Tanzania si è unito a questo piccolo esercito che tenta di fare qualche cosa per arginare il mare di plastica monouso che sta intasando l’ambiente.  Ma il paese sta anche cercando di fare qualche passo in più nell’ambito di un uso coerente e rispettoso della plastica, infatti sta anche studiando come fare a risolvere la problematica dello smaltimento di una produzione giornaliera ingente di rifiuti nelle proprie città. Il problema è così sentito che il governo ha coinvolto tutte le forze nazionali disponibili aprendo un canale di comunicazione anche con le associazioni giovanili ambientaliste. Lo sviluppo demografico delle città, come ad esempio Dar es Salaam, capitale culturale della Tanzania, che ha visto una rapida crescita negli ultimi anni, ed è ha una popolazione di circa 4,3 milioni di persone registrate nell’ultimo censimento nazionale, dispone di un servizio di raccolta dei rifiuti per solo il 30-40% dei suoi cittadini. Il paese produce circa 4.600 tonnellate di rifiuti al giorno con una previsione di salire a circa 12.000 entro il 2025, quindi si capisce che la messa al bando dei prodotti monouso, tra i quali ci sono i sacchetti in plastica, non potesse essere l’unica decisione da prendere in ambito ambientale. Il governo ha deciso di partire dalle scuole per far prendere coscienza ai giovani che i rifiuti, specialmente quelli plastici, siano una risorsa nel loro riutilizzo e che la loro dispersione nell’ambiente sia un lento suicidio collettivo. Inoltre i programmi didattici nelle scuole elementari vogliono valorizzare il giardinaggio, la piantumazione e ogni forma di conservazione dell’ambiente.Approfondisci l'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Abbiamo smarrito la coscienza ambientale?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Abbiamo smarrito la coscienza ambientale?
Ambiente

Sembra si sia formata un’assuefazione ai disastri ecologici attuali e futuri di Marco ArezioQual’è l’impatto del tam-tam mediatico che da qualche anno ci sta avvolgendo e che rimarca una situazione ecologica globale disperata? Abbiamo smarrito la coscienza? A discapito di quello che si pensa, il sentimento nei confronti delle informazioni sull’ambiente che ci giungono, sempre più gravi, documentate con dovizia di particolari da una comunicazione efficiente e puntuale, non coinvolge tutti allo stesso modo e con la stessa enfasi.  Diamo per scontato che sia del tutto superfluo, come qualcuno ha l’ardire di sottolineare, discutere se la proporzione del disastro ecologico in cui viviamo sia degna di nota o meno, perché vorrei eliminare quella frangia di persone che tendono a non considerare il problema. Non parliamo solo di gente comune, ma di politici, in posizioni apicali, che ironizzano sull’esistenza del problema ecologico, sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze per la vita di tutti, utilizzando i social quale mezzo di persuasioni delle coscienze influenzabili, dimostrando una cultura scientifica, oltre che morale, del tutto discutibile. La situazione ambientale a cui siamo arrivati è un intreccio così complicato di fili, che rappresentano l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, dei rifiuti e dello scempio delle risorse naturali, i quali si stanno trasformando nella corda che si sta stringendo docilmente al nostro collo. I modesti cambiamenti che i movimenti ecologici e le autorità competenti stanno cercando di apportare al ciclo dei consumi, sono del tutto lodevoli nelle intenzioni e nell’impegno profuso, ma ancora poca cosa rispetto alla situazione globale che necessiterebbe di ben altre decisioni in tempi molto più ristretti. Le notizie sulle multinazionali che si alleano per diffondere un messaggio ecologico sul ciclo della loro produzione, fanno sicuramente piacere, ma questo mi porta a pensare che oggi, incalzate dall’opinione pubblica e con il rischio di essere etichettate come inquinatori seriali, si stiano muovendo per correggere qualche comportamento che va contro la logica ambientale. Razionalmente però, non possiamo immaginare che le industrie, basate sul business, quindi sul profitto ad ogni costo richiesto dagli azionisti, diventino paladine dell’ambiente. Certamente oggi hanno capito che un messaggio di marketing che sposi il filone “verde” potrebbe far acquisire nuove fette di mercato, o nel peggiore delle ipotesi, potrebbe evitare la perdita di clienti. Sono le istituzioni politiche a livello mondiale, supportati dalle menti scientifiche, non colluse con il business economico, che devono imporre a tutti noi, quindi anche al mondo della produzione, regole comportamentali che fermino il proliferare dell’inquinamento a tutti i livelli e inizino a ridurre il disastro ambientale in cui viviamo. Lo dobbiamo fare per noi. Certo, le scelte non sono semplici e implicano una visione molto più allargata di quello che si possa pensare. Io credo che, tra le altre cose, si debba anche considerare chi non si pone questi problemi, non per ignoranza o bieco calcolo, ma perché non può porseli, in quanto stretti tra esigenze quotidiane molto più opprimenti e immediate che pensare alla fine del modo. Come si può pensare di interagire ai fini ambientali con una popolazione povera, distribuita in molte aree del mondo, che deve pensare alla sopravvivenza quotidiana e non al futuro. Come possiamo pensare di incidere sulle coscienze delle persone che subiscono le disuguaglianze economiche trasformandoli in paladini ecologici. La coscienza ambientale, la produzione, i consumi eco-sostenibili, l’economia circolare e il corretto rapporto sulle risorse ambientali, rischiano di apparire un lusso, un ulteriore privilegio di chi può permettersi l’auto elettrica, l’acquisto di cibi bio o vestirsi con costosi abiti griffati provenienti da fonti riciclate. Abbiamo prima di tutto smarrito la coscienza, non solo ambientale, ma anche quella umana, anteponendo l’effimero risultato economico al benessere generale.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Donne Africane: Tutelano l'Ambiente e Sostengono la Famiglia.
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Donne Africane: Tutelano l'Ambiente e Sostengono la Famiglia.
Ambiente

Africa: mai come nei paesi poveri il ruolo delle donne è fondamentale e centrale nella societàdi Marco ArezioLa maggior parte dei paesi Africani sono costantemente sotto pressione a causa dei fenomeni che riguardano, le siccità, le migrazioni, l'iper urbanizzazione, la povertà, le malattie e la sicurezza sociale. Una parte di questi fenomeni, a volte concatenati tra loro, sono la conseguenza dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento causati dall'evolversi, negativamente, dei fenomeni di industrializzazione mondiale e da un tenore di consumi che erode il pianeta, con tutte le conseguenze del caso. I cambiamenti climatici, in alcune aree Africane, comportano prolungate siccità, con conseguenti deficit alimentari per la popolazione, che si vede costretta a spostarsi nelle aree urbane o sub-urbane alla ricerca di ipotetiche migliori condizioni di vita. Secondo una stima delle Nazioni Unite vivrebbero, nelle aree urbane del mondo, circa 3 miliardi di persone e di loro, circa 1 miliardo, in quartieri periferici degradati, in assenza di servizi minimali per la persona. L'iper urbanizzazione comporta delle conseguenze di tipo sanitario, di sicurezza, di inquinamento e di problematiche di sostentamento per le famiglie emigrate. Tra i tanti problemi che questi agglomerati umani sono costretti ad affrontare, quello dei rifiuti autoprodotti è annoverato tra quelli di urgente soluzione. Le città metropolitane Africane non sono tutte dotate di servizi di raccolta dei rifiuti, che possano far fronte alla crescita costante dell'espansione delle città e non sono nemmeno pronte ad arginare e risolvere il fenomeno dell'aumento dei rifiuti plastici causati dal cambio di abitudine dei cittadini in sull'uso degli imballi. Infatti, quello che era, un tempo, di Juta, di metallo o di legno si è presto trasformato in contenitori di plastica usa e getta. Il mix esplosivo di problemi esistenti, si contorna di un'altra piaga sociale che è la disoccupazione dilagante con conseguenza legata alla sicurezza dei cittadini e al loro sostentamento. In questa situazione, in alcune città, le donne, che hanno l'effettiva responsabilità famigliare, aiutate da alcune organizzazioni di volontariato Europeo, hanno imparato a fare, dei rifiuti plastici, un mezzo di sostentamento della propria famiglia, dando un contributo sostanziale al decoro del loro quartiere e contenendo quei fenomeni di pericolo sanitario che l'inquinamento implica. Le associazioni di volontariato le hanno sostenute attraverso l'istruzione sulle tematiche lavorative e nella costituzione di cooperative di lavoro che si occupano della raccolta selettiva e della vendita dei rifiuti plastici. Una lezione per tutti. Hanno creato piccoli, ma diffusi centri di raccolta e dispongono di risorse per poter gestire il lavoro dando uno stipendio alle loro famiglie e creando la possibilità, non solo di sostegno alimentare, ma anche di scolarizzazione dei propri figli. Le donne coinvolte in questa attività erano considerate la parte fragile, emarginata, analfabeta della comunità, ma ora, hanno preso coscienza della loro forza, della loro importanza e della loro autodeterminazione, che vogliono trasferire ai propri figli, soprattutto alle figlie, in modo da costruire una vita migliore.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - La sindrome nimby non fa bene all’economia circolare
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La sindrome nimby non fa bene all’economia circolare
Ambiente

Come aiutare la popolazione a prendere decisioni per il bene comune di Marco ArezioLa sindrome di NIMBY, dall’acronimo inglese “non nel mio cortile” rappresenta la protesta da parte di una comunità verso quei progetti, di interesse nazionale, che prevedono l’istallazione nel loro territorio di cave, autostrade, raffinerie, termovalorizzatori, discariche insediamenti industriali o depositi di sostanze pericolose. E’ un fenomeno trasversale in tutta Europa, che nasce spontaneo come azione di difesa verso un territorio o verso la popolazione stessa, che vede, attraverso le informazioni in suo possesso, un potenziale pericolo nell’accettare il progetto. L’economia circolare è spesso vittima della sindrome di Nimby, specialmente quando si tratta di costruire un termovalorizzatore od accettare una discarica o uno stoccaggio di rifiuti, ed è un problema evidente in territori in cui per concludere la circolarità dei prodotti e delle produzioni servono strutture come quelle citate. Con i sistemi impiantistici a disposizione, il fenomeno dei rifiuti zero è un’utopia e la gente deve sapere che la circolarità si può raggiungere, integrando varie forme di riciclo che non finiscono con la raccolta differenziata. In alcuni territori, specialmente nel Sud Europa la mancanza di termovalorizzatori di ultima generazione, perché osteggiati dalla gente, porta ad una movimentazione dei rifiuti verso aree dove possono essere lavorarli (da sud al nord Italia per esempio), con costi sugli stessi cittadini contrari e un impatto ambientale elevato. C’è da tenere in considerazione che la sindrome nasce anche a causa di un’insufficiente coinvolgimento della popolazione da parte delle istituzioni politiche che decidono il progetto, dalla scarsa fiducia che la base ha nei confronti dei propri eletti che amministrano i territori su cui l’opera dovrebbe essere installata. Anche il possibile fenomeno corruttivo, che incide sulla verifica tecnica del progetto in chiave ambientale e di sostenibilità sociale, fanno parte della possibile sfiducia nelle istituzioni locali o nazionali. Bisogna investire soprattutto nella cultura della circolarità dei rifiuti, per aiutare i cittadini a capire meglio le proposte che potrebbero incidere sui propri territori e, da parte di chi gestisce politicamente le aree interessate, è necessario mettere a diposizione ogni informazione che permetta alla gente di capire che l’interesse nazionale non si scontri con possibili minori tutele alla salute o con lo stravolgimento delle abitudini di vita locali. Secondo i dati forniti dal Nimby Forum, al 2016 esistevano progetti contestati che riguardavano le energie rinnovabili, come impianti per biomasse, compostaggio e parchi eolici, per un totale di 359 posizioni aperte. E’ facile immaginare come queste opposizioni siano oggi amplificate anche dalla rete, attraverso la quale non sempre i partecipanti a queste discussioni hanno una preparazione tecnica qualificata per sostenere i pro e i contro delle opere, con il rischio di una strumentalizzazione sempre possibile. La storia recente comunque ci dice che grandi progetti sull’economia circolare, di utilità nazionale, si devono poter eseguire nell’interesse di tutti, ma che la popolazione ha diritto ad essere coinvolta, ha diritto a capire e ha diritto ad esprimersi per eventuali modifiche ritenute necessarie. La democrazia è anche questo.Vedi maggiori informazioni sul fenomeno Nimby

SCOPRI DI PIU'
135 risultati
1 2 3 4 5 6 7 8

CONTATTACI

Copyright © 2024 - Privacy Policy - Cookie Policy | Tailor made by plastica riciclata da post consumoeWeb

plastica riciclata da post consumo