Caricamento in corso...
73 risultati
https://www.rmix.it/ - Un nuovo nemico potrebbe sconfiggere la potenza cinese
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Un nuovo nemico potrebbe sconfiggere la potenza cinese
Ambiente

di Marco ArezioLa Cina della grande muraglia, della rivoluzione industriale, della potenza militare, dello sviluppo iper-tecnologico, dell’espansionismo nei paesi del terzo mondo specialmente in Africa e Sud America, delle guerre commerciali, delle pressioni sull’area indocinese, non aveva fatto i conti con il suo iper liberismo che è partito ai tempi di Deng, catapultando il paese dal socialismo maoista, che assicurava una ciotola di riso per tutti, alla rincorsa frenata a condizioni di vita più agiate rispetto alla dignitosa povertà in cui il popolo cinese aveva vissuto fino agli anni della pre industrializzazione diffusa. Le emergenze nazionali sono rappresentate principalmente dall’inquinamento dell’aria e da quello delle acque che ha fatto risvegliare in modo violento la Cina da un beato sonno in cui si vedevano solo le cose positive create dallo sviluppo, mettendo sotto il tappeto le conseguenze negative.  Per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria, secondo uno studio pubblicato della Berkeley Earth, in Cina muoiono circa 4000 persone al giorno per fenomeni legati a patologie che dipendono dall’inquinamento dell’aria. Gli scienziati attribuiscono la responsabilità dei decessi soprattutto alle emissioni delle centrali a carbone e in particolare alle minuscole particelle note come PM 2,5 che possono scatenare attacchi di cuore, ictus, cancro ai polmoni e asma e che , sempre secondo lo studio di Berkeley Earth, uccidono silenziosamente 1,5 milioni di persone all’anno, il 17% del livello di mortalità della Cina. Il governo cinese ha preso atto della situazione ambientale catastrofica assumendosi decisioni che stanno andando nella giusta direzione per cercare di risolvere la pericolosità dell’aria che viene respirata. Il prezzo da pagare non è stato basso, anzi i sistemi utilizzati dal governo sono stati piuttosto drastici. Oltre alla chiusura di tutte le fabbriche obsolete a carbone, è stato limitato l’uso di carbone e legna per il riscaldamento domestico nelle città. Inoltre il governo cinese ha puntato ingenti risorse sull’eolico e sul solare, iniziando la produzione di energia verde che contribuirà ad abbassare il livello degli inquinanti nell’aria nei prossimi anni. Per quanto riguarda il settore dei trasporti il governo prevede entro il 2020 la presenza sulle proprie strade di 200.000 veicoli elettrici e la messa al bando di 500 modelli di auto in circolazione considerati inquinanti. L’azione riformatrice del governo cinese non si esaurisce qui infatti sta cercando soluzioni anche contro la desertificazione e la de- ossigenazione dell’aria prevedendo la realizzazione di un piano di piantumazione ambizioso, infatti saranno messi a dimora circa 26 miliardi di piante nei prossimi 10 anni. Per quanto riguarda invece la situazione delle acque, attualmente, un terzo delle risorse idriche nel paese non è potabile e il 15% non è utilizzabile nemmeno per l’irrigazione o la produzione, in quanto è inquinata da pesticidi, scarichi industriali e fertilizzanti. Di conseguenza l’attività ittica è globalmente compromessa visto che il pescato presenta un grado di inquinamento altamente pericoloso per la salute. Alla luce di questo problema il governo ha costituito la figura del responsabile delle acque, che non è in ogni caso del tutto nuova, infatti questa posizione è nata già dal 2007, nell’area di Shanghai, quando accadde un grave incidente ambientale nel lago di Taihu, uno dei più grandi del paese, dove ci fu un’ invasione di alghe velenose. Circa 5 milioni di abitanti della città di Wuxi non avevano la possibilità di usufruire delle risorse idriche per la vita quotidiana e fu per questo che venne costituita la figura del responsabile delle acque che aveva il potere di sovraintendere le molte autorità sciogliendo finalmente l’ingorgo dei poteri e lo stallo decisionale.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Gli USA Inondano di Rifiuti Plastici i Paesi più Poveri e Vulnerabili
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Gli USA Inondano di Rifiuti Plastici i Paesi più Poveri e Vulnerabili
Ambiente

di Marco ArezioDa quando il mercato cinese ha detto stop alle importazioni di rifiuti, ci saremmo aspettati che il paese più tecnologicamente ed economicamente avanzato, trovasse una soluzione corretta e “democratica” al riciclo dei propri materiali di scarto.Ci saremmo aspettati, come succede in Europa, che le migliori menti dell’industria e della ricerca privata e pubblica, trovassero delle soluzioni valide sul riciclo dei vari rifiuti domestici ed industriali, migliorando il business e l’ambiente. E’ stato fatto? Per nienteConsiderando che gli USA producono circa 34,5 milioni di tonnellate di rifiuti plastici ogni anno e che il loro tasso di riciclo, stabilito nel 2015 dall’ l'Environmental Protection Agency era del 9%, la Cina e Hong Kong ne gestivano circa 1,6 milioni di tonnellate all’anno per conto degli Stati Uniti. Si parla di rifiuti domestici inquinati dai residui alimentari o da altri materiali, di plastiche multistrato, di polimeri industriali non riciclabili con i sistemi meccanici tradizionali che, alla fine, finivano in discariche per il resto dei loro giorni. Nonostante l’accordo di Basilea del 2019, sancisce, di fatto, il divieto di esportare i rifiuti nei paesi in via di sviluppo in quanto non dotati strutture industriali, controlli serrati e risorse per gestirli legalmente, gli Stati Uniti non hanno ratificato l’accordo, sentendosi quindi liberi di esportare i rifiuti la dove le condizioni sociali, economiche, corruttive e legali permettano più facilmente questo commercio. Dopo il divieto della Cina, i rifiuti di plastica americani sono diventati un problema globale, facendo ping-pong da un paese all'altro. L'analisi del Guardian sui documenti di spedizione e sui dati delle esportazioni dell'US Census Bureau, ha rilevato che l'America spedisce ancora oggi oltre 1 milione di tonnellate all'anno dei suoi rifiuti di plastica all'estero, gran parte dei quali in luoghi dove le condizioni di vita, a causa delle masse di rifiuti ricevute, sono insostenibili. Ma quali sono questi paesi dopo la chiusura Cinese? Il Vietnam, nonostante ufficialmente viga un divieto di importazione, il Laos, la Cambogia, il Ghana, l’ Etiopia, il Kenya, la Turchia, il Senegal, le Filippine e molti paesi del Sud America, che in precedenza non avevano mai gestito i rifiuti americani. In Turchia, per esempio, le importazioni di plastica statunitensi potrebbero mettere a rischio l’intera catena del riciclo nazionale, aggravando la problematica del riciclo interno dei rifiuti prodotti dagli stessi abitanti Turchi. Da quando la Cina ha chiuso i battenti, la quantità di scarti di plastica che la Turchia riceve dall'estero è aumentata vertiginosamente, da 159.000 a 439.000 tonnellate in due anni. Ogni mese, circa 10 navi fanno scalo nei porti di Istanbul e Adana, trasportando circa 2.000 tonnellate di rifiuti plastici statunitensi che non trovano altre collocazioni. La maggior parte proviene dai porti della Georgia, Charleston, Baltimora e New York. Nelle Filippine, invece, arrivano circa 120 container al mese a Manila e in una zona industriale dell'ex base militare statunitense di Subic Bay. I registri di navigazione indicavano che i containers erano pieni di rifiuti di plastica spediti da luoghi come Los Angeles, Georgia e il porto di New York-Newark.Molte volte sono gli stessi imprenditori che in passato ricevevano i rifiuti dagli Stati Uniti, i quali, dopo il blocco imposto dai loro governi, si sono riorganizzati in paesi dove non esistono divieti stringenti, creando società definite di riciclo, in ambienti contadini dove le attività della gestione dei rifiuti, che vadano in discarica o che vengano separati e parzialmente riciclati, mette la popolazione a grave rischio di salute e sottopone l’ambiente ad un inquinamento senza ritorno. Questo è permesso in quanto gli uffici di frontiera non controllano se i rifiuti importati siano riciclabili o meno, inoltre non esiste un reale tracciamento dei rifiuti dal momento dell’ingresso nel paese, non esistono efficaci controlli una volta che queste sedicenti imprese del riciclo ricevono il materiale ed esiste un certo lassismo normativo-giuridico che impedisce un contrasto efficace al problema. Per questo, possiamo trovare in varie parti del mondo paesi interi trasformati in pattumiere a cielo aperto, dove la necessità di acqua per l’attività, ha creato la contaminazione di fiumi e mari, le sostanze chimiche nocive e potenzialmente mortali sono largamente disciolte nelle falde, nei terreni, e l’aria che respirano lavoratori ed abitanti si impregna di sostanze velenose. Un disastro ecologico senza precedenti, lontano dalla casa di chi produce i rifiuti e nel silenzio del mondo più avanzato al gioco del denaro, che impone la distruzione delle vite delle popolazioni e degli habitat naturali, a dispetto di tutti i principi democratici che hanno, apparentemente, fatto grandi i paesi occidentali. Foto: The Guardian

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - CO2: la Butto? No la Catturo, la Imprigiono e la Riutilizzo
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare CO2: la Butto? No la Catturo, la Imprigiono e la Riutilizzo
Ambiente

L’anidride carbonica è sempre stata additata come un veleno per l’ambiente, dispersa senza criterio nell’atmosfera, distrutti gli ambienti che fungevano da moderatore delle quantità dell’aria, costruiti prodotti che ne emettono in quantità pericolose.Ma c’è un altro risvolto della medaglia che consiste nel considerare la CO2 una vera risorsa da riutilizzare in molti campi civili ed industriali. La CO2, opportunamente trattata, viene usata nel settore alimentare, nelle bibite, nel settore medicale, nella depurazione delle acque, nella lavorazione dei metalli, come gas refrigerante ecologico e in molti altri campi applicativi. Quindi catturarla, imprigionarla, lavorarla e riutilizzarla è un’opportunità importante ma anche una necessità per il bilanciamento carbonico del nostro pianeta. Tra i primi in Italia a realizzare industrialmente un processo di riciclo della CO2 è stata l’azienda Bergamasca Tenaris Dalmine, che attraverso lo stabilimento a Dalmine (Bg), iniziò a trattare questa preziosa materia prima nel settore della lavorazione dei metalli Oggi l’azienda ha aperto una collaborazione con la società Saipem e la Siad, che, attraverso l’acquisto di una innovativa tecnologia Canadese tramite Saipem, utilizza un enzima particolare per la cattura della CO2. Processo che sta interessando l’approfondimento tecnico-scientifico, con studi già in fase avanzata anche il Politecnico di Milano e di Torino. Questa tecnologia riduce notevolmente i costi di post-combustione per la cattura della C02 e permette il suo impiego in moltissimi settori di competenza delle tra aziende. Michele della Botta, Ad di TenarisDalmine, sostiene che questo progetto aiuterà l’azienda nell’obbiettivo di riduzione del 30% delle emissioni di CO2 entro il 2030.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - La Densità della Plastica Crea la sua Sfortuna nella Nostra Società
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Densità della Plastica Crea la sua Sfortuna nella Nostra Società
Ambiente

di Marco ArezioE’ sicuramente una provocazione dire che alcune tipologie di plastica, come le bottiglie in PET, i flaconi in HDPE e altre tipologie di imballi plastici, per via della loro densità, sono destinate a galleggiare e, quindi, ad attirarsi le ira, comprensibili se non si conosce il problema, di chi dà vita ai movimenti plastic free.E’ sempre una provocazione dire che se il peso specifico dei prodotti plastici fosse diverso e, come altri materiali da imballo, andassero a fondo, probabilmente ci illuderemmo che, non vedendoli galleggiare, non esista un reale problema ambientale. Non solo sono due provocazioni, ma un insulto all’intelligenza umana, pensare di fare come lo struzzo, mettendo la testa sotto la sabbia per nasconde il problema. Ma in realtà l’effetto emotivo delle isole di plastica che galleggiano nei mari ha fatto nascere un’avversione al prodotto, senza pensare cosa succede sotto il livello di galleggiamento dei mari e come ha fatto, tutta quella plastica, ad arrivare fino a li. Bidoni in metallo, bottiglie di vetro, carcasse di auto, lavatrici, telefonini, scarti di cavi, ruote, televisori, pneumatici, reti da pesca, elettrodomestici di scarto, tubi in metallo, raccordi, sedie, tavoli, divani, lampadari, ceramiche, calcinacci, rifiuti di cantiere e molti altri prodotti, sono regolarmente riversati in mare ogni anno. Li vediamo? No, a meno che ci immergiamo con un piccolo sommergibile di profondità e andiamo a vedere i disastri che fa l’uomo, la stupidità e l’ignoranza del genere umano. Dei milioni di tonnellate di rifiuti che entrano in mare ogni anno sembra che quelli visibili siano solo l’1%, in quanto galleggiano o vengono spiaggiati dalle correnti e maree, mentre il 99% è depositato nei fondali. Ma tornando ai movimenti plastic free, tutti questi prodotti che giacciono nelle discariche in fondo al mare non vengono normalmente citati, non viene fondato un movimento “bottiglie di vetro free” o un “pneumatico free” o un “televisori free”, ciò che non si vede non impatta emotivamente e non ha audience, non movimenta le folle. Ma se cambiassimo la densità dei materiali in modo da rendere affondabile tutta la plastica e galleggiabili tutti gli altri rifiuti, forse, i mari non sarebbero più navigabili e ci scaglieremmo non più contro la plastica, che non si vedrebbe, ma con tutti i prodotti fatti con diversi materiali, come il ferro, l’alluminio, il vetro, l’acciaio, la gomma, il rame…. Ma se i fondali sono pieni di rifiuti diversi dalla plastica e la superficie dei mari e le spiagge sono pieni di plastica, di chi è la colpa? Che senso ha prendersela con un singolo prodotto quando i fondali contengono molta più spazzatura di diversa natura di quella che si vede in superficie? Il problema è l’assurda inciviltà dell’uomo che utilizza i fiumi, i mari e gli oceani come discariche, pensando di risolvere un problema dei rifiuti in casa sua, per poi rimangiarseli attraverso le catene alimentari. Dove è l’intelligenza della razza superiore rispetto agli animali? Approfondisci l'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Le Reti da Pesca in Plastica: una Lunga Storia Irrisolta
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Le Reti da Pesca in Plastica: una Lunga Storia Irrisolta
Ambiente

Nylon, Polipropilene, Polietilene, Poliestere sono i principali polimeri che costituiscono le reti da pesca modernedi Marco ArezioLe reti da pesca vengono costruite in Nylon, Polipropilene, Polietilene, Poliestere ed altri materiali che ne rendono economica e tenaci le strutture, ma che comportano un grave problema ambientale se abbandonate nel mare. Questo fenomeno dipende molto spesso da situazioni accidentali in cui le navi da pesca perdono le reti o parti di esse, per svariati motivi, uno tra questi sono le perturbazioni o le condizioni difficili del mare. Il problema dell’inquinamento delle attrezzature da pesca disperse in mare era già stato segnalato nel 2009 da un rapporto della FAO quando non si parlava ancora di inquinamento da plastica nei mari. Secondo il rapporto 2020 dell'ECA Europa l’abbandono e la dispersione di plastica nell’ambiente danneggiano gli ecosistemi terrestri e marini. Ogni anno viene immessa nell’oceano una quantità di rifiuti di plastica compresa tra 4,8 a 12,7 milioni di tonnellate. Le proporzioni tra rifiuti di plastica terrestri e marini variano da regione a regione. Secondo uno studio recente, le reti da pesca costituirebbero anche il 46 % della Grande chiazza di immondizia del Pacifico (Great Pacific garbage patch). In Europa, l’85 % circa dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge è di plastica. Il 43 % circa di questi rifiuti marini è costituito da plastica monouso e il 27 % da attrezzi da pesca. In un altro rapporto scritto da Greenpeace nel novembre 2019 si stimava che 640.000 tonnellate di attrezzature da pesca abbandonate o perse, entravano nell'oceano ogni anno, equivalenti in peso a oltre 50 mila autobus a due piani. In totale, costituiscono circa il 10% dei rifiuti di plastica nei nostri oceani, intrappolando e uccidendo la vita marina. Il rapporto è stato scritto mentre la nave di Greenpeace, Arctic Sunrise, stava esaminando il Monte Vema, una montagna sottomarina biodiversa nell'Atlantico, a 1.000 chilometri al largo della costa del Sud Africa, dove si possono ancora trovare i resti dell'industria della pesca un tempo attiva. Parlando della spedizione sul Monte Vema, Thilo Maack, della campagna Protect the Oceans di Greenpeace, aveva dichiarato: "Molto tempo dopo il loro abbandono, le attrezzature da pesca continuano ad uccidere, mutilare la vita marina e inquinare anche ecosistemi remoti come la montagna sottomarina del Monte Vema. Abbiamo visto un fantastico mondo sottomarino pieno di vita e colori qui. È assolutamente triste vedere attrezzature della pesca distruttiva in un luogo così remoto come questo. “Anche il Tristan Lobster, una specie iconica del Monte Vema, che è stata per due volte sull'orlo dell'estinzione, sta ora mostrando segni di ripresa della popolazione, grazie al divieto attuale di pesca sul fondo. Questo mostra come gli oceani abbiano una straordinaria capacità di rigenerarsi. Il rapporto "Ghost Gear" mostra che il 6% di tutte le reti utilizzate, il 9% di tutte le trappole e il 29% di tutti i palangari (lenze di diversi chilometri) rimangono a inquinare il mare. Non solo i vecchi rifiuti di pesca continuano a uccidere la vita marina, ma danneggiano anche gravemente gli habitat sottomarini. Le montagne sottomarine sono particolarmente colpite perché sono spesso pesantemente sfruttate a causa della varietà di animali selvatici che vivono intorno a loro. Greenpeace chiede che venga attuata un'azione più forte contro l'attrezzatura fantasma mortale, compreso l'accordo di un forte Trattato Globale sull'Oceano alle Nazioni Unite che potrebbe proteggere almeno il 30% degli oceani del mondo entro il 2030, rendendolo off-limits per attività umane dannose, compresa la pesca industriale. Mentre secondo un rapporto della FAO, già nel 2009 si denunciava la pericolosità dell'abbandono delle reti in mare, mettendo tuttavia in evidenza che la maggior parte delle attrezzature da pesca non viene deliberatamente abbandonata ma viene persa durante le tempeste, trasportata via da forti correnti, o è il risultato dei cosiddetti "conflitti tra attrezzature", per esempio, quando si pesca con le reti in aree dove sono già state sistemate sul fondo trappole in cui le nuove reti possono incagliarsi. I principali danni causati dalle reti abbandonate o perse sono: la cattura continua di pesci - conosciuta come "pesca fantasma" - e di altri animali quali tartarughe, uccelli marini e mammiferi marini, che rimangono intrappolati e muoiono; • l'alterazione degli ecosistemi dei fondali marini; • la creazione di rischi per la navigazione in termini di possibili incidenti in mare e danni alle imbarcazioni. I tramagli, le nasse e le trappole per pesci contribuiscono alla "pesca fantasma", mentre le reti da pesca estese tendono prevalentemente a intrappolare altri organismi marini e le reti a strascico a danneggiare gli ecosistemi sottomarini. La pesca fantasma In passato, le reti da pesca mal gestite portate alla deriva dalla corrente erano additate come le principali responsabili, ma la loro messa al bando in molte aree nel 1992 ha ridotto il loro contributo alla pesca fantasma. Oggi sono i tramagli posti sui fondali ad essere più spesso riconosciuti come il principale problema. L'estremità inferiore di queste reti è ancorata al fondale marino, mentre alla sommità sono posti dei galleggianti, così da formare un muro sottomarino verticale di reti che può estendersi dai 600 ai 10 000 metri di lunghezza. Se un tramaglio viene abbandonato o perso, può continuare a pescare da solo per mesi - a volte anni - uccidendo indiscriminatamente pesci ed altri animali. Le trappole per pesci e le nasse sono un'altra principale causa di pesca fantasma. Nella Baia di Chesapeake, negli Stati Uniti, si stima vengano perse ogni anno circa 150 000 trappole per granchi, su un totale di 500 000. Solo sull'isola caraibica di Guadalupe, circa 20 000 di tutte le trappole sistemate ogni anno vengono perse in ogni stagione degli uragani, un tasso di perdita pari al 50%. Come i tramagli, queste trappole possono continuare a pescare da sole per lunghi periodi di tempo.Foto:FAO

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - L’uso del biossido di titanio nei dentifrici
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’uso del biossido di titanio nei dentifrici
Ambiente

Vediamo cosa è emerso dopo l’analisi di 408 campioni L’associazione francese Agir Pour l’Environnement ha analizzato nel totale 408 dentifrici (per bambini e per adulti) che sono venduti in diversi supermercati tra cui Auchan, Leclerc, Lid e Carrefour. Dal risultato delle analisi svolto su di essi si è evinto che in 2 su 3 è presente biossido di titanio. L’analisi sui dentifrici di Agir Pour l’Environnement L’associazione francese Agir Pour l’Environnement ha analizzato 408 dentifrici di cui 59 per bambini e 78 organici. Dall’analisi si è evinto che in 2 dentifrici su 3 è presente biossido di titanio. Nel dettaglio tale sostanza è stata rinvenuta in 271 dentifrici di cui 29 per bambini (e quindi il 49,1%) ed in 25 organici e quindi il 32%. Per chi non lo sapesse il biossido di titanio è un composto chimico che si presenta come una polvere cristallina con un colore che è tendente al bianco. Esso viene identificato con la sigla E171 quando viene utilizzato negli alimenti ma è presente come ingrediente anche nei cosmetici. Come additivo alimentare viene usato nella produzione di prodotti a base di pesce e formaggio, salse, caramelle ed in altre tipologie di alimenti come colorante mentre (ad esempio) nelle creme per cambiare il pannolino e nei dentifrici viene usato perché conferisce al prodotto una colorazione bianca ed inoltre per le sue proprietà assorbenti. I marchi importanti dell’analisi effettuata da Agir Pour l’Environnement Tra i marchi di spicco dei dentifrici analizzati dall’associazione francese “Agir Pour l’Environnement” ci sono Oral-B, Colgate, Aquafresh e Signal. In quest’ultimo, ad esempio, anche la versione bambini presenta tracce di biossido di titanio. Dall’analisi di Agir Pour l’Environnement si evince inoltre che nessuno dei 271 dentifrici incriminati specifica sulla confezione se il biossido di titanio si trova nel dentifricio sotto forma di nanoparticelle. Il regolamento Europeo numero 1223/2009 in vigore dal 2013 comunica invece che se c’è un ingrediente nei prodotti cosmetici sotto forma di nanomateriale c’è l’obbligo che esso venga indicato. Per l’esattezza il nome dell’ingrediente presente deve essere seguito dalla parola “nano” che dovrà essere messa tra parentesi. Ma quali sono gli effetti del biossido di titanio sulla salute? Come già comunicato nei prodotti cosmetici il biossido di titanio viene utilizzato per dare quel colore bianco al prodotto. Per quanto concerne gli effetti sulla salute, i pareri sono controversi. Per gli esperti, comunque, esso può portare rischi, ad esempio, al fegato e agli organi riproduttivi e va considerato anche un possibile cancerogeno. Inoltre esso è pericoloso a causa delle nanoparticelle (meno di cento nanometri di dimensione) che facilitano la penetrazione nel corpo umano. Al momento in Francia si attende un provvedimento che vieti il biossido di titanio in tutti i prodotti che possono essere anche parzialmente ingeriti (come dentifricio e medicinali) così come accade per il cibo.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - L’alba ecologica della Tanzania
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’alba ecologica della Tanzania
Ambiente

Tanzania: Il governo vieta i prodotti plastici monouso e promuove i centri ecologici Trentatrè, fin’ora, sono gli stati Africani che hanno vietato l’uso dei sacchetti di plastica per cercare di diminuire l’errato uso della plastica nella nostra vita. Dal 1° Giugno 2019 anche la Tanzania si è unito a questo piccolo esercito che tenta di fare qualche cosa per arginare il mare di plastica monouso che sta intasando l’ambiente.  Ma il paese sta anche cercando di fare qualche passo in più nell’ambito di un uso coerente e rispettoso della plastica, infatti sta anche studiando come fare a risolvere la problematica dello smaltimento di una produzione giornaliera ingente di rifiuti nelle proprie città. Il problema è così sentito che il governo ha coinvolto tutte le forze nazionali disponibili aprendo un canale di comunicazione anche con le associazioni giovanili ambientaliste. Lo sviluppo demografico delle città, come ad esempio Dar es Salaam, capitale culturale della Tanzania, che ha visto una rapida crescita negli ultimi anni, ed è ha una popolazione di circa 4,3 milioni di persone registrate nell’ultimo censimento nazionale, dispone di un servizio di raccolta dei rifiuti per solo il 30-40% dei suoi cittadini. Il paese produce circa 4.600 tonnellate di rifiuti al giorno con una previsione di salire a circa 12.000 entro il 2025, quindi si capisce che la messa al bando dei prodotti monouso, tra i quali ci sono i sacchetti in plastica, non potesse essere l’unica decisione da prendere in ambito ambientale. Il governo ha deciso di partire dalle scuole per far prendere coscienza ai giovani che i rifiuti, specialmente quelli plastici, siano una risorsa nel loro riutilizzo e che la loro dispersione nell’ambiente sia un lento suicidio collettivo. Inoltre i programmi didattici nelle scuole elementari vogliono valorizzare il giardinaggio, la piantumazione e ogni forma di conservazione dell’ambiente.Approfondisci l'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Abbiamo smarrito la coscienza ambientale?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Abbiamo smarrito la coscienza ambientale?
Ambiente

Sembra si sia formata un’assuefazione ai disastri ecologici attuali e futuri di Marco ArezioQual’è l’impatto del tam-tam mediatico che da qualche anno ci sta avvolgendo e che rimarca una situazione ecologica globale disperata? Abbiamo smarrito la coscienza? A discapito di quello che si pensa, il sentimento nei confronti delle informazioni sull’ambiente che ci giungono, sempre più gravi, documentate con dovizia di particolari da una comunicazione efficiente e puntuale, non coinvolge tutti allo stesso modo e con la stessa enfasi.  Diamo per scontato che sia del tutto superfluo, come qualcuno ha l’ardire di sottolineare, discutere se la proporzione del disastro ecologico in cui viviamo sia degna di nota o meno, perché vorrei eliminare quella frangia di persone che tendono a non considerare il problema. Non parliamo solo di gente comune, ma di politici, in posizioni apicali, che ironizzano sull’esistenza del problema ecologico, sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze per la vita di tutti, utilizzando i social quale mezzo di persuasioni delle coscienze influenzabili, dimostrando una cultura scientifica, oltre che morale, del tutto discutibile. La situazione ambientale a cui siamo arrivati è un intreccio così complicato di fili, che rappresentano l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, dei rifiuti e dello scempio delle risorse naturali, i quali si stanno trasformando nella corda che si sta stringendo docilmente al nostro collo. I modesti cambiamenti che i movimenti ecologici e le autorità competenti stanno cercando di apportare al ciclo dei consumi, sono del tutto lodevoli nelle intenzioni e nell’impegno profuso, ma ancora poca cosa rispetto alla situazione globale che necessiterebbe di ben altre decisioni in tempi molto più ristretti. Le notizie sulle multinazionali che si alleano per diffondere un messaggio ecologico sul ciclo della loro produzione, fanno sicuramente piacere, ma questo mi porta a pensare che oggi, incalzate dall’opinione pubblica e con il rischio di essere etichettate come inquinatori seriali, si stiano muovendo per correggere qualche comportamento che va contro la logica ambientale. Razionalmente però, non possiamo immaginare che le industrie, basate sul business, quindi sul profitto ad ogni costo richiesto dagli azionisti, diventino paladine dell’ambiente. Certamente oggi hanno capito che un messaggio di marketing che sposi il filone “verde” potrebbe far acquisire nuove fette di mercato, o nel peggiore delle ipotesi, potrebbe evitare la perdita di clienti. Sono le istituzioni politiche a livello mondiale, supportati dalle menti scientifiche, non colluse con il business economico, che devono imporre a tutti noi, quindi anche al mondo della produzione, regole comportamentali che fermino il proliferare dell’inquinamento a tutti i livelli e inizino a ridurre il disastro ambientale in cui viviamo. Lo dobbiamo fare per noi. Certo, le scelte non sono semplici e implicano una visione molto più allargata di quello che si possa pensare. Io credo che, tra le altre cose, si debba anche considerare chi non si pone questi problemi, non per ignoranza o bieco calcolo, ma perché non può porseli, in quanto stretti tra esigenze quotidiane molto più opprimenti e immediate che pensare alla fine del modo. Come si può pensare di interagire ai fini ambientali con una popolazione povera, distribuita in molte aree del mondo, che deve pensare alla sopravvivenza quotidiana e non al futuro. Come possiamo pensare di incidere sulle coscienze delle persone che subiscono le disuguaglianze economiche trasformandoli in paladini ecologici. La coscienza ambientale, la produzione, i consumi eco-sostenibili, l’economia circolare e il corretto rapporto sulle risorse ambientali, rischiano di apparire un lusso, un ulteriore privilegio di chi può permettersi l’auto elettrica, l’acquisto di cibi bio o vestirsi con costosi abiti griffati provenienti da fonti riciclate. Abbiamo prima di tutto smarrito la coscienza, non solo ambientale, ma anche quella umana, anteponendo l’effimero risultato economico al benessere generale.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Donne Africane: Tutelano l'Ambiente e Sostengono la Famiglia.
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Donne Africane: Tutelano l'Ambiente e Sostengono la Famiglia.
Ambiente

Africa: mai come nei paesi poveri il ruolo delle donne è fondamentale e centrale nella societàdi Marco ArezioLa maggior parte dei paesi Africani sono costantemente sotto pressione a causa dei fenomeni che riguardano, le siccità, le migrazioni, l'iper urbanizzazione, la povertà, le malattie e la sicurezza sociale. Una parte di questi fenomeni, a volte concatenati tra loro, sono la conseguenza dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento causati dall'evolversi, negativamente, dei fenomeni di industrializzazione mondiale e da un tenore di consumi che erode il pianeta, con tutte le conseguenze del caso. I cambiamenti climatici, in alcune aree Africane, comportano prolungate siccità, con conseguenti deficit alimentari per la popolazione, che si vede costretta a spostarsi nelle aree urbane o sub-urbane alla ricerca di ipotetiche migliori condizioni di vita. Secondo una stima delle Nazioni Unite vivrebbero, nelle aree urbane del mondo, circa 3 miliardi di persone e di loro, circa 1 miliardo, in quartieri periferici degradati, in assenza di servizi minimali per la persona. L'iper urbanizzazione comporta delle conseguenze di tipo sanitario, di sicurezza, di inquinamento e di problematiche di sostentamento per le famiglie emigrate. Tra i tanti problemi che questi agglomerati umani sono costretti ad affrontare, quello dei rifiuti autoprodotti è annoverato tra quelli di urgente soluzione. Le città metropolitane Africane non sono tutte dotate di servizi di raccolta dei rifiuti, che possano far fronte alla crescita costante dell'espansione delle città e non sono nemmeno pronte ad arginare e risolvere il fenomeno dell'aumento dei rifiuti plastici causati dal cambio di abitudine dei cittadini in sull'uso degli imballi. Infatti, quello che era, un tempo, di Juta, di metallo o di legno si è presto trasformato in contenitori di plastica usa e getta. Il mix esplosivo di problemi esistenti, si contorna di un'altra piaga sociale che è la disoccupazione dilagante con conseguenza legata alla sicurezza dei cittadini e al loro sostentamento. In questa situazione, in alcune città, le donne, che hanno l'effettiva responsabilità famigliare, aiutate da alcune organizzazioni di volontariato Europeo, hanno imparato a fare, dei rifiuti plastici, un mezzo di sostentamento della propria famiglia, dando un contributo sostanziale al decoro del loro quartiere e contenendo quei fenomeni di pericolo sanitario che l'inquinamento implica. Le associazioni di volontariato le hanno sostenute attraverso l'istruzione sulle tematiche lavorative e nella costituzione di cooperative di lavoro che si occupano della raccolta selettiva e della vendita dei rifiuti plastici. Una lezione per tutti. Hanno creato piccoli, ma diffusi centri di raccolta e dispongono di risorse per poter gestire il lavoro dando uno stipendio alle loro famiglie e creando la possibilità, non solo di sostegno alimentare, ma anche di scolarizzazione dei propri figli. Le donne coinvolte in questa attività erano considerate la parte fragile, emarginata, analfabeta della comunità, ma ora, hanno preso coscienza della loro forza, della loro importanza e della loro autodeterminazione, che vogliono trasferire ai propri figli, soprattutto alle figlie, in modo da costruire una vita migliore.

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Sai quanta plastica bevi?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Sai quanta plastica bevi?
Ambiente

Pensi che l'acqua e le bibite in generale siano immuni alle microplastiche? Sembra incredibile ma ingeriamo mediamente 50.000 particelle di plastica ogni anno. Dalle bottiglie alle stoviglie, dai contenitori multiuso ai giocattoli per bambini, dalle borse alle scarpe e non solo, viviamo in un mondo di plastica. Abituati come siamo alla cultura dell'usa e getta sembra difficile raccogliere i messaggi che ci arrivano per riuscire a cambiare le nostre abitudini e la cultura dello spreco che si è radicata in questo lasso temporale. La regola delle 3 R riduci, riusa, ricicla a quanto sembra non è abbastanza applicata, ma un po' alla volta qualcosa si muove e iniziano ad arrivare risposte fattive. Sono diversi i comuni, le spiagge, le scuole e le mense che stanno diventando plastic free, convertendosi cosi all'utilizzo di materiali riciclati. Non è mai troppo tardi per iniziare a dare il buon esempio, purché si inizi e si riesca a invertire la rotta. Siamo arrivati a un punto di non ritorno ed è necessario intervenire per dare risposte certe in tempi altrettanto certi. Dal 1950 a oggi infatti la produzione di plastica nel mondo è aumentata di 200 volte e nei prossimi dieci anni ci potrebbe essere un incremento produttivo ancora più significativo, fino a 40 volte più grande. Quanto emerge da uno studio pubblicato dall'Università di Newcastle secondo il quale le politiche adottate finora per il recupero, riuso e riciclo della plastica non sarebbero sufficienti per contenere l'impatto ambientale di questo prodotto e i suoi effetti sulla nostra salute. L'invasione della microplastica La plastica si trova ormai ovunque, perfino nell'acqua potabile che beviamo, dal rubinetto o dalla bottiglia, come anche nella birra e nelle bevande più diffuse. Dall'acqua però, le fibre di microplastiche filtrano fino ai derivati, arrivando così nella birra o in altre le bevande più diffuse (analcoliche, succhi di frutta, probabilmente anche nel vino), nel pesce (soprattutto crostacei) e nel sale. Stando ai dati della ricerca dell'Università del Newcastle fibre di microplastiche sarebbero presenti nel 72,2% dell'acqua potabile che beviamo e con cui cuciniamo di tutta Europa, a differenza degli Stati Uniti dove la presenza di plastica sale fino al 95%. L'università inglese oltre a evidenziare come dal 2000 la produzione di plastica sia in costante aumento con una percentuale par al 4% l'anno, ci comunica come ogni settimana, tramite cibo e bevande, ciascuno di noi ingerisce circa 1.769 micro-particelle di plastica (circa 50.000 particelle di plastica in un anno). Insomma, siamo sommersi dalla plastica! La plastica sarebbe presente nelle acque sotterranee, come in quelle superficiali, e nell'acqua imbottigliata. Per ogni 500 ml di acqua potabile, la ricerca in questione rileva fibre plastiche nel 72,2% in Europa, riscontrando in altri paesi internazionali anche maggiori quantità in termini percentuali (nel Medio Oriente -nello specifico il Libano- risultano una contaminazione pari al 98% dei casi, negli Stati Uniti pari al 95%, in India pari all'82,4%, in Uganda all'81%, in Ecuador al 79%, in Indonesia al 76%). E' imprescindibile come l'acqua sia il principale costituente del corpo umano e rappresenti una percentuale consistente del peso corporeo di ogni essere umano, che deve necessariamente bere acqua per evitare una disidratazione. Alla luce dei dati emersi dallo studio e dei pericoli che ne derivano per la salute di ciascuno è fondamentale attivarsi per creare quel circolo virtuoso del riduci, riusa, ricicla con l'obiettivo e la speranza di riuscire a contribuire a salvare il nostro pianeta. La plastica non è biodegradabile, ma è riciclabile pertanto l'invito è quello di attivarci tutti quanto prima anche in via preventiva sprecando di meno.Approfondisci l'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Studio sulle conseguenze dell'inquinamento sui bambini
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Studio sulle conseguenze dell'inquinamento sui bambini
Ambiente

Bambini e inquinamento: Facciamo qualche cosa prima che sia troppo tardi Uno studio sull'inquinamento ne ha sondato l'impatto sullo sviluppo cognitivo dei bambini. Le prime ripercussioni sono su attenzione e memoria. Come affermato dal biologo Eugene F. Stoermer, viviamo ormai da più di un secolo nell'epoca dell'Antropocene, termine che indica l'era geologica attuale, nella quale all'essere umano e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche. Viviamo anche in un momento storico dove le coscienze sembrano essersi svegliate nella lotta all' inquinamento e nella difesa della natura (come dimostrano le recenti manifestazioni per il clima Fridays for future e i risultati dei Verdi alle elezioni europee). Inquinamento: l'influenza sulla salute dei bambini Purtroppo, per vedere i cambiamenti concreti bisognerà aspettare ancora e ahimè, molti danni sono già stati fatti. Molti studi hanno già suggerito quanto l'esposizione all'inquinamento atmosferico nella prima infanzia possa essere collegato a disfunzioni cognitive. A questi si aggiunge una recente ricerca realizzata dal Barcelona Istitute for Global Health (ISGlobal). E' stato scoperto che bambini esposti a PM 2.5 (particelle con un diametro inferiore a 2,5 μm) nell'utero e durante i primi anni di vita hanno un maggior rischio sviluppare deficit per quanto riguarda la memoria di lavoro (nei ragazzi) e l'attenzione esecutiva (sia nei ragazzi che nelle ragazze). Inquinamento: lo studio che ne indaga l'influenza sullo sviluppo cognitivo La ricerca, pubblicata sulla rivista Environmental Health Perspectives, ha coinvolto 2.221 bambini (dai 7 ai 10 anni) che frequentano le scuole nella città di Barcellona. Le abilità cognitive dei bambini sono state valutate attraverso vari test computerizzati. L'esposizione all' inquinamento atmosferico, a casa durante la gravidanza e nel corso dell'infanzia, è stata stimata con un modello matematico utilizzando misurazioni reali. I ricercatori hanno scoperto che una maggiore esposizione ai PM 2.5 dalla gravidanza fino all'età di 7 anni era associata a punteggi di memoria di lavoro inferiori nei test cognitivi, in bambini tra i 7 e i 10 anni (riscontrato solo nei maschi). La memoria di lavoro è responsabile della memorizzazione temporanea delle informazioni per un ulteriore utilizzo e svolge un ruolo fondamentale nell'apprendimento, nel ragionamento, nella risoluzione dei problemi e nella comprensione del linguaggio. Inquinamento e sviluppo cognitivo dei bambini: i risultati dello studio Lo studio ha anche scoperto che ad una maggiore esposizione al particolato era associata a una riduzione dell'attenzione esecutiva sia nei ragazzi che nelle ragazze. L'attenzione esecutiva è una delle tre reti che costituiscono la capacità di attenzione di una persona coinvolta in forme di attenzione di alto livello, nel rilevamento di errori, nell'inibizione della risposta e nella regolazione di pensieri e sentimenti. Questa pubblicazione rafforza le precedenti scoperte e conferma che l'esposizione all'inquinamento atmosferico all'inizio della vita e durante l'infanzia, può essere considerata una minaccia per lo sviluppo cognitivo ed un ostacolo che impedisce ai bambini di raggiungere il loro pieno potenziale. by Adriano Mauro Ellena Approfondisci l'argomento 

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Microplastiche negli scrub negli esfoglianti e nei trucchi. il piatto è servito
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Microplastiche negli scrub negli esfoglianti e nei trucchi. il piatto è servito
Ambiente

Cosa c’è nel tuo Bagno? Il programma delle Nazioni Unite per sensibilizzare il problema sanitari. Seguendo le indicazioni delle Nazioni Unite che hanno istituito nel mese di Novembre una settimana di sensibilizzazione internazionale sulle microplastiche nei cosmetici, esortando i vari stati a prendere seri provvedimenti per questi prodotti, a partire dal 2020 saranno banditi in Italia alcuni cosmetici come gli scarb o le creme esfoglianti che contengono microplastiche. Ma quali sono i meccanismi che creano inquinamento? Le creme esfoglianti e gli scrub, ma si trovano anche negli shampoo e persino nei dentifrici, utilizzano micro parti di plastiche come il PET o il PP o il PE o il PMMA che hanno un’aziona leggermente abrasiva sulla pelle, innescando il processo di micro esfogliazione della pelle morta. Una volta spalmate sul corpo, attraverso l’acqua di risciacquo, queste micro parti di plastica vengono scaricate nella rete fognaria che comunque non ha la capacità di filtrare questi piccoli residui plastici, dalla dimensione di pochi micron, in quanto passano dai filtri. Purtroppo pochi paesi hanno messo al bando questi prodotti, ed ancor più importante sapere che nell’ambito della cosmesi, le micro plastiche continuano a vivere per esempio nei trucchi per il corpo. Una nota positiva è il fatto che, in linea generale, le aziende produttrici di scrub ed esfoglianti non hanno aspettato imposizioni governative circa l’abolizione delle micro plastiche nelle ricette ma si sono mosse per la sostituzione di queste parti plastiche con altri prodotti biodegradabili, venendo incontro ad una esigenza generale del consumatore in fatto di tutela ambientale. Quali sono gli additivi abrasivi nelle creme in sostituzione delle microplastiche? Ci sono molte alternative, sia sotto forma di prodotto finito come i micro granuli di pomice o di zucchero o di sale marino oppure di scarto come i gusci di noci, semi di albicocca o di altri frutti, come per esempio il lampone rosso. Come posso sapere se una crema contiene micro plastiche? Bisogna controllare l’etichetta apposta sulla confezione del prodotto nella quale non deve essere scritto, tra gli ingredienti, prodotti come il PE, Il PP, il PET o il PMMA.Vedi maggiori informazioni sull'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Il credito bancario si fa eco sostenibile
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il credito bancario si fa eco sostenibile
Ambiente

Social banking, green economy e nuova strategia sugli investimentiAlcune delle grandi banche internazionali hanno intercettato il sentimento popolare che spinge per un cambio delle strategie industriali e di consumo mettendo al centro l’ambiente e la socialità sostenibile. Un esempio lo ha dato Unicredit, una grande banca di respiro internazionale, che ha varato una nuova strategia rivolta agli impieghi nel settore ESG (Environmental, Social, Governance) che è racchiusa nel nuovo piano industriale che verrà presentato il 3 Dicembre 2019. Il nuovo concetto che rappresenta, più di ogni altra cosa, lo spirito dell’iniziativa è racchiuso nella strategia “non un ritorno sul capitale ma un ritorno del capitale”. La banca ha messo a disposizione 1 miliardo di euro per finanziare operazioni che abbiano un risvolto sociale, facendo girare il denaro su progetti che creino iniziative con impatto positivo per la comunità. Inoltre la banca ha deciso di abbandonare completamente il finanziamento di progetti che non vadano nel senso dell’economia circolare e sostenibile, in particolare non verranno più finanziati progetti che si occupano dell’estrazione del carbone, portando a termine quelli in corso, ma non ne verranno finanziati altri. Verranno poi vietati finanziamenti di progetti coinvolti nell’estrazione petrolifera nell’Artico, del gas offshore e quelli relativi allo shale oil, a causa del sistema invasivo di estrazione basato sulle fratture meccaniche delle faglie. Per quanto riguarda i finanziamenti ai progetti eco sostenibili la banca ha deciso di aumentarli del 25%, arrivando ad una quota di 9 miliardi di euro entro il 2023, iniettando liquidità nel settore delle energie rinnovabili e per l’efficienza energetica. La banca disporrà di un team di tecnici ed economisti che valuterà direttamente le casistiche più importanti per classificare del finanziamento rispetto alle direttive del nuovo piano industriale.Vedi maggiori informazioni sull'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Petrolio, metano, idrogeno: passato-presente-futuro
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Petrolio, metano, idrogeno: passato-presente-futuro
Ambiente

Petrolio, metano e idrogeno: come stiamo affrontando la transizione energetica dalle fonti fossili? A guardarci intorno sembra che nulla stia cambiando, andiamo al distributore a riempire le nostre macchine di benzina o di gasolio, vediamo circolare qualche auto a metano, poche francamente, qualche rara auto elettrica. Ci sono ancora città che usano il gasolio per il riscaldamento e l’acqua calda, molte fabbriche che hanno processi industriali alimentati da fonti fossili e il trasporto su gomma divora gasolio come fosse un fiume in piena. I trasporti via mare e il traffico aereo dipendono dai derivati del petrolio e hanno un’incidenza nell’inquinamento dell’aria notevole. Ci sono centrali che producono energia elettrica che funzionano ancora a carbone e nonostante tutto, si parla tanto di energie rinnovabili ma, nel quotidiano, facciamo fatica a vederle espresse. In realtà il processo di de-carbonizzazione in alcune aree del mondo è partito, con le attività di conversione dalle fonti fossili verso quelle rinnovabili, un processo però che richiederà tempo e che avrà bisogno di investimenti. In passato c’era solo il petrolio, che forniva, una volta raffinato, tutta l’energia di cui avevamo bisogno. Inquina, si, lo abbiamo sempre saputo, ma abbiamo fatto sempre finta di niente, anzi, ancora oggi c’è chi sostiene che il cambiamento climatico non dipende anche dal petrolio. Il pericolo che temevamo, pronunciando la parola “Petrolio”, era che prima o poi potesse finire, dovendo quindi rinunciare ai nostri agi. Poi è arrivato il metano, non che lo avessimo chiamato al nostro capezzale per una questione ambientale, ma perché costava meno e quindi ci è stato subito simpatico. Agli esperti, introdotti nel settore petrolifero, non piacevano queste grandi simpatie e per evitare un travaso di clienti importante, che avrebbe minato la marginalità dell’industria petrolifera, hanno sostenuto che le riserve di gas erano molto limitate rispetto a quelle petrolifere, quindi il mercato del gas vide un’impennata dei prezzi così da mettere al sicuro il business del petrolio. Oggi le cose si sono ristabilite, in quanto la tutela dell’ambiente è sull’agenda di qualunque cittadino, quindi le cose si vedono in un modo meno unilaterale. Le riserve di gas stimate nel 2006 in 25 anni di disponibilità oggi sono arrivate a 200 anni, portando il prezzo del gas, per esempio negli Stati Uniti, ad un valore di dieci volte inferiore a quello del 2006. Rispetto al petrolio, il gas naturale costa oggi circa la metà, rendendo appetibili gli acquisti. L’allontanamento dal petrolio si sta concretizzando anche con l’aumento della produzione di bio-metano, che darà una grossa mano, sia in termini ambientali che di gestione dei rifiuti urbani, molto importante, aiutando la riconversione energetica. In questa ottica la fonte energetica per far funzionare il trasporto su gomma e su mare può essere progressivamente sostituita dal gas con risparmi in termini di CO2 considerevoli. Come per gli impianti di produzione di energia elettrica o i termovalorizzatori che potranno godere dell’uso di gas naturale o bio-gas per il loro funzionamento riducendo l’impronta carbonica. E il futuro quale è? Il futuro oggi si chiama Idrogeno, un elemento conosciuto da molti anni ma per ragioni politiche, economiche e tecniche non ha mai visto un’alba felice. Le speranze che questo elemento energetico venga usato in larga scala nei prossimi 10 anni è confortato dal fatto che le energie rinnovabili abbasseranno il prezzo della produzione dell’idrogeno, inoltre l’industrializzazione della produzione degli elettrolizzatori, che servono a ricavare l’idrogeno dall’energia elettrica scomponendo l’acqua, aiuterà questo processo. L’idrogeno si potrà utilizzare nei trasporti pesanti, nel settore residenziale, nel riscaldamento e in alcune attività industriali. Il matrimonio tra idrogeno e l’energia prodotta da fonti rinnovabili sarà la chiave di volta per la sua diffusione, infatti si devono progettare nuovi impianti che siano in grado di trasformare, per esempio l’energia del sole, in energia elettrica specificamente dedicata a questa produzione. L’Italia sta pensando con interesse all’area del nord Africa come fonte preferita per la produzione di energia solare dedicata, mentre l’Olanda pensa al mare del nord per l’utilizzo dell’eolico. C’è un gran fervore dietro le quinte, a breve, ci auguriamo, lo spettacolo possa iniziare anche per i consumatori.Vedi maggiori informazioni

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Il disastro ecologico e umano nel delta del Niger
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il disastro ecologico e umano nel delta del Niger
Ambiente

Sversamenti di petrolio sui terreni, gas flaring, contaminazione di benzene delle falde e distruzione socialedi Marco ArezioLa bellezza dei luoghi dove fiorivano le mangrovie, formando una foresta concatenata in cui si racchiudevano oasi naturali dove la popolazione locale viveva in piena sintonia con la natura e, da essa, traeva il sostentamento per una vita semplice. Poi, arrivò il petrolio e tutto cambiò.  Nel 1956 furono scoperti i primi giacimenti petroliferi che, agli ignari abitanti delle aree interessate alle estrazioni, facevano pensare ad un futuro di prosperità sociale con la possibilità di trovare lavoro e contare su introiti economici famigliari regolari.  Da quel lontano 1956 nel delta del Niger sono arrivate compagnie petrolifere come la Shell, la Total, la Chevron e l’Eni che hanno, di fatto, colonizzato il territorio senza distribuire lavoro agli abitanti che abitavano in prossimità dei giacimenti, in quanto non potevano offrire una manodopera specializzata. Nel delta del Niger vengono prodotti circa 2,4 milioni di barili al giorno di petrolio, in un’area di circa 70.000 Kmq. in cui vive una popolazione di 27 milioni di abitanti. Se nel passato la gente conduceva una vita sostenuta dalla natura in cui viveva, con il passare del tempo, il loro mezzo di sostentamento è stato distrutto anno dopo anno, gettando la popolazione nella miseria. Il petrolio spesso fuoriesce dalle condutture, inquinando i terreni e l’acqua, costringendo la popolazione a mangiare il pesce pescato in bacini inquinati e a prelevare l’acqua da bere e per l’uso domestico dalle falde contaminate dal benzene. La desertificazione e l’inquinamento delle zone agricole, causate dalla dispersione del petrolio nei terreni e nei corsi d’acqua, non è l’unico problema che la popolazione deve affrontare. Infatti subiscono anche il fenomeno del gas flaring, nonostante sia vietato dalla legge Nigeriana. Il Gas Flaring è l’emissione in atmosfera di residui gassosi infiammabili che vengono in superficie insieme al petrolio, che per comodità viene bruciato in atmosfera, emettendo sostanze pericolose per la salute umana come anidride carbonica, gli ossidi di zolfo ed azoto, il benzene il tuolene e lo xilene. I danni sanitari sulla popolazione si possono riassumere nelle malattie cardiorespiratorie, silicosi, cancro, malattie del sangue, disturbi gastrointestinali e leucemie che minano, non solo la popolazione che vivono a ridosso dei giacimenti, ma anche quella a decine di chilometri di distanza. Nonostante il gas flaring potrebbe essere recuperato e riutilizzato o reimmesso nel pozzo prima di essere liberato nell’ambiente, per la velocità di lavorazione e la riduzione dei costi di produzione, il gas viene smaltito nell’ambiente con tutte le conseguenze del caso. Nell’area esistono circa 100 pozzi che bruciano il gas di uscita, giorno e notte, dal 1960 circa. A fronte dell’esasperazione popolare che è costretta a vivere tra fame, malattie e nessun vantaggio sociale ad avere l’estrazione petrolifera vicino a casa, subisce anche il disinteresse del governo che non interviene contro le compagnie per far riparare ai danni ambientali da loro causati e nemmeno nella ridistribuzione a livello locale di una piccola parte dei proventi, permettendo di condurre una vita meno disastrata. Anzi, ogni accenno a rivolte popolari vengono repressi dalla polizia che non vogliono problemi con i petrolieri. Subisce, inoltre, il disinteressamento delle compagnie petrolifere ai problemi che loro stesse hanno causato, innescando forme di repressione verso episodi di disperazione creati da gruppi che tentano, con azioni dimostrative, di sabotare le condutture. Nonostante in Nigeria vi siano circa 606 pozzi petroliferi attivi, che costituiscono l’80% del PIL del paese, in 60 anni di continue estrazioni il paese è rimasto tra i più poveri dell’Africa, con una speranza di vita intorno ai 40 anni e un tasso di disoccupazione intorno al 75-80%.Approfondisci l'argomento

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - In Europa il Carbone Uccide due Persone all'Ora
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare In Europa il Carbone Uccide due Persone all'Ora
Ambiente

Il combustibile plastico "End of Wast" è la soluzione al carbone? di Marco ArezioIl fumo che esce dalle ciminiere delle centrali elettriche alimentate a carbone, in Europa, ucciderebbe più di due persona l'ora secondo il rapporto "Silent Killers" Uno studio realizzato dall'università si Stoccarda, sulla base di una ricerca fatta, evidenzia gli impatti sanitari dell'inquinamento prodotto dall'utilizzo del carbone quale combustibile per produrre energia elettrica in Europa, evidenziando un numero pari a 22.300 morti premature, su base annua, che corrispondono alla perdita di 240.000 anni di vita. Inoltre le malattie legate all'inquinamento dell'aria prodotto dalle centrali a carbone, determinano una perdita di giornate lavorative pari a 5 milioni. Secondo questo studio, che ha analizzato anche i progetti per la realizzazione di 52 nuove centrali a carbone, progetti che sono in fase di realizzazione o di autorizzazione, l'impatto sulla salute se entrassero in funzione queste nuove centrali, corrisponderebbe alla perdita di ulteriori 32.000 anni di vita ogni anno. Tenendo in considerazione che la vita media di una centrale a carbone è normalmente di 40 anni, in prospettiva questi nuovi progetti porterebbero alla perdita di 1,3 milioni di anni di vita. L'università si Stoccarda, attraverso questo studio, ha riaffermato che il carbone pulito non esiste, e che questo tipo di combustibile è una delle principali cause di avvelenamento dell'aria. In Europa esistono circa 300 centrali a carbone funzionanti, le quali producono un quarto dell'energia elettrica consumata nell'unione, ma, nello stesso tempo, producono il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Queste centrali Europee sono la fonte di circa la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio e un terzo di quelle di arsenico, ed emettono, infine, quasi un quarto del totale delle emissioni di CO2 di tutta l'Europa. In termini sanitari, i paesi maggiormente colpiti dalle emissioni inquinanti del carbone sono la Polonia (più di 5000 morti all'anno), la Germania, la Romania e la Bulgaria. Ma come potrebbe essere attenuato questo fenomeno doppiamente negativo, sia sotto l'aspetto dell'impatto sulla salute sia sotto l'aspetto della distruzione delle risorse ambientali? Un'alternativa che è presa in considerazione, ma forse non con le dovute attenzioni, è il combustibile che deriva dallo scarto di lavorazione dei rifiuti plastici e urbani, detto "End of wast". Questo deriva appunto dalla lavorazione dei rifiuti civili non pericolosi e dei rifiuti speciali non pericolosi e si presenta sotto forma di macinato sfuso o in balle pressate. Il processo di lavorazione comprende: Triturazione del materialeAsportazioni delle parti metalliche attraverso separatori elettromagnetici e anche delle parti metalliche non ferroseDeumidificazioneAsportazioni delle frazioni inertiPalletizzazione in base alle esigenze degli impianti L'alto contenuto della componente plastica all'interno della ricetta permette il raggiungimento di un potere calorifico, molto importante. Il combustibile "end of waste" viene normalmente impiegato: CementificiInceneritoriCentrali termoeletticheImpianti di gassificazioneCentrali termiche per teleriscaldamento Questo combustibile può essere usato in impianti dedicati oppure in impianti che utilizzano normalmente altri tipi di combustibili, ma, in entrambi i casi, la struttura industriale deve dotarsi di tecnologie di combustione e depurazione dei fumi in grado di abbattere gli inquinanti emessi. Un caso particolare, che vedremo successivamente, riguarda l'utilizzo del combustibile "End of West" nelle cementerie in quanto c'è una corrente di pensiero che sostiene che i tradizionali forni per la produzione del clinker non siano in grado di evitare emissioni in atmosfera dannose.Vedi maggiori informazioni

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - Analisi della Qualità dell’Aria e degli Odori all’Interno delle Auto
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Analisi della Qualità dell’Aria e degli Odori all’Interno delle Auto
Ambiente

di Marco ArezioLe auto con cui ci spostiamo durante le nostre giornate lavorative o come mezzo di trasporto per le nostre vacanze o per i nostri hobbies, sono un insieme di prodotti chimici che, come tali, sono sottoposti a differenti reazioni in base alle sollecitazioni esterne che li interessano.Le temperature, specialmente quelle calde, sono un fattore scatenante che possono causare un incremento di volatili all’interno degli abitacoli delle auto, volatili che possono essere percepiti sotto forma di odori, o del tutto neutri alla percezione nasale, ma che possono portare con sé elementi volatili che potrebbero essere dannosi per la salute, causando problemi fisici a lungo termine. Ma quali sono i volatili che si disperdono all’interno degli abitacoli delle auto? I composti nocivi per la salute presenti nelle auto: • Acetaldeide • Acroleina • Benzene • Toluene • Etilbenzene • Stirene • O-m-p-xilene Queste sostanze che provengono dalla composizione delle strutture plastiche, o dai suoi rivestimenti, che compongono tutta la macchina, come cruscotti, sedili, accessori, pannellature, parti di aerazione, parti del motore che, sotto l’effetto del cambio di temperature, possono rilasciare sostanze volatili nocive.Ma come si può controllare la concentrazione di questi elementi per capire, in modo analitico, se possono danneggiare la salute?Questa analisi della qualità dell’aria può essere fatta impiegando un piccolo strumento come il gascromatografo a mobilità ionica che, attraverso l’aspirazione dei volatili all’interno dell’abitacolo, permette in modo semplice e rapido, la valutazione chimica dei volatili dispesi nell’aria. Questa piccola macchina impiega circa 15 minuti per identificare i concentrati chimici ad un livello pari a 5 ppb e ci restituisce una fotografia della qualità dell’aria che respiriamo in macchina. Qual’ è in sintesi l’obbiettivo: • Quantificazione simultanea delle emissioni gassose sopra riportate • Impiego di un apparecchio semplice e veloce per il campionamento dell’aria nelle auto • Vision tridimensionale dei componenti chimici rilevati • Automatizzazione del sistema di aspirazione e controllo • Breve tempo di ciclo • Valori analitici certi Considerando che nello spettro delle sostanze volatili che possono essere presenti in un’auto, una parte di esse non vengono percepite come odori dall’uomo e, quindi, non ci accorgiamo della loro presenza. La qualificazione dei composti chimici ci può aiutare a capire se, viaggiando all’interno dell’abitacolo esposti all’inalazione di questi elementi, per un determinato tempo, questi possano causare un danno alla nostra salute. Vedi filtri per areazione auto

SCOPRI DI PIU'
https://www.rmix.it/ - La Transizione Energetica in Cina Richiederà molto Rame
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Transizione Energetica in Cina Richiederà molto Rame
Ambiente

L’energia prodotta da fonti rinnovabili richiede strutture e apparecchiature per produrla, immagazzinarla, ma anche trasportala, in modo che gli utenti la possano utilizzare in alternativa all’energia di provenienza fossile.Per fare questo il sistema globale ha bisogno di metalli che possono far correre l’energia elettrica, prodotta dal sole o dal vento, verso i punti di rifornimento. La Cina è una nazione che sta puntando fortemente alla sostituzione del petrolio e del carbone, come fonti energetiche, attraverso importanti progetti nel campo eolico e solare. Ma per supportare questa transizione energetica ha bisogno di minerali preziosi, come il rame, l’alluminio, il cobalto e il litio. La società di consulenza Wood Mackenzie stima che la Cina possa produrre solo il 16% del rame di cui avrà bisogno per il proprio mix energetico entro il 2060. In un rapporto di ricerca in sette capitoli, Huang Miaoru, Gavin Thompson e Zhou Yanting della società Wood Mackenzie, con sede nel Regno Unito, descrivono la quantità di rame e alluminio necessaria per aggiornare la produzione di veicoli elettrici in Cina, rafforzare la sua rete di ricarica e rafforzare la produzione dei cavi necessari a questa rivoluzione. Elettrificazione significa energia tramite filo e ciò richiede metalli, in particolare rame e alluminio, il cui approvvigionamento è nelle prime pagine dell’agenda del governo di Pechino. La Cina ha bisogno di espandere le sue reti di trasmissione nazionali ad altissima tensione, ed il rame è il tallone d'Achille del paese, infatti è essenziale per il trasporto dell’elettricità, per i cablaggi e per le turbine eoliche. La produzione di rame Cinese interna e quella estera, sotto il suo controllo, è solo il 16 per cento di ciò di cui il paese ha bisogno. In base alle percentuali descritte e, visto l’urgenza di approvvigionamenti ritenuti strategici, il governo ha deciso di aprire nuovamente le importazioni degli scarti di rame e alluminio da riciclare, questo ha portato all’innalzamento dei prezzi di metalli così preziosi nel mondo. Ma nonostante il decennale impegno del governo di Pechino nel settore minerario internazionale, volto all’acquisizione di miniere di rame in tutto il mondo, sia la quota della propria autosufficienza estrattiva che la percentuale di possesso delle materie prima rispetto alle società minerarie internazionali rimangono basse. Vedi maggiori informazioni

SCOPRI DI PIU'
73 risultati
1 2 3 4 5

CONTATTACI

Copyright © 2024 - Privacy Policy - Cookie Policy | Tailor made by plastica riciclata da post consumoeWeb

plastica riciclata da post consumo