Il verdetto di appello annulla l'obbligo imposto a Shell di tagliare drasticamente le emissioni entro il 2030di Marco ArezioLa recente sentenza della Corte d'Appello dell'Aja ha avuto un impatto significativo nel panorama delle cause legali per la riduzione delle emissioni, ribaltando la decisione di primo grado che imponeva a Shell una riduzione del 45% delle emissioni di CO₂ entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. Questa pronuncia rappresenta una svolta sia per l'industria dei combustibili fossili sia per i gruppi ambientalisti, evidenziando le difficoltà legali e scientifiche legate all'imposizione di obiettivi climatici specifici a singole aziende. La genesi del caso: il verdetto del 2021 e le richieste ambientaliste Nel 2021, il tribunale olandese aveva stabilito che Shell dovesse ridurre le proprie emissioni in tre aree chiave: le emissioni derivanti dalle operazioni interne, quelle associate all'energia utilizzata e quelle provenienti dalla catena di fornitura e dall'uso finale dei suoi prodotti. È importante notare che la maggior parte delle emissioni di Shell, circa il 90%, appartiene proprio a quest'ultima categoria, cioè alle emissioni prodotte dai clienti che consumano i combustibili forniti dall'azienda. La sentenza rappresentava una novità nel panorama giuridico, poiché si trattava di uno dei primi casi in cui una multinazionale veniva vincolata a un obiettivo di riduzione specifico a seguito di un’azione legale condotta da gruppi ambientalisti, tra cui Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie). La decisione della Corte d’Appello: motivazioni e implicazioni Il recente verdetto dell’Aja ha sollevato non poche polemiche. La Corte ha infatti annullato la sentenza di primo grado sostenendo che non esiste un consenso scientifico unanime su una percentuale di riduzione delle emissioni a cui una singola azienda dovrebbe attenersi. L’imposizione di un obiettivo specifico di riduzione a Shell, ha affermato la Corte, risulta inadeguata senza un accordo consolidato su parametri condivisi a livello globale. Un altro aspetto fondamentale della decisione riguarda l'efficacia pratica dell’obbligo imposto a Shell. La Corte ha osservato che anche se Shell smettesse di vendere combustibili fossili, altre aziende potrebbero facilmente colmare quel vuoto di mercato, risultando in un taglio complessivo delle emissioni poco significativo. Questa considerazione evidenzia come l'intero settore energetico, e non solo singole aziende, debba essere coinvolto per un’efficace transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio. Le reazioni degli attivisti e la posizione di Shell La decisione ha suscitato delusione tra gli attivisti, soprattutto alla vigilia della COP29 a Baku, dove le aspettative sulle nuove politiche climatiche sono basse. Donald Pols, direttore di Milieudefensie, ha definito il verdetto come “doloroso”, pur riconoscendo alcuni punti positivi. Ad esempio, la Corte ha comunque sottolineato che Shell ha una responsabilità individuale nel contribuire alla riduzione delle emissioni e ha messo in discussione la coerenza dell'esplorazione di nuovi giacimenti di petrolio e gas rispetto agli Accordi di Parigi. Pols ha comunque dichiarato che la battaglia legale non è conclusa e che potrebbe essere presentato un ulteriore ricorso alla Corte Suprema olandese. Dall’altra parte, l'amministratore delegato di Shell, Wael Sawan, ha accolto favorevolmente la decisione, dichiarando che essa rappresenta una scelta “giusta” sia per Shell sia per il settore energetico dei Paesi Bassi. Tuttavia, Sawan ha confermato che l'obiettivo di Shell rimane quello di diventare una compagnia a emissioni nette zero entro il 2050. Questo traguardo, secondo la compagnia, verrà raggiunto tramite investimenti significativi in progetti a basse emissioni di carbonio, con un impegno finanziario di 10-15 miliardi di dollari previsto tra il 2023 e il 2025. Shell e i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni A fronte della complessità e delle sfide legate agli impegni di riduzione, Shell ha deciso nel marzo scorso di rivedere i suoi obiettivi di taglio delle emissioni di CO₂, limitandosi a una riduzione tra il 15 e il 20% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2016. Questo approccio, basato sull'intensità netta di CO₂ (il rapporto tra le emissioni e l'energia prodotta), riflette una visione più pragmatica che si concentra sulla gradualità della transizione energetica, piuttosto che su riduzioni drastiche a breve termine. Un campanello d'allarme per le cause climatiche La sentenza dell’Aja rappresenta un precedente importante per le numerose cause legali avviate contro le aziende produttrici di combustibili fossili. Molte di queste azioni si basano sulla richiesta di responsabilità diretta delle aziende per il loro impatto climatico, ma il verdetto della Corte sottolinea i limiti di questo approccio quando applicato a singole imprese. La difficoltà di definire obiettivi specifici per ogni azienda, la mancanza di una chiara linea guida scientifica su percentuali di riduzione mirate, e l'interconnessione del mercato globale dei combustibili fossili evidenziano le sfide legate all'implementazione di politiche climatiche efficaci a livello aziendale. Conclusioni La sentenza della Corte d’Appello dell’Aja su Shell rappresenta un crocevia importante per le politiche climatiche aziendali e per le azioni legali che mirano a coinvolgere direttamente le aziende nella lotta al cambiamento climatico. Se da un lato il verdetto sembra rallentare le ambizioni dei gruppi ambientalisti, dall’altro sottolinea la necessità di un approccio sistemico che coinvolga sia i governi sia l'intera industria energetica. La questione di come conciliare la sostenibilità con le esigenze di un mercato globale richiederà soluzioni più articolate e concertate per garantire un'efficace transizione verso un'economia a basse emissioni. Per ora, il caso Shell evidenzia il complesso equilibrio tra responsabilità aziendali e obiettivi globali, e suggerisce che la strada verso un mondo a basse emissioni richiederà un impegno e una cooperazione che vanno oltre le singole cause legali.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Il combustibile plastico "End of Wast" è la soluzione al carbone? di Marco ArezioIl fumo che esce dalle ciminiere delle centrali elettriche alimentate a carbone, in Europa, ucciderebbe più di due persona l'ora secondo il rapporto "Silent Killers" Uno studio realizzato dall'università si Stoccarda, sulla base di una ricerca fatta, evidenzia gli impatti sanitari dell'inquinamento prodotto dall'utilizzo del carbone quale combustibile per produrre energia elettrica in Europa, evidenziando un numero pari a 22.300 morti premature, su base annua, che corrispondono alla perdita di 240.000 anni di vita. Inoltre le malattie legate all'inquinamento dell'aria prodotto dalle centrali a carbone, determinano una perdita di giornate lavorative pari a 5 milioni. Secondo questo studio, che ha analizzato anche i progetti per la realizzazione di 52 nuove centrali a carbone, progetti che sono in fase di realizzazione o di autorizzazione, l'impatto sulla salute se entrassero in funzione queste nuove centrali, corrisponderebbe alla perdita di ulteriori 32.000 anni di vita ogni anno. Tenendo in considerazione che la vita media di una centrale a carbone è normalmente di 40 anni, in prospettiva questi nuovi progetti porterebbero alla perdita di 1,3 milioni di anni di vita. L'università si Stoccarda, attraverso questo studio, ha riaffermato che il carbone pulito non esiste, e che questo tipo di combustibile è una delle principali cause di avvelenamento dell'aria. In Europa esistono circa 300 centrali a carbone funzionanti, le quali producono un quarto dell'energia elettrica consumata nell'unione, ma, nello stesso tempo, producono il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Queste centrali Europee sono la fonte di circa la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio e un terzo di quelle di arsenico, ed emettono, infine, quasi un quarto del totale delle emissioni di CO2 di tutta l'Europa. In termini sanitari, i paesi maggiormente colpiti dalle emissioni inquinanti del carbone sono la Polonia (più di 5000 morti all'anno), la Germania, la Romania e la Bulgaria. Ma come potrebbe essere attenuato questo fenomeno doppiamente negativo, sia sotto l'aspetto dell'impatto sulla salute sia sotto l'aspetto della distruzione delle risorse ambientali? Un'alternativa che è presa in considerazione, ma forse non con le dovute attenzioni, è il combustibile che deriva dallo scarto di lavorazione dei rifiuti plastici e urbani, detto "End of wast". Questo deriva appunto dalla lavorazione dei rifiuti civili non pericolosi e dei rifiuti speciali non pericolosi e si presenta sotto forma di macinato sfuso o in balle pressate. Il processo di lavorazione comprende: Triturazione del materialeAsportazioni delle parti metalliche attraverso separatori elettromagnetici e anche delle parti metalliche non ferroseDeumidificazioneAsportazioni delle frazioni inertiPalletizzazione in base alle esigenze degli impianti L'alto contenuto della componente plastica all'interno della ricetta permette il raggiungimento di un potere calorifico, molto importante. Il combustibile "end of waste" viene normalmente impiegato: CementificiInceneritoriCentrali termoeletticheImpianti di gassificazioneCentrali termiche per teleriscaldamento Questo combustibile può essere usato in impianti dedicati oppure in impianti che utilizzano normalmente altri tipi di combustibili, ma, in entrambi i casi, la struttura industriale deve dotarsi di tecnologie di combustione e depurazione dei fumi in grado di abbattere gli inquinanti emessi. Un caso particolare, che vedremo successivamente, riguarda l'utilizzo del combustibile "End of West" nelle cementerie in quanto c'è una corrente di pensiero che sostiene che i tradizionali forni per la produzione del clinker non siano in grado di evitare emissioni in atmosfera dannose.Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'Plastic Free: Una situazione incredibiledi Marco Arezio Il paradosso dell'inquinamento da plastica è che non c'è abbastanza plastica riciclata sul mercato. Pensaci. I movimenti popolari hanno aumentato la domanda di materie prime rigenerate per produrre imballaggi ecologici. I produttori di granuli e macinati riciclati non sono più in grado di soddisfare le esigenze delle industrie dell'imballaggio poiché la raccolta e il riciclaggio dei rifiuti di plastica sono di gran lunga inferiori alle richieste. La raccolta differenziata e il suo riciclaggio producono troppo poco materiale rispetto a quello che sarebbe necessario e quindi i rifiuti in plastica da riciclare sono lì ma finiscono principalmente nelle discariche o nell'ambiente. Una situazione incredibile.
SCOPRI DI PIU'Come la CCS sta Rivoluzionando la Transizione Energetica: Progetti, Tecnologie e il Ruolo di Eni e Altri Leader di Settoredi Marco ArezioIl business della cattura e dello stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS, Carbon Capture and Storage) rappresenta una delle tecnologie più avanzate e promettenti nella lotta al cambiamento climatico. L'aumento delle pressioni normative e sociali per ridurre le emissioni di CO₂ ha spinto governi, aziende e istituzioni finanziarie a investire massicciamente in queste soluzioni innovative. Secondo le proiezioni, il mercato globale del CCS è destinato a superare i 50 miliardi di euro entro il 2030. In questo contesto, l’Europa emerge come un epicentro di sviluppo tecnologico e di implementazione grazie a progetti pionieristici e partnership pubblico-private che mirano a integrare il CCS nelle strategie di decarbonizzazione di lungo termine. Come funzionano i servizi di CCS La tecnologia CCS si basa su tre fasi principali: cattura, trasporto e stoccaggio della CO₂. Cattura della CO₂ La cattura avviene principalmente presso impianti industriali e centrali elettriche, dove la CO₂ viene separata dagli altri gas emessi. Le tecniche principali includono: - Cattura post-combustione: separazione della CO₂ dai fumi industriali. - Cattura pre-combustione: rimozione del carbonio prima della combustione. - Direct Air Capture (DAC): cattura diretta dall’aria tramite filtri chimici. Tecnologie come quelle sviluppate da Climeworks e Carbon Engineering stanno accelerando l’efficienza e la scalabilità della cattura diretta dell’anidride carbonica. Trasporto del CO₂ Una volta catturata, la CO₂ viene compressa e trasportata tramite pipeline o navi verso siti di stoccaggio. La rete infrastrutturale è fondamentale per connettere le fonti di emissioni ai siti di stoccaggio. Progetti come Northern Lights, sviluppati da Equinor, TotalEnergies e Shell, prevedono una rete transfrontaliera per gestire il trasporto sicuro della CO₂ catturata in diversi paesi europei. Questo approccio consente di ridurre i costi complessivi e ottimizzare l’utilizzo delle infrastrutture esistenti. Stoccaggio della CO₂ La CO₂ viene iniettata in formazioni geologiche profonde, come giacimenti esauriti di petrolio e gas o acquiferi salini. Queste formazioni naturali sono scelte per le loro caratteristiche di impermeabilità, che impediscono la fuoriuscita del gas una volta immagazzinato. Prima dell'iniezione, vengono condotti studi dettagliati di caratterizzazione geologica, utilizzando tecniche come la sismica 3D e analisi di laboratorio sui campioni di roccia, per garantire che il sito sia idoneo e sicuro. Una volta iniettata, la CO₂ è sottoposta a pressioni elevate che ne favoriscono la mineralizzazione nel tempo, un processo naturale che contribuisce alla sua stabilità. Il monitoraggio continuo tramite sensori geofisici e chimici, integrati da sistemi satellitari, assicura che non vi siano fughe e che il gas rimanga intrappolato in profondità per centinaia o migliaia di anni. Oltre alla cattura e stoccaggio, alcuni attori offrono servizi integrati, come il monitoraggio delle emissioni e la consulenza per migliorare l’efficienza dei processi industriali. Questo approccio olistico sta rendendo il settore sempre più appetibile per le aziende che cercano di ridurre la propria impronta di carbonio. Gli attori principali in Europa In Europa, il mercato CCS vede la partecipazione di grandi aziende energetiche, startup innovative e istituzioni pubbliche. Tra i principali protagonisti troviamo: Equinor: L’azienda norvegese è leader nei progetti CCS, con iniziative come Northern Lights, che punta a creare un'infrastruttura europea per lo stoccaggio della CO₂. Shell: Coinvolta in progetti come Porthos nei Paesi Bassi, Shell sta investendo significativamente in tecnologie di cattura e stoccaggio per supportare la transizione energetica. TotalEnergies: Attiva con progetti CCS in Francia e nel Regno Unito, TotalEnergies mira a integrare queste tecnologie nelle proprie operazioni industriali. Eni: Attraverso i progetti Plenitude e Enilive, Eni sta sviluppando soluzioni avanzate di CCS per ridurre le emissioni nelle operazioni petrolifere e industriali, con particolare attenzione ai giacimenti di stoccaggio nel Mar Adriatico. Start-up tecnologiche: Aziende come Climeworks (Svizzera) stanno sviluppando soluzioni di direct air capture (DAC), che catturano la CO₂ direttamente dall’aria. Anche le istituzioni pubbliche giocano un ruolo cruciale. La Commissione Europea ha finanziato diversi progetti CCS attraverso il Fondo per l’Innovazione e il programma Horizon Europe, incentivando lo sviluppo di nuove tecnologie. Quanto è sostenibile a livello di business il CCS La sostenibilità economica della cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica è al centro di molti dibattiti, poiché le tecnologie CCS, pur rappresentando una risposta efficace alla crisi climatica, comportano costi elevati. Tuttavia, l’integrazione di queste soluzioni nei modelli di business di grandi aziende energetiche e industriali dimostra il loro potenziale economico. Performance delle società coinvolte Le aziende che operano nel settore CCS stanno registrando una crescita significativa, grazie alla crescente domanda di soluzioni per la decarbonizzazione e agli incentivi governativi. Per esempio: Equinor ha registrato un aumento degli investimenti in progetti CCS, con una percentuale crescente del suo bilancio destinata alle tecnologie sostenibili. I loro progetti pionieristici, come Northern Lights, hanno attirato finanziamenti sia pubblici che privati. Shell sta sviluppando una strategia integrata per il CCS, che combina il trasporto e lo stoccaggio della CO₂ con l’ottimizzazione dei processi industriali. Il progetto Porthos nei Paesi Bassi ha già assicurato contratti di lungo termine con grandi aziende europee. Eni, attraverso Plenitude ed Enilive, sta diversificando il proprio portafoglio per includere soluzioni CCS, ottenendo una posizione competitiva nel mercato europeo. La società ha anche iniziato a esplorare l'utilizzo della CO₂ per la produzione di nuovi materiali industriali. Climeworks, pur essendo una startup, ha dimostrato che il direct air capture può diventare redditizio grazie a partnership con aziende che cercano di compensare le proprie emissioni. Modelli di business emergenti Le società coinvolte stanno adottando modelli di business innovativi per migliorare la sostenibilità economica del CCS: Contratti a lungo termine: Aziende come Shell ed Equinor offrono contratti pluriennali ai loro clienti, garantendo un flusso costante di entrate e mitigando i rischi associati agli investimenti iniziali elevati. Partnership pubblico-private: I governi offrono finanziamenti iniziali e agevolazioni fiscali per ridurre i costi, mentre le aziende forniscono le competenze tecniche e le infrastrutture necessarie. I margini di crescita e le sfide Nonostante il settore CCS offra grandi opportunità, esistono ancora alcune problematiche. Tra queste, i costi elevati delle tecnologie e la necessità di un quadro normativo stabile e incentivante. Tuttavia, i margini di crescita sono enormi, grazie a: Aumenti della carbon tax: L’introduzione di tasse sulle emissioni di CO₂ sta spingendo molte aziende a investire nel CCS per evitare costi aggiuntivi. Sostegno politico: I governi europei stanno introducendo incentivi fiscali e finanziamenti diretti per accelerare l’adozione del CCS. Innovazione tecnologica: Le startup stanno sviluppando tecnologie più economiche ed efficienti, rendendo il CCS accessibile a un numero crescente di aziende. Nuove opportunità commerciali: L’utilizzo della CO₂ catturata (CCU, Carbon Capture and Utilization) in settori come la produzione di combustibili sintetici e materiali edili sta aprendo nuovi mercati. In aggiunta, la combinazione di CCS con tecnologie come l’idrogeno verde o blu potrebbe creare sinergie che accelerano ulteriormente la decarbonizzazione dell’economia europea. Conclusioni Il settore della cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica rappresenta una delle frontiere più promettenti nella lotta contro il cambiamento climatico. Con attori di primo piano come Eni, Equinor e Shell, e il supporto di startup innovative, l’Europa si trova in una posizione strategica per guidare questa transizione. Sebbene le sfide non manchino, i crescenti investimenti e l’innovazione tecnologica stanno trasformando il CCS in un pilastro fondamentale per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050. © Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Come l'ICIJ utilizza il giornalismo investigativo per rivelare gli abusi ambientali globali, dal traffico di rifiuti tossici alla deforestazione illegale, contribuendo a trasformare la lotta contro il cambiamento climaticodi Marco ArezioNegli ultimi decenni, il cambiamento climatico, la distruzione degli ecosistemi e l’inquinamento sono diventati temi centrali del dibattito globale. Di fronte all’aggravarsi della crisi ambientale, il ruolo dei media, e in particolare del giornalismo investigativo, è diventato cruciale per denunciare le pratiche dannose, l’inazione politica e le attività industriali che compromettono il futuro del pianeta. In questo contesto, il Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ) ha svolto un ruolo chiave nella divulgazione di inchieste complesse e di grande impatto, smascherando gli attori che alimentano la crisi ambientale. Cos'è l'ICIJ? L’ICIJ (International Consortium of Investigative Journalists) è un’organizzazione no-profit con sede negli Stati Uniti, fondata nel 1997 come parte del Center for Public Integrity, un altro gruppo giornalistico investigativo di fama. Oggi, l’ICIJ è un’entità indipendente che collega giornalisti e media di tutto il mondo con l'obiettivo di condurre inchieste transnazionali. Il consorzio lavora su questioni complesse che travalicano i confini nazionali e richiedono un’analisi approfondita e una collaborazione giornalistica globale. Tra i maggiori successi dell'ICIJ vi sono le inchieste finanziarie, come i Panama Papers e i Paradise Papers, ma l’organizzazione ha anche rivolto un’attenzione particolare alle questioni ambientali. Grazie a una rete globale di oltre 280 giornalisti e 100 partner mediatici in più di 100 Paesi, l’ICIJ è in grado di condurre inchieste che nessuna redazione, da sola, potrebbe realizzare, specialmente in un contesto di minacce crescenti contro i giornalisti e l’informazione indipendente. Come Funziona l’ICIJ? Il modello di funzionamento dell'ICIJ si basa sulla collaborazione internazionale e l’uso di strumenti avanzati di analisi dei dati. Quando l’ICIJ avvia un’inchiesta, raccoglie e condivide informazioni con i giornalisti membri della sua rete globale, sfruttando database, documenti riservati, leak (fughe di informazioni) e risorse fornite da informatori (whistleblowers). Ogni progetto viene sviluppato in segreto per mesi, a volte anni, prima della pubblicazione. I giornalisti che partecipano a un'inchiesta sono chiamati a cooperare intensamente, mettendo a disposizione competenze specialistiche, conoscenze locali e capacità di storytelling. Questa sinergia crea un prodotto finale potente, che riesce a illuminare scandali e ingiustizie che altrimenti rimarrebbero nascosti. L’ICIJ utilizza anche tecniche investigative avanzate, tra cui il data mining, l'analisi di migliaia di documenti e lo sviluppo di sistemi informatici che permettono di tracciare collegamenti tra persone, aziende e governi. Inoltre, l’ICIJ si basa sul principio della trasparenza, non solo nel diffondere le sue inchieste, ma anche nell’assicurare che il suo lavoro sia accessibile al pubblico e ai media indipendenti. Le Inchieste dell’ICIJ sull’Ambiente L'ICIJ ha affrontato temi ambientali in diverse inchieste di grande portata. Di seguito, analizziamo alcune delle più rilevanti: Toxic Trade (2019) Una delle indagini più importanti condotte dall'ICIJ sull'ambiente è stata l'inchiesta denominata Toxic Trade, pubblicata nel 2019. Questa inchiesta ha svelato un sistema internazionale in cui grandi quantità di rifiuti tossici provenienti da Paesi sviluppati vengono esportate nei Paesi in via di sviluppo, dove le normative ambientali sono meno stringenti o del tutto inesistenti. L'inchiesta ha evidenziato come la pratica del “dumping” di rifiuti tossici sia diventata una minaccia crescente per la salute umana e per l'ambiente. Attraverso l'analisi di documenti commerciali, database internazionali e l'uso di tecnologie investigative avanzate, l'ICIJ ha tracciato i flussi di rifiuti pericolosi da Europa, Stati Uniti e Giappone verso Paesi come il Sudafrica, l’India e la Malesia. L'inchiesta ha rivelato che, nonostante i trattati internazionali come la Convenzione di Basilea, che mira a limitare il traffico transfrontaliero di rifiuti pericolosi, i controlli sono insufficienti e le aziende riescono a evadere le regolamentazioni grazie a scappatoie legali e corruzione. Toxic Trade ha posto l'accento sulla necessità di una regolamentazione più rigorosa e di una maggiore responsabilità da parte delle nazioni sviluppate, nonché sulla necessità di promuovere l’economia circolare come alternativa sostenibile. Carbon Conundrum (2021) Nel 2021, l'ICIJ ha pubblicato un'altra importante inchiesta ambientale, Carbon Conundrum, che ha esaminato l'efficacia dei sistemi globali di scambio delle emissioni di carbonio. L'indagine ha svelato che molte delle iniziative per la compensazione delle emissioni, promosse da grandi aziende e governi, sono inefficaci o addirittura controproducenti. Uno dei principali problemi evidenziati dall’ICIJ è stato l’abuso del concetto di compensazione delle emissioni, dove le aziende comprano crediti di carbonio da progetti teoricamente sostenibili in altre parti del mondo, mentre continuano a inquinare. In molti casi, questi crediti sono stati associati a progetti di riforestazione che non hanno mai visto la luce o che non hanno portato i benefici promessi. Questa inchiesta ha messo in luce come il sistema dei crediti di carbonio venga sfruttato da aziende e governi per "lavare" la propria immagine senza apportare veri cambiamenti strutturali verso la riduzione delle emissioni di gas serra. Carbon Conundrum ha sollevato seri interrogativi sull'efficacia delle misure globali per il contrasto al cambiamento climatico e ha rafforzato la richiesta di azioni più incisive e trasparenti. The Deforestation Inc. (2023) Un’altra indagine di rilievo è stata pubblicata nel 2023 sotto il titolo di Deforestation Inc.. Questa inchiesta ha smascherato una rete di aziende e intermediari che traggono profitto dalla distruzione delle foreste tropicali, in particolare in America Latina e nel Sud-est asiatico. Il team di giornalisti ha scoperto che multinazionali dell’agroindustria, aziende minerarie e gruppi di costruzioni stanno contribuendo in maniera massiccia alla deforestazione illegale, spesso con la complicità di autorità locali corrotte o indifferenti. Inoltre, l'inchiesta ha svelato come i certificati "green" rilasciati da alcune organizzazioni internazionali siano in realtà solo delle coperture per permettere alle aziende di continuare a devastare le foreste. Deforestation Inc. ha evidenziato come la perdita delle foreste non solo contribuisca al cambiamento climatico, riducendo i “pozzi di assorbimento” di CO₂, ma abbia anche conseguenze devastanti per le comunità indigene e per la biodiversità. L'inchiesta ha portato all’attenzione globale il fallimento delle iniziative internazionali volte a proteggere le foreste e ha sollecitato una maggiore trasparenza nel sistema delle certificazioni ambientali. L’Impatto delle Inchieste dell’ICIJ sull’Ambiente Le inchieste dell'ICIJ non si limitano a fornire dati e informazioni, ma spesso innescano azioni concrete da parte dei governi, delle organizzazioni internazionali e delle aziende. Molte delle rivelazioni dell'ICIJ hanno portato a nuove regolamentazioni, a sanzioni contro le aziende coinvolte e a un maggiore controllo pubblico sulle pratiche dannose per l’ambiente. Ad esempio, dopo la pubblicazione di Toxic Trade, numerosi Paesi hanno rivisto le proprie normative sull’importazione di rifiuti, mentre alcune aziende sono state costrette a ridurre le esportazioni di materiali pericolosi. Carbon Conundrum ha suscitato un dibattito mondiale sull’efficacia del sistema di compensazione delle emissioni, spingendo alcuni governi a rivalutare le proprie politiche sul carbon trading.
SCOPRI DI PIU'Sappiamo chi le genera, da dove partono e come risolvere il problema. Ma i soldi e la politica fanno sempre la differenzadi Marco ArezioSi è molto parlato, negli anni scorsi, dei rifiuti plastici e delle microplastiche nei mari e negli oceani, tanto che il problema ha impegnato per molto tempo i canali di informazione tradizionali e via web. Si sono mobilitati ambientalisti, aziende che cavalcavano l’onda emotiva della gente con campagne dal vago sapore di greenwashing, studiosi, scienziati, personaggi dello spettacolo, leader religiosi, nutrizionisti, sociologi, veggenti e catastrofici personaggi dell’ultima ora. Da quando sono comparse le isole galleggianti di rifiuti plastici negli oceani, come la Great Pacific Garbage Pacth, il mondo si è attivato per capire il fenomeno, da dove nascesse, come si formavano queste isole e come si sarebbe potuto intervenire per ripulire gli oceani e interrompere le nuove formazioni di rifiuti. Durante questo ciclo di attenzione mediatico-scientifico, è emerso anche il fenomeno, più subdolo, delle microplastiche, frazioni di prodotto inferiori a 5 mm., che sono spesso scambiate dai pesci per cibo, rientrando pericolosamente nella catena alimentare anche umana. Da dove vengono i rifiuti plastici che troviamo nei mari e negli oceani? Secondo studi recenti ogni anno l’uomo scarica nei mari circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, il che significa oltre 250 Kg. al secondo, creando una presenza di circa 5.000 miliardi di pezzi, di varie dimensioni, nell’ecosistema marino. Le macro plastiche, cioè rifiuti di dimensioni come una bottiglia di acqua, provengono principalmente dalle azioni deliberate dell’uomo di scaricare, attraverso i fiumi, i rifiuti domestici o quelli che provengono dalle aziende di riciclo poste in paesi poco sviluppati, dove l’attenzione per l’ambiente e la legislazione non punitiva, in materia ambientale, è inesistente o lassista, permettendo o tollerando questi comportamenti. Per quanto riguarda le microplastiche la loro origine si può far risalire a tre fattori principali, la decomposizione delle macro plastiche già presenti in mare sotto l’azione del sole e dell’acqua, i rifiuti del settore tessile e della cosmetica. Inoltre le microplastiche possono provenire anche dagli scarichi di paesi industrializzati, in cui le normative ambientali non hanno ancora risolto il problema della captazione e dell’eliminazione delle particelle più piccole di plastica. Come risolvere tecnicamente il problema Evidentemente ci sono due fattori temporali che devono essere presi inconsiderazione quando si parla di operare per trovare le giuste soluzioni da applicare. In primo luogo bisogna intervenire a monte, cioè fermare lo scarico dei rifiuti plastici nei fiumi, come fossero una fogna legalizzata, aiutando i paesi meno sviluppati a dotarsi di normative ambientali severe e soprattutto a farle rispettare, evitando che fenomeni corruttivi ne decapitino l’efficacia. Secondo, è necessario intercettare i rifiuti plastici prima che raggiungano il mare, utilizzando le reti di contenimento dei rifiuti in prossimità di restringimenti, anse o alla foce dei fiumi. Ogni soluzione di intercettazione dei rifiuti plastici galleggianti deve essere customizzata in base alle esigenze locali, quali il traffico dei natanti, la vita dei pesci, le correnti e via dicendo. Esistono poi delle piccole imbarcazioni dotate di sistemi per raccogliere i rifiuti in superficie, che percorrono i tratti di fiume dove maggiore è la presenza dei rifiuti, così da aiutare e sostenere il lavoro delle reti. Terzo riguarda le isole galleggianti, compito per assurdo, teoricamente più semplice, in quanto esiste un’area delimitata e circoscritta in cui sarebbe possibile raccogliere la plastica galleggiante, ma, di contro, le dimensioni di queste isole sono così estese che il lavoro è sicuramente problematico ed impegnativo. L’unione delle tre attività, contrasto all’immissione nei fiumi di nuove quantità di rifiuti plastici galleggianti, migliori sistemi di filtraggio degli scarichi civili ed industriali per intercettare le microplastiche e, infine, un’azione internazionale, coordinata e continuativa, per pulire i rifiuti presenti nei mari e negli oceani, porterebbe a grandi risultati per la salute dei mari e degli oceani. Chi deve farlo e chi deve finanziarlo Questo tema è stato di proposito lasciato per ultimo, in quanto, come sempre, quando c’è di mezzo la politica e il denaro, diventa difficile trovare azioni condivise, addirittura a volte non si riesce nemmeno ad affrontare il problema ai tavoli internazionali. Credo che si debba creare un nuovo approccio alla visione dei deficit ambientali, vedere la terra come un ambiente condiviso, considerando che l’azione di un paese può influenzare negativamente la vita di tutti, come lo è, in buona parte, quello di scaricare a monte, nei fiumi, i rifiuti che poi, vanno ad interessare gli oceani e i mari in tutto il mondo. Un problema sovranazionale va gestito da un consesso di paesi alleati, che si uniscono per trovare soluzioni e finanziamenti condivisi, che abbiano l’autorità per prendere delle decisione per il bene di tutti ed abbiamo anche gli strumenti per farle rispettare. Ma, in primis, ci vuole la volontà politica per farlo, non bastano le menti, le tecnologie e il denaro se manca la volontà e la lungimiranza di un consesso politico internazionale. Soldi e potere fin dai tempi bui della storia dell'uomo hanno governato le menti degli uomini, ma oggi, se non operiamo quello scatto che ci possa garantire la sopravvivenza in armonia con l’ambiente, non ci sarà più motivo di parlarne e di agire. Ah, dimenticavo, non è eliminando la produzione di plastica o credendo ai proclami di correnti di pensiero come quella della “Plastic free” che si risolvono i problemi..
SCOPRI DI PIU'Analizziamo la correlazione tra l’inquinamento atmosferico e le malattie neurodegenerativedi Marco ArezioNegli ultimi decenni, l'inquinamento atmosferico è emerso come una delle principali minacce alla salute pubblica. Se inizialmente l’attenzione della ricerca scientifica si è concentrata sugli effetti respiratori e cardiovascolari, oggi cresce la consapevolezza che l’inquinamento possa avere impatti significativi anche sul cervello. Numerosi studi hanno evidenziato una correlazione tra l’esposizione a lungo termine agli inquinanti atmosferici e l’aumento del rischio di malattie neurodegenerative, tra cui la demenza e l'Alzheimer. Tra i principali responsabili di questi effetti troviamo il particolato atmosferico (PM), in particolare le frazioni più sottili come il PM₂.₅ e il PM₀.₁, che possono penetrare in profondità nell’organismo, attraversando la barriera emato-encefalica e provocando danni al tessuto nervoso. Questo articolo esplorerà la storia della ricerca scientifica su questo tema, i meccanismi biologici coinvolti e le possibili implicazioni per la salute pubblica. Storia degli studi sull’inquinamento atmosferico e le malattie neurodegenerative L’ipotesi che l’inquinamento atmosferico potesse influire sulla salute cerebrale è relativamente recente. Per molti anni, gli effetti negativi della qualità dell’aria sono stati studiati principalmente in relazione alle malattie respiratorie e cardiovascolari, mentre le conseguenze neurologiche sono emerse solo a partire dagli anni ’90. Uno dei primi segnali che l’inquinamento potesse avere ripercussioni sul sistema nervoso arrivò dal Harvard Six Cities Study (1993), che dimostrò un aumento della mortalità nelle aree più inquinate, senza però indagare specificamente gli effetti sul cervello. Tuttavia, il dato suscitò interesse tra i ricercatori, che iniziarono a chiedersi se l'inquinamento potesse influenzare anche il sistema nervoso centrale. Negli anni 2000, studi pionieristici condotti in Messico fornirono prove più concrete. Lilian Calderón-Garcidueñas, neuroscienziata e patologa, analizzò i cervelli di giovani adulti e bambini residenti a Città del Messico, trovando segni di neuroinfiammazione e accumuli di beta-amiloide e tau iperfosforilata, due biomarcatori tipici dell'Alzheimer. Questa scoperta fu rivoluzionaria: suggeriva che l’esposizione prolungata a livelli elevati di inquinamento atmosferico potesse accelerare i processi neurodegenerativi già in età precoce. Da allora, il legame tra inquinamento e declino cognitivo è stato oggetto di numerose ricerche su larga scala. Tra gli studi più influenti: Women’s Health Initiative Memory Study (2015): dimostrò che le donne anziane esposte a livelli elevati di PM₂.₅ avevano un rischio maggiore di sviluppare demenza. Studio dell’Università della California (2017): analizzò i dati di oltre 3.600 individui, rilevando che gli anziani esposti all’inquinamento mostrano un volume cerebrale ridotto, segno di degenerazione neuronale. Studio britannico del 2020: evidenziò un aumento del 40% del rischio di Alzheimer nelle persone esposte a concentrazioni elevate di PM₂.₅ e NO₂. Negli ultimi anni, studi più sofisticati hanno dimostrato che il particolato ultrafine (PM₀.₁) può attraversare direttamente la barriera emato-encefalica, accumulandosi nel cervello e causando infiammazione cronica. Inoltre, alcune ricerche suggeriscono che l’inquinamento atmosferico possa alterare il neurosviluppo già in fase fetale, aumentando il rischio di deficit cognitivi in età adulta. Meccanismi biologici: come l'inquinamento atmosferico danneggia il cervello L’associazione tra esposizione agli inquinanti atmosferici e il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative è sostenuta da diversi meccanismi biologici: Infiammazione sistemica e neuroinfiammazione: l’inalazione di particolato fine scatena una risposta infiammatoria che, attraverso il rilascio di citochine pro-infiammatorie (come IL-6 e TNF-α), può raggiungere il cervello e attivare la microglia, le cellule immunitarie cerebrali. Questo stato di neuroinfiammazione è considerato un fattore chiave nella progressione dell'Alzheimer. Stress ossidativo: le particelle ultrafini contengono metalli pesanti e composti organici che aumentano la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), causando danni ossidativi a cellule e neuroni. Compromissione della barriera emato-encefalica: il PM₂.₅ e il PM₀.₁ possono alterare la struttura della barriera emato-encefalica, permettendo il passaggio di tossine e agenti infiammatori nel sistema nervoso centrale. Accumulo di proteine neurotossiche: studi recenti hanno suggerito che l’esposizione agli inquinanti atmosferici possa favorire l’accumulo di placche di beta-amiloide e tau iperfosforilata, accelerando la degenerazione cerebrale. Implicazioni per la salute pubblica e strategie di intervento Le prove scientifiche suggeriscono che l’inquinamento atmosferico sia un importante fattore di rischio per le malattie neurodegenerative. Di conseguenza, è fondamentale adottare misure di prevenzione e mitigazione: Riduzione delle emissioni inquinanti: promuovere politiche ambientali per ridurre il traffico veicolare, incentivare l’uso di energie rinnovabili e limitare le emissioni industriali. Miglioramento della qualità dell’aria urbana: sviluppare infrastrutture verdi, come parchi e boschi urbani, che possano ridurre l’impatto dell’inquinamento atmosferico. Prevenzione individuale: utilizzare dispositivi di filtraggio dell’aria negli ambienti chiusi, evitare le aree ad alto traffico e promuovere stili di vita salutari per contrastare lo stress ossidativo. Monitoraggio e ricerca: intensificare la sorveglianza della qualità dell’aria e finanziare studi di lungo termine per comprendere meglio l’impatto dell’inquinamento sulla salute cerebrale. Conclusioni Le crescenti evidenze scientifiche dimostrano che l’inquinamento atmosferico non è solo un problema respiratorio o cardiovascolare, ma rappresenta una minaccia concreta per la salute cerebrale. Il particolato fine e ultrafine ha la capacità di attraversare le barriere biologiche e innescare processi infiammatori e degenerativi che aumentano il rischio di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e la demenza. Alla luce di questi dati, è cruciale adottare politiche di prevenzione per ridurre l’inquinamento atmosferico e proteggere la salute pubblica. La ricerca deve continuare a esplorare il legame tra qualità dell’aria e declino cognitivo, con l’obiettivo di sviluppare strategie efficaci per ridurre l’incidenza delle malattie neurodegenerative nei decenni a venire.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Come le comunità di minoranze etniche e a basso reddito subiscono l'impatto sproporzionato dell'inquinamento atmosferico e cosa può fare la giustizia ambientale per affrontare questa ingiustiziadi Marco ArezioL'inquinamento atmosferico rappresenta una delle principali sfide ambientali a livello globale, poiché minaccia sia gli ecosistemi sia la salute di milioni di persone. Negli Stati Uniti, le disuguaglianze etniche e socioeconomiche determinano in modo significativo chi è più esposto ai rischi derivanti dall'inquinamento atmosferico. Diversi studi mostrano che le comunità emarginate, spesso costituite da minoranze etniche e persone a basso reddito, affrontano un'esposizione sproporzionata a livelli più elevati di inquinamento. Questo fenomeno solleva una questione cruciale di giustizia ambientale, poiché evidenzia come la disuguaglianza sistemica influisca negativamente sulla salute e sulla qualità della vita delle popolazioni più vulnerabili. Disuguaglianze etniche e socioeconomiche: Il contesto storico Le disparità nell'esposizione all'inquinamento atmosferico negli Stati Uniti affondano le loro radici in una lunga storia di segregazione razziale e disuguaglianza economica. Politiche abitative del passato, come il "redlining", hanno relegato le comunità nere e latine in aree urbane con accesso limitato ai servizi di base e una qualità dell'aria decisamente peggiore rispetto a quella delle comunità bianche più benestanti. Il redlining, una pratica discriminatoria che ha negato prestiti o imposto condizioni svantaggiose in determinate aree, ha portato alla creazione di quartieri segregati, spesso situati vicino a fonti di inquinamento industriale. Queste politiche hanno privato molte famiglie delle opportunità di migliorare le proprie condizioni di vita e di trasferirsi in zone più salubri. Le disuguaglianze economiche, inoltre, costringono molte persone con redditi bassi a vivere in aree più esposte a rischi ambientali. Queste comunità hanno meno possibilità di influenzare le decisioni politiche locali e spesso non dispongono dei mezzi necessari per opporsi allo sviluppo industriale dannoso nei propri quartieri. Il risultato è un ciclo di vulnerabilità che si perpetua nel tempo, dove chi vive già in condizioni difficili viene ulteriormente penalizzato dalla bassa qualità dell'aria. Impatti dell'inquinamento atmosferico sulla salute L'inquinamento atmosferico è composto da una miscela di sostanze nocive, tra cui particolato fine (PM2.5), ossidi di azoto (NOx) e ozono a livello del suolo. L'esposizione cronica a questi inquinanti è stata associata a numerosi problemi di salute, tra cui malattie respiratorie, cardiovascolari e un rischio aumentato di mortalità precoce. Tuttavia, l'esposizione a questi rischi non è distribuita equamente tra la popolazione. Studi epidemiologici dimostrano che le comunità nere, latine e indigene sono maggiormente vulnerabili agli effetti nocivi dell'inquinamento atmosferico rispetto alle comunità bianche. Uno studio del 2019 pubblicato su PNAS ha rilevato che, mentre le persone nere negli Stati Uniti contribuiscono meno all'inquinamento, subiscono esposizioni a particolato fine significativamente più alte rispetto alla popolazione bianca. Questo evidenzia una profonda ingiustizia ambientale, poiché coloro che meno contribuiscono all'inquinamento sono quelli che ne subiscono maggiormente le conseguenze. Inoltre, le comunità a basso reddito sono particolarmente vulnerabili agli effetti dell'inquinamento a causa della mancanza di accesso a cure mediche di qualità e della maggiore prevalenza di condizioni preesistenti, come l'asma, che possono essere esacerbate dall'inquinamento. Immaginare la vita di un bambino che cresce respirando aria inquinata e lottando con problemi respiratori cronici, senza accesso alle cure di cui avrebbe bisogno, aiuta a comprendere la dura realtà che molte famiglie emarginate devono affrontare quotidianamente. Giustizia ambientale e inquinamento atmosferico Il concetto di giustizia ambientale si è sviluppato per affrontare le disuguaglianze legate all'impatto ambientale sulle comunità più vulnerabili. Ogni individuo, indipendentemente dalla razza, dal reddito o dal luogo in cui vive, ha il diritto a un ambiente sano e a un'aria pulita. Tuttavia, la realtà negli Stati Uniti è che molte comunità emarginate continuano a vivere in prossimità di industrie pesanti, autostrade e discariche, con conseguente esposizione quotidiana a livelli elevati di inquinanti atmosferici. Un esempio emblematico di questa disparità è rappresentato dalla "cintura del cancro" della Louisiana, una regione lungo il fiume Mississippi con un'alta concentrazione di industrie chimiche e petrolchimiche. Le comunità nere che vivono in quest'area sono esposte a livelli preoccupanti di sostanze cancerogene e i tassi di cancro sono significativamente più alti rispetto alla media nazionale. Queste comunità non solo subiscono gli effetti dell'inquinamento, ma spesso dipendono economicamente dalle stesse industrie che compromettono la loro salute, intrappolandole in un ciclo di dipendenza e malattia. Il ruolo delle politiche pubbliche Le politiche pubbliche svolgono un ruolo cruciale nel contrastare le disuguaglianze legate all'inquinamento atmosferico. Tuttavia, le normative ambientali non sempre riescono a proteggere efficacemente le comunità più vulnerabili. Sebbene l'Environmental Protection Agency (EPA) abbia stabilito standard per la qualità dell'aria attraverso il Clean Air Act, l'applicazione di tali standard varia da regione a regione e molte comunità colpite dall'inquinamento non vedono miglioramenti tangibili. Negli ultimi anni, sono emerse nuove iniziative volte a ridurre queste disuguaglianze. L'Environmental Justice for All Act, presentato al Congresso nel 2020, mira a rafforzare la protezione delle comunità emarginate migliorando la partecipazione pubblica nei processi decisionali e aumentando le sanzioni per le violazioni ambientali nelle aree più vulnerabili. Anche il piano Justice40 dell'amministrazione Biden, che prevede di destinare il 40% dei benefici degli investimenti federali in energie pulite e infrastrutture sostenibili alle comunità svantaggiate, rappresenta un passo significativo verso una maggiore equità ambientale. Conclusioni L'inquinamento atmosferico e le disuguaglianze socioeconomiche e razziali sono strettamente intrecciati negli Stati Uniti, con le comunità di minoranze etniche e a basso reddito che subiscono gli impatti più gravi. Questo mette in evidenza la necessità di un impegno costante per promuovere la giustizia ambientale, non solo per migliorare la qualità dell'aria, ma anche per sanare le ferite storiche causate dalle disuguaglianze che hanno lasciato molte comunità vulnerabili. Affrontare queste sfide richiede politiche pubbliche che promuovano uno sviluppo equo e sostenibile, garantendo che nessuna comunità sia lasciata indietro. Solo attraverso un approccio inclusivo e giusto potremo costruire un futuro in cui ogni persona, indipendentemente dalla sua razza o dal suo reddito, possa vivere in un ambiente sano e sicuro. La giustizia ambientale non è solo una questione di salute, ma anche di dignità umana e un passo fondamentale verso una società più equa e sostenibile per tutti.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Scopri Come la Tecnologia Avanzata Trasforma l'Anidride Carbonica in Risorse Sostenibili per il Futuro di Marco ArezioIl processo di trasformazione dell'anidride carbonica (CO2) atmosferica in etilene mediante l'uso di catalizzatori in rame rappresenta un'avanzata significativa nella chimica sostenibile e nell'economia circolare. Questa tecnologia non solo promette di ridurre i livelli di CO2, un potente gas serra, ma offre anche un metodo per produrre etilene, un importante composto chimico utilizzato in varie applicazioni industriali, in modo più sostenibile. La conversione tecnica dell'anidride carbonica (CO2) in etilene avviene attraverso un processo elettrochimico che utilizza catalizzatori a base di rame. Questo processo si inserisce nel più ampio contesto della decarbonizzazione, offrendo una strategia per ridurre le emissioni di CO2, trasformandole in prodotti chimici utili, come l'etilene, un idrocarburo utilizzato in molte applicazioni industriali. Processo Elettrochimico di Riduzione della CO2 Il processo di riduzione della CO2 in etilene avviene in un elettrolizzatore che contiene un elettrodo positivo (anodo) e uno negativo (catodo), immersi in una soluzione elettrolitica che contiene ioni per condurre l'elettricità. La CO2 è disciolta in questa soluzione e, quando viene applicata una tensione elettrica, avviene la riduzione della CO2 all'elettrodo negativo (catodo), mentre l'ossigeno si evolve all'anodo. Riduzione della CO2: All'elettrodo di rame (catodo), la CO2 disciolta reagisce con elettroni per formare vari prodotti, tra cui l'etilene, secondo la reazione semplificata: CO2+4H++4e−→C2H4+2H2O Questo processo è facilitato dalla superficie del catalizzatore di rame che assorbe le molecole di CO2 e le riduce a etilene. Ossigeno: All'anodo avviene la reazione di ossidazione dell'acqua, che genera ossigeno e ioni idrogeno (protoni) che contribuiscono al ciclo dell'elettrolita: 2H2O→O2+4H++4e− Ruolo dei Catalizzatori in Rame I catalizzatori in rame sono cruciali per la selettività del processo verso l'etilene. La superficie del rame può essere ingegnerizzata a livello nanoscopico per aumentare la sua efficacia e selettività verso la produzione di etilene. La modifica della superficie può includere l'aggiunta di promotori, la creazione di leghe con altri metalli, o l'introduzione di nanoparticelle o nanostrutture specifiche che cambiano le proprietà elettrocatalitiche del rame. Come è Fatto un Catalizzatore di Rame Un catalizzatore di rame è composto principalmente da rame metallico, che può essere utilizzato in diverse forme e strutture per catalizzare specifiche reazioni chimiche, tra cui la riduzione dell'anidride carbonica (CO2) in composti chimici utili come l'etilene. La preparazione e la strutturazione di questi catalizzatori sono cruciali per la loro efficienza e selettività nelle reazioni. Ecco come possono essere fatti e strutturati i catalizzatori di rame: 1. Forme Fisiche Nanoparticelle: Il rame può essere sintetizzato in nanoparticelle, che presentano una grande area superficiale rispetto al volume, aumentando così l'attività catalitica per la riduzione della CO2. Film sottile: Il rame può essere depositato come film sottile su supporti conduttivi attraverso tecniche come la deposizione fisica da vapore (PVD) o la deposizione chimica da vapore (CVD). Schiume o reti metalliche: Queste strutture porose di rame offrono un'elevata superficie per la reazione e possono essere utilizzate come elettrodi in processi elettrochimici. 2. Trattamenti Superficiali e Leghe Trattamenti superficiali: La superficie dei catalizzatori di rame può essere modificata chimicamente o fisicamente per migliorare la selettività verso specifici prodotti, come l'etilene. Leghe con altri metalli: Il rame può essere combinato con altri metalli (come l'oro, l'argento o lo zinco) per formare leghe che modificano le proprietà catalitiche del rame, migliorando l'efficienza e la selettività. 3. Supporti e Promotori Supporti: I catalizzatori di rame possono essere supportati su vari materiali (come carbonio, ossidi metallici, o polimeri) per migliorare la dispersione del catalizzatore e la stabilità termica. Promotori: Sostanze chimiche aggiuntive possono essere aggiunte per promuovere specifiche vie reattive o per stabilizzare il catalizzatore, migliorando ulteriormente la selettività e l'attività. 4. Sintesi e Caratterizzazione Sintesi: La preparazione di catalizzatori di rame può avvenire attraverso metodi chimici, come la precipitazione, la riduzione chimica, o metodi elettrochimici. Questi metodi consentono un controllo preciso sulle dimensioni, la forma e la composizione del catalizzatore. Caratterizzazione: Dopo la sintesi, i catalizzatori di rame sono caratterizzati usando tecniche come la microscopia elettronica (SEM, TEM), la spettroscopia (XPS, FTIR), e la diffrazione dei raggi X (XRD) per analizzare la struttura, la composizione e la morfologia. Questi catalizzatori sono studiati e ottimizzati per specifiche reazioni, come la riduzione elettrochimica della CO2, dove l'efficacia del catalizzatore di rame dipende fortemente dalla sua struttura, composizione, e dalla natura del processo catalitico. Utilizzo per la Decarbonizzazione L'utilizzo di questo processo per la decarbonizzazione si basa sulla capacità di trasformare la CO2, un sottoprodotto industriale e un potente gas serra, in un prodotto chimico prezioso come l'etilene. Ciò offre un doppio vantaggio: ridurre le emissioni di CO2 e produrre elementi chimici di valore da una fonte sostenibile. Per massimizzare l'impatto sulla decarbonizzazione, è essenziale che l'energia utilizzata per l'elettrolisi provenga da fonti rinnovabili, come il solare o l'eolico, per minimizzare l'impronta di carbonio complessiva del processo. Vantaggi Ambientali ed Economici La conversione della CO2 in etilene non solo aiuta a mitigare il cambiamento climatico riducendo la concentrazione di CO2 nell'atmosfera, ma offre anche benefici economici. L'etilene è una materia prima chiave per la produzione di plastica, solventi, e altri prodotti chimici. Attualmente, l'etilene è prodotto principalmente dal petrolio e dal gas naturale, processi che rilasciano ulteriori gas serra. Utilizzando la CO2 come materia prima, il processo riduce la dipendenza dalle fonti fossili e si muove verso un'economia più circolare e sostenibile. Problematiche e Prospettive Future Nonostante i notevoli progressi, ci sono ancora problematiche da superare prima che la tecnologia possa essere implementata su larga scala. Queste includono l'aumento dell'efficienza energetica del processo, la riduzione dei costi dei catalizzatori e dell'infrastruttura necessaria, e l'integrazione di fonti di energia rinnovabile per alimentare l'elettrolisi in modo sostenibile. La ricerca continua nel campo della catalisi e dell'ingegneria dei processi è fondamentale per superare queste sfide. Conclusione La conversione dell'anidride carbonica atmosferica in etilene utilizzando catalizzatori in rame rappresenta una frontiera promettente per l'industria chimica sostenibile. Questo approccio non solo ha il potenziale per ridurre l'impatto ambientale della produzione chimica ma anche per contribuire significativamente alla lotta contro il cambiamento climatico. Con ulteriori ricerche e sviluppo, questa tecnologia potrebbe diventare un pilastro dell'economia circolare, offrendo una soluzione efficace per trasformare i rifiuti di CO2 in risorse preziose.
SCOPRI DI PIU'Killer della plastica: La difesa punta sulla prova della riciclabilità della plastica. Sarà assolto? Il giudice del processo all'operaio del settore plastico, in aula, di fronte alla giuria popolare che lo guardava con disprezzo, ipotizzando già la soluzione del caso attraverso un verdetto di condanna esemplare, gli chiese di raccontare come erano andati i fatti. “Signor Giudice”- disse l’operaio – “ho 54 anni e ho iniziato 34 anni fà lavorare in una fabbrica vicino a casa che stampava vaschette alimentari in polipropilene”, alla parola polipropilene si levarono dal banco della giuria popolare voci concitate di disappunto e di orrore. “Continui” lo esortò il giudice. “Dopo la scuola volevo trovare un lavoro, sà, avevo una fidanzata che si chiamava Elisabetta, che già lavorava in questa fabbrica e sapeva che stavano cercano un operaio per la produzione. Mi sono presentato pieno di buone speranze e di voglia di lavorare. Io non sapevo niente della plastica e del polipropilene, delle macchine e della fatica nelle notti di lavoro, ma volevo sposare Elisabetta e prenderci una casetta in affitto, quindi avevo bisogno di lavorare” Il giudice intervenì torvo: “Imputato! venga al dunque”. “Certo Signor Giudice, le stavo dicendo che mi assunsero e iniziai a lavorare in questa fabbrica che produceva le confezioni rigide per i formaggi, i dolci e per altri alimenti per le nostre tavole. Sono stati anni bellissimi, ci siamo sposati, abbiamo avuto una figlia meravigliosa, Paola, e ci siamo comprati anche una piccola macchina, per poter andare a fare qualche gita la domenica, ma quando non ero di turno”. “Mia moglie nel frattempo è stata a casa dal lavoro perché nostra figlia, avendo un problema di salute, doveva essere seguita”. L’avvocato del popolo si alzò dicendo: “Signor Giudice, mi oppongo, non siamo qui a parlare delle mielose situazioni familiari, ma siamo qui per decidere se l’imputato ha operato in questi anni come inquinare seriale”. Il giudice guardando attraverso gli occhiali borbottò: “Obbiezione Accolta”. “Imputato” -disse il giudice- “Si attenga ai fatti”. “Scusi Signor Giudice. Il mio lavoro continuò in questa fabbrica con molti sacrifici perché, sà, con uno stipendio da operaio, negli ultimi anni, non era facile riuscire a fare una vita dignitosa. Ma almeno io, Signor Giudice, avevo un lavoro.” “Due anni fa in fabbrica si cominciò a parlare di crisi, le confezioni in polipropilene degli alimenti erano messe in discussione sul mercato, la plastica è diventata il nemico numero 1 per la gente, i vicini di casa mi vedevano passare, quando finivo il turno di lavoro e bisbigliavano: è lui! E’ lui quello che inquina con la plastica.”“io non ci facevo caso, Signor Giudice, perché il mio posto di lavoro era importante per la mia famiglia e quindi sopportavo di essere additato con uno spacciatore, un assassino o uno stupratore dell’ambiente”. L’avvocato del popolo intervenne solerte: “ma quindi lei, imputato, non ha fatto niente, in tutti questi anni, per correggere il suo comportamento scellerato?” Il povero operaio non capì bene la domanda e si chiedeva come rispondere all'avvocato, che nel frattempo si stava accalorando perché tentennava e prendeva tempo. “Su, imputato, risponda!” sentenziò il Giudice”. “Veda, Signor Giudice, io mi sono preoccupato tutta la vita di fare bene il mio lavoro, così come il proprietario della fabbrica mi chiedeva, di non arrivare in ritardo, e di non uscire dalla fabbrica subito dopo la fine del mio turno, perché, sa, mi fermavo a dare una mano agli altri operai che entravano al lavoro. Ho sempre pensato allo stipendio che guadagnavo, perchè serviva alla nostra famiglia. Solo un giorno, Signor Giudice, ho iniziato a non capire bene cosa stesse succedendo in quanto mia figlia, a tavola, mi chiese: “Papà, a scuola mi dicono che tu sei un inquinatore seriale, un criminale, lavori la plastica. Io ho pianto in classe, non sapevo cosa dire”. “Doveva pensarci prima” gridò un signore di mezza età dal banco della giuria popolare. “Silenzio!” intervenne il Giudice. “Quindi, imputato”- disse il giudice -“lei conferma di aver prodotto milioni, se non miliardi di vaschette in.. ehm.. già eccolo..polipropilene, che sono finite poi nei nostri mari? Conferma che i prodotti che lei ha stampato si sono trasformati con il tempo in microplastiche e che sono stati poi ingerite dai pesci? Conferma che con il suo comportamento irresponsabile e criminale ha compromesso la catena alimentare? Conferma che i casi di malattie e dei decessi, tra la popolazione, avvenute negli ultimi anni a causa dell’ingerimento delle microplastiche presenti nell’acqua e nel cibo, provenienti dalle sue vaschette in polipropilene, sono causa della sua condotta? Conferma che il dolo è proseguito anche negli ultimi anni quando chiare evidenze scientifiche hanno dimostrato il nesso di causa tra la plastica presente nei mari e nei fiumi e il di danno per la salute? Conferma di aver perpetrato un attacco alla salute pubblica? Conferma di aver creato un danno incalcolabile alla fauna ittica?” L’operaio sudava copiosamente e non capiva bene tutto quel lungo discorso del giudice, quindi, si voltò verso il suo avvocato per chiedere cosa dovesse rispondere. L’avvocato si alzò in piedi e con fare insicuro, ma determinato, disse: “Signor Giudice, Signori della Corte, il qui presente imputato, operaio plastico, non può avere le responsabilità che gli attribuite, non può avere commesso delle azioni così delittuose, non può essersi macchiato di reati così gravi, non può essere considerato un inquinatore seriale, un killer dell’umanità, non può aver intrapreso una condotta criminale con la plastica” Dopo una pausa teatrale, in cui controllò che tutta la giuria popolare lo stesse guardando attenta, sentenziò: “tutto questo non costituisce reato in quanto la plastica è riciclabile e quindi non è da considerarsi un pericolo per la popolazione e la fauna”. A quel punto si alzarono grida di protesta dal pubblico e dalla giuria popolare che a stento il Giudice riusciva a controllare. L’avvocato, a quel punto, puntò il dito verso la giuria popolare, gridando sopra le urla della folla e disse: “siete voi gli imputati che dovreste sedere su questa sedia, siete voi che disperdete la plastica dopo verla usata, nell’ambiente, siete voi che non vi preoccupate di raccoglierla e riciclarla, siete voi che disprezzate il riciclo perché è sinonimo di sporco, siete voi che andate al mare e vi lamentare dei rifiuti sulla spiaggia e poi spegnete i mozziconi di sigaretta nella sabbia e li lasciate li, siete voi che comprate le bottiglie in plastica invece di bere l’acqua del rubinetto…siete…” A questo punto il Giudice intervenne e, battendo in modo frenetico il martello sullo scranno, come fosse un fabbro che stesse piegando un ferro rovente e gridò: “polizia, arrestate l’avvocato per oltraggio alla corte e alla giuria popolare”. Il povero operaio plastico guardava senza capire, le manette ai polsi iniziavano a fargli male e dopo aver cercato più volte, tra la folla, uno sguardo amico o solo compassionevole, si rassegnò al suo destino come killer ambientale. Sarà assolto?
SCOPRI DI PIU'Sversamenti di petrolio sui terreni, gas flaring, contaminazione di benzene delle falde e distruzione sociale nel Delta del Nigerdi Marco ArezioLa bellezza dei luoghi dove fiorivano le mangrovie, formando una foresta concatenata in cui si racchiudevano oasi naturali dove la popolazione locale viveva in piena sintonia con la natura e, da essa, traeva il sostentamento per una vita semplice. Poi, arrivò il petrolio e tutto cambiò. Nel 1956 furono scoperti i primi giacimenti petroliferi che, agli ignari abitanti delle aree interessate alle estrazioni, facevano pensare ad un futuro di prosperità sociale con la possibilità di trovare lavoro e contare su introiti economici famigliari regolari. Da quel lontano 1956 nel delta del Niger sono arrivate compagnie petrolifere come la Shell, la Total, la Chevron e l’Eni che hanno, di fatto, colonizzato il territorio senza distribuire lavoro agli abitanti che abitavano in prossimità dei giacimenti, in quanto non potevano offrire una manodopera specializzata. Nel delta del Niger vengono prodotti circa 2,4 milioni di barili al giorno di petrolio, in un’area di circa 70.000 Kmq. in cui vive una popolazione di 27 milioni di abitanti. Se nel passato la gente conduceva una vita sostenuta dalla natura in cui viveva, con il passare del tempo, il loro mezzo di sostentamento è stato distrutto anno dopo anno, gettando la popolazione nella miseria. Il petrolio spesso fuoriesce dalle condutture, inquinando i terreni e l’acqua, costringendo la popolazione a mangiare il pesce pescato in bacini inquinati e a prelevare l’acqua da bere e per l’uso domestico dalle falde contaminate dal benzene. La desertificazione e l’inquinamento delle zone agricole, causate dalla dispersione del petrolio nei terreni e nei corsi d’acqua, non è l’unico problema che la popolazione deve affrontare. Infatti subiscono anche il fenomeno del gas flaring, nonostante sia vietato dalla legge Nigeriana. Il Gas Flaring è l’emissione in atmosfera di residui gassosi infiammabili che vengono in superficie insieme al petrolio, che per comodità viene bruciato in atmosfera, emettendo sostanze pericolose per la salute umana come anidride carbonica, gli ossidi di zolfo ed azoto, il benzene il tuolene e lo xilene. I danni sanitari sulla popolazione si possono riassumere nelle malattie cardiorespiratorie, silicosi, cancro, malattie del sangue, disturbi gastrointestinali e leucemie che minano, non solo la popolazione che vivono a ridosso dei giacimenti, ma anche quella a decine di chilometri di distanza. Nonostante il gas flaring potrebbe essere recuperato e riutilizzato o reimmesso nel pozzo prima di essere liberato nell’ambiente, per la velocità di lavorazione e la riduzione dei costi di produzione, il gas viene smaltito nell’ambiente con tutte le conseguenze del caso. Nell’area esistono circa 100 pozzi che bruciano il gas di uscita, giorno e notte, dal 1960 circa. A fronte dell’esasperazione popolare che è costretta a vivere tra fame, malattie e nessun vantaggio sociale ad avere l’estrazione petrolifera vicino a casa, subisce anche il disinteresse del governo che non interviene contro le compagnie per far riparare ai danni ambientali da loro causati e nemmeno nella ridistribuzione a livello locale di una piccola parte dei proventi, permettendo di condurre una vita meno disastrata. Anzi, ogni accenno a rivolte popolari vengono repressi dalla polizia che non vogliono problemi con i petrolieri. Subisce, inoltre, il disinteressamento delle compagnie petrolifere ai problemi che loro stesse hanno causato, innescando forme di repressione verso episodi di disperazione creati da gruppi che tentano, con azioni dimostrative, di sabotare le condutture. Nonostante in Nigeria vi siano circa 606 pozzi petroliferi attivi, che costituiscono l’80% del PIL del paese, in 60 anni di continue estrazioni il paese è rimasto tra i più poveri dell’Africa, con una speranza di vita intorno ai 40 anni e un tasso di disoccupazione intorno al 75-80%.Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'Benefici Ambientali, Salute Pubblica e Mitigazione del Cambiamento Climaticodi Marco ArezioLa forestazione urbana rappresenta una strategia fondamentale per migliorare la qualità della vita nelle città. Attraverso la piantumazione di alberi e la creazione di spazi verdi, è possibile ottenere numerosi benefici ambientali, sociali ed economici. Questo articolo esplora i vantaggi della forestazione urbana, concentrandosi sulla salute umana, sulla riduzione degli inquinanti atmosferici e sull'attenuazione delle isole di calore urbane. Verranno inoltre proposte simulazioni su quantità e tipologie di piante necessarie per abitante per massimizzare questi benefici. Forestazione Urbana - Vantaggi sulla Salute Purificazione dell'Aria e riduzione degli inquinantiGli alberi urbani sono essenziali per filtrare gli inquinanti atmosferici, tra cui particolato fine, ozono, biossido di azoto e monossido di carbonio. Uno studio del 2019 ha dimostrato che in una città media europea, piantare almeno tre alberi per abitante può ridurre significativamente la concentrazione di particolato fine nell'aria, migliorando la salute respiratoria della popolazione.Assorbimento di CO2 Gli alberi giocano un ruolo cruciale nell'assorbimento del biossido di carbonio, contribuendo significativamente alla lotta contro il cambiamento climatico. Un singolo albero maturo può assorbire fino a 150 kg di CO2 all'anno. Implementando piani di forestazione urbana, le città possono compensare una parte delle loro emissioni di gas serra.Riduzione del Particolato Fine La capacità degli alberi di trattenere particelle sottili dall'aria è un altro beneficio importante. Studi hanno dimostrato che la forestazione urbana può ridurre le concentrazioni di PM2.5, particolato fine che rappresenta un serio rischio per la salute umana, fino al 20-30%. Attenuazione delle Isole di Calore Urbane Effetto Refrigerante Le isole di calore urbane, aree della città significativamente più calde del loro circondario rurale, sono mitigate efficacemente attraverso la forestazione urbana. La traspirazione degli alberi e l'ombreggiatura contribuiscono a ridurre le temperature ambientali. Un'area ben piantumata può essere fino a 8°C più fresca rispetto a zone urbane senza copertura verde. Incremento del Comfort Abitativo La riduzione delle temperature estive grazie alla presenza di alberi migliora il comfort abitativo e riduce la necessità di condizionamento d'aria, portando a un significativo risparmio energetico. Un'analisi del 2021 ha rivelato che incrementare del 30% la copertura arborea in una città può ridurre il consumo di energia per il raffrescamento fino al 50%. Benefici Psicologici La presenza di spazi verdi urbani contribuisce anche al benessere psicologico, riducendo lo stress e promuovendo attività fisica. Secondo una ricerca pubblicata nel 2020, le persone che vivono entro 500 metri da aree verdi urbane riportano livelli di stress inferiore e una migliore qualità della vita. Strategie di Implementazione: Pianificazione e Gestione La pianificazione e la gestione della forestazione urbana richiedono un approccio olistico che tenga conto di variabili ambientali, sociali ed economiche. Pianificazione Urbana: Integrare la forestazione urbana nelle politiche di pianificazione urbana è essenziale. Ciò include la definizione di zone verdi protette, la creazione di corridoi verdi che collegano diversi spazi verdi della città, e l'implementazione di normative che incoraggiano o impongono la piantumazione di alberi in nuovi sviluppi urbani. Gestione Sostenibile: La manutenzione degli spazi verdi urbani richiede una gestione attenta per garantire la loro sostenibilità a lungo termine. Questo include pratiche di irrigazione efficienti, la scelta di piante adatte al clima locale, e programmi di sostituzione per gli alberi malati o vecchi. Casi Studio: Esempi di Successo Internazionali Casi studio da tutto il mondo dimostrano l'efficacia della forestazione urbana nell'affrontare le sfide ambientali e sociali delle città moderne. Conosciuta come la "Città Giardino", Singapore è un esempio primario di forestazione urbana integrata nella pianificazione città. Attraverso un impegno governativo decennale, Singapore ha trasformato il suo paesaggio urbano in uno degli spazi urbani più verdi del mondo, migliorando significativamente la qualità dell'aria e riducendo le temperature urbane. La città di Milano ha intrapreso il progetto "Forestami" con l'obiettivo di piantare 3 milioni di alberi entro il 2030. Questo progetto punta a incrementare la biodiversità, migliorare la qualità dell'aria e combattere le isole di calore, trasformando Milano in un modello di sostenibilità urbana. Quantità e Tipologia di Piante per Abitante Per realizzare una forestazione urbana efficace, è fondamentale adottare un approccio basato su dati scientifici. Le simulazioni effettuate da studi recenti forniscono linee guida precise su quantità e tipologie di piante per ottenere i massimi benefici in termini di qualità dell'aria, riduzione delle isole di calore e benessere psicofisico. Quantità di Piante: La densità ottimale di piantumazione varia in base alle dimensioni della città e alla sua struttura urbanistica. Generalmente, si raccomanda la piantumazione di almeno 3-5 alberi di grande taglia per abitante. Questo target permette di creare una copertura arborea capillare che può offrire benefici tangibili in termini di riduzione dell'inquinamento e miglioramento del microclima urbano. Tipologia di Piante: La selezione delle specie è critica. Alberi come querce, platani e frassini sono preferibili per la loro grande capacità di assorbimento del CO2 e per la loro efficacia nel filtrare particolato fine dall'aria. Allo stesso tempo, è importante includere specie a foglia caduca per garantire una copertura solare in inverno e ombreggiamento in estate, oltre a specie sempreverdi per un verde urbano costante. Conclusione La forestazione urbana rappresenta una strategia ecologica e sostenibile per affrontare molteplici sfide ambientali e sociali nelle aree urbane. Attraverso la piantumazione mirata e la manutenzione di spazi verdi, le città possono diventare più vivibili, salutari e resilienti ai cambiamenti climatici.
SCOPRI DI PIU'L’aria inquinata minaccia la salute scheletrica, alterando l’equilibrio tra osteoblasti e osteoclasti e favorendo lo sviluppo dell’osteoporosidi Marco ArezioL’inquinamento atmosferico è un problema che va ben oltre le difficoltà respiratorie e i danni alla salute cardiaca. Recenti studi evidenziano come particelle sottili, quali il particolato PM 2,5 e la fuliggine, o “black carbon,” abbiano un impatto diretto sulla salute delle ossa, contribuendo a un aumento significativo delle fratture e a una maggiore fragilità scheletrica. Questo fenomeno solleva interrogativi cruciali sul modo in cui l'aria che respiriamo influenza il nostro apparato scheletrico, già minacciato da condizioni come l'osteoporosi. L’Equilibrio Osseo: Osteoblasti e Osteoclasti Le ossa non sono strutture statiche, sono, al contrario, tessuti vivi e dinamici, continuamente rimodellati attraverso l’attività di due tipi di cellule: gli osteoblasti e gli osteoclasti. Gli osteoblasti sono responsabili della formazione della matrice ossea, depositando minerali come il calcio che conferiscono forza e resistenza all'osso. Gli osteoclasti, al contrario, sono incaricati del riassorbimento osseo, un processo essenziale per il rimodellamento e la riparazione delle ossa. Il delicato equilibrio tra questi due tipi di cellule garantisce la robustezza del nostro scheletro e la sua capacità di adattarsi alle esigenze del corpo. Tuttavia, l'esposizione a sostanze inquinanti presenti nell'aria può disturbare questo equilibrio, favorendo l’attività degli osteoclasti a scapito di quella degli osteoblasti. Questo squilibrio porta a un assottigliamento delle ossa e a una riduzione della densità minerale ossea, che aumenta il rischio di fratture. Il fenomeno diventa particolarmente preoccupante in contesti di inquinamento cronico, dove la popolazione è esposta a livelli elevati di particolato e di altre sostanze nocive per lunghi periodi. L’Inquinamento e l’Osteoporosi L'osteoporosi è una condizione caratterizzata dalla diminuzione della massa ossea e dal deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, rendendo le ossa più fragili e suscettibili a fratture. Questa malattia colpisce prevalentemente le donne dopo la menopausa, ma anche gli uomini non ne sono immuni. A livello globale, circa un terzo delle donne e un quinto degli uomini sopra i cinquant'anni sono a rischio di sviluppare osteoporosi. Gli studi hanno iniziato a evidenziare un legame diretto tra l'inquinamento atmosferico e l'osteoporosi a partire dal 2007, quando una ricerca norvegese ha mostrato come l’esposizione a livelli elevati di inquinamento potesse ridurre il numero di osteoblasti, diminuendo così la densità ossea. Successivamente, una ricerca pubblicata su The Lancet Planetary Health nel 2017 ha consolidato questa correlazione, analizzando un vasto campione di popolazione e rilevando un aumento delle fratture in aree con alta concentrazione di PM 2,5 e black carbon. I Meccanismi Molecolari: I Radicali Liberi e lo Stress Ossidativo L'inquinamento atmosferico non solo altera l'equilibrio tra osteoblasti e osteoclasti, ma agisce anche a livello molecolare. Le sostanze inquinanti possono generare radicali liberi, molecole altamente reattive che causano stress ossidativo e danneggiano le cellule ossee. Questo danno cellulare accelera il processo di invecchiamento osseo e riduce la capacità del corpo di rigenerare il tessuto osseo, contribuendo ulteriormente alla fragilità scheletrica. Inoltre, l’inquinamento può indurre infiammazioni croniche, attivando il sistema immunitario in modo inappropriato e interferendo con la normale funzione delle cellule precursori degli osteoblasti. Questo processo infiammatorio, se protratto nel tempo, può contribuire all'insorgenza e all'aggravamento dell'osteoporosi, complicando ulteriormente la situazione per coloro che vivono in ambienti altamente inquinati. Il Caso di Cina e India: Un Allarme Globale Le nazioni in via di sviluppo, dove l'inquinamento atmosferico è spesso fuori controllo, sono particolarmente esposte a questi rischi. In Cina, uno studio recente ha evidenziato come anche brevi periodi di esposizione al traffico urbano possano aumentare significativamente il rischio di fratture ossee. Allo stesso modo, in India, l'aumento del particolato atmosferico del 68% dal 1998 al 2021 rappresenta una seria minaccia per la salute pubblica, con milioni di persone potenzialmente a rischio di osteoporosi. Questi paesi affrontano anche difficoltà pratiche nella diagnosi e nel trattamento dell'osteoporosi. Ad esempio, le macchine Dexa, utilizzate per misurare la densità minerale ossea, sono estremamente rare e costose, rendendo difficile l'accesso a diagnosi precoci e interventi tempestivi. Questo aggrava ulteriormente il problema, evidenziando come la questione ambientale sia strettamente intrecciata con quella sociale. La Necessità di Azioni Globali Con l’avvicinarsi della Giornata Mondiale per l’Aria Pulita, prevista per il 7 settembre, diventa sempre più urgente che i governi e le organizzazioni internazionali affrontino il problema dell'inquinamento atmosferico non solo come una questione di salute respiratoria, ma anche come una grave minaccia per la salute ossea. L’adozione di politiche più severe per ridurre le emissioni di particolato e altre sostanze nocive, insieme a campagne di sensibilizzazione sui rischi associati all'inquinamento, è fondamentale per proteggere le future generazioni dalle conseguenze di una qualità dell'aria sempre più deteriorata. Conclusioni L'inquinamento atmosferico sta emergendo come un fattore chiave nella fragilità ossea, contribuendo all'insorgenza di osteoporosi e aumentando il rischio di fratture, soprattutto nelle popolazioni esposte a livelli elevati di PM 2,5 e black carbon. La lotta contro questo tipo di inquinamento richiede un approccio integrato, che consideri non solo la salute respiratoria ma anche la protezione del sistema scheletrico. Solo attraverso un impegno globale e multidisciplinare si potrà sperare di mitigare questi effetti e garantire una migliore qualità della vita per le generazioni future.
SCOPRI DI PIU'L'inquinamento atmosferico, indoor e idrico continua a minacciare la salute globale: cause, impatti e soluzioni per affrontare una crisi persistentedi Marco ArezioL’inquinamento rappresenta uno dei più gravi problemi sanitari e ambientali a livello mondiale, con un bilancio drammatico: circa 9 milioni di decessi all'anno, una cifra che, pur restando stabile rispetto al 2015, nasconde trasformazioni importanti nelle cause sottostanti. Questo dato, riportato dalle più recenti ricerche internazionali sulla salute pubblica, mostra come l’inquinamento rimanga uno dei principali fattori di mortalità, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, ma con un’evoluzione nelle dinamiche. Inquinamento indoor in calo: l’effetto del progresso abitativo Negli ultimi anni, si è osservata una riduzione significativa dei decessi legati all’inquinamento indoor, ovvero quello derivante dalla qualità dell’aria all’interno delle abitazioni. Questa tendenza positiva è particolarmente evidente nei paesi a basso e medio reddito, dove miglioramenti nelle infrastrutture abitative e l’accesso a fonti di energia più pulite hanno ridotto l’uso di combustibili solidi, come legna e carbone, per cucinare e riscaldare le case. Questi combustibili rilasciano particolato fine (PM2.5) e altre sostanze tossiche che possono provocare malattie respiratorie croniche, polmoniti e altre patologie mortali, soprattutto tra donne e bambini. L’adozione di soluzioni più sostenibili e moderne, come l’elettricità e il gas naturale, ha contribuito a migliorare la qualità dell’aria domestica e, di conseguenza, la salute delle popolazioni più vulnerabili. Tuttavia, questa transizione energetica non è ancora universale e resta un obiettivo da raggiungere in molte aree rurali e urbane dei paesi meno sviluppati. L’incremento dell’inquinamento esterno e industriale Se da un lato l’inquinamento indoor sta diminuendo, dall’altro l’inquinamento atmosferico esterno continua a peggiorare, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica. La crescita della popolazione mondiale, l’aumento delle attività industriali e il numero sempre maggiore di veicoli su strada contribuiscono all’aumento delle emissioni di gas e particolato fine nell’ambiente. Le principali fonti di inquinamento esterno includono: - Traffico veicolare: I gas di scarico delle auto, in particolare i diesel, rilasciano ossidi di azoto (NOx), monossido di carbonio (CO) e particolato che penetrano profondamente nei polmoni. - Industrie: Le emissioni delle attività manifatturiere, chimiche e di produzione energetica costituiscono una quota rilevante dell’inquinamento globale, soprattutto nei paesi con regolamentazioni ambientali meno stringenti. - Urbanizzazione crescente: La costruzione di infrastrutture e la cementificazione contribuiscono al deterioramento della qualità dell’aria nelle città. Questi fattori sono responsabili dell’aumento dei casi di malattie cardiache, ictus, cancro ai polmoni e malattie croniche respiratorie. La situazione è particolarmente critica nelle megalopoli dell’Asia e dell’Africa, dove l’inquinamento atmosferico ha raggiunto livelli insostenibili. L’acqua inquinata: una minaccia sottovalutata Un aspetto spesso trascurato riguarda l’impatto dell’inquinamento delle acque sulla salute globale. Secondo recenti stime, oltre 1,3 milioni di decessi annuali sono attribuibili al consumo di acqua contaminata e alla mancanza di servizi igienico-sanitari adeguati. L’acqua inquinata può contenere batteri patogeni, metalli pesanti e agenti chimici tossici, derivanti da scarichi industriali, rifiuti non trattati e pesticidi. Le conseguenze dell’acqua contaminata sono particolarmente devastanti nei paesi in via di sviluppo, dove malattie come il colera, la diarrea e l’epatite A continuano a mietere vittime, soprattutto tra i bambini. L’accesso a fonti d’acqua pulita e potabile resta una priorità globale, poiché rappresenta una delle misure più efficaci per ridurre la mortalità legata all’inquinamento. Soluzioni e interventi necessari Affrontare l’emergenza globale dell’inquinamento richiede un approccio multidisciplinare e coordinato a livello internazionale. Alcuni interventi chiave includono: - Riduzione delle emissioni industriali e dei trasporti: Investire in tecnologie più pulite, migliorare le normative ambientali e incentivare l’uso di mezzi di trasporto sostenibili. - Transizione energetica: Promuovere fonti di energia rinnovabile per ridurre la dipendenza da combustibili fossili. - Miglioramento dell’accesso all’acqua pulita: Investire in infrastrutture idriche e sistemi di depurazione, soprattutto nelle aree più vulnerabili. - Educazione e sensibilizzazione: Informare le popolazioni sui rischi dell’inquinamento e promuovere pratiche più sostenibili. Conclusioni L’inquinamento continua a rappresentare una delle principali cause di morte a livello globale, ma le sue dinamiche stanno cambiando. Mentre si registrano progressi nella riduzione dell’inquinamento indoor, l’inquinamento atmosferico esterno e quello idrico restano sfide urgenti. Investire in soluzioni sostenibili e adottare politiche ambientali più rigorose è essenziale per proteggere la salute umana e l’ambiente, garantendo un futuro più sicuro e pulito per le prossime generazioni.© Riproduzione Vietata
SCOPRI DI PIU'Dall'imballaggio ai campi, esplorando le vie della contaminazione e le strategie per un futuro agricolo privo di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFSA) di Marco ArezioLa ricerca svolta dalla Rete di Azione Europea sui Pesticidi (PAN Europe) rivela un inquietante aumento della contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS), comunemente note come "sostanze chimiche per sempre", negli ortofrutticoli consumati nell'Unione Europea. Questi composti chimici, caratterizzati dalla loro incredibile resistenza alla degradazione ambientale e dai loro potenziali rischi per la salute umana, sono stati segnalati per la loro presenza sempre più frequente nei raccolti a seguito dell'utilizzo nei pesticidi, nonostante la Commissione Europea abbia rinunciato ai piani di proibirli l'anno scorso. L'uso in Agricoltura dei PFAS L'uso dei composti per- e polifluoroalchilici (PFAS) in agricoltura, sebbene non sia l'applicazione più nota o diffusa di queste sostanze chimiche, può verificarsi in varie forme, spesso legate indirettamente attraverso l'utilizzo di prodotti industriali che contengono PFAS o la contaminazione ambientale piuttosto che un impiego diretto sui raccolti. Questi composti sono utilizzati in numerosi settori per le loro proprietà uniche, tra cui la resistenza al calore, la capacità di respingere olio e acqua, e la stabilità chimica. Vediamo alcuni modi in cui i PFAS possono trovarsi coinvolti in contesti agricoli: Imballaggi Alimentari: I PFAS sono spesso utilizzati negli imballaggi alimentari per le loro proprietà antiaderenti e resistenti all'acqua e agli oli. Questi imballaggi possono essere utilizzati per trasportare e conservare prodotti agricoli, aumentando il rischio di contaminazione indiretta dei prodotti alimentari. Prodotti per il Trattamento del Suolo e dei Raccolti: Alcuni prodotti utilizzati per migliorare la resistenza dei raccolti agli elementi o per il trattamento dei suoli potrebbero contenere PFAS. Queste applicazioni sono generalmente più rare e sottoposte a regolamentazione in molte giurisdizioni. Acqua Contaminata: L'uso di acqua contaminata da PFAS per l'irrigazione è una delle vie principali attraverso cui questi composti possono entrare nel sistema agricolo. I PFAS, a causa della loro resistenza alla degradazione, possono accumularsi nell'ambiente, comprese le fonti d'acqua utilizzate in agricoltura. Biosolidi come Fertilizzanti: I biosolidi, che sono sottoprodotti trattati di acque reflue, possono essere utilizzati come fertilizzanti in agricoltura. Se le acque reflue contengono PFAS, questi composti possono accumularsi nei biosolidi e, quando applicati ai campi, possono contaminare il suolo e, di conseguenza, i prodotti agricoli. L'uso specifico dei PFAS in agricoltura è limitato, ma la loro presenza diffusa nell'ambiente e in vari prodotti può portare a contaminazioni indirette. La consapevolezza crescente dei rischi per la salute e l'ambiente associati ai PFAS, ha portato a un esame più attento e a richieste di regolamentazione e limitazione del loro utilizzo. Ridurre l'esposizione ai PFAS in agricoltura e in altri settori richiede un approccio olistico che includa il monitoraggio e la pulizia delle fonti di contaminazione, lo sviluppo di alternative più sicure e la regolamentazione dell'uso di questi composti chimici persistenti. Crescita della presenza dei PFAS in agricoltura L'analisi temporale del decennio 2011-2021 mostra che la presenza di residui di PFAS nei prodotti agricoli è drasticamente aumentata, evidenziando una crescita del 220% nella frutta e del 274% nella verdura contaminata. L'uso di queste sostanze in applicazioni industriali diverse, come i rivestimenti antiaderenti, i materiali resistenti al calore e impermeabili, oltre agli imballaggi alimentari, contribuisce significativamente alla loro diffusione nell'ambiente e, di conseguenza, nella catena alimentare. Il fenomeno è tanto più preoccupante se si considera che nel 2021 il 20% della frutta prodotta nell'UE era contaminata da residui di almeno un PFAS. L'allarme è stato ulteriormente rafforzato dall'appello di quattro Stati membri dell'UE e della Norvegia, all'Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA) per una nuova valutazione del rischio associato a questi composti all'inizio del 2023. Nonostante l'introduzione di una "strategia chimica per la sostenibilità" da parte della Commissione Europea nel 2020, volta a eliminare progressivamente i PFAS a meno che non risultino essenziali per la società, non sono stati ancora presi provvedimenti concreti per limitarne l'uso. Ciò mette in luce le lacune nelle attuali valutazioni dei rischi dei pesticidi e la necessità di un'azione più decisa per proteggere la salute pubblica e l'ambiente. La persistenza e le proprietà tossiche dei PFAS avrebbero dovuto accelerare il loro divieto, secondo Angeliki Lysimachou, capo scienziato del PAN Europe. I dati più allarmanti provengono da Austria e Grecia, dove si registrano i maggiori incrementi di contaminazione da PFAS. Le sostanze più frequentemente rilevate includono il fungicida fluopyram, l'insetticida flonicamid e il fungicida trifloxystrobin. La distinzione tra frutta e verdura mostra che, benché una minor percentuale di verdure (12%) risulti contaminata rispetto alla frutta (20%), alcune verdure presentano tassi di contaminazione comparabili a quelli dei frutti più colpiti. In particolare, cicoria, cetrioli e peperoni mostrano alti livelli di residui PFAS, così come fragole, pesche e albicocche tra i frutti. Soluzioni per ridurre l'impatto ambientale e sanitario dei PFSA Per affrontare il problema dei PFAS e ridurne l'impatto ambientale e sanitario, è necessaria un'azione coordinata che includa: Rafforzamento della legislazione: Imporre restrizioni più severe sull'uso dei PFAS nei prodotti industriali e agricoli, promuovendo alternative più sicure. Valutazione del rischio più approfondita: Migliorare le metodologie di valutazione per considerare l'effetto cumulativo e a lungo termine dei PFAS sulla salute umana e sull'ambiente. Sviluppo di tecnologie di depurazione: Investire nella ricerca di metodi efficaci per rimuovere i PFAS dall'acqua e dal suolo, limitando così l'esposizione attraverso il consumo di alimenti e acqua potabile. Promozione dell'agricoltura biologica: Incoraggiare pratiche agricole che non fanno affidamento su sostanze chimiche pericolose, offrendo ai consumatori alternative più salutari. Per difendersi dai Perfluoroalchilici e Polifluoroalchilici (PFAS), è fondamentale adottare un approccio multidimensionale che coinvolga sia la prevenzione della contaminazione sia il trattamento degli inquinanti già presenti nell'ambiente e negli organismi viventi. Inoltre, una comprensione dettagliata degli effetti dei PFAS sulla salute umana e animale è cruciale per sviluppare strategie di mitigazione efficaci. Effetti sui PFAS sull'Uomo e sugli Animali I PFAS sono stati associati a una serie di effetti negativi sulla salute umana e animale. Questi effetti sono dovuti alla loro capacità di resistere alla degradazione ambientale e biologica, accumulandosi negli organismi viventi. Effetti sulla Salute Umana Disfunzioni del Sistema Immunitario: L'esposizione ai PFAS può ridurre la risposta immunitaria, rendendo gli individui più suscettibili alle infezioni. Effetti sulla Riproduzione: Alcuni studi hanno collegato l'esposizione ai PFAS a ridotti tassi di fertilità, ritardi nello sviluppo prenatale e alterazioni ormonali. Impatto sul Metabolismo: Esiste una correlazione tra i PFAS e l'aumento del colesterolo, modificazioni nel metabolismo dei lipidi e potenziale sviluppo di obesità e diabete di tipo 2. Cancro: L'acido perfluoroottanoico (PFOA), un tipo di PFAS, è stato classificato come possibile cancerogeno per l'uomo, con studi che suggeriscono un legame con alcuni tipi di cancro, come il tumore ai reni e ai testicoli. Effetti sugli Animali Tossicità Acuta e Cronica: Gli animali esposti ai PFAS possono soffrire di effetti tossici acuti e di accumulo a lungo termine che porta a disfunzioni di organi vitali. Alterazioni del Comportamento e della Riproduzione: L'esposizione ai PFAS può influenzare negativamente la riproduzione degli animali e causare cambiamenti nel comportamento, potenzialmente compromettendo la sopravvivenza delle specie. Impatti sugli Ecosistemi Acquatici: Gli animali acquatici, come pesci e molluschi, sono particolarmente vulnerabili agli effetti dei PFAS, che possono alterare la catena alimentare e l'equilibrio degli ecosistemi. La lotta contro i PFAS richiede un'azione coordinata a livello globale, incentrata su prevenzione, innovazione e mitigazione. La riduzione dell'esposizione umana e animale ai PFAS e la ricerca di alternative più sicure sono passaggi cruciali per proteggere la salute pubblica e l'integrità degli ecosistemi.
SCOPRI DI PIU'La storia di Love Canal, il quartiere residenziale di Niagara Falls contaminato da rifiuti chimici negli anni ’70di Marco ArezioAlla fine degli anni ’70, negli Stati Uniti, emerse una delle più inquietanti vicende ambientali del secolo: Love Canal, un tranquillo quartiere residenziale di Niagara Falls, nello stato di New York, si trasformò nel simbolo della catastrofe ambientale causata da rifiuti chimici industriali. L’inchiesta pubblica su questa contaminazione segnò una svolta nella legislazione americana sulla gestione dei rifiuti pericolosi e accese i riflettori sull’impatto a lungo termine dell’inquinamento industriale sulle comunità. Questo articolo analizza la storia di Love Canal, i responsabili, le conseguenze per la salute pubblica e il ruolo fondamentale che il caso ebbe nello sviluppo delle moderne politiche ambientali. Le origini: dal sogno industriale al disastro Love Canal prende il nome da William T. Love, un imprenditore visionario che alla fine del XIX secolo progettò la costruzione di un canale navigabile per collegare il fiume Niagara al lago Ontario. Il progetto, ambizioso ma mal gestito, fu abbandonato dopo pochi anni lasciando un grande scavo incompiuto. Quel che rimase di quel sogno industriale divenne, negli anni ’40 e ’50, una discarica di rifiuti chimici industriali per la Hooker Chemical Company (poi acquisita da Occidental Petroleum). Nel corso di un decennio, la compagnia seppellì oltre 21.000 tonnellate di sostanze tossiche, sigillandole con uno spesso strato di argilla e vendendo successivamente il terreno, nel 1953, al distretto scolastico locale per un dollaro. Il sito fu considerato “sicuro” fino a quando, negli anni ’70, i primi segnali di contaminazione emersero in modo evidente. I segnali d’allarme: salute compromessa e ambiente avvelenato All’inizio degli anni ’70, la popolazione residente nel quartiere di Love Canal iniziò a notare odori nauseabondi, sostanze oleose che affioravano dal terreno e alterazioni inspiegabili nell’ambiente: alberi morti, animali domestici ammalati, bambini con irritazioni cutanee e problemi respiratori. In breve tempo, aumenti significativi di aborti spontanei, malformazioni congenite e tumori furono riportati dalle famiglie residenti. L’attivista Lois Gibbs, madre di due bambini e residente nel quartiere, divenne il volto della protesta pubblica. Fu lei a raccogliere le prime prove, coinvolgere i media e organizzare il quartiere per chiedere un intervento governativo. Grazie alla sua azione determinata, si scoprì che i fusti di sostanze chimiche interrati stavano contaminando le falde acquifere e le abitazioni sovrastanti. L’intervento delle autorità e l’evacuazione Nel 1978, sotto la crescente pressione dell’opinione pubblica e con prove schiaccianti di pericolo sanitario, il governatore dello Stato di New York, Hugh Carey, dichiarò lo stato di emergenza. Poco dopo, anche il presidente Jimmy Carter firmò un ordine esecutivo che portò all’evacuazione di oltre 800 famiglie. Love Canal venne così riconosciuto come zona contaminata da rifiuti tossici. Le operazioni di evacuazione e bonifica durarono anni e costarono centinaia di milioni di dollari. L’evento portò alla nascita del Superfund, un fondo federale istituito nel 1980 con lo scopo di finanziare la bonifica dei siti contaminati e punire le aziende responsabili di inquinamento ambientale. Il lascito di Love Canal: conseguenze e insegnamenti Love Canal ha rappresentato un punto di svolta nella consapevolezza ambientale americana. Per la prima volta, un'intera comunità si rese conto di essere stata inconsapevolmente esposta a rifiuti tossici industriali, e il pubblico imparò quanto potesse essere pericolosa la mancanza di trasparenza nella gestione dei rifiuti. Tra gli effetti principali del caso si ricordano: - L’approvazione del Comprehensive Environmental Response, Compensation, and Liability Act (CERCLA) nel 1980. - La nascita di migliaia di comitati di cittadini in tutto il Paese. - L’impulso a studi epidemiologici sull’esposizione a lungo termine ai contaminanti industriali. - L’inclusione della giustizia ambientale nelle agende politiche statunitensi. Love Canal oggi: memoria e monito Oggi, parte dell’area di Love Canal è stata bonificata e venduta sotto il nome di Black Creek Village, ma l’accesso è ancora parzialmente regolato e la zona rimane simbolo di un passato difficile da dimenticare. Le vittime della contaminazione non hanno mai ottenuto un pieno risarcimento, e molti effetti sulla salute sono ancora oggetto di studi. Il caso continua a essere studiato in ambito accademico, giuridico ed ecologico, come esempio paradigmatico di come una gestione irresponsabile dei rifiuti industriali possa compromettere la vita umana e l’ambiente. Conclusione Il disastro ambientale di Love Canal ci ricorda che l’inquinamento non è un problema astratto, ma qualcosa che può insidiare le nostre case, le nostre famiglie e il nostro futuro. La vicenda ha avuto il merito di spingere verso un cambiamento legislativo e culturale, aprendo la strada a una maggiore responsabilità delle imprese e alla centralità della partecipazione cittadina. Il caso Love Canal, ancora oggi, è un monito potente sull’urgenza della trasparenza ambientale, della prevenzione e della sostenibilità, non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo.© Vietata la Riproduzione
SCOPRI DI PIU'La pesca a strascico è un killer per la flora e la fauna dei nostri maridi Marco ArezioI problemi del mare e degli oceani non sono solo le isole galleggianti di rifiuti plastici che si decompongono in microplastiche, entrando nella nostra catena alimentare. Ci sono altri sistemi di distruzione sistematica dell’habitat dei pesci e delle piante acquatiche, con la produzione di quantità impressionanti di CO2 che si riversano in atmosfera. E’ la pesca a strascico, che è una delle più catastrofiche invenzioni dell’uomo per distruggere i mari e gli oceani, colpendo i fondali, le tane dei pesci, favorendo la pesca indiscriminata di specie protette o non commestibili e il rilascio in atmosfera di tonnellate di CO2, che in parte viene anche mischiata nell’acqua creando acidità dei mari. E’ noto infatti che i mari e gli oceani assorbono un terzo dei gas serra immessi in atmosfera, facendo depositare il carbonio nei sedimenti marini, che sono degli enormi stoccaggi per la terra. Stiamo parlando di circa un miliardo di tonnellate di CO2 annue, una quantità paragonabile alla somma delle emissioni del traffico aereo mondiale, che la pesca a strascico rimuove dai fondali, facendoli riemergere a danno per la nostra salute. Ma come avviene questo tipo di pesca? La pesca a strascico comporta la stesura di una rete a sacco molto grande, trainata da due pescherecci, con una parte della rete piombata in modo che possa lavorare sul fondo. Lo spostamento di trascinamento simultaneo, comporta un movimento a strascico che causa l’estirpazione di tutto ciò che incontra, distruggendo in modo indiscriminato i fondali e raccogliendo qualsiasi cosa. Nella rete rimangono pesci commestibili e non commestibili, specie protette, coralli, specie in estinzione come lo squalo mako, lo smeriglio, la ventresca e le tartarughe, che vengono tirate a bordo, molte volte già mortalmente ferite nel tentativo di fuggire. Inoltre la tecnica della pesca a strascico comporta spesso la rottura delle reti che sono fatte da fili di nylon, materiale non degradabile, che finiscono trasportate dalle correnti insieme agli altri rifiuti in plastica e con lo stesso destino, cioè finire sulla nostra tavola attraverso i pesci che ci mangiamo. Le reti abbandonate sono i peggiori nemici per i delfini, le tartarughe, i cuccioli dei grandi pesci, che vi finiscono dentro restando impigliati, con la conseguenza di una morte quasi certa. Secondo i dati della Fao, nei mari ci sono circa 640.000 tonnellate di reti in plastica abbandonate, costituendo il 10% dei rifiuti plastici che galleggiano o si spostano a media profondità sospinte dalle correnti. Ci sono alcuni paesi che hanno regolamentato la pesca a strascico in modo da vietare che le reti raschino il fondo, distruggendo tutto, ma permettendo questa tecnica a medie profondità, salvaguardano l’habitat delle specie viventi. Inoltre la dimensioni imposte delle maglie delle reti hanno una larghezza tale da permettere la fuoriuscita di pesci di piccola taglia, assicurando che il pesce di quelle dimensioni possa continuare a vivere e a riprodursi. Purtroppo molti altri paesi non si curano del problema, lasciando libera la pesca o controllando poco o niente le conseguenze di questa attività che, tra l’altro, comporta una quantità di scarto di pescato pari a circa 5 milioni di tonnellate all’anno, pesci morti inutilmente. Arare il fondale con questo sistema è sicuramente più vantaggioso economicamente per chi pesca, in quanto intercetta circa il 20% di pesce in più, ma lascia danni all’ambiente incalcolabili minando, nel tempo, la pesca stessa.
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