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https://www.rmix.it/ - Cosa è la Depavimentazione Urbana e come Influisce sulle Bolle di Calore
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cosa è la Depavimentazione Urbana e come Influisce sulle Bolle di Calore
Ambiente

Il problema delle bolle di calore nelle città fortemente cementificate, ha bisogno di risposte tecnico-politiche efficacidi Marco ArezioLe estati, sempre più roventi, stanno portando, soprattutto nelle città, un livello di temperatura molto elevato e distribuito, non solo nelle ore diurne, ma anche durante la notte, rendendo invivibile la vita ai cittadini.Urbanistica e calore urbano L’urbanizzazione delle città storiche, ha visto la crescita di edifici abitativi e attività commerciali in nuclei sempre più stretti tra loro, erodendo il tessuto verde per far posto alla cementificazione continuativa. Oltre alla costruzione di edifici, anche di grandi dimensioni e molto vicini tra loro, se addirittura in una sorta di continuità edificativa, si è provveduto a pavimentare le strade, i parcheggi e le arre di collegamento tra un complesso e l’altro, con elementi impermeabili e assorbenti il calore come l’asfalto. In un contesto di cambiamento climatico, dove le ondate di calore colpiscono duro i centri abitati, la tipologia urbanistica e costruttiva odierna è del tutto inadeguata ad attenuare i fenomeni estremi. Strade ed edifici si caricano di calore durante il giorno, per poi restituirlo dalle ore serali in tutta la sua veemenza, impedendo una tregua dalla calura al calar del sole. La progettazione di soluzioni a queste problematiche, vede la necessità di ridurre le aree impermeabili che trattengono e rilasciano il calore, come da depavimentazione da asfalto o coperture stradali continue, per aumentare le aree verdi, le superfici drenanti al fine di mitigare l’effetto dell’accumulo di calore. Cosa è la depavimentazione urbana La depavimentazione urbana è un concetto che riguarda la rimozione di pavimentazioni in aree urbane per scopi specifici. L'obiettivo principale di questa pratica è quello di riqualificare spazi urbani per migliorare la qualità della vita delle persone, aumentare la sostenibilità ambientale e creare aree più piacevoli e funzionali per la comunità. Questo processo può riguardare diverse azioni: Rimozione di pavimentazioni asfaltate o cementate, come, strade, parcheggi e piazze che sono coperti da asfalto o cemento. Il lavoro comporta la rimozione di queste superfici dure e impermeabili, restituendo alla zona uno stato più naturale e permeabile.L’asportazione di queste sovrastrutture può essere utilizzata per creare parchi, giardini e spazi verdi in aree precedentemente pavimentate. Questi spazi possono favorire la biodiversità, migliorare la qualità dell'aria e fornire un ambiente più salutare per gli abitanti della città.La rimozione di pavimentazioni impermeabili può contribuire a prevenire allagamenti e migliorare il drenaggio delle acque piovane, permettendo loro di essere assorbite dal suolo e ricaricare le falde acquifere. Inoltre, le superfici impermeabili assorbono e trattengono il calore, contribuendo all'effetto noto come "isola di calore urbana". Rimuovendo alcune pavimentazioni continue e d impermeabili, è possibile migliorare il comfort termico delle zone urbane. Come risolvere il problema delle isole di calore urbane Il problema delle isole di calore urbane può essere affrontato adottando diverse strategie, tra cui la depavimentazione urbana svolge un ruolo importante. Ci sono diversi aspetti da affrontare per favorire questo fenomeno: Rimuovere parti di pavimentazione e sostituirle con spazi verdi, come parchi, giardini e aree alberate, può contribuire a ridurre l'accumulo di calore nelle città. Le superfici verdi assorbono meno calore rispetto al cemento e all'asfalto, fornendo un ambiente più fresco. Utilizzare coperture vegetali su edifici (tetti verdi) o materiali a bassa capacità termica (tetti freschi) può ridurre l'assorbimento di calore e aiutare a raffreddare gli edifici e le aree circostanti. Promuovere la mobilità sostenibile riducendo il traffico veicolare e creando aree pedonali e piste ciclabili può diminuire le emissioni di calore generate dai veicoli e ridurre l'effetto dell'isola di calore. Le decisioni di pianificazione urbana possono influenzare l'intensità dell'isola di calore. Ad esempio, aumentare la densità di edifici e ridurre gli spazi aperti può aumentare l'effetto dell'isola di calore, mentre una pianificazione oculata può promuovere una migliore circolazione dell'aria e una maggiore presenza di aree verdi. Utilizzare materiali più chiari e riflettenti per pavimentazioni e coperture può aiutare a ridurre l'assorbimento di calore. Allo stesso tempo, promuovere superfici permeabili può facilitare il drenaggio delle acque piovane e ridurre il surriscaldamento. Inoltre, alcune città stanno sperimentando sistemi di raffreddamento urbano, come l'utilizzo di acqua riciclata o impianti di raffreddamento evaporativo per ridurre le temperature nelle zone densamente popolate. Infine, è possibile proteggere e ampliare le aree naturali circostanti, contribuendo a mantenere un microclima più favorevole e ridurre l'impatto dell'urbanizzazione sul riscaldamento. Perché le pavimentazioni impermeabili assorbono e rilasciano il calore più di quelle permeabili Le pavimentazioni impermeabili e permeabili influenzano l'effetto delle isole di calore urbano in modo significativo. Vediamo come funzionano e quali sono le differenze tra queste due tipologie di pavimentazione: Pavimentazioni Impermeabili Le pavimentazioni impermeabili, come l'asfalto e il cemento, hanno una bassa capacità di assorbire l'acqua. Quando il sole colpisce queste superfici, esse riscaldano notevolmente, assorbendo il calore e accumulandolo. Di conseguenza, durante le giornate calde, queste superfici possono diventare estremamente calde, contribuendo all'effetto di riscaldamento dell'isola di calore urbano. Inoltre, l'acqua piovana scorre rapidamente sulle pavimentazioni impermeabili, accumulando in modo limitato e creando problemi di allagamento e scarico nelle città. Pavimentazioni Permeabili Le pavimentazioni permeabili, come il pavimento in porfido, mattoni porosi, calcestruzzo poroso, i grigliati in plastica e cemento e molti altri prodotti, consentono all'acqua di penetrare attraverso la loro superficie e raggiungere il suolo sottostante. Questo tipo di pavimentazione ha una capacità di drenaggio superiore rispetto alle pavimentazioni impermeabili, consentendo all'acqua piovana di essere assorbita nel terreno, ricaricando le falde acquifere e riducendo il rischio di allagamenti. Inoltre, le pavimentazioni permeabili riflettono meno calore rispetto a quelle impermeabili, poiché l'acqua presente sulla superficie evapora e raffredda l'ambiente circostante. Riduzione del Calore Urbano Le pavimentazioni impermeabili contribuiscono all'effetto di riscaldamento delle isole di calore urbano, mentre le pavimentazioni permeabili possono aiutare a ridurlo. La presenza di pavimentazioni permeabili aumenta la quantità di evaporazione dell'acqua e favorisce una migliore circolazione dell'aria, aiutando a raffreddare l'ambiente circostante. Inoltre, le aree verdi, come i parchi e i giardini, che spesso includono pavimentazioni permeabili, contribuiscono ulteriormente a ridurre il calore urbano attraverso il processo di traspirazione delle piante e l'ombreggiamento. Quali sono i progetti più importanti di depavimentazione urbana Non esistono ancora molti progetti di depavimentazione urbana su vasta scala, ma ci sono stati alcuni progetti pilota e iniziative locali interessanti. Ecco alcuni esempi di progetti di depavimentazione urbana significativi: Progetto Depave Portland, Oregon, USA Il progetto Depave si concentra sulla rimozione di pavimentazioni impermeabili per creare spazi verdi nelle aree urbane di Portland. L'iniziativa mira a creare parchi e giardini, nonché a prevenire inondazioni e proteggere l'ecosistema locale. Progetto Sponge City – Cina Le Sponge Cities sono un progetto sperimentato in diverse città cinesi, come Shanghai e Chengdu, per affrontare problemi di inondazioni e gestione delle acque. Questi progetti incorporano la depavimentazione urbana attraverso l'uso di pavimentazioni permeabili, aree verdi e sistemi di raccolta delle acque piovane per prevenire allagamenti e migliorare la gestione delle risorse idriche. Progetto Green Infrastructure - Città Europee Diverse città europee stanno implementando progetti di green infrastructure che includono la depavimentazione urbana. Ad esempio, Copenaghen in Danimarca ha creato piste ciclabili, aree verdi e parchi su ex parcheggi e strade asfaltate per promuovere uno stile di vita più sostenibile e ridurre l'impatto delle isole di calore. Progetto Raining Street - Tokyo, Giappone A Tokyo, è stato lanciato il progetto "Raining Street" che mira a promuovere l'uso dell'acqua piovana per scopi diversi, come il raffreddamento urbano e l'irrigazione. Ciò include la depavimentazione di alcune aree per consentire il drenaggio dell'acqua piovana e il suo riutilizzo. Progetto Urban Heat Islands - Melbourne, Australia Melbourne ha avviato diverse iniziative per affrontare gli effetti delle isole di calore urbane, tra cui la depavimentazione per creare spazi verdi e piste ciclabili e l'utilizzo di materiali a bassa capacità termica per le coperture degli edifici. Progetto Growsmart - Boston, Massachusetts, USA Growsmart è un programma di depavimentazione urbana avviato a Boston per trasformare ex parcheggi e spazi pavimentati in parchi e aree verdi pubbliche. L'iniziativa mira a migliorare la qualità della vita, la salute e la sostenibilità della città.

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https://www.rmix.it/ - Guerra, Pandemia e Siccità: La Tempesta Perfetta per l'Africa
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Guerra, Pandemia e Siccità: La Tempesta Perfetta per l'Africa
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Guerra, Pandemia e Siccità: La Tempesta Perfetta per l'Africadi Marco ArezioAllo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia la situazione alimentare delle popolazioni Africane, specialmente quelle nelle aree occidentali, come il Burkina Faso, il Ciad, Niger Mali e Nigeria, era già compromessa in quanto le lunghe siccità avevano fatto crescere del 20% i prezzi dei beni alimentari.Con il conflitto in corso, la situazione si è ulteriormente aggravata in quanto molti paesi dipendono dalla Russia e dall'Ucraina per le importazione di grano e la sua mancanza sul mercato porta all'aumento esponenziale dei prezzi e alla difficoltà a reperire le derrate alimentari.La dipendenza di questi nazioni, per le importazioni di grano dai due paesi in conflitto, si aggira tra il 30 e il 50%, lasciando pochi spazi di trovare nuovi fornitori per quantità così considerevoli.Un altro problema che si somma a quello della carenza di derrate alimentari è la probabile riduzione degli aiuti finanziari ai paesi poveri, in quanto, molti stati potrebbero spostare le risorse finanziarie, destinate alla cooperazione internazionale, per aiutare l'Ucraina e il gran numero di sfollati che si sta riversando in Europa.I poveri, gli affamati e i profughi, che siano alimentari o a causa delle guerre, sono tutti uguali ed è per questo che bisogna mantenere una visione degli aiuti ampia a livello mondiale.

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https://www.rmix.it/ - Cambiamenti Climatici e Siccità. L’Acqua non si Fabbrica (Forse)
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cambiamenti Climatici e Siccità. L’Acqua non si Fabbrica (Forse)
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La siccità è arrivata in modo devastante anche in Europa, forse adesso ascolteremo la terra?di Marco ArezioIl Covid, la guerra, il caldo asfissiante, la siccità, la mancanza di energia, i flussi migratori in crescita, questa è la fotografia del nostro vivere contemporaneo. I problemi ci piace vederli in televisione, con l’idea sciocca che rimangano confinati li dentro, poi, facciamo la vita di sempre, facendo finta che tutto vada bene. E’ una forma di protezione? Forse, ma di fatto la situazione è proprio questa, un insieme di fatti concatenati (e non li ho citati tutti), che rendono complicata la vita di oggi e del medio periodo. Di cambiamenti climatici piace parlarne a tutti, siamo tutti ecologisti per uniformarci alla massa che, ora, cammina in questo senso, ma in realtà, nella nostra vita quotidiana ci comportiamo in modo non troppo green. Noi rispecchiamo la classe politica che eleggiamo, che dovrebbe prendere delle decisioni per la comunità, anche impopolari, nella giusta direzione per il nostro futuro, ma la politica oggi sembra un grande social e i politici, come influencers, devono piacere e compiacere, non governare. Quindi risolvere i problemi climatici è difficile, perché sembra non ci siano nell’agenda delle priorità, anche se ne parlano giornalmente. Da anni si parla di energie rinnovabili e da anni si fa pochino per aumentare seriamente la produzione di energia dal sole e dal vento, ma adesso che il prezzo del gas è andato alle stelle si rispolverano vecchi progetti lasciati nei cassetti dei burocrati. Per quanto riguarda l’acqua la faccenda è, purtroppo, ancora più grave in quanto non basta finanziare nuovi progetti, come è successo per le energie rinnovabili, per avere più acqua, in quanto questa è difficilmente producibile. Anche per il settore idrico, bene primario per la popolazione, le istituzioni hanno fatto sempre poco, molto poco, in un paese che fino a poco tempo fa non aveva il problema della siccità, non si è mai investito abbastanza sugli acquedotti, che in molti casi disperdono lungo il tragitto anche il 30-40% della loro portata. Non si è investito sugli accumuli, creando nelle zone più piovose, come in montagna, invasi che potessero fungere da riserva d’acqua quando necessario, non si è investito in impianti di desalinizzazione lungo le coste e non si è mai affrontato una gestione organica e sociale delle acque sotterranee profonde. Secondo i dati Istat del 2019, le acque sotterranee garantiscono l’84% del fabbisogno idropotabile (48% da pozzi e 36% da sorgenti), oltre a coprire una parte significativa delle esigenze agricole e industriali. Pur risentendo della diminuzione delle piogge, la risorsa idrica sotterranea nazionale si rinnova annualmente per circa 50 miliardi di metri cubi, valore paragonabile all’acqua invasata in media nel Lago di Garda e a quella che mediamente il fiume Po scarica in Adriatico in un anno. Inoltre si dovrebbe sfruttare di più la risorsa dell’umidità dell’aria, in quanto è possibile costruire deumidificatori che, spinti da energia rinnovabile, trasformino l’umidità in acqua potabile. Questi impianti potrebbero contribuire alla riduzione dell’uso dell’acqua che preleviamo dagli acquedotti, facendo risparmiare risorse naturali importanti. Forse è il caso di svegliarci e fare tutti, nel nostro piccolo, qualche cosa.

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https://www.rmix.it/ - I Crediti di Carbonio Africani Aiutano a Ridurre la CO2
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare I Crediti di Carbonio Africani Aiutano a Ridurre la CO2
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Il principio di negoziazione dei crediti di carbonio contribuisce al miglioramento del pianetadi Marco ArezioNella stesura del protocollo di Kyoto nel dicembre del 1997, entrato poi in vigore il 16 Febbraio del 2005, relativo alle misure urgenti da prendere e agli strumenti che le aziende potevano utilizzare per ridurre o compensare l’emissione di CO2 in atmosfera, si sono citati i famosi crediti di carbonio. Questi sono dei certificati ambientali negoziabili tra le società che, a fronte di un investimento certificato sulla riduzione delle emissioni di carbonio, possono compensare le emissioni inderogabili e incomprimibili. Una sorta di ricompensa economica all’emissione di CO2 necessaria per una certa produzione industriale, che verrà compensata attraverso progetti che mirano ad immagazzinare il gas serra prodotto. Un certificato corrisponde a 1 tonnellata di CO2 non emessa in atmosfera e può essere negoziato attraverso attività che riguardano: • Forestazione e la silvicoltura • Acqua potabile • Gestione sostenibile dei rifiuti • Agricoltura smart • Riscaldamento ed illuminazione green • Energie rinnovabili Tra queste attività, il Gabon è in prima fila per progetti di gestione e conservazione di circa 600.000 ettari di foreste certificate che, oltre produzione di legname per le attività industriali e del settore edilizio internazionale, investe, con aziende estere nella cura della foresta per cedere i certificati di credito di carbonio. Da una parte lo sfruttamento consapevole ed equilibrato della foresta dà vita ad attività locali nella lavorazione del legno, permettendo alla popolazione di trovare lavoro e stabilità, creando per il paese un benessere indiretto da queste attività. Dall’altro lato, l’investimento economico delle società industriali che producono CO2, permettono al Gabon di riforestare le aree tagliate dall’attività delle segherie, creando un equilibrio tra produzione e natura a beneficio della popolazione e dello stato. Chi investe in progetti di riforestazione e tutela del territorio ha il vantaggio di ricevere i certificati di credito di carbonio, che consentono un ribilanciamento delle emissioni di CO2 per arrivare alla totale compensazione tra tonnellate immesse e compensate. Questo sistema dimostra, in maniera inequivocabile, che il processo di miglioramento, sia dell’ambiente che delle condizioni socio-economiche delle popolazioni dei paesi più poveri, non dipende sempre dalla delocalizzazione delle industrie dei paesi più avanzati, né nello sfruttamento intensivo delle risorse naturali dei paesi in via di sviluppo, che danno poco e mal pagato lavoro. E’ proprio la conservazione e l’investimento sull’ambiente che crea un equilibrio naturale al mondo, la riduzione delle emigrazioni e l’alzamento del tenore di vita dei cittadini.

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https://www.rmix.it/ - Senza la Riduzione della Carne sulle Tavole la Lotta Climatica Perderà
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Senza la Riduzione della Carne sulle Tavole la Lotta Climatica Perderà
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L'impari lotta tra la carne animale e quella vegetaledi Marco ArezioL’industria della carne è una lobby forte al pari di quella del petrolio, di internet, del fumo, dell’alcol, del gioco d’azzardo e di molte altre attività economiche che vivono sull’empatia con il consumatore.E’ da considerarsi una sorta di dipendenza dal gusto, un richiamo irresistibile a soddisfare l’impulso del cibo corroborato dalla sensazione di appagamento del palato. Un richiamo irresistibile, unito al fatto che normalmente non ci poniamo il problema se un così prelibato alimento possa arrecare danno all’ambiente.Il bisogno primario di mangiare, supportato dal piacere di farlo per vivere un’esperienza culinaria gradevole, quasi mai accende un processo di ragionamento imparziale e distaccato sul problema del mondo della carne. Purtroppo è risaputo che l’industria dell’allevamento degli animali da macello incide in modo enorme sul cambiamento climatico, sia direttamente causato dagli animali in vita, che dalla necessità di spazi sempre più grandi di territori deforestati da assegnare al pascolo, sia dall’enorme quantità di terra ed acqua necessarie a produrre alimenti per gli animali. Se consideriamo che i nutrimenti che la carne può dare al nostro corpo sono facilmente sostituibili con altri, forse meno gustosi, ma con un basso impatto climatico, la partita si gioca solo sulle sensazioni espresse dal sapore del prodotto. La catena di soggetti che protegge questo scrigno del sapore, con cui tiene legato il consumatore al proprio business, parte da lontano, a cominciare dalla politica che dovrebbe legiferare per proteggere l’ambiente ma anche la salute dei cittadini (la carne ha molte controindicazioni importanti per il nostro corpo). Il marketing delle aziende della carne che fa leva proprio sulle sensazioni del gusto per promuovere il prodotto da vendere, incidendo sulle debolezze dei cittadini. Le aziende del settore che combattono contro qualsiasi forma di concorrenza vegetale di prodotti alternativi, interdicendo i nomi dei prodotti finiti che sono nel linguaggio comune, come hamburger, bistecca, ecc.. cercando di ostacolare la diffusione di prodotti non a base di carne ma dall’aspetto simile. In un mondo democratico è giusto che le scelte alimentari dipendano da noi stessi, ma abbiamo, nello stesso modo, il diritto ad una corretta informazione sugli impatti che l’industria della carne ha, non solo sul nostro pianeta, ma anche sulla nostra salute. Ma nello stesso tempo, abbiamo il diritto che i prodotti a base vegetale, che possono sostituire i prodotti a base di carne, abbiano la libertà di diffondersi sul mercato in modo da lasciare ampio spazio di scelta al consumatore che vuole acquistarli. Il consumatore consapevole dell’impatto sulla terra che ha la produzione di carne, fa nutrire una certa speranza che, in ogni modo, prima o poi, la scelta si sposterà su una carne vegetale che non creare squilibri ambientali così macroscopici. Invece, per i consumatori che non hanno questa consapevolezza ambientale e si fanno dirigere da scelte dettate dal gusto del prodotto, dobbiamo aspettare che la carne a base vegetale possa raggiungere standard olfattivi e di gusto piacevoli come la carne da animale. Solo a quel punto sarà possibile aumentare la platea di soggetti che potranno spostarsi verso un alimento a minore impatto ecologico. Certamente gli stati potrebbero disincentivare il consumo della carne, visto che la problematica della sua permanenza sulle tavole comporta un peggioramento del clima e della salute, valori che gli stati devono perseguire e tutelare. I sistemi per disincentivare, per esempio, il fumo e l’alcol, sono normalmente applicati in molti stati, con il risultato che anno dopo anno, i cittadini si stanno adeguando a queste limitazioni. Questo non vuol dire non fumare o non bere, ma cercare di limitare le occasioni e renderle più onerose per il portafoglio di chi vuole consumare questi prodotti. Anche per la carne dovrebbe essere fatta una politica di disincentivazione, creando un contro marketing, senza eccedere nelle provocazioni o nelle paure, ma illustrare in modo esatto gli impatti ambientali dell’industria della carne e l’impatto sulla nostra salute nel lungo periodo.

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https://www.rmix.it/ - L’alba ecologica della Tanzania
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’alba ecologica della Tanzania
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Tanzania: Il governo vieta i prodotti plastici monouso e promuove i centri ecologici Trentatrè, fin’ora, sono gli stati Africani che hanno vietato l’uso dei sacchetti di plastica per cercare di diminuire l’errato uso della plastica nella nostra vita. Dal 1° Giugno 2019 anche la Tanzania si è unito a questo piccolo esercito che tenta di fare qualche cosa per arginare il mare di plastica monouso che sta intasando l’ambiente.  Ma il paese sta anche cercando di fare qualche passo in più nell’ambito di un uso coerente e rispettoso della plastica, infatti sta anche studiando come fare a risolvere la problematica dello smaltimento di una produzione giornaliera ingente di rifiuti nelle proprie città. Il problema è così sentito che il governo ha coinvolto tutte le forze nazionali disponibili aprendo un canale di comunicazione anche con le associazioni giovanili ambientaliste. Lo sviluppo demografico delle città, come ad esempio Dar es Salaam, capitale culturale della Tanzania, che ha visto una rapida crescita negli ultimi anni, ed è ha una popolazione di circa 4,3 milioni di persone registrate nell’ultimo censimento nazionale, dispone di un servizio di raccolta dei rifiuti per solo il 30-40% dei suoi cittadini. Il paese produce circa 4.600 tonnellate di rifiuti al giorno con una previsione di salire a circa 12.000 entro il 2025, quindi si capisce che la messa al bando dei prodotti monouso, tra i quali ci sono i sacchetti in plastica, non potesse essere l’unica decisione da prendere in ambito ambientale. Il governo ha deciso di partire dalle scuole per far prendere coscienza ai giovani che i rifiuti, specialmente quelli plastici, siano una risorsa nel loro riutilizzo e che la loro dispersione nell’ambiente sia un lento suicidio collettivo. Inoltre i programmi didattici nelle scuole elementari vogliono valorizzare il giardinaggio, la piantumazione e ogni forma di conservazione dell’ambiente.Approfondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - Il cambiamento climatico e i diritti umani
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il cambiamento climatico e i diritti umani
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Xenofobie, Nazionalismi e Violenze sono solo danni collaterali al progresso economico? Gli stati ricchi sono sordi agli avvertimenti degli scienziati sul riscaldamento globale e sulle conseguenze che esso imprime sull’ambiente e sulla popolazione. Quello che era considerato catastrofico qualche anno fa sembra sia un buon punto di partenza oggi. Se il riscaldamento globale attacca la filiera alimentare, da cui alcuni paesi sono abituati a rifornirsi, riducendo i quantitativi, poco male, cambiaeranno area geografica e fornitori, si tratterà di pagare un po’ di più.  Se il riscaldamento globale aumenta la temperatura media nelle città in cui vivono, poco male, aumenteranno l’uso dei condizionatori, si tratterà di pagare un po’ di più. Se il riscaldamento globale riduce la disponibilità di acqua da bere e per l’uso domestico, poco male, si forniranno da fonti più lontane e la trasporteranno fino a casa, si tratterà di pagare un po’ di più. Se il riscaldamento globale fa aumentare i livelli degli oceani e minaccia alcune aree costiere o zone turistiche, poco male, cambieranno i loro orizzonti di vacanza, si tratterà di pagare un po’ di più. Se il riscaldamento globale incrementa le migrazioni che premono ai loro confini, poco male, spegneranno la televisione e si verseranno un buon bicchiere di vino, sapendo che sono in costruzione nuovi muri che li proteggeranno, si tratterà di pagare un po’ di più. Se il riscaldamento globale aumenta i casi di malattie pandemiche e tradizionali, che minacciano le loro nazioni, poco male, l’assistenza sanitaria di alto livello e le protezioni individuali e i servizi a cui possono accedere ridurranno quasi a zero il rischio, si tratta di pagare un po’ di più. Esatto, si tratta di pagare un po’ di più.  Ma c’è una consistente fetta della popolazione mondiale, alla quale non è imputabile, se non in maniera del tutto marginale, l’inquinamento che causa il riscaldamento globale, che non gode di tutte le difese che i paesi ricchi possono elargire ai propri cittadini.  Le popolazioni Africane, del sud est Asiatico e sud Americane, subiscono un impatto diretto dei cambiamenti climatici, come la mancanza di acqua, la mancanza di cibo causato dalla progressiva desertificazione dei terreni, il caldo estremo che non può essere mitigato da alloggi adeguati, un’assistenza sanitaria scarsa o scadente, che non permette loro di affrontare le malattie che si stanno diffondendo ripetutamente nel mondo. Quando si parla, anche nelle sedi più autorevoli, di diritti umani si è portati a pensare sempre a se stessi e di come sia giusto garantire i supporti di base alla vita delle persone. Poi, però, ci si dimentica di agire o lo si fa in maniera del tutto timida e inadeguata rispetto alle esigenze. A questo divario di risorse così vergognoso ci stiamo un po’ abituando, sembra sia una divisione divina tra ricchi e poveri, uno status quo che ci fa comodo mantenere, coccolandoci nella nostra quotidianità. Ma a parte i governi che non guardano più in là del loro naso, che negano i problemi ambientali, che negano le relazioni tra epidemie e cambiamenti climatici, che credono nella correttezza e nella validità degli slogan “prima noi”, i paesi più ricchi del mondo si dovranno a breve confrontare con la disperazione di masse sempre più grandi di popolazione che non hanno più niente, a causa del clima impazzito che abbiamo creato. Se abbiamo negato a milioni di uomini i diritti di base che sono l’alimentazione, la casa, l’assistenza sanitaria, il lavoro e l’istruzione, come possiamo pensare che questa rabbia, fatta di disperazione, non possa portare a rivolte sociali, guerre, terrorismo, nazionalismi, xenofobia che prima o poi riguarderanno tutti? Se adesso giudichiamo la negazione del diritto alla vita o ad una vita dignitosa, una grande fetta di popolazione mondiale, come un danno collaterale al progresso economico, quanto tempo pensiamo possa passare perché anche noi verremo coinvolti e stritolati dal disastro ambientale del pianeta che stiamo piano piano costruendo? I diritti fondamentali non sono mai unilaterali, valgono per tutti, sempre. Approfondisci l'argomento 

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https://www.rmix.it/ - In Europa il Carbone Uccide due Persone all'Ora
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare In Europa il Carbone Uccide due Persone all'Ora
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Il combustibile plastico "End of Wast" è la soluzione al carbone? di Marco ArezioIl fumo che esce dalle ciminiere delle centrali elettriche alimentate a carbone, in Europa, ucciderebbe più di due persona l'ora secondo il rapporto "Silent Killers" Uno studio realizzato dall'università si Stoccarda, sulla base di una ricerca fatta, evidenzia gli impatti sanitari dell'inquinamento prodotto dall'utilizzo del carbone quale combustibile per produrre energia elettrica in Europa, evidenziando un numero pari a 22.300 morti premature, su base annua, che corrispondono alla perdita di 240.000 anni di vita. Inoltre le malattie legate all'inquinamento dell'aria prodotto dalle centrali a carbone, determinano una perdita di giornate lavorative pari a 5 milioni. Secondo questo studio, che ha analizzato anche i progetti per la realizzazione di 52 nuove centrali a carbone, progetti che sono in fase di realizzazione o di autorizzazione, l'impatto sulla salute se entrassero in funzione queste nuove centrali, corrisponderebbe alla perdita di ulteriori 32.000 anni di vita ogni anno. Tenendo in considerazione che la vita media di una centrale a carbone è normalmente di 40 anni, in prospettiva questi nuovi progetti porterebbero alla perdita di 1,3 milioni di anni di vita. L'università si Stoccarda, attraverso questo studio, ha riaffermato che il carbone pulito non esiste, e che questo tipo di combustibile è una delle principali cause di avvelenamento dell'aria. In Europa esistono circa 300 centrali a carbone funzionanti, le quali producono un quarto dell'energia elettrica consumata nell'unione, ma, nello stesso tempo, producono il 70% degli ossidi di zolfo e più del 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Queste centrali Europee sono la fonte di circa la metà di tutte le emissioni industriali di mercurio e un terzo di quelle di arsenico, ed emettono, infine, quasi un quarto del totale delle emissioni di CO2 di tutta l'Europa. In termini sanitari, i paesi maggiormente colpiti dalle emissioni inquinanti del carbone sono la Polonia (più di 5000 morti all'anno), la Germania, la Romania e la Bulgaria. Ma come potrebbe essere attenuato questo fenomeno doppiamente negativo, sia sotto l'aspetto dell'impatto sulla salute sia sotto l'aspetto della distruzione delle risorse ambientali? Un'alternativa che è presa in considerazione, ma forse non con le dovute attenzioni, è il combustibile che deriva dallo scarto di lavorazione dei rifiuti plastici e urbani, detto "End of wast". Questo deriva appunto dalla lavorazione dei rifiuti civili non pericolosi e dei rifiuti speciali non pericolosi e si presenta sotto forma di macinato sfuso o in balle pressate. Il processo di lavorazione comprende: Triturazione del materialeAsportazioni delle parti metalliche attraverso separatori elettromagnetici e anche delle parti metalliche non ferroseDeumidificazioneAsportazioni delle frazioni inertiPalletizzazione in base alle esigenze degli impianti L'alto contenuto della componente plastica all'interno della ricetta permette il raggiungimento di un potere calorifico, molto importante. Il combustibile "end of waste" viene normalmente impiegato: CementificiInceneritoriCentrali termoeletticheImpianti di gassificazioneCentrali termiche per teleriscaldamento Questo combustibile può essere usato in impianti dedicati oppure in impianti che utilizzano normalmente altri tipi di combustibili, ma, in entrambi i casi, la struttura industriale deve dotarsi di tecnologie di combustione e depurazione dei fumi in grado di abbattere gli inquinanti emessi. Un caso particolare, che vedremo successivamente, riguarda l'utilizzo del combustibile "End of West" nelle cementerie in quanto c'è una corrente di pensiero che sostiene che i tradizionali forni per la produzione del clinker non siano in grado di evitare emissioni in atmosfera dannose.Vedi maggiori informazioni

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https://www.rmix.it/ - Analisi della Qualità dell’Aria e degli Odori all’Interno delle Auto
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Analisi della Qualità dell’Aria e degli Odori all’Interno delle Auto
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di Marco ArezioLe auto con cui ci spostiamo durante le nostre giornate lavorative o come mezzo di trasporto per le nostre vacanze o per i nostri hobbies, sono un insieme di prodotti chimici che, come tali, sono sottoposti a differenti reazioni in base alle sollecitazioni esterne che li interessano.Le temperature, specialmente quelle calde, sono un fattore scatenante che possono causare un incremento di volatili all’interno degli abitacoli delle auto, volatili che possono essere percepiti sotto forma di odori, o del tutto neutri alla percezione nasale, ma che possono portare con sé elementi volatili che potrebbero essere dannosi per la salute, causando problemi fisici a lungo termine. Ma quali sono i volatili che si disperdono all’interno degli abitacoli delle auto? I composti nocivi per la salute presenti nelle auto: • Acetaldeide • Acroleina • Benzene • Toluene • Etilbenzene • Stirene • O-m-p-xilene Queste sostanze che provengono dalla composizione delle strutture plastiche, o dai suoi rivestimenti, che compongono tutta la macchina, come cruscotti, sedili, accessori, pannellature, parti di aerazione, parti del motore che, sotto l’effetto del cambio di temperature, possono rilasciare sostanze volatili nocive.Ma come si può controllare la concentrazione di questi elementi per capire, in modo analitico, se possono danneggiare la salute?Questa analisi della qualità dell’aria può essere fatta impiegando un piccolo strumento come il gascromatografo a mobilità ionica che, attraverso l’aspirazione dei volatili all’interno dell’abitacolo, permette in modo semplice e rapido, la valutazione chimica dei volatili dispesi nell’aria. Questa piccola macchina impiega circa 15 minuti per identificare i concentrati chimici ad un livello pari a 5 ppb e ci restituisce una fotografia della qualità dell’aria che respiriamo in macchina. Qual’ è in sintesi l’obbiettivo: • Quantificazione simultanea delle emissioni gassose sopra riportate • Impiego di un apparecchio semplice e veloce per il campionamento dell’aria nelle auto • Vision tridimensionale dei componenti chimici rilevati • Automatizzazione del sistema di aspirazione e controllo • Breve tempo di ciclo • Valori analitici certi Considerando che nello spettro delle sostanze volatili che possono essere presenti in un’auto, una parte di esse non vengono percepite come odori dall’uomo e, quindi, non ci accorgiamo della loro presenza. La qualificazione dei composti chimici ci può aiutare a capire se, viaggiando all’interno dell’abitacolo esposti all’inalazione di questi elementi, per un determinato tempo, questi possano causare un danno alla nostra salute. Vedi filtri per areazione auto

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https://www.rmix.it/ - Ferrovie Nord Milano Avvia un Progetto di Decarbonizzazione dei Trasporti
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Ferrovie Nord Milano Avvia un Progetto di Decarbonizzazione dei Trasporti
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Quello che FNM sta pianificando è la realizzazione di un piano integrato di decarbonizzazione dei trasporti pubblici nella regione Lombardia. Questo avverrà attraverso una collaborazione con ENI, sia sul piano di utilizzo dell’idrogeno per le reti ferroviarie sia per ridurre le emissioni di CO2 dei mezzi di trasporto con motori termici.Infatti, FNM, il principale gruppo integrato nella mobilità sostenibile in Lombardia, ed Eni, a conferma del rispettivo impegno verso la decarbonizzazione, hanno firmato una Lettera di Intenti con la quale avviano una collaborazione strategica finalizzata a velocizzare i processi di transizione a nuove fonti di energia. La lettera di intenti, sottoscritta dal Presidente di FNM, Andrea Gibelli, e dal Direttore Generale Energy Evolution, Giuseppe Ricci, prevede la definizione di possibili collaborazioni e iniziative nei seguenti ambiti: l’introduzione di carburanti e vettori energetici in grado di ridurre le emissioni di CO2 per i motori termici dei mezzi di trasporto; l’introduzione di modelli di cattura, stoccaggio o utilizzo della CO2 generata nei processi di produzione dell’idrogeno da destinare ai mezzi di trasporto; l’introduzione di punti di distribuzione dell’idrogeno per la mobilità privata su strada. La collaborazione si inserisce anche nel contesto del progetto H2iseO di FNM e Trenord (società partecipata da FNM), che punta a far diventare il Sebino e la Valcamonica la prima "Hydrogen Valley" italiana e ha l’obiettivo di valutare ed implementare una serie di iniziative nel breve e lungo termine utili al raggiungimento dei target di decarbonizzazione del settore dei trasporti fissati dalla strategia europea e dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima italiano. “L’intesa con Eni – commenta il Presidente di FNM Andrea Gibelli – si inserisce a pieno titolo nel percorso verso una mobilità a zero impatto ambientale, promosso da FNM. La nuova mission del Gruppo, sancita dalle linee guida del Piano strategico 2021-2025, ci vede impegnati nello sviluppare una piattaforma integrata di servizi di mobilità, costruita secondo criteri di sostenibilità ambientale ed economica. In questo contesto, un ruolo importante è ricoperto dal progetto H2iseO, che ha una forte carica innovativa e attorno al quale FNM sta costruendo una rete di collaborazioni molto importante”. “La collaborazione con FNM - dichiara Giuseppe Ricci, Direttore Generale Energy Evolution di Eni - costituisce un importante passo nel percorso di decarbonizzazione del trasporto in Lombardia. Eni, facendo leva sul proprio know-how e sulla gamma di tecnologie e prodotti energetici sviluppati con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2, supporterà FNM in questo ambizioso programma, contribuendo al raggiungimento dei target di decarbonizzazione del settore. Questo accordo – conclude Giuseppe Ricci – dimostra l’importanza di adottare un approccio sinergico che promuova la collaborazione tra diversi attori del settore e l’utilizzo di prodotti energetici decarbonizzati per lo sviluppo di una mobilità sostenibile”. Eni InfoArticoli correlati:I PRIMI TRENI AD IDROGENO IN ITALIA SARANNO IN LOMBARDIAApprofondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - La Giornata Mondiale dell’Acqua ci Ricorda una Crisi mai Risolta
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Giornata Mondiale dell’Acqua ci Ricorda una Crisi mai Risolta
Ambiente

I dati impietosi che le Nazioni Unite ci raccontano sulla difficoltà di avere una quantità di acqua sufficiente per ogni persona nel mondo, una qualità che sia corretta e non crei malattie e un equilibrio di consumo delle risorse ambientali, ci fanno molto riflettere. Infatti, a livello globale, oltre 3 miliardi di persone sono a rischio di malattie perché la qualità dell'acqua dei loro fiumi, laghi e delle acque sotterranee è insicura, a causa della mancanza di controlli accurati.Nel frattempo, un quinto dei bacini idrografici del mondo sta subendo fluttuazioni drammatiche nella disponibilità di acqua e 2,3 miliardi di persone vivono in paesi classificati come "stressati dall'acqua", di cui 721 milioni in aree in cui la situazione idrica è "critica", secondo recenti ricerca condotta dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) e dai suoi partner. “Il nostro pianeta sta affrontando una triplice crisi di cambiamento climatico, che si compone in perdita di biodiversità, inquinamento e spreco. Queste crisi stanno mettendo a dura prova gli oceani, i fiumi, i mari e i laghi”, ha affermato Inger Andersen, Direttore Esecutivo dell'UNEP. "La raccolta di dati regolari, completi e aggiornati è fondamentale per gestire le nostre risorse idriche in modo più sostenibile e garantire l'accesso all'acqua potabile per tutti". Storicamente ci sono sempre stati pochi dati e pochi studi sullo stato globale degli ecosistemi di acqua dolce. Per colmare il divario, l'UNEP ha utilizzato le tecnologie di osservazione della Terra per monitorare, per lunghi periodi di tempo, la storia attraverso la quale gli ecosistemi di acqua dolce stanno cambiando. I ricercatori hanno esaminato più di 75.000 corpi idrici in 89 paesi e hanno scoperto che oltre il 40% era gravemente inquinato. I numeri, presentati il 18 marzo in una riunione di alto livello delle Nazioni Unite sugli obiettivi relativi all'acqua dell'Agenda 2030, suggeriscono che il mondo è in ritardo sulla tabella di marcia per la fornitura di acqua potabile sicura a tutta l'umanità. I dati dell'UNEP indicano che il mondo non è sulla buona strada per arrivare ad una gestione idrica sostenibile entro il 2030,  infatti gli sforzi dovrebbero raddoppiare nei prossimi nove anni per raggiungere l'Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG) 6, che richiede "la disponibilità e la gestione sostenibile dell'acqua e igiene per tutti ". Coordinato da UN-Water, l'UNEP, insieme ad altre sette agenzie delle Nazioni Unite, fa parte dell'Integrated Monitoring Initiative, un programma globale progettato per supportare i paesi attraverso il monitoraggio e la verifica dei progressi verso gli obiettivi SDG 6. L'UNEP è responsabile di tre degli 11 indicatori: qualità dell'acqua ambientale, gestione integrata delle risorse idriche ed ecosistemi di acqua dolce. I dati raccolti dall'UNEP vengono analizzati per monitorare come le pressioni ambientali, come il cambiamento climatico, l'urbanizzazione e i cambiamenti nell'uso del suolo, tra gli altri, influiscono sulle risorse di acqua dolce del mondo. Andersen ha affermato che le informazioni aiuterebbero a favorire un processo decisionale ambientale ai massimi livelli. Cosa si deve fare per accelerare il processo? Per velocizzare gli interventi necessari, nel 2020 è stato lanciato l'Obiettivo di sviluppo sostenibile 6 Global Acceleration Framework, che mira a mobilitare l'azione tra i governi, la società civile, il settore privato e le Nazioni Unite per allineare gli sforzi, ottimizzare i finanziamenti e migliorare la capacità e governance per gestire le risorse idriche. Ogni anno, le Nazioni Unite celebrano il 22 marzo come Giornata mondiale dell'acqua, per aumentare la consapevolezza del ruolo fondamentale di questa nella sicurezza alimentare, nella produzione di energia, nell'industria e in altri aspetti dello sviluppo umano, economico e sociale. Quest'anno, il tema della giornata è "valorizzare l'acqua". Si riconosce che una gestione dell'acqua efficace ed equa ha effetti catalitici in tutta l'Agenda 2030. Articoli correlati:Il Riciclo dell’Acqua per Ridurre lo Stress IdricoApprofondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - La Forestazione Urbana Potrebbe Migliorare i Fenomeni Depressivi
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Forestazione Urbana Potrebbe Migliorare i Fenomeni Depressivi
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La Forestazione Urbana Potrebbe Migliorare i Fenomeni Depressividi Marco ArezioFino al periodo antecedente alla rivoluzione industriale, che si può collocare in Inghilterra nella seconda metà del XVIII° secolo e, più ancora, nella seconda rivoluzione industriale alla fine del XIX° secolo, con l’arrivo delle scoperte chimiche, il rapporto che l’uomo aveva con la natura era di complicità e simbiosi.L’uomo sfruttava la terra per il proprio sostentamento ma non arrecava danni così gravi da non permettere all’ambiente di rigenerarsi in modo autonomo, creando un equilibrio tra le azioni antropiche e la consistenza naturale. Ai giorni nostri, di quel rapporto, è rimasto ben poco perché ben poco è rimasto dell’ambiente naturale e, l’uomo, si è abituato a vivere in ambienti che di naturale hanno davvero poco. Città cementificate, con poche aree verdi, dove non si vedono fiori, profumi e animali che ci potrebbero far ricordare da dove veniamo. Alcune città sono sempre più grandi e popolate, in cui la gente vive in agglomerati dormitori, nelle quali si cerca di sopravvivere attraverso delle opportunità di lavoro che in aree esterne non permettono di farlo. Ma anche nelle città definite ricche, del primo mondo, la ricchezza è divisa in modo del tutto “antisociale” creando gruppi di persone che sopravvive e altri che hanno avuto più fortuna o opportunità. La vita in questi ambiti, specialmente in quelli con una densità della popolazione maggiore e con redditi molto diseguali, crea tensioni, paure, angosce insicurezza che molte volte si traduce in forme piò o meno gravi di depressione. A Lipsia, in Germania, hanno studiato il fenomeno della depressione urbana in relazione alla presenza di verde, quindi della densità di piantumazione delle aree abitate. In uno studio, fatto su 9751 cittadini, si è cercato di capire se ci fosse un nesso tra la presenza degli alberi e la quantità di psicofarmaci utilizzati per la cura della depressione rispetto ad altre zone in cui la forestazione fosse assente o inferiore. Si è visto, incrociando le statistiche delle prescrizioni di ansiolitici e antidepressivi agli abitanti presi in considerazione, che la presenza di alberi ad alto fusto e del fogliame lungo le strade e a ridosso delle abitazioni, coincideva con un minore utilizzo in quell’area di farmaci per la salute mentale. Coincidenza? Può darsi, ma c’è un altro dato che potrebbe confutare questa tesi, infatti, controllando altri fattori di rischio per la salute mentale come la perdita del lavoro, problemi sessuali, di età di peso ed economici, si è visto che le aree con più o meno presenza di alberi non influenzavano questi fattori. Si è inoltre scoperto che le specie arboree differenti non giovavano in alcun modo al fenomeno, quindi non si poteva elevare una pianta migliore dell’altra a questo scopo. Ovviamente non è uno studio scientifico, anche perché molte persone depresse non assumono farmaci, quindi sfuggono alle statistiche, ma sicuramente dimostra che la vegetazione intensa nelle città e la presenza di uccelli, migliora l’umore degli abitanti. Ricordiamo poi che gli alberi in città riducono la calura che le costruzioni possono immagazzinare quando sono esposte al sole, aiutando a rendere l’ambiente più fresco, assorbono l’anidride carbonica nell’aria e riducono le polveri. Approfondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - L’ambiente Salubre e’ un Nostro Dovere
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare L’ambiente Salubre e’ un Nostro Dovere
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Dall’antropocentrismo dei diritti a quello dei doveri Dal punto di vista giuridico, possiamo garantire lo sviluppo sostenibile solo affermando che la generazione attuale ha l’obbligo di consegnare a quelle future un pianeta non deteriorato. L’ambiente è saldamente in cima all’agenda della politica e al centro dell’attenzione dei mass media e delle persone comuni.  Surriscaldamento globale, Accordo di Parigi, Enciclica del Papa Laudato si’, caso Urgenda, economia circolare: sotto la pressione mediatica e avvinti dalla preoccupazione che nasce dalla percezione soggettiva del climate change, nessuno può oggi chiamarsi fuori dalle discussioni sull’ambiente. Tutti rivendicano la pretesa di vivere in un ambiente salubre e anche il diritto, nelle sue varie articolazioni, si sforza di dare corpo a una tale situazione giuridica, anche per renderla giustiziabile.  Ma davvero possiamo accampare diritti e pretese nei confronti della natura?  Eventi come i frequenti disastri naturali dimostrano che è un’illusione profonda quella di pretendere giuridicamente di vivere in un particolare contesto naturale (ché questo, tecnicamente, significa essere titolari di un diritto), che sia appunto salubre.  E quando l’ambiente o i suoi elementi non sono “salubri” (si pensi agli animali pericolosi), la prospettiva del diritto soggettivo appare insufficiente, né questo deficit di tutela può essere compensato accedendo all’ipocrisia del diritto degli animali: il diritto è una costruzione culturale dell’uomo e l’uomo ne è il protagonista (l’albero può forse agire in giudizio? Chi può ergersi a suo rappresentante?). Guardando il problema dal punto di vista giuridico non possiamo abbandonare l’antropocentrismo. Il problema nasce dal fatto che l’antropocentrismo del diritto all’ambiente salubre non ci soddisfa: rischia di essere un meccanismo un po’ ipocrita, irrigidisce la trama giuridica e appare svuotato di capacità di aggredire i problemi reali o uno strumento troppo forte in mano a pochi eletti. Su di un piano più generale, poi, riflette l’idea di un uomo – dominatore che accampa la pretesa di sfruttare la natura e finisce con il dequotare tutto ciò che non è strumentale al benessere del titolare.  La verità è molto più semplice.  L’ambiente, per l’uomo, anche giuridicamente, è l’oggetto non già di un diritto, ma di un dovere di protezione, in un’ottica di responsabilità.  Basta guardare ai principi della materia ambientale per rendersi conto che essi esprimono un contenuto evidentissimo di doverosità. Anche la protezione degli animali può essere meglio assicurata valorizzando le nostre responsabilità, piuttosto che invocando vuote pretese giuridiche di chi non le potrà mai esercitare. La disciplina di settore, poi, è letteralmente zeppa di doveri. Il principio base di tutti gli altri, lo sviluppo sostenibile, infine, conferma la correttezza di questa prospettiva e mostra che il vero baricentro della disciplina giuridica in materia di ambiente è il dovere di protezione del genere umano: la generazione attuale ha l’obbligo di consegnare alle generazioni future un contesto ambientale non peggiore di quello ereditato. Occorre passare dall’antropocentrismo dei diritti all’antropocentrismo dei doveri.  Si tratta di uno scarto soprattutto culturale, che ha l’obiettivo di evidenziare le nostre responsabilità, di vittime o di aggressori.  Di fronte all’incertezza scientifica e alla straordinaria complessità del problema, questo atteggiamento impone di agire con saggezza e con estrema prudenza, ciascuno nel proprio specifico ambito di azione: i temi ambientali non possono essere risolti soltanto dall’economia, dall’etica, dalla scienza o dal diritto, imponendosi invece uno sforzo congiunto. Un atteggiamento forse da recuperare dopo l’esaltazione anche deresponsabilizzante dei diritti degli ultimi decenni e che suggerisce di valutare con una certa diffidenza chi, proponendo certezze assolute, pretende di semplificare una questione intrisa di inestricabili valenze etiche e assiologiche. A proposito di rispetto per le generazioni future: come il più contiene il meno, occorre attenzione e cautela anche nei confronti di quella attuale, sicché non convince la prospettiva di indicare qualche suo esponente come il portavoce privilegiato – ma quanto consapevole? dell’ambiente o delle generazioni future, dimensioni che non hanno bisogno di rappresentanti, ma che pretendono sofferto rispetto (voluto è ogni riferimento al caso Thunberg). Fabrizio Fracchia, ordinario presso il Dipartimento di studi giuridici dell’Università Bocconi di MilanoApprofondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - Il Disboscamento Illegale in Romania
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Il Disboscamento Illegale in Romania
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Un disastro ecologico nell’Amazzonia Europea. Stiamo a guardare ancora?di Marco Arezio Le foreste della Romania, di proprietà dello stato, ammontano a 3,13 milioni di ettari, cifra che rappresenta il 48% delle superfici boschive del paese. In questi territori l’abbattimento illegale delle piante sta alimentando il mercato nero del legno e provoca un danno ambientale enorme. Secondo i dati raccolti il disboscamento illegale in Romania ammonta ogni anno a circa 20 milioni di metri cubi di legname su un totale di 18 milioni autorizzati legalmente dallo Stato. Considerando un prezzo medio del legno di circa 50 euro/mc, si può notare che il business illegale frutta circa 1 miliardo di euro l’anno. In realtà, sono anni che il fenomeno va avanti, probabilmente coperto da funzionari dello stato che fanno finta di non vedere il problema, ma recentemente è tornato prepotentemente alla ribalta in quanto sono stati uccisi due guardia parco, che stavano onestamente lavorando per la tutela del patrimonio forestale dello stato. Si è parlato di forme mafiose di gestione del business del legno dolce, cosa che ha fatto muovere anche la Commissione Europea, che ha imposto allo stato Romeno, una verifica della situazione attraverso la creazione di una commissione di controllo sui numeri e sulle procedure di disboscamento. Secondo le indicazioni di Recorder.co, il rapporto elaborato, dopo aver sentito gli operatori dei controlli sul campo, coadiuvati da esperti formati in Francia, Svizzera e Finlandia, ha dimostrato che il disboscamento illegale rappresenta circa 20 milioni di mc/anno. Tuttavia, il rapporto sembra essere stato censurato dalle autorità che lo hanno ricevuto, in quanto non rappresenterebbe la reale situazione, in base ai rilevamenti autonomi di Romsilva, società che gestisce il patrimonio boschivo statale. Secondo i dati di questa società, il volume del disboscamento illegale si aggirerebbe tra i 40 e i 50.000 metri cubi annui e ipotizza che la commissione incaricata al controllo, su pressione della Comunità Europea, potrebbe aver commesso degli errori di calcolo. In una conferenza pubblica in cui hanno partecipato, sia il capo di Romsilva, sia i responsabili del progetto IFN, National Forest Inventory che ha eseguito i rilevamenti, è emerso che i numeri contenuti nel rapporto IFN, siano stati supportati da consulenti indipendenti Europei, ma che l’ente statale della protezione delle foreste insiste apertamente nel crederlo inattendibile, lasciando il problema in un pericoloso limbo. Come succede solitamente negli affari gestiti dalla malavita, il fenomeno dell’intimidazione, dell’omertà e della corruzione, unge un ingranaggio ben collaudato a tutti i livelli, con l’unico scopo di tenere le attività illegali al riparo dei clamori della cronaca, in modo da continuare in modo discreto e le operazioni. Si è tanto criticato Bolsonaro per il mancato contrasto alla deforestazione dell’Amazzonia, ma poco si è parlato della deforestazione illegale in Romania.

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https://www.rmix.it/ - Rischi ambientali : come si muove la finanza
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Rischi ambientali : come si muove la finanza
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La correlazione tra i rischi finanziari e i rischi ambientali visti dagli operatori bancari internazionali. I problemi dell’ambiente e i relativi rischi ambientali, non sono, oggi, solo appannaggio di un gruppo sempre più ampio di giovani che manifestano nelle piazze e non sono solo occasione per il cosiddetto “green washing”, l’utilizzo a volte a sproposito dell’etichetta green sui prodotti da parte delle aziende, ma sono entrati prepotentemente nelle camere ovattate della finanza che conta. La questione del clima è diventata un problema di rischio finanziario, che coinvolge gli istituti bancari e il sistema finanziario internazionale, i quali dovranno confrontarsi con un nemico subdolo e potente. Non esiste un solo rischio ambientale, ma diversi elementi che potrebbero concatenarsi creando una problematica di difficile gestione a livello finanziario, tale per cui si potrebbero mettere in crisi i capitali in circolazione. I rischi ambientali che destano maggiore attenzione da parte delle istituzioni finanziarie possono essere elencati in: Incremento di gas serra Incremento delle precipitazioni Incremento delle siccità I rischi connessi a queste problematiche dipendono dal loro manifestarsi e dalla violenza con cui si presentano nelle aree geografiche del pianeta, ma si traducono in costi di vite umane, distruzione delle infrastrutture pubbliche e private, perdita di produttività con danni alla crescita economica e innalzamento dei prezzi dei beni primari. Questi costi incideranno direttamente sui valori degli assets, con un deterioramento della capacità delle imprese e delle famiglie di onorare i debiti e una riduzione del valore delle garanzie. Alle banche è affidato il compito di indirizzare i flussi finanziari verso attività che indirettamente riducano il rischio stesso e quindi verso iniziative di sostenibilità ambientale che possano mitigare gli effetti che causano i cambiamenti climatici. Questi finanziamenti sono necessari per la stabilità stesse delle banche. L’Europa avrebbe bisogno, per aggiornare le reti energetiche, migliorare la gestione dei rifiuti, delle risorse idriche, per modernizzare la rete dei trasporti e della logistica, di 270 miliardi di euro all’anno, cifre enormi che dovranno essere trovate perchè non ci sono alternative alla strada della sostenibilità ambientale. La maggior preoccupazione delle banche e degli investitori finanziari è il rischio nel deterioramento dei propri crediti e il valore dei loro attivi in relazione ai fattori climatici, che non sono di per sè rischi nuovi, ma che stanno diventando di proporzioni tali che potrebbero destabilizzare il ritorno finanziario delle operazioni. La comunità internazionale dal punto di vista politico si sta muovendo in ordine sparso, con diversi approcci tra gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina, la Russia, l’India, per citarne qualcuno, ma alla fine saranno le istituzioni finanziarie che influenzeranno le scelte di transizione energetica e di sostenibilità ambientale. In questo momento, però, non tutte le banche hanno compreso in pieno quale sia la strada corretta per l’elargizione dei capitali sul mercato industriale e quale ricadute si avranno, anche in termini di rischio sulle operazioni, rimanendo immobili sugli assets in portafoglio. Si possono vedere, per esempio, negli Stati Uniti, paese gestito da una politica ultra negazionista in termini ambientali, che i movimenti ambientalisti stanno manifestando contro banche, quali la JP Morgan, la Well Fargo, la Bank of America, le quali continuano a sostenere finanziariamente le società impegnate nell’estrazione e raffinazione del petrolio. Ma ci sono anche fondi di investimento internazionali, come il BlackRock, il più grande del mondo, che ha capito velocemente dove indirizzare il timone dei propri investimenti e, attraverso il presidente Larry Find, ha ribadito ai propri clienti e agli amministratori delegati delle società in cui il fondo è posizionato, che premierà le imprese e i progetti legati alla sostenibilità. Secondo Find, non solo i governi, ma anche le istituzioni finanziarie e le imprese potranno essere travolte se non si adotteranno misure efficaci a favore dell’ambiente. Quella di BlackRock non è una raccomandazione o un consiglio, ma una forte e univoca decisione che si potrebbe concretizzare attraverso l’opposizione nei consigli di amministrazione o la sfiducia a managers che non adotteranno misure concrete in fatto di sostenibilità climatica. Find vede il rischio ambientale colpire direttamente la solvibilità dei mutui, specialmente quelli sulla casa, sull’inflazione, se dovessero impennarsi i prezzi dei generi primari, sul rallentamento della crescita dei paesi emergenti e quindi a cascata su quella mondiale, causata della riduzione della produzione per l’aumento delle temperature.

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https://www.rmix.it/ - La Forestazione delle Aree Metropolitane: Milano non Perde Tempo.
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare La Forestazione delle Aree Metropolitane: Milano non Perde Tempo.
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Riduzione dell’inquinamento, mitigazione delle ondate di calore, obbiettivi socialidi Marco ArezioChe le aree metropolitane stiano diventando sempre più un aggregato di popolazione crescente, nei numeri e nelle esigenze, è evidente in molti paesi del modo dove non si arresta l’incremento delle migrazioni interne verso le grandi città. I motivi che spingono le persone a muoversi sono principalmente economici, essendo la città un ambiente in cui le occasioni di trovare lavoro sono sicuramente più alte rispetto alle aree rurali. L’incremento massiccio della popolazione ha portato negli scorsi decenni ad una cementificazione “urgente” e smodata, sia dal punto di vista architettonico, che ambientale, che sociale, creando interi quartieri senza identità e senza un’anima, attraverso un’edilizia economica e con una spiccata essenzialità urbanistica. Questo modo di creare quartieri “dormitorio” ha creato disgregazione sociale, generazionale e una mancanza di integrazione tra il costruito e la natura. I bambini nati in questi contesti faticano a riconoscere un’alternativa ambientale ai palazzi, le strade asfaltate e ad ambiti diversi dai piccoli parchi di quartiere, se esistono. Inoltre, l’inquinamento crescente causato dal traffico veicolare, dal riscaldamento delle abitazioni e dalle conseguenze delle ondate di calore estivo, creano delle condizioni di vita non salubri e stressanti per la popolazione. Molte amministrazioni cittadine si sono convinte che il verde sia la chiave per lenire alcune problematiche legate all’inquinamento e, attraverso l’incremento della forestazione cittadina, la possibilità di creare condizioni di vita e una socialità più umana. Milano ha fatto suo questo obbiettivo, con il proposito di piantare tre milioni di alberi entro il 2030 e, attraverso questa operazione, riqualificare alcune aree per incrementare l’aggregazione sociale. La piantumazione ha anche lo scopo di inserire nel bilancio ambientale della città un elemento mitigatore degli inquinanti e del calore insistente, durante l’estate, sugli edifici meno preposti a difendere gli utenti da questo fenomeno in crescita. Parliamo soprattutto di edilizia scolastica, ospedali e centri per anziani, che riceveranno i primi interventi volti a rendere più vivibile l’ambiente cittadino. Il problema climatico nelle città tende ad acuire le disuguaglianze sociali, economiche e sanitarie, specialmente nelle periferie, dove la qualità delle costruzioni dal punto di vista dell’isolamento temo-acustico crea situazioni di disagio evidente. Inoltre gli alberi portano un aiuto nella lotta alle polveri sottili, al riscaldamento degli edifici con un risparmio nell’uso dei condizionatori. Milano ha messo in campo anche iniziative “green” attraverso la realizzazione di edifici, in cui il verde è parte integrante della loro struttura e attraverso l’organizzazione di eventi aperti a tutta la popolazione da vivere in nuove aree destinate ad un nuovo rapporto tra la popolazione cittadina e la natura. Approfondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - Bolsonaro: l’Amazonia è Nostra non Vostra
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Bolsonaro: l’Amazonia è Nostra non Vostra
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Che l’elezione del presidente Bolsonaro fosse una pessima notizia per la tutela dell’ambiente era una cosa risaputa ma che a soli nove mesi dall’elezione fosse riuscito a collezionare un disastro ambientale in Amazzonia di queste proporzione nessuno sarebbe riuscito a prevederlo. Nella sua politica liberistica coniuga ignoranza sui temi scientifici legati alle risorse ambientali, necessari per la sopravvivenza degli stessi Brasiliani, ad una certa arroganza condita con una lungimiranza politica al quanto discutibile.  Dare a Macron del colonialista a seguito del tentativo del presidente francese di far capire l’ovvio a Bolsonaro sembrerebbe una scenetta teatrale poco degna di uno statista.  Il business di togliere la terra alla foresta, tramite il fuoco, per permettere agli allevatori di estendere i pascoli intensivi allo scopo di sostenere un’attività, quella della produzione di carne, di per sé tra le maggiori attività inquinanti al mondo, comporta un incomprensibile disegno di autodistruzione che anche i bambini possono facilmente comprendere.  La politica del presidente Bolsonaro evidentemente non arriva a tanto, ma preferisce accusare le associazioni ambientalistiche degli incendi con lo scopo di farsi pubblicità o lamentarsi che non ha i mezzi per poter contenere il fuoco nel suo paese.  Come sempre, dove la politica non ragiona per il bene dei propri cittadini, sono i cittadini del mondo che possono condizionare e boicottare pacificamente gli interessi economici che sono alla base di questi disastri.  Come? Semplicemente continuare a preferire nei propri acquisti prodotti che vengano da filiere alimentari che non abbiano creato danni all’ecosistema.  Ricordandoci sempre che la produzione di ossigeno che viene dall’Amazzonia copre il 20% del nostro fabbisogno mondiale e che l’anidride carbonica immessa in atmosfera tramite questi incendi andrà a pesare in modo importante sul riscaldamento globale, che a catena velocizzerà tutta una serie di conseguenze ambientali già molto gravi, sarebbe importante che ognuno facesse la propria parte per contrastare l’accelerazione dell’implosione della specie umana.Approfondisci l'argomento

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https://www.rmix.it/ - Cosa Sta Succedendo alle Foreste Artiche a Causa dell'Inquinamento?
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare Cosa Sta Succedendo alle Foreste Artiche a Causa dell'Inquinamento?
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Cosa Sta Succedendo alle Foreste Artiche a Causa dell'Inquinamento?Abbiamo trattato in articoli precedente la devastante azione dell'uomo sullo sfruttamento della foresta amazzonica e sullo sfruttamento del legname nei boschi della Romania ma ora troviamo interessante proporre un articolo apparso su Science che informa della situazione delle foreste artiche russe a causa dell'inquinamento causato dalle attività industriali dell'uomo.Il dilagante inquinamento atmosferico nella Siberia settentrionale sta bloccando la luce solare e rallentando la crescita delle foreste boreali, suggerisce una nuova ricerca Il più grande studio sugli anelli degli alberi a Norilsk, la città più inquinata della Russia e la città più settentrionale del mondo, ha scoperto che l'inquinamento atmosferico da miniere e fonderie locali è almeno in parte responsabile di un fenomeno noto come "oscuramento artico". Simile all'``oscuramento globale '', questo effetto più regionale si verifica quando minuscole particelle - da inquinamento atmosferico, eruzioni vulcaniche e polvere - si raccolgono nell'atmosfera, dove assorbono o disperdono parzialmente l'energia solare, interferendo con la disponibilità di luce, l'evaporazione e l'idrologia. il terreno. Osservazioni a lungo termine e misurazioni satellitari hanno dimostrato che la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie dell'Artico è diminuita dalla metà del secolo, ma non era chiaro se ciò fosse dovuto all'inquinamento umano nella regione. Oggi, dopo quasi un secolo di attività mineraria pesante e non regolamentata, la morte degli alberi vicino a Norilsk si è estesa fino a 100 chilometri, ma questo è uno dei primi studi per collegare quella foresta in diminuzione con la luce solare ridotta. "Sebbene il problema delle emissioni di zolfo e del deperimento forestale sia stato affrontato con successo in gran parte dell'Europa, per la Siberia non siamo stati in grado di vedere quale sia stato l'impatto, in gran parte a causa della mancanza di dati di monitoraggio a lungo termine", afferma Ulf Büntgen, analista di sistemi ambientali dell'Università di Cambridge. Eppure, questa regione è una delle più fortemente inquinate al mondo. Quindi, leggendo migliaia di anelli di alberi di conifere vive e morte che circondano la città di Norilsk, i ricercatori hanno cercato di ricostruire quello che è successo a questa foresta un tempo incontaminata. Usando il legno e la chimica del suolo, hanno mappato l'entità della devastazione ambientale incontrollata di Norilsk nel corso di nove decenni. "Possiamo vedere che gli alberi vicino a Norilsk hanno iniziato a morire in maniera massiccia negli anni '60 a causa dell'aumento dei livelli di inquinamento", afferma Büntgen. Utilizzando la radiazione solare che raggiunge la superficie come proxy per l'inquinamento atmosferico, i modelli del team forniscono "una forte prova" che l'oscuramento artico ha sostanzialmente ridotto la crescita degli alberi dagli anni '70. Oggi, dicono gli autori, anche le foreste boreali in Eurasia e nel Nord America settentrionale sono diventate in gran parte una "discarica per grandi concentrazioni di inquinanti atmosferici di origine antropica", e quindi gli effetti dell'oscuramento artico potrebbero essere avvertiti in modo molto più ampio al di fuori della regione di Norilsk studiata qui . Sfortunatamente, a causa dei modelli di circolazione su larga scala, sappiamo che gli inquinanti tendono ad accumularsi nell'atmosfera artica, e questo significa che gli ecosistemi a nord possono essere particolarmente vulnerabili all'inquinamento globale nel suo complesso. Anche sapendo questo, gli autori non erano preparati per l'entità del problema che avevano scoperto. "Ciò che ci ha sorpreso è quanto siano diffusi gli effetti dell'inquinamento industriale: l'entità dei danni mostra quanto sia vulnerabile e sensibile la foresta boreale", afferma Büntgen. "Data l'importanza ecologica di questo bioma, i livelli di inquinamento nelle alte latitudini settentrionali potrebbero avere un enorme impatto sull'intero ciclo globale del carbonio". Né l'inquinamento è l'unica minaccia per questi preziosi ecosistemi, a volte descritti come "polmoni" per il nostro pianeta. Sembra che il cambiamento climatico stia anche alterando la diversità delle foreste boreali, mentre gli incendi più intensi e frequenti stanno spazzando via enormi aree della Siberia ogni anno, contribuendo a un ulteriore inquinamento atmosferico regionale. Mentre alcuni modelli di riscaldamento globale suggeriscono che la crescita degli alberi aumenterà con il cambiamento climatico, la nuova ricerca evidenzia che l'inquinamento atmosferico potrebbe superare questo, il che significa che gli alberi nel nord artico cresceranno più lentamente e più deboli di prima. Ulteriori ricerche dovrebbero esaminare come l'inquinamento atmosferico potrebbe portare a una riduzione della radiazione solare, assorbendo la radiazione solare direttamente o indirettamente attraverso i suoi effetti sulle nuvole. Considerata l'importanza di queste foreste boreali come pozzo di carbonio e quanto vulnerabili sembrano essere, gli autori chiedono ulteriori informazioni sugli effetti a lungo termine delle emissioni industriali sulle foreste più settentrionali del mondo. "Questo studio appare particolarmente opportuno alla luce del rilascio, senza precedenti a Norilsk di oltre 20.000 tonnellate di gasolio nel 2020", scrivono, "un disastro ambientale che sottolinea la minaccia del settore industriale di Norilsk sotto il rapido riscaldamento dell'Artico e lo scongelamento del permafrost, e sottolinea anche la vulnerabilità ecologica delle alte latitudini settentrionali ". Carly Cassella

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