RESINE TERMOINDURENTI

Informazioni Tecniche
rMIX: Il Portale del Riciclo nell'Economia Circolare - Resine termoindurenti
Sommario

- Cosa sono le resine termoplastiche e quelle termoindurenti

- Come si produce una resina termoindurente

- Solubilità della resine termoindurente in alcuni solventi

- Vetrificazione della resina termoindurente

- Formulazioni differenti per realizzare prestazioni differenti

Proprietà chimico-fisiche, tecnologiche e relativi settori di applicazione delle resine termoindurenti


di Marco Arezio

Genericamente una resina può essere definita come prodotto organico, solido o semi-solido, d’origine naturale o sintetica, senza un preciso punto di fusione e, generalmente, ad alto peso molecolare.

Le resine possono essere suddivise in:

  • termoplastiche
  • termoindurenti

Le resine termoplastiche sono polimeri lineari o ramificati che possono fondere o rammollire senza subire alterazioni della composizione chimica.

Possono pertanto essere forgiate in qualsiasi forma usando tecniche quali lo stampaggio ad iniezione e l’estrusione. Il processo di fusione-solidificazione del materiale può essere ripetuto senza apportare variazioni sostanziali alle prestazioni della resina.

Generalmente i polimeri termoplastici sono amorfi e non cristallizzano facilmente, a seguito di un raffreddamento, poiché le catene polimeriche sono molto aggrovigliate.

Anche quelli che cristallizzano non formano mai dei materiali perfettamente cristallini, bensì semi-cristallini caratterizzati da zone cristalline e zone amorfe.

Le resine amorfe, e le regioni amorfe delle resine parzialmente cristalline, mostrano il fenomeno della transizione vetrosa, caratterizzato dal passaggio, a volte anche abbastanza brusco, dallo stato vetroso a quello gommoso.

Questa transizione coincide con l’attivazione di alcuni movimenti a lungo raggio delle macromolecole che compongono il materiale.

Al di sotto della Temperatura di transizione vetrosa (Tg), le catene polimeriche si trovano in posizioni bloccate. Sia la temperatura di fusione sia quella di transizione vetrosa aumentano all’aumentare della rigidità delle catene che compongono il materiale e all’aumentare delle forze di interazione intermolecolari.

La resina termoindurente è un materiale molto rigido costituito da polimeri reticolati nei quali il moto delle catene polimeriche è fortemente limitato dall’elevato numero di reticolazioni esistenti.

Durante il riscaldamento subiscono una modificazione chimica irreversibile. Le resine di questo tipo, sotto l’azione del calore nella fase iniziale, rammolliscono (diventano plastiche) e, successivamente, solidificano. Contrariamente alle resine termoplastiche, quindi, non presentano la possibilità di subire numerosi processi di formatura durante il loro utilizzo.

Le resine termoindurenti, come abbiamo visto, sono materiali molto rigidi nei quali il moto delle catene polimeriche è fortemente vincolato da un numero elevato di reticolazioni esistenti.

Infatti, durante il processo di produzione subiscono modifiche chimiche irreversibili associate alla creazione di legami covalenti trasversali tra le catene dei pre-polimeri di partenza.

La densità delle interconnessioni e la natura dipendono dalle condizioni di polimerizzazione e dalla natura dei precursori: generalmente essi sono sistemi liquidi, o facilmente liquefacibili a caldo, costituiti da composti organici a basso peso molecolare, spesso multifunzionali, chimicamente reattivi, a volte in presenza di iniziatori o catalizzatori.

Nella maggior parte dei casi essi subiscono una polimerizzazione in situ mediante reazioni di policondensazione e poliaddizione che li trasformano in termoindurenti ovvero in complesse strutture reticolate tridimensionali vetrose, insolubili nei solventi più comuni, infusibili e degradabili se riscaldate ad altissime temperature.

Molte formulazioni richiedono la presenza di un comonomero, definito generalmente agente indurente, dotato di due o più gruppi funzionali reattivi, e/o di calore e/o di radiazioni elettromagnetiche per reticolare.

La reazione di reticolazione o cura inizia con la formazione e la crescita lineare di catene polimeriche che presto iniziano a ramificare.

Man mano che la cura procede il peso molecolare cresce rapidamente e le dimensioni molecolari aumentano perchè molte catene iniziano a legarsi covalentemente tra di loro creando un network di peso molecolare infinito.

La trasformazione da un liquido viscoso ad un gel elastico, chiamata “gelificazione”, è improvvisa ed irreversibile e comporta la formazione della struttura originaria del network tridimensionale.

Prima della gelificazione, in assenza di agente reticolante, le particelle di resina sono separate tra di loro o interagiscono solo in virtù di deboli forze intermolecolari reversibili, forze di van der Waals.


Quindi la resina termoindurente è solubile in appropriati solventi

Al progredire della reazione di reticolazione si formano legami covalenti intermolecolari, gel covalente, permanendo ancora le interazioni deboli. A differenza del gel di valenza secondaria che può essere rotto senza difficoltà, non esiste alcun solvente così energico da causare la rottura dei legami covalenti.

Quindi la struttura macromolecolare creata da questa trasformazione non si scioglie completamente ma si rigonfia nel solvente perché contiene ancora tracce di monomero, libero o aggregato, e molecole ramificate solubili, presentandosi quindi sotto forma di un sistema bifasico sol-gel. E’ questa la struttura originaria del network tridimensionale termoindurito.

Un altro fenomeno che può verificarsi durante la reazione di cura è la “vetrificazione”, ovvero la trasformazione di un liquido viscoso o di un gel elastico in un solido vetroso, che segna una variazione nel controllo cinetico del meccanismo di reazione passando da uno di tipo chimico ad uno di tipo diffusivo.

La velocità di reazione decade rapidamente sia perchè la concentrazione di monomero reattivo è diminuita sia perchè la sua diffusione verso i siti reattivi del bulk polimerico è rallentata dalla presenza dei cross-links tra le catene.

Comunque, il fatto che si riscontri un ulteriore aumento di densità, testimonia che le reazioni chimiche continuano ad avvenire ma a velocità molto più basse.

Tra le varie tipologie di resine termoindurenti, si trovano quelle epossidiche, che sono sostanzialmente dei polieteri, ma mantengono questo nome sulla base del materiale di partenza utilizzato per produrle e in virtù della presenza di gruppi epossidici nel materiale immediatamente prima della reticolazione.

Il principale utilizzo delle resine epossidiche è nel campo dei rivestimenti, in quanto queste resine combinano proprietà di flessibilità, adesione e resistenza chimica.


Una larga varietà di resine sono formulate per soddisfare le più svariate esigenze tenendo conto dei seguenti parametri:

Reattività: il gruppo epossidico reagisce con una grande varietà di reagenti chimici.

Flessibilità: la distanza dei gruppi epossidici può essere variata in funzione del peso molecolare, ottenendo sistemi reticolati tridimensionali a maglie più o meno larghe e quindi prodotti più o meno flessibili ed elastici.

Resistenza chimica ed adesione: i legami chimici predominanti sono carboniocarbonio e carbonio-ossigeno, legami dotati di notevole inerzia chimica. Gli ossidrili sono secondari e quindi di bassa reattività. Alla polarità delle molecole ed agli ossidrili sono da attribuire le elevate forze di adesione ai substrati metallici.

Stabilità termica: strettamente legata alla densità di reticolazione.

Applicazioni: i sistemi epossidici hanno assunto una grande importanza in quei settori dove si richiedono elevate prestazioni alle sollecitazioni termiche, meccaniche, chimiche ed elettriche.

Vengono impiegati nell’industria automobilistica, spaziale, aeronautica, navale, elettronica, impiantistica, come componenti principali nelle vernici, adesivi, impermeabilizzanti, materiali compositi e per circuiti stampati.

Categoria: notizie - tecnica - plastica - resine termoindurenti - polimeri

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