Quali danni si verificherebbero con l'ingresso delle nanoplastiche nel cervello?
di Marco Arezio
L’impatto emotivo sulle persone, inerente problema della plastica che si riversa nei nostri mari e nei nostri oceani, è stato così forte negli ultimi anni che ha permesso la creazione di una mobilitazione mondiale su un fenomeno tanto odioso, quanto pericoloso, per la salute degli animali ma anche per l’uomo.
L’opinione pubblica è passata in due fasi di conoscenza del problema:
Secondo le ricerche dell’Universitàdi Lund, esiste un nemico ancora più insidioso per l’uomo, che è rappresentato dalle nanoplastiche, portando il problema delle plastiche nel mare ad una terza fase.
Infatti, i ricercatori hanno studiato il degrado chimico e fisico di alcuni tappi di plastica utilizzati per la copertura delle tazze del caffè, seguendo tutte le fasi di disgregazione che il prodotto subisce in mare.
E’ stato dimostrato che l’azione congiunta del mare e del sole, porta il rifiuto plastico da una dimensione visibile, alle microplastiche, per poi trasformarsi in nanoplastiche, che hanno una dimensione di pochi milionesimi di millimetri, permettendogli facilmente di essere assorbito dagli essere viventi, uomo compreso.
Uno studio della stessa università ha dimostrato che le nanoplastiche possono entrare nel cervello dei pesci apportando dei danni cerebrali.
Quello che ancora ci sarà da stabilire, riguarda quali potrebbero essere i danni che le nanoplastiche possono causare nell’uomo e quale potrebbe essere la quantità definibile pericolosa per la salute.
Infatti si è capito che, a causa della loro composizione chimica a base di carbonio, le nanoplastiche sono difficili da individuare e potrebbero facilmente passare nel sangue ed arrivare fino al cervello dell’uomo.