Far Bene le Cose ma Comunicarle Male: + 1 – 1 = 0. Comunicazione e MarketingImprenditori non ci si improvvisa, non ti alzi una mattina e decidi che entro il pomeriggio puoi fare un prodotto o un servizio che non conosci. Non acquisisci le nozioni tecniche, produttive e distributive in un lasso di tempo limitato, ma vengono da un chiaro e ponderato ragionamento in cui si bilanciano pro e contro, tecnica e dedizione, fatica e capacità, tempo e risultato. Emergere nel mercato interconnesso di oggi è veramente difficile, il tuo prodotto o servizio deve essere ben ponderato e devi dedicargli la massima cura e il massimo sforzo per dare ai tuoi clienti un risultato che sia, non solo utile alla loro vita, ma probabilmente migliore della media della concorrenza. La globalizzazione ha cambiato i sistemi distributivi e, se da una parte offrono molte opportunità, hanno l’inconveniente di essere estremamente affollati di proposte più o meno valide, in cui le imprese lottano per avere una corretta vetrina di sé stesse. Fare buoni prodotti o buoni servizi oggi non è più sufficiente se non sai come comunicare al mercato le tue qualità e le tue prerogative. Anni fa bastava avere un sito internet, fare delle fiere, avere collaboratori commerciali che proponevano la tua azienda. Oggi le cose sono cambiate, in modo radicale, in quanto internet è sempre più affollato e le proposte si moltiplicano riducendo l’attenzione dei tuoi potenziali clienti. Le fiere attraversano periodi di difficoltà e la rete vendita, complice anche i costi aziendali per la sua gestione, sono in diretta concorrenza con le vendite on line. Farsi notare sulla rete, avere la possibilità di trovare la giusta attenzione per la tua azienda in modo da catturare nuovi clienti, comporta impegno e dedizione. La comunicazione aziendale è un pilastro portante di ogni grande o piccola azienda, perché in internet siamo tutti uguali, ma ci possiamo differenziare in base ai contenuti che creiamo e la fidelizzazione che costruiamo con i nostri potenziali clienti. Blog, Newsletter, pagine social e articoli aziendali sono un valido aiuto all’imprenditore che vuole far crescere la sua azienda sul proprio territorio o all’estero. Pensare di risparmiare sulla comunicazione significa chiudere il cancello della propria azienda e staccare i telefoni e la corrente elettrica aspettando la fine. Una comunicazione corretta, qualitativa, puntuale e professionale crea una reputazione importante che ti darà la giusta spinta nel tuo business, senza portare via tempo a te e al tuo staff per concentrarti su quello che sai fare bene.
SCOPRI DI PIU'Nuove Tecnologie Raggiungono Temperature Superiori ai 1.000 Gradi Celsius, Riducendo l'Impronta di Carbonio di Acciaio e Cementodi Marco Arezio L'energia solare sta dimostrando un potenziale straordinario per alimentare i processi industriali ad alta temperatura, che storicamente dipendono dai combustibili fossili. Recenti progressi tecnologici hanno permesso di raggiungere temperature superiori ai 1.000 gradi Celsius utilizzando la concentrazione solare, aprendo nuove possibilità per la produzione di acciaio e cemento, settori notoriamente difficili da decarbonizzare. La Sfida delle Alte Temperature nella Produzione di Acciaio e CementoLa produzione di acciaio e cemento richiede temperature estremamente elevate, spesso superiori ai 1.400 gradi Celsius. Questi processi, attualmente alimentati da combustibili fossili, sono tra i maggiori contributori di emissioni di CO2 a livello globale. Pertanto, trovare modi per raggiungere tali temperature senza combustibili fossili è essenziale per ridurre le emissioni di gas serra. Innovazioni nella Concentrazione Solare Un notevole progresso è stato raggiunto con lo sviluppo di una tecnologia di concentrazione solare che utilizza un sistema avanzato di visione artificiale per allineare con precisione una vasta serie di specchi, concentrando la luce solare su un unico punto focale. Questo metodo permette di raggiungere temperature superiori ai 1.000 gradi Celsius, sufficienti per molti processi industriali. I sistemi solari termici commerciali precedenti raggiungevano solo circa 565 gradi Celsius, insufficienti per la maggior parte delle applicazioni industriali (MaterialDistrict). Dettagli Tecnici e Risultati dei Test di Concentrazione SolareIl processo di concentrazione solare utilizza specchi parabolici o eliotermici, che riflettono e concentrano i raggi solari su un ricevitore. In uno studio, una combinazione di una barra di quarzo sintetico e un disco di silicio opaco ha raggiunto temperature di 1.050 gradi Celsius quando esposto a una concentrazione solare equivalente a 136 soli. I test hanno mostrato che un ricevitore schermato da quarzo può raggiungere un'efficienza del 70% a 1.200 gradi Celsius con una concentrazione di 500 soli, rispetto al 40% di un ricevitore non protetto. Questa efficienza è ottenuta grazie alla capacità del quarzo sintetico di intrappolare il calore e ridurre le perdite termiche, migliorando significativamente il trasferimento di calore rispetto ai ricevitori solari tradizionali. Gli studi hanno anche simulato vari scenari per ottimizzare l'effetto di trapping termico, esplorando materiali come fluidi e gas per raggiungere temperature ancora più elevate. Applicazioni e Benefici della Concentrazione SolareQuesta tecnologia ha applicazioni potenziali in diversi settori. Oltre alla produzione di acciaio e cemento, può essere utilizzata per processi come la scissione del CO2 e dell'acqua, per produrre carburanti fossili come l'idrogeno e il syngas. Questi sviluppi potrebbero ridurre drasticamente le emissioni di CO2 associate a questi processi industriali, offrendo un percorso verso una produzione più sostenibile. Problematiche e Prospettive Future Nonostante i promettenti risultati iniziali, ci sono ancora problematiche significative da affrontare. La scalabilità di questa tecnologia e la sua integrazione nei processi industriali esistenti richiederanno ulteriori ricerche e investimenti. Inoltre, è necessario migliorare ulteriormente l'efficienza della conversione dell'energia solare in calore ad altissime temperature. Le prospettive future, tuttavia, sono molto positive. Gli sviluppi recenti indicano che l'energia solare può effettivamente fornire le alte temperature necessarie per i processi industriali, riducendo l'uso di combustibili fossili e le emissioni di gas serra. Questa transizione potrebbe rappresentare un passo fondamentale verso una produzione industriale più sostenibile e a basse emissioni di carbonio.Conclusione L'uso dell'energia solare per generare alte temperature è una svolta significativa nella lotta contro il cambiamento climatico. Le innovazioni nella tecnologia di concentrazione solare offrono una soluzione promettente per decarbonizzare i processi industriali ad alta temperatura, aprendo la strada a un futuro più sostenibile e a basse emissioni di carbonio. La dimostrazione di questa capacità tecnologica è un passo cruciale verso la riduzione dell'impronta di carbonio globale e l'adozione di fonti di energia rinnovabile su larga scala.
SCOPRI DI PIU'Come aiutare l’ambiente, riutilizzando la plastica di scarto, ma sentirsi un imprenditore di serie Bdi Marco ArezioI produttori di articoli fatti con la plastica riciclata dovrebbero avere un riconoscimento sociale per l’uso che fanno della materia prima riciclata nei loro prodotti, la quale contribuisce, non solo a ridurre le quantità di rifiuto che giornalmente produciamo in tutto il mondo, ma permette di ridurre l’uso dei polimeri vergini di derivazione petrolifera. Un impegno verso l’ambiente in perfetta coerenza con i principi dell’economia circolare ma, che nel concreto non ha, fino ad ora, trovato grande sostegno tra i consumatori. La prima cosa che gli stati dovrebbero fare è quello di incentivare gli acquisti di prodotti fatti in plastica riciclata e scoraggiare quelli fatti con la materia prima vergine, così da dare una spinta importante in un’ottica ambientalista. Gli incentivi possono essere di varie forme: - sgravi fiscali sugli acquisti- buoni spesa- prezzi calmierati- incentivi sull’uso dei polimeri rigenerati per le industrie in fase di produzione Questi, sono solo alcuni esempi di tanti che si possono adottare, ma sono fondamentali per aiutare la riduzione della plastica di scarto. Non è la strada corretta quella di far credere alla gente che si possa vivere, nel breve, senza plastica, ma bisogna far capire che, più prodotti fatti in plastica riciclati vengono acquistati dai consumatori, più si consumano le grandi quantità di scarto plastico che i paesi producono quotidianamente e non sanno più dove mettere. Nello stesso senso, più si scelgono prodotti fatti con polimeri vergini, più si contribuisce ad aumentare i rifiuti plastici e si incentiva la trasformazione del petrolio in materia prima, con la conseguenza di aumentare l’effetto serra. L’incremento del riciclo è solo un anello di una catena di interventi che si devono fare per risolvere il problema dei rifiuti plastici, ma la sua importanza è tale da dover investire sulla cultura del riciclo e sul suo riutilizzo. Sapendo che l’adozione della “Plastic Free” è un’utopia, oggi, e lo sarà finchè la scienza non troverà un prodotto ecocompatibile che possa sostituire la plastica in termini di flessibilità d’uso, leggerezza, economicità e caratteristiche tecniche, dobbiamo qualificare il settore dei prodotti fatti in plastica riciclata. Andando al negozio, se volete bene all’ambiente e al proprio futuro, sarebbe auspicabile scegliere prodotti plastici fatti con materie prime riciclate cercando di non fare confusioni con certi messaggi sulle etichette dove viene riportato la dicitura “riciclabile” in quanto il prodotto potrebbe essere fatto con polimeri vergini. Se dovete comprare secchi, vasi, armadi, tavoli, sedie, cassette, flaconi, articoli per il giardino,grigliati, tubi e tanti altri prodotti, pensate all’ambiente, sempre.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - ricicloVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Densificazione del polipropilene: la riduzione dell’umidità del prodotto deve tener conto delle problematiche di imballo e stoccaggiodi Marco ArezioLa densificazione del polipropilene proveniente dalla raccolta differenziata, è un’operazione che permette di utilizzare uno scarto composto prevalentemente da imballi alimentari, in cui la componente media di polipropilene sopra l’85% permette la produzione di molti prodotti finiti non estetici. La raccolta differenziata che viene realizzata nelle nostre case, comporta la separazione delle plastiche miste dalla carta, dal vetro, dai metalli e dalla carta. La plastica mista viene avviata agli impianti di selezione dei materiali che hanno il compito di separare le varie tipologie di plastiche presenti nei sacchi raccolti. Le preponderanti quantità sono rappresentate dall’HDPE, dal PET, dal Polipropilene, dalle plastiche miste e dal Polistirolo. La separazione avviene attraverso il caricamento sui nastri trasportatori del contenuto dei sacchi, che viene avviato alla separazione attraverso macchine a lettura ottica, permettono una divisione per famiglia di plastiche omogenee. Una di queste famiglie è rappresentata dagli imballi alimentari in polipropilene che vengono separati dagli altri materiali ed avviati alla fase di riciclo. Queste operazioni contemplano la triturazione del materiale e il successivo lavaggio, attraverso la centrifugazione e la decantazione in vasca del polipropilene, con lo scopo di separare per azione meccanica e per gravità inquinanti o plastiche differenti non intercettare dai lettori ottici. La fase successiva è rappresentata dalla densificazione del materiale in PP che ha lo scopo di ridurre drasticamente la quantità di acqua presente nel polipropilene macinato, con la conseguenza di permettere l’estrusione del materiale ma anche una riduzione del peso complessivo al metro cubo. La densificazione del polipropilene avviene attraverso la frizione sulle coclee o viti controrotanti, che svolgono un’azione di plastificazione e di asciugatura, se non è previsto un impianto dedicato per questo scopo, e la successiva fase di bricchettatura del materiale. Se il materiale densificato non viene incanalato automaticamente in un estrusore per produrre granulo, ma viene insaccato in Big Bags per un uso successivo o perché il densificato verrà venduto tal quale, è importante seguire alcuni accorgimenti: Se il materiale venisse venduto per fare compounds, la dimensione della pezzatura dovrebbe essere, preferibilmente, tra i 10 e i 12 mm., permettendo così una più semplice azione di miscelazione con altri polipropileni sotto forma di densificati o macinati. Questo potrebbe comportare una rimacinazione del densificato per ridurne le dimensioni.Bisogna stare molto attenti a misurare la temperatura del densificato prima di insaccarlo, in quanto è facile che un’operazione di riempimento dei Big Bags con materiale caldo, possa indurre a fenomeni di autocombustione interna del materiale. Questo fenomeno può capitare in quanto il cuore del materiale nel Big Bag difficilmente si raffredda, anzi, tende ad accumulare calore rischiando di entrare nella fase di autocombustione. Per evitare questo fenomeno è importante che all’uscita del densificatore si provveda ad un raffreddamento ad aria del materiale e, se possibile, evitare l’insaccatura diretta finché il materiale non si è raffreddato tutto in modo uniforme.La giusta percentuale di umidità media di ogni Big Bag dovrebbe essere misurata con il materiale freddo ed apparentemente asciutto, se la destinazione del polipropilene è quella di essere venduto per fare i compounds. Non è solo una questione di peso, infatti ad una percentuale più alta di umidità corrisponde un peso maggiore del carico non gradito al cliente, ma, cosa molto più importante, una maggiore umidità potrebbe comportare problemi in fase di estrusione e possibili difetti estetici dei prodotti finiti realizzati.Un’ultima accortezza riguarda la percentuale di polipropilene che dovrà avere il vostro densificato, in quanto la selezione del materiale a monte nei centri di selezione dei rifiuti, ne determinerà il valore. Se il cliente ha esigenze particolari in termini di percentuali minime di polipropilene nel densificato che acquisterà, è importante verificare regolarmente questo valore attraverso la prova del DSC delle varie partite di rifiuti selezionati ricevute. Il densificato in polipropilene da post consumo può essere, come abbiamo visto, utilizzato per la produzione dei granuli con il prodotto tal quale, per la realizzazione di compounds in granuli, mischiando scarti post industriali, ed infine può essere impiegato anche per lo stampaggio diretto, per prodotti non estetici, attraverso stampi con punti di iniezione adatti alla dimensione delle scaglie.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - densificazione - PP - post consumo
SCOPRI DI PIU'La Storia delle Soffiatrici per le Materie Plastiche: dal Vetro alla Plasticadi Marco ArezioLa storia delle soffiatrici per le materie plastiche affonda le sue radici all’inizio del secolo scorso, quando si iniziò a pensare ad imballi per alimenti liquidi, come il latte, prodotti in materiali più leggeri rispetto al vetro.Non erano però ancora del tutto maturi i tempi in quanto il materiale plastico per eccellenza, l’HDPE, non aveva fatto ancora la sua presenza nel mondo della produzione dei flaconi. La possibilità di ottenere prodotti finiti in forma completamente cava, mediante soffiaggio di un materiale termoplastico, era nota fin dal 1920 ed applicata per alcuni oggetti di cellulosa e di vetro. Fu una vera rivoluzione, se pensiamo che il packaging era da sempre monopolizzato dalle bottiglie di vetro che risalgono, con certezza, al periodo dei Faraoni in Egitto, avendo trovato all’interno delle tombe, vasetti e contenitori funerari in vetro artigianale. Sebbene, la nascita del vetro soffiato, antesignano delle moderne bottiglie di vetro, la possiamo far risalire al I° secolo a.C., quando si sperimentò per la prima volta la soffiatura del vetro attraverso un tubo metallico cavo. Con la soffiatura a canna la produzione divenne più veloce ed economica dando la possibilità di produrre bottiglie, fiaschette, e recipienti adatti anche al popolo e non solo oggetti per i ricchi. Così, nel 1938, due inventori Americani, Enoch Ferngren e William Kopitke, pensarono a un modo per utilizzare i principi della soffiatura del vetro nell'industria della plastica. Crearono così la prima soffiatrice per plastica e la vendettero alla Hartford Empire Company. Ma bisogna arrivare agli anni ‘40 per vedere i primi successi di questa tecnologia, dovuti principalmente all’introduzione del polietilene. Questo materiale, e poi anche il PVC, consentirono la produzione su vasta scala di bottigliette soffiate. Il maggiore sviluppo di questa tecnologia risale però ai primi anni ‘60, quando vennero meno alcune limitazioni brevettuali. Il processo di soffiaggio è sostanzialmente analogo a quello della soffiatura del vetro, tant’è che molti dei primi operatori delle soffiatrici automatiche e robotizzate prevenivano da quel settore. La prima tecnologia di soffiaggio di corpi cavi fu quella di estrusione-soffiaggio, applicata prima per piccoli flaconi e in seguito per grossi contenitori da 5 litri; seguì la tecnologia dell’iniezione-soffiaggio, utilizzata soprattutto per flaconi e bottiglie per uso farmaceutico e cosmetico. I Pionieri Italiani La storia del soffiaggio di corpi cavi incominciò in Italia con Giuseppe Moi, un sardo che trasferitosi a Milano nel 1937 riuscì ad inserirsi con entusiasmo nell’attività industriale di questa città; dopo cinquant’anni di attività, nel 1987, Moi aveva costituito in Italia ed all’estero una trentina di società. La prima attività indipendente di questo straordinario personaggio fu lo stampaggio ad iniezione nel 1945-49 di articoli religiosi e giocattoli di materiale plastico. Nel 1950 fu fondata la G.Moi, che un anno più tardi fabbricò la prima soffiatrice italiana da mezzo litro, dotata di estrusori bivite, destinata alla produzione di bottigliette per detersivi. A questa soffiatrice seguirono macchine da 2, 10, 50 e 500 litri (1962); a partire dai modelli da 10 litri, gli impianti erano attrezzati con testa ad accumulo. L’attività della Moi cessò nel 1980 quando i brevetti e la tecnologia furono trasferiti alla Triulzi, che continuò la costruzione di queste soffiatrici destinate soprattutto alla produzione di grandi manufatti per l’industria automobilistica. Giuseppe Moi ha al suo attivo anche la costruzione delle prime macchine per l’estrusione di lastre e tubi di PE espanso, fornite anche negli Stati Uniti. La storia continua con due società un tempo separate ed oggi divisioni del gruppo americano Uniloy: la Moretti e la Co-Mec. La prima fu fondata nel 1957 dai fratelli Domenico e Giorgio Moretti ad Abbiategrasso, con la ragione sociale: "Officina meccanica per la costruzione di macchine e stampi per il soffiaggio di corpi cavi in materiale plastico". Oltre a queste macchine la società costruì estrusori, teste per l’estrusione, filiere e traini per tapparelle e piccole calandre. Una delle prime macchine soffiatrici, costruita nel 1959, era di tipo pneumatico ad estrusione continua per la produzione di contenitori da due litri per detergenti. Nel 1961 fu costruita la prima macchina per l’estrusione soffiaggio di contenitori fino a 30 litri e la società si impose come una delle principali costruttrici di macchine per il soffiaggio di pezzi tecnici. La Co-Mec, fondata nel 1960 da Herberto Hauda, operava inizialmente a Firenze come trasformatore di materiali plastici. In seguito la sede fu trasferita a Calenzano (FI) dove incominciò la costruzione anche di macchine. Fino al 1965 la Co-Mec costruiva soffiatrici pneumatiche con capacità massima di 5 litri; nel 1966 fu messa sul mercato la prima macchina idraulica, a testa doppia fino ad un litro ed a testa semplice per contenitori fino a 5 litri. Verso la metà degli anni ‘60 furono fabbricate teste speciali per bicomponenti (PVC e PE), con colorazione a strisce. E’ da citare l’azione promotrice in questo settore di Piero Giacobbe, noto anche perché nel 1954 fondò il Giornale delle materie plastiche ceduto poi alla SIR. Giacobbe, oggi titolare con il figlio Ferruccio del gruppo Magic, fondò nel 1960 la ASCO (Associazione costruttori macchine materie plastiche) che mise sul mercato impianti di soffiaggio corpi cavi. Il primo impianto di soffiaggio, chiamato Olimpia, risale al 1960, mentre un anno più tardi fu costruito il modello Mini Magic, che anticipa nel nome la futura società Magic MP. All’inizio degli anni ‘70 si affermò anche in Italia una forte industria costruttrice di macchine per il soffiaggio di corpi cavi, anche se la produzione era allora limitata all’estrusione-soffiaggio e non all’iniezione-soffiaggio. L’offerta copriva dalle piccole unità per contenitori farmaceutici sino agli impianti completi per fusti e contenitori di mille litri ed oltre. Risale a quegli anni lo sblocco dell’impiego del PVC atossico, stabilizzato ai raggi UV ed antiurto, per il soffiaggio di bottiglie destinate alle acque minerali non gasate. Quattro stabilimenti di imbottigliamento incominciarono ad adottare il PVC per questo impiego. Nel 1970 erano presenti in Italia undici costruttori, contro i quattro del 1960. La CoMec mise in commercio nel 1970 una soffiatrice con ugello di soffiaggio dall’alto e con calibrazione del collo. Nei primi anni ‘70 sviluppò l’estrusione-soffiaggio di corpi cavi di nylon ad elevata viscosità e nel 1973 propose la Serie CS anche per la coestrusione fino a tre strati. La Fratelli Moretti costruiva quattro modelli di soffiatrice Serie M, ad un gruppo, per contenitori di PVC fino a sei litri di capacità e quattro modelli MB a due gruppi con smaterozzamento ed espulsione automatici; inoltre proponeva la serie Compact, con cinque modelli per contenitori da 20 a 250 litri ed estrusori fino a 120 mm di diametro. La Omea forniva due modelli di soffiatrice automatica con estrusore verticale e quattro tipi con estrusore orizzontale (fino a cinquanta litri): la testa era del tipo ad accumulo con regolazione dello spessore del parison. La Beloit Italia di Pinerolo (TO) costruiva due diversi modelli a stazioni rotanti (fino a sei). Troviamo poi tre società: la Newpac di Zingonia (BG), la Costaplastik di Macherio (MI) e la Mossi e Ghisolfi di Tortona, che dopo un’attività di trasformazione, iniziarono la costruzione di alcuni tipi di soffiatrici. La Mossi & Ghisolfi si era specializzata nella costruzione di impianti completi per la produzione di bottiglie per latte; commercializzava inoltre le macchine della francese Sidel, destinate alla realizzazione di bottiglie di PVC per acqua minerale, vino ed olio. La Locati e Pavesi di Milano si era fatta un nome con il modello LP 200 per contenitori fino a 5 litri, caratterizzato da un sistema di chiusura delle piastre attuato mediante robuste ginocchiere. La Magic, fondata come è stato detto da Piero Giacobbe nel 1965, acquisì ben presto un posto importante nel panorama dei costruttori italiani di macchine per contenitori fino a 200 litri; in particolare si segnalano i modelli Miniblow per la lavorazione del PVC rigido per uso alimentare, con smaterozzamento automatico in produzione e calibratura dei colli e Maxiblow, quest’ultimo per corpi cavi sino a 50 litri, con testa ad accumulo e regolazione dello spessore e del peso del parison.Categoria: notizie - tecnica - plastica - soffiatrici - storia Foto Kautex Fonti: IQS-Donadini-Kautex
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