La condivisione delle macchine, bici, case e delle attrezzature nel periodo della post pandemiadi Marco Arezio Arrivare in aereo in una città, alloggiare in una stanza in casa di una persona non conosciuta, uscire prendendo una macchina in car sharing o una bici, ci sembrerà strano? Probabilmente si, tutto quello che era una conquista è divento improvvisamente un problema. Vivevamo nel mondo della condivisione dei beni, dove il valore del servizio che si otteneva era il metro di valutazione dell’organizzazione della nostra giornata, un passaggio, un’auto per qualche ora, un monopattino, una stanza per una notte. Niente più proprietà del bene in uso, niente costi da sostenere in periodi in cui non viene utilizzato, niente ostentazione di una presunta ricchezza, libertà di cambiare lo strumento del servizio ogni giorno, costi bassi e poche responsabilità. Veniamo da anni in cui ogni cosa veniva acquistata, conservata, usata, a volte pochissimo e poi buttata, non perché non funzionasse più, ma perché vecchia e magari i ricambi erano fuori produzione. Al vertice di questi usi limitati c’era il sogno di tutti, l’auto, che veniva parcheggiata nel garage, mediamente, per il 90% del tempo della sua vita, ma si preferiva averla in quanto garantiva una sensazione di libertà e indipendenza di circolazione. E come dimenticare la dote di ogni bravo padre di famiglia aveva: il trapano. Quanti ne sono stati comprati per famiglia e quanti buchi sono stati fatti nel muro? Pochissimi. Ma al grido << senza trapano come fai? >> i produttori di questi elettrodomestici hanno venduto milioni di pezzi. Oggi, dove la mentalità è cambiata e si privilegia l’uso alla proprietà, per questioni ambientali, di economia circolare, di razionalizzazione del traffico, spingendo ad usare l’auto, per esempio, solo nell’ultimo breve tratto del tuo viaggio, suggerendo alla gente viaggiare in treno per le medie distanze. Si è quindi sviluppata negli ultimi anni, un’economia nuova, fatta di flotte di auto, spesso elettriche, motorini, bici, monopattini e, inoltre, anche nel settore dell’alloggio, si prenotano camere nelle case di comuni cittadini che ti ospitano, scavalcando gli alberghi, per ridurre il costo del pernottamento e per conoscere gente nuova. Ma in questo periodo in cui la pandemia da Coronavirus ci espone facilmente al contagio, dove il distanziamento sociale oggi è un requisito fondamentale, dove non si sa ancora quanto questo virus possa rimanere nel tempo sulle superfici toccate da una persona positiva, dove le abitazioni e le auto dovrebbero essere sanificate completamente dopo ogni utilizzo, ci chiediamo come comportarci in questo periodo sospeso. Ci auguriamo, che con l’avvento del vaccino, tutte queste perplessità rimangano un brutto ricordo, in quanto la Sharing Economy è un pilastro fondamentale dell’economia circolare e della tutela dell’ambiente e, mai si potrà pensare di adottare un modello di economia come quella passata, dove si continuava a produrre oggetti che non si usavano pienamente.Vedi maggiori informazioni sulla sharing economy
SCOPRI DI PIU'Petrolio, metano e idrogeno: come stiamo affrontando la transizione energetica dalle fonti fossili? A guardarci intorno sembra che nulla stia cambiando, andiamo al distributore a riempire le nostre macchine di benzina o di gasolio, vediamo circolare qualche auto a metano, poche francamente, qualche rara auto elettrica. Ci sono ancora città che usano il gasolio per il riscaldamento e l’acqua calda, molte fabbriche che hanno processi industriali alimentati da fonti fossili e il trasporto su gomma divora gasolio come fosse un fiume in piena. I trasporti via mare e il traffico aereo dipendono dai derivati del petrolio e hanno un’incidenza nell’inquinamento dell’aria notevole. Ci sono centrali che producono energia elettrica che funzionano ancora a carbone e nonostante tutto, si parla tanto di energie rinnovabili ma, nel quotidiano, facciamo fatica a vederle espresse. In realtà il processo di de-carbonizzazione in alcune aree del mondo è partito, con le attività di conversione dalle fonti fossili verso quelle rinnovabili, un processo però che richiederà tempo e che avrà bisogno di investimenti. In passato c’era solo il petrolio, che forniva, una volta raffinato, tutta l’energia di cui avevamo bisogno. Inquina, si, lo abbiamo sempre saputo, ma abbiamo fatto sempre finta di niente, anzi, ancora oggi c’è chi sostiene che il cambiamento climatico non dipende anche dal petrolio. Il pericolo che temevamo, pronunciando la parola “Petrolio”, era che prima o poi potesse finire, dovendo quindi rinunciare ai nostri agi. Poi è arrivato il metano, non che lo avessimo chiamato al nostro capezzale per una questione ambientale, ma perché costava meno e quindi ci è stato subito simpatico. Agli esperti, introdotti nel settore petrolifero, non piacevano queste grandi simpatie e per evitare un travaso di clienti importante, che avrebbe minato la marginalità dell’industria petrolifera, hanno sostenuto che le riserve di gas erano molto limitate rispetto a quelle petrolifere, quindi il mercato del gas vide un’impennata dei prezzi così da mettere al sicuro il business del petrolio. Oggi le cose si sono ristabilite, in quanto la tutela dell’ambiente è sull’agenda di qualunque cittadino, quindi le cose si vedono in un modo meno unilaterale. Le riserve di gas stimate nel 2006 in 25 anni di disponibilità oggi sono arrivate a 200 anni, portando il prezzo del gas, per esempio negli Stati Uniti, ad un valore di dieci volte inferiore a quello del 2006. Rispetto al petrolio, il gas naturale costa oggi circa la metà, rendendo appetibili gli acquisti. L’allontanamento dal petrolio si sta concretizzando anche con l’aumento della produzione di bio-metano, che darà una grossa mano, sia in termini ambientali che di gestione dei rifiuti urbani, molto importante, aiutando la riconversione energetica. In questa ottica la fonte energetica per far funzionare il trasporto su gomma e su mare può essere progressivamente sostituita dal gas con risparmi in termini di CO2 considerevoli. Come per gli impianti di produzione di energia elettrica o i termovalorizzatori che potranno godere dell’uso di gas naturale o bio-gas per il loro funzionamento riducendo l’impronta carbonica. E il futuro quale è? Il futuro oggi si chiama Idrogeno, un elemento conosciuto da molti anni ma per ragioni politiche, economiche e tecniche non ha mai visto un’alba felice. Le speranze che questo elemento energetico venga usato in larga scala nei prossimi 10 anni è confortato dal fatto che le energie rinnovabili abbasseranno il prezzo della produzione dell’idrogeno, inoltre l’industrializzazione della produzione degli elettrolizzatori, che servono a ricavare l’idrogeno dall’energia elettrica scomponendo l’acqua, aiuterà questo processo. L’idrogeno si potrà utilizzare nei trasporti pesanti, nel settore residenziale, nel riscaldamento e in alcune attività industriali. Il matrimonio tra idrogeno e l’energia prodotta da fonti rinnovabili sarà la chiave di volta per la sua diffusione, infatti si devono progettare nuovi impianti che siano in grado di trasformare, per esempio l’energia del sole, in energia elettrica specificamente dedicata a questa produzione. L’Italia sta pensando con interesse all’area del nord Africa come fonte preferita per la produzione di energia solare dedicata, mentre l’Olanda pensa al mare del nord per l’utilizzo dell’eolico. C’è un gran fervore dietro le quinte, a breve, ci auguriamo, lo spettacolo possa iniziare anche per i consumatori.Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'Pensi che l'acqua e le bibite in generale siano immuni alle microplastiche? Sembra incredibile ma ingeriamo mediamente 50.000 particelle di plastica ogni anno. Dalle bottiglie alle stoviglie, dai contenitori multiuso ai giocattoli per bambini, dalle borse alle scarpe e non solo, viviamo in un mondo di plastica. Abituati come siamo alla cultura dell'usa e getta sembra difficile raccogliere i messaggi che ci arrivano per riuscire a cambiare le nostre abitudini e la cultura dello spreco che si è radicata in questo lasso temporale. La regola delle 3 R riduci, riusa, ricicla a quanto sembra non è abbastanza applicata, ma un po' alla volta qualcosa si muove e iniziano ad arrivare risposte fattive. Sono diversi i comuni, le spiagge, le scuole e le mense che stanno diventando plastic free, convertendosi cosi all'utilizzo di materiali riciclati. Non è mai troppo tardi per iniziare a dare il buon esempio, purché si inizi e si riesca a invertire la rotta. Siamo arrivati a un punto di non ritorno ed è necessario intervenire per dare risposte certe in tempi altrettanto certi. Dal 1950 a oggi infatti la produzione di plastica nel mondo è aumentata di 200 volte e nei prossimi dieci anni ci potrebbe essere un incremento produttivo ancora più significativo, fino a 40 volte più grande. Quanto emerge da uno studio pubblicato dall'Università di Newcastle secondo il quale le politiche adottate finora per il recupero, riuso e riciclo della plastica non sarebbero sufficienti per contenere l'impatto ambientale di questo prodotto e i suoi effetti sulla nostra salute. L'invasione della microplastica La plastica si trova ormai ovunque, perfino nell'acqua potabile che beviamo, dal rubinetto o dalla bottiglia, come anche nella birra e nelle bevande più diffuse. Dall'acqua però, le fibre di microplastiche filtrano fino ai derivati, arrivando così nella birra o in altre le bevande più diffuse (analcoliche, succhi di frutta, probabilmente anche nel vino), nel pesce (soprattutto crostacei) e nel sale. Stando ai dati della ricerca dell'Università del Newcastle fibre di microplastiche sarebbero presenti nel 72,2% dell'acqua potabile che beviamo e con cui cuciniamo di tutta Europa, a differenza degli Stati Uniti dove la presenza di plastica sale fino al 95%. L'università inglese oltre a evidenziare come dal 2000 la produzione di plastica sia in costante aumento con una percentuale par al 4% l'anno, ci comunica come ogni settimana, tramite cibo e bevande, ciascuno di noi ingerisce circa 1.769 micro-particelle di plastica (circa 50.000 particelle di plastica in un anno). Insomma, siamo sommersi dalla plastica! La plastica sarebbe presente nelle acque sotterranee, come in quelle superficiali, e nell'acqua imbottigliata. Per ogni 500 ml di acqua potabile, la ricerca in questione rileva fibre plastiche nel 72,2% in Europa, riscontrando in altri paesi internazionali anche maggiori quantità in termini percentuali (nel Medio Oriente -nello specifico il Libano- risultano una contaminazione pari al 98% dei casi, negli Stati Uniti pari al 95%, in India pari all'82,4%, in Uganda all'81%, in Ecuador al 79%, in Indonesia al 76%). E' imprescindibile come l'acqua sia il principale costituente del corpo umano e rappresenti una percentuale consistente del peso corporeo di ogni essere umano, che deve necessariamente bere acqua per evitare una disidratazione. Alla luce dei dati emersi dallo studio e dei pericoli che ne derivano per la salute di ciascuno è fondamentale attivarsi per creare quel circolo virtuoso del riduci, riusa, ricicla con l'obiettivo e la speranza di riuscire a contribuire a salvare il nostro pianeta. La plastica non è biodegradabile, ma è riciclabile pertanto l'invito è quello di attivarci tutti quanto prima anche in via preventiva sprecando di meno.Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'Calcestruzzi Cellulari con Aggregati Riciclati dai Rifiuti: C’è un Futuro?di Marco ArezioAnche il mondo dell’edilizia deve affrontare un percorso di sostenibilità che è sempre più importante per l’ambiente e per l’uomo.I calcestruzzi sono elementi costruttivi che comportano un consumo importante di risorse naturali, in particolare gli aggregati che li compongono, essendo estratti e messi a disposizione del settore delle costruzioni. Come succede sempre più spesso nell’ambito stradale e dell’isolamento acustico, dove si impiegano, per esempio, polverini di guaine bituminose riciclate e macinati degli pneumatici riciclati, anche nell’ambito del calcestruzzo la domanda del mercato per un prodotto più sostenibile è ormai crescente. Le ricette che compongono un calcestruzzo tradizionale vedono l’impiego di aggregati naturali, con granulomentrie differenti, una quota di cemento, acqua e additivi quando necessario. Nell’ambito di un approccio ecosostenibile al prodotto, si sono eseguite diverse sperimentazioni e tests di laboratorio che hanno puntato alla sostituzione integrale dell’aggregato naturale con aggregati costituiti da rifiuti selezionati, industriali e da post consumo. Nella famiglia dei rifiuti presi in considerazione in questi tests possiamo annoverare le ceneri volanti, che sono dei rifiuti prodotti durante l’incenerimento dei rifiuti solidi urbani, la loppa d’altoforno macinata, che è anche lei un sottoprodotto delle operazioni di incenerimento e un prodotto plastico da post consumo, la polvere di PET, proveniente dal riciclo delle bottiglie dell’acqua e delle bibite. Metodologie di prova Con questi tre elementi, si sono costituiti differenti impasti cementizi volti ad ottenere calcestruzzi alleggeriti, creando una serie di campionature da laboratorio con lo scopo di testare la resistenza a compressione e la conducibilità termica di elementi composti, sia con aggregati naturali alleggeriti sia con varie tipologie di aggregati provenienti dai rifiuti. Lo studio è stato promosso con l’intenzione di dare una storia analitica ai calcestruzzi riciclati alleggeriti che possano essere impiegati, per esempio, nella costruzione di blocchi di cemento alleggerito per la realizzazione di pareti non strutturali. Si sono quindi create una serie di miscele differenti con la corrispondente quantità di campioni, che sono stati testati a compressione ed è stata calcolata la conducibilità termica degli stessi. Lo scopo era quello di mettere a confronto, una tradizionale miscela di calcestruzzo con aggregati naturali leggeri, con le miscele di calcestruzzo fatte con gli inerti riciclati dai rifiuti. Risultati delle prove I risultati hanno evidenziato una riduzione media della resistenza a compressione dei campioni composti con gli aggregati da rifiuto, senza il PET, del 13,7 %, rispetto ai campioni realizzati con gli inerti naturali, mentre le miscele che contenevano la polvere di PET hanno avuto performances di resistenza ulteriormente più basse del 10%. Si è però notato che l’aggiunta di polvere di PET ha influito positivamente sulla conducibilità termica, rispetto ai campioni composti al 100% con aggregati dai rifiuti, ma inferiore di circa il 22% rispetto ad un calcestruzzo realizzato con inerti naturali alleggeriti. Conclusioni Per quanto il calcestruzzo alleggerito riciclato abbia inferiori prestazioni meccaniche e termiche rispetto a quello prodotto con elementi naturali, la necessità di limitare l’uso delle risorse naturali e quella di ridurre i rifiuti non riciclabili che vanno in discarica, potrebbe portare ad una nuova consapevolezza nell’ambito della progettazione edilizia e della produzione. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - calcestruzzi cellulari - edilizia
SCOPRI DI PIU'Come riconsiderare i prodotti vegetali di scarto per la bio-edilizia in un’ottica di economia circolaredi Marco ArezioE’ nato prima l’uovo o la gallina? Una battuta spiritosa che potrebbe essere applicata facilmente al binomio bio edilizia – economia circolare. Infatti possiamo dire che i due campi si alimentano vicendevolmente, mettendo il mercato dei rifiuti e degli scarti a disposizione dell’industria dei prodotti edilizi, per la creazione di manufatti sempre più green. Esiste infatti nel passato una vasta documentazione che descrive come l’uomo avesse sempre cercato di migliorare la salubrità e la vivibilità delle proprie abitazioni, sfruttando nel migliore dei modi quello che la natura gli metteva a disposizione, sia sotto l’aspetto ambientale che quello delle materie prime sulle quali poteva contare. La lenta evoluzione dei processi costruttivi e dei materiali, durante i secoli, ha visto un lento ma costante miglioramento delle performance abitative degli edifici costruiti, soprattutto quando vennero impiegati i mattoni, i vetri, gli isolamenti termici pur rudimentali, i sistemi fognari e molte altre innovazioni. Ma la svolta concreta è avvenuta durante del XIX secolo, quando la grande disponibilità di energia proveniente dalle fonti fossili, in coincidenza dei progressi tecnologici, creò una nuova forma di architettura, anche intesa come materiali, basata molto sulla futurizzazione della potenza industriale e sulla produzione in serie di elementi per l’edilizia. Questo trasformismo portò ad un allontanamento progressivo dalla centralità dell’ambiente e della natura nelle opere edili e nei suoi progetti. Intorno agli anni 70 dello scorso secolo, anche nel settore delle costruzioni iniziarono a crescere dei dubbi sulla sostenibilità dei materiali usati e sul metodo della cementificazione selvaggia che erodeva il suolo, inquinava l’ambiente e sperperava le risorse energetiche. Il processo che portò ad una nuova consapevolezza tra edilizia e ambiente si manifestò, lentamente, attraverso strade diverse: le crisi petrolifere causarono l’aumento del costo per scaldare le abitazioni, spingendo alla creazione dei primi isolanti termici, l’inquinamento urbano portò allo studio di nuove forme di sfruttamento dell’energia domestica, la crescita di una nuova coscienza ambientalista mise in discussione una serie di materiali difficilmente riciclabili. L’idea di una nuova circolarità nell’uso degli edifici e dei materiali che li compongono, rivoluzionò il sistema fin dalle fasi di progettazione, in cui vennero inseriti concetti come bioedilizia ed economia circolare dei rifiuti. Oggi, questo nuovo corso, gira intorno all’impatto ambientale dell’edificio, attraverso lo strumento dell’eco bilancio, che deve considerare tutte le fasi della vita della struttura, cioè significa analizzare l’impatto del costruito nella fase prima della sua realizzazione, durante la vita dell’edificio e dopo la sua esistenza, intesa come recupero dei materiali che lo hanno composto. Utilizzando la metodologia LCA (Life Cycle Assessment), adattata, non ai singoli prodotti, ma ad un edificio intero, si vuole fare una valutazione complessiva del progetto rispettando i seguenti parametri: Compatibilità: che consiste nella valutazione dell’opera nel contesto ambientale sotto il profilo economico, inteso come minori sprechi generali nel tempo. Benessere: inteso come integrazione dell’uomo in equilibro con la natura e le sue risorse. Riciclo e riuso: inteso come la ricerca di una costruzione, anche di tipo a secco, in cui gli elementi potrebbero essere smontati e riutilizzati facilmente a fine ciclo. Da questi concetti nascono nuove forme di ricerca che vogliono ripercorrere la circolarità dei materiali da impiegare, per realizzarne altri adatti alle costruzioni, cercando di minimizzare il prelievo delle materie prime dall’ambiente. In questo contesto si muovono i materiali, intesi come materie prime, che provengono dallo scarto della lavorazione del riso, riutilizzati come componenti eco compatibili, finalizzati alla realizzazione di nuovi elementi costruttivi. Per scarto del riso, possiamo identificare la parte che lo avvolge, denominata pula o lolla, che risulta dopo la lavorazione, tramite sbramatura (azione meccanica di pulitura del chicco di riso) del prodotto raccolto nel campo, il cui rifiuto incide dal 17 al 23% in peso. La lolla ha una consistenza molto dura e leggera, con una densità di circa 135-140 Kg./m3 ed ha ottime caratteristiche espresse nell’imputrescibilità e inattaccabilità dagli insetti. Essendo molto scarso l’apporto nutritivo del prodotto (3,3% di proteine e 1,1% di grassi) non viene generalmente impiegata come mangime per gli animali. Nel campo dell’arredamento, la lolla di riso viene utilizzata, in compound con delle resine, per creare un legno artificiale, adatto alla costruzione di darsene, pontili e arredo urbano esterno in virtù delle elevate proprietà impermeabili, di resistenza al sole, alla pioggia, alla salsedine e alla neve. Nel campo delle costruzioni abitative, la lolla di riso viene impiegata in alcuni processi produttivi: Massetti alleggeriti con spiccate doti di isolamento termo-acusticheMalte di intonaco e di finitura attraverso un mix di lolla di riso, inerti silicei ed argillaPitture da esterno composte da latte di calce e lolla di risoPannelli per pareti da interno ed esterno, per l’isolamento termo-acustico, composti da lolla di riso, ossido di magnesio e amido di soia con la funzione di legante. I prodotti composti dalla lolla di riso, dalla paglia e dalla calce sono leggeri, tenaci, con caratteristiche termiche e acustiche e traspiranti.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - bioediliziaVedi maggiori informazioni sulla bioedilizia
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